I non autosufficienti: la trama delle cure

Book Cover: I non autosufficienti: la trama delle cure

Sandro Spinsanti

I non autosufficienti: la trama delle cure

Editoriale

in L'Arco di Giano, n. 20, 1999, pp. 3-8

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EDITORIALE

Peri vecchi le generazioni nuove avevano un totale disprezzo. Un risentimento cupo eccitava i nipoti verso i nonni, i figli verso i padri. Di più: si erano formate delle specie di club, di compagnie, di sette, dominate da un odio selvaggio verso gli anziani, come se questi fossero responsabili delle loro scontentezze, malinconie, delusioni, infelicità, così èpiche, da che mondo e mondo, della giovinezza. E di notte queste masnade si scatenavano, soprattutto in periferia, alla caccia di vecchi. Se riuscivano ad agguantarne uno, lo tempestavano di botte, lo denudavano, lo frustavano, lo imbrattavano di vernici, per poi lasciarlo legato a un albero o a un lampione. In certi casi nella frenesia del brutale rito, andavano più in là. E, all’alba, sconvolti e deturpati cadaveri venivano trovati in mezzo alla strada (Suzzati, 1996).

La livida scena di cuccia urbana al vecchio, evocata da Dino Buzzati ― il racconto: “Cacciatori di vecchi” è contenuto nella raccolta Il colombre, pubblicata nel 1966 ― non ha un riferimento realistico alla condizione dei vecchi nella nostra società. Eppure... La sensazione sgradevole che la barbarie sia sempre possibile, in agguato dietro l’angolo, non si nutre solo di racconti surreali. Non meno inquietante nell’evocare scenari futuri di accanimento contro chi è messo fuorigioco dall’età e dall’avanzare della patologia può essere l’articolo apparso di recente nel prestigioso New England Journal of Medicine, dal titolo eloquente: «Quali potenziali risparmi possono derivare dalla legalizzazione del suicidio assistito?». La ricerca prende come punto di partenza l’osservazione empirica che «le spese crescono esponenzialmente con l'avvicinarsi della morte, così che l’ultimo mese di vita impiega dal 30 al 40% delle spese di assistenza medica dell’ultimo anno di vita».

Il buon senso comune induce a osservare che una morte precoce ridurrebbe le spese ― the earlier a patient dies, the less costly is his or her care ― su questa base è costruita la ricerca, rivolta a valutare in che misura la legalizzazione del suicidio assistito potrebbe abbattetegli alti costi legati all’assistenza ai morenti. Le conclusioni potrebbero suonare rassicuranti: «La stima più ragionevole è di un risparmio di 627 milioni di dollari, meno dello 0,07 per cento delle spese sanitarie totali. Ciò che è vero su scala nazionale si riflette probabilmente sui risparmi potenziali a livello di piani di spesa individuali.

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Perciò il suicidio medicalmente assistito non sembra indurre un risparmio di quantità notevoli di denaro in termini assoluti o relativi, né per particolari istituzioni, né per particolari istruzioni, né per il paese nel suo insieme (Emanuel, Battin, 1998, p. 171). Quando una società spinge le valutazioni di costi/benefici fino a esplorare la possibilità di spianare la strada al suicidio medicalmente assistito, al fine di salvare l’economia, una vittima c'è già stata: l’etica.

Sotto il livello dei minima moralia ― per usare l’espressione di Th. W. Adorno ― la nostra civiltà è già clamorosamente caduta. In clima di bilanci per il secolo che si chiude, non possiamo tralasciare di rievocare i programmi eutanasia per eliminare “le vite non degne di essere vissute”, messi in atto nella Germania nazista. Il ricordo brucia ancora, anche perché sono ancora vivi i testimoni diretti di quell’epoca buia, che cadde sul paese nel 1940, quando scattò l’operazione T4 (Tiergartenstrasse n. 4), che fece in breve tempo 70.000 vittime. Il programma di eutanasia mirava a sopprimere i cosiddetti “pesi motti” della nazione ― schizofrenici, epilettici, alcolizzati, malati in fase terminale e neonati con malformazioni genetiche ― per far posto negli ospedali e nelle istituzioni sanitarie ai soldati feriti del fronte. Il popolo tedesco veniva così grossolanamente diviso in soggetti “utili” e “non utili” ai fini del nazionalsocialismo.

Attraverso il rivestimento leggero di una storia romanzata, il libro di Helga Schneider: Il piccolo Adolf non aveva le ciglia ― nato da un'intervista raccolta dall’autrice in Germania nell’autunno 1996 ― rievoca lo strazio di una madre che si è visto togliere ― e “pietosamente uccidere” ― dal regime il proprio bambino, nato con sindrome down. Non meno inquietante della ricostruzione del clima dell’epoca, con lager camuffati da cliniche, è la rievocazione delle granitiche convinzioni ideologiche trasmesse dal regime, che fanno esclamare al padre del bambino destinato all’eliminazione, un fanatico nazista: «Sono lieto di vivere in una nazione che si assume il carico morale, politico e pratico, di sollevare i propri cittadini da certi impegni gravosi che condizionerebbero negativamente il resto della loro vita» (Schneider, 1998, p. 43).

Nel Focus di questo numero abbiamo deciso di dare ampio rilievo alla vicenda storica dei programmi eutanasia. Anticipiamo un capitolo da un’opera di Alice Ricciardi von Platen ― della quale è in preparazione

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la traduzione italiana ― che ricostruisce i fatti sulla base dei documenti raccolti dalla Commissione medica tedesca presso li tribunale di guerra americano che ha giudicato i crimini nazisti al processo di Norimberga.

Assistente del medico-filosofo Viktor von Weiszäcker, Alice von Platen ha dedicato una particolare cura alla ricostruzione delle radici ideologiche del programma che ha portato all’uccisione di migliaia di malati mentali. Non può non colpire come in primo piano emergano non le motivazioni più spregevoli, ma quelle apparentemente nobili colorate di idealismo, di sentimenti umanitari e di preoccupazione per il bene della società. A considerazioni non meno deprimenti ci induce la constatazione che l'etica medica, alzata come una bandiera dalle professioni sanitarie, non abbia opposto alcuna resistenza alla collaborazione dei medici a quei programmi.

Già nel 1948 Viktor von Weizsäcker, in un saggio dedicato all’eutanasia e alla sperimentazione sugli esseri umani, osservava che i medici che hanno prestato la loro opera hanno calpestato l'idea stessa di umanesimo. Il fondatore della “medicina antropologica ”non si limitava, tuttavia, a vedere in tale collaborazione un fallimento etico, ma denunciava le responsabilità della medicina in quanto scienza: è lo stesso orientamento natural-scientitico della medicina che educa i medici a vedere nell'uomo solo un oggetto. Questa circostanza non discolpa moralmente gli accusati, ma induce a vedere il loro comportamento da un’altra angolatura. Si risolve, in definitiva, in un’imputazione contro quella medicina che tratta la biologia come una scienza della natura (Weizsäcker, 1948).

La ricostruzione storica delle opinioni che hanno spianato la via ai programmi di eutanasia psichiatrica in Germania è accompagnata da tre commenti: Angelo Barba articola le ragioni di attualità della vicenda, confrontandole con quelle che occupano attualmente il dibattito relativo all’eutanasia per neonati malformati, in particolare nell’area linguistica tedesca; Francesco D'Agostino solleva la questione di un uso improprio del termine eutanasia, se applicato univocamente alle pratiche naziste e all’assistenza al suicidio su richiesta; Cosimo Marco Mazzoni contestualizza opportunamