Il contributo di Sandro Spinsanti alla sociologia della salute
dal volume, curato da Marco Ingrosso: La salute per tutti. Un’indagine sull’origine della sociologia della salute in Italia, Codice Ed. 2015.
Sandro Spinsanti (Ancona, 1942), ha insegnato etica medica nella Facoltà di Medicina dell’Università Cattolica di Roma e bioetica all’Università di Firenze. È stato direttore del Centro Internazionale Studi Famiglia (Milano). Ha fondato e dirige l’Istituto Giano per le Medical Humanities e il management in sanità (Roma). Ha fondato e diretto, successivamente, le riviste di Medical Humanities: L’Arco di Giano (1993- 2000) e Janus. Medicina, cultura, culture (2001- 2012).
Il suo contributo a ripensare la pratica della medicina e la cultura della salute si articola intorno a tre fondamentali tematiche. La prima è costituita dal problema del soggetto in medicina, sviluppato sullo sfondo argomentativo fornito dalle opere di Viktor von Weizsaecker. Fisiologo, medico, psicanalista, filosofo, Viktor von Weizsaecker (1886- 1957) ha diagnosticato in modo approfondito i mali della medicina del suo tempo, suggerendo come terapia l’introduzione del soggetto” nella pratica terapeutica. Il movimento che a lui si ispira ha preso il nome di Medicina Antropologica.
Il contesto della proposta di von Weizsaecker è costituito dalla reazione alla concezione prevalente di una medicina intesa semplicemente come scienza naturale, così come si è andata imponendo nelle prime decadi del ‘900. Il nuovo orizzonte propone di considerare sia la salute sia la malattia non solo come eventi biologico-organici, ma anche come indicatori di un equilibrio o di una disarmonia della persona nel suo rapporto con il mondo, includendo così elementi psicologici, sociali, ecologici e spirituali. Spinsanti ha dato voce in Italia agli impulsi culturali provenienti dalla “Medicina Antropologica” o “medicina della persona” e dai suoi maggiori autori: Viktor von Weiszaecker in Germania, Paul Tournier in Francia, Pedro Luis Lain Entralgo negli ambienti di lingua e cultura spagnola.
Il movimento, peraltro non unitario, si trova concorde nella necessità di introdurre in medicina il soggetto, in aperta contrapposizione con un naturalismo riduzionista che considera l’uomo come un essere vivente concluso nella sua dimensione biologica e che si attiene a una neutralità metodologica nei confronti degli aspetti psichici, spirituali, storico-biografici e sociali dell’esistenza umana. In accordo con l’asse portante della Medicina Antropologica – “La malattia dell’uomo non è il guasto di una macchia, bensì lui stesso; o meglio, la sua possibilità di diventare se stesso”: Viktor von Weizsaecker – Spinsanti ricorda che dietro ogni malattia c’è la presenza di un soggetto umano che struttura la “sua” malattia, facendone un elemento della “sua” biografia. Occorre, quindi, avvicinarsi all’uomo in una maniera globale, che non lo depauperi nella sua esperienza concreta e che non elimini o disconosca l’ambito della soggettività (5,6).
La vicinanza di Spinsanti a Viktor von Weizsaecker è rafforzata da alcune analogie nelle rispettive biografie intellettuali. Entrambi hanno in comune il dialogo fecondo con la teologia e la psicologia. Von Weizsacker è stato infatti interlocutore frequente di teologi nella prima metà del ‘900 nel contesto di un dialogo approfondito con teologi evangelici, mentre Spinsanti è egli stesso laureato in teologia. Per quanto attiene alla frequentazione degli ambienti culturali della psicologia, von Weizsaecker è stato interlocutore di Freud, con il progetto di importare nell’ambito della medicina somatica principi e metodi che la psicoanalisi ha applicato esclusivamente alle patologie psichiche. Spinsanti, a sua volta, è laureato in psicologia e ha avuto una formazione psicoterapeutica in Analisi Transazionale e in Gestalttherapy, attingendo profondamente a quel bagaglio culturale nell’elaborazione del proprio pensiero. Per entrambi l’itinerario culturale caratterizzato dalla duplice attenzione alla spiritualità e alla psicologia trova un approdo naturale nell’antropologia. Entrambi riconoscono alla malattia una significativa portata etica in quanto esperienza di identificazione e di potenziale sviluppo della persona.
Sandro Spinsanti si è rivolto in particolare alla corrente della psicologia umanistica e transpersonale, che si riconosce nel progetto di fare della psicologia lo strumento dell’integrazione umana. Sotto la sua egida, dalla metà degli anni ’80 ha promosso incontri presso la Cittadella di Assisi, con lo scopo di favorire un dialogo tra operatori della salute di diverse professionalità su temi di interesse e di operatività comuni: come il senso di colpa, le separazioni nella vita, il vissuto di malattia, l’ascolto come pratica professionale. Nell’ottica della matrice fondante della psicologia transpersonale, gli incontri si proponevano di far interagire professionisti che nella pratica abituale hanno perso ogni contatto con la globalità dell’essere umano che curano. Si tratta di operatori che, pur esercitando abitualmente la cura in settori paralleli, si ignorano tra di loro (nei casi peggiori si guardano con altera sufficienza …).
Filo conduttore di queste iniziative e delle opere che ne sono scaturite – si segnalano i volumi che raccolgono gli atti degli incontri alla Cittadella: 1, 2, 3, 4 – è stato l’intento di riportare professionisti sanitari, psicoterapeuti e operatori pastorali alla loro matrice originariamente e comunemente orientata alla salute in senso ampio e inclusivo. Le diverse categorie professionali si sono costituite infatti grazie alla successiva divaricazione e specializzazione della funzione terapeutica, originariamente indifferenziata. Il senso degli incontri era quello di favorire una visione a tutto tondo, che facesse emergere le dimensioni fisiche, psichiche e spirituali della salute. A questo stesso obiettivo Spinsanti ha contribuito dirigendo presso la casa editrice Cittadella la collana “Psicologia/Strumenti”, che ha divulgato voci importanti della psicologia umanistica e trans personale, come Ken Wilber, Stanislav Grof, Roberto Assagioli, Carl Rogers.
Gli spunti concettuali assunti dalla Medicina Antropologica e dalla psicologia transpersonale sono stati ulteriormente fecondati dal movimento della bioetica, proveniente dal mondo anglosassone, di cui Spinsanti è stato tra i primi in Italia a cogliere la portata innovativa rispetto all’etica medica tradizionale. Il soggetto/paziente non è più solo colui il quale struttura la propria malattia nei suoi significati e persino nella sua patogenesi, ma è piuttosto il titolare di diritti (secondo il principio dell’autodeterminazione) che devono essere posti al centro del rapporto tra professionista della salute e paziente stesso. Il distacco di Spinsanti dalla matrice di pensiero weizsäckeriana, che vede la soggettività del paziente costituita dalla sua capacità di strutturare il sintomo psicotico o nevrotico e la stessa patologia somatica, si sviluppa quindi proprio in questo spostamento del focus della soggettività: dalla strutturazione della malattia alla configurazione dell’edificio culturale e normativo in grado di consentire l’esazione dei diritti correlati alla propria autonomia. Si delinea così il passaggio del focus degli interessi di Spinsanti dalla filosofia della medicina alla bioetica (6).
La seconda tematica che caratterizza il contributo di Spinsanti a una nuova pratica della medicina si identifica con la riflessione etica sull’autonomia del paziente e sul superamento dell’approccio proprio dell’etica medica tradizionale. Dal punto di vista metodologico si segnala il ricorso, rispetto al modello dell’etica dei principi, a un approccio innovativo basato sull’analisi di casi clinici. Rispetto a considerazioni di tipo teorico o filosofico-storico, risulta più valorizzata la prassi degli operatori sanitari, che possono riconoscersi nelle loro perplessità decisionali quotidiane (7). L’analisi utilizza tre modelli etici (e ideal-tipici) che caratterizzano tre stagioni dell’etica in medicina: una premoderna (praticamente identificata con la tradizione ippocratica), una moderna (promossa dal movimento della bioetica) e una post-moderna (che in Italia ha preso l’avvio con i progetti di riforma del Servizio Sanitario Nazionale). Nella bimilleranaria epoca pre-moderna “tutto quello che il malato aveva da fare era di diventare paziente in tutti i significati del termine” (8). Pazientemente aspettava che il medico, da buon osservante del “giuramento d’Ippocrate”, prestasse la sua opera diretta a «procurargli un beneficio». Era l’epoca in cui gli ospedali erano “pie opere” di assistenza e beneficenza, in cui i medici erano visti come benefattori dell’umanità, in cui – più recentemente – il principio di beneficio da procurare al paziente era considerato il criterio unico per valutare la qualità della prestazione sanitaria.
La bioetica è la disciplina che ha governato il passaggio ai valori propri della modernità. La nuova area concettuale e comportamentale che la bioetica disegna per i problemi morali e normativi delle scienze della vita dà per scontato che ogni presente o futura conquista scientifico-tecnica nel campo della biologia, della medicina, della sanità deve essere utilizzata per contrastare la patologia e apportare benefici al malato. Ma il criterio del beneficio procurato al malato non basta: questi va considerato come soggetto da coinvolgere attivamente mediante l’informazione, il consenso e la partecipazione attiva nel determinare la qualità della vita che ritiene auspicabile. Il cittadino è quindi, in definitiva, convocato a decidere insieme al medico i limiti della medicina.
L’etica che nasce nell’epoca postmoderna dell’organizzazione sanitaria sposta ulteriormente il proprio centro di gravità. Gli ospedali non sono più “pie opere”, ma aziende. Il medico non è più un buon padre o un franco alleato, ma un organizzatore di tecniche e di pratiche che debbono ispirarsi a una filosofia della cura dove etica ed economia sono due facce di una stessa pregiata moneta da investire nella cura dell’uomo. Il paziente non è più un malato obbediente, non è solo un partecipante informato, ma è un utilizzatore di risorse, tecniche e umane, che deve essere soddisfatto nei suoi bisogni e nelle sue giuste esigenze. Il principio-guida del rapporto di cura non è più la beneficialità, non è solo l’autonomia, ma è anche la giustizia.
La riflessione sulle stagioni dell’etica in medicina introduce a una metodologia di cura finalizzata all’applicazione di uno schema fortemente innovativo di elaborazione delle osservazioni cliniche e assistenziali al fine di valutare e prendere decisioni tali da configurare un comportamento obbligato (per legge, per deontologia professionale, per regolamenti e normative aziendali, ecc.), un comportamento eticamente giustificabile (allineato sulla difesa del “minimo morale”, evitando ciò che nuoce o danneggia il paziente: principio di non maleficità; o opponendosi a discriminazioni ed ingiustizie: principio di giustizia e orientato verso la promozione di un “massimo morale”, valutato con i criteri della beneficità e dell’autonomia). L’etica dell’organizzazione fa emergere anche la necessità di confrontarsi con il comportamento eccellente. Questo è il risultato di coordinate che possono essere raggiunte attraverso il ricorso a quello che Spinsanti ha ideato e definito come “quadrilatero della soddisfazione”, in modo che tutte le persone coinvolte nel trattamento (professionisti, pazienti, familiari, autorità sanitarie) raggiungano la situazione della “giusta soddisfazione”, evitando tanto l’”ingiusta soddisfazione” quanto la “giusta insoddisfazione”.
La terza tematica sviluppata da Spinsanti nel periodo che stiamo considerando è quella che vede il passaggio dalla categoria dell’umanizzazione della medicina a quella delle Medical Humanities. Pur avendo contribuito a portare l’attenzione sulla necessità di “umanizzare” la medicina (9), Spinsanti ha avvertito per tempo la possibile deriva retorica di termini quali “disumanità” e “umanizzazion”. Anche la tematica dei diritti del malato – Spinsanti ha fatto parte del gruppo promotore del “Tribunale dei diritti del malato”, che ha tenuto la sua prima seduta pubblica a Roma, in Campidoglio, il 29 giugno 1980, proclamando i “33 diritti del cittadino”- è stata occasione di alimento della conflittualità tra professionisti sanitari e malati, piuttosto che stimolo positivo a un cambiamento di rapporti. Quale correttivo per i mali della medicina contemporanea, Spinsanti ha preferito ripiegare sulle Medical Humanities . Attraverso il recupero di ciò che la medicina ha perduto (quella componente umanistica che per lunghi secoli ha fatto della medicina la più umanistica delle discipline scientifiche), le Medical Humanities nella prospettiva illustrata in numerose opere da Sandro Spinsanti possono restituire slancio all’incontro tra cultura umanistica e cultura scientifica, liberando la bioetica dalle strettoie dei dibattiti ideologici che la paralizzano, soprattutto in Italia.
Rispetto al progetto della bioetica di delimitare i confini tra il lecito e l’illecito nell’ambito dei progressi della medicina e delle scienze biologiche, le humanities coltivano un sogno di più ampio respiro: assicurare la felice sinergia tra le scienze naturali e le scienze umane, in vista di una medicina che sappia curare e prendersi cura; che sia in grado di assicurare cure efficaci dal punto di vista biologico, ma anche rispettose di tutta la molteplicità dei bisogni umani. Le Medical Humanities, inoltre, non si limitano a quanto la medicina può offrire per la guarigione, ma sono rilevanti rispetto a ogni forma di servizio alla salute: dalla psicoterapia al servizio sociale, dalla prevenzione alla medicina di comunità. Non si rivolgono, quindi, solo ai medici, ma a tutti gli operatori della salute.
Le singole discipline che hanno portato un contributo significativo a questo progetto globale non sono intese, nella visione di Spinsanti, come serbatoi distinti da cui la Medicina attinga settorialmente il flusso del sapere umanistico. La proposta è quella di tenere insieme e lasciar dialogare l’insieme dei saperi e delle discipline, nella convinzione che il tutto è più della somma delle parti. Inoltre non bisogna trascurare che nelle Medical Humanities non sono incluse solo le scienze umane, in quanto contrapposte alle scienze della natura, ma anche il contributo che a una pratica più completa della medicina può venire dalla letteratura e dalle arti espressive (pittura, musica, ecc). Le riviste di Medical Humanities promosse e dirette da Spinsanti , dagli anni ‘90 in poi, hanno dato corpo a questo progetto culturale.
Roberto Bucci
Riferimenti bibliografici
In cammino oltre il senso di colpa. S. Spinsanti et al. A cura di Sandro Spinanti. Assisi: Cittadella, 1984.
Le separazioni nella vita: aspetti psicologici e spirituali. S. Spinsanti et al. A cura di Sandro Spinsanti. Assisi: Cittadella, 1985.
La malattia, follia e saggezza del corpo. S. Spinsanti et al. A cura di Sandro Spinsanti. Assisi: Cittadella, 1987.
L’ascolto che guarisce. S. Spinsanti et al. A cura di Sandro Spinsanti. II ed. Assisi: Cittadella, 1992.
Guarire tutto l’uomo. La medicina antropologiva di Viktor von Weizsaecker, S. Spinsanti. Milano: ed. Paoline, 1988.
Bioetica e antropologia medica. S. Spinsanti. Roma: ed. Nuova Italia Scientifica, 1991,
Bioetica in sanità. S. Spinsanti. Roma: ed. Nuova Italia Scientifica, 1993.
Chi ha potere sul mio corpo? Nuovi rapporti tra medico e paziente. Spinsanti S. Milano: Edizioni Paoline, 1999.
Per un ospedale più umano, S. Spinsanti et al. Cinisello Balsamo: ed. Paoline, 1985.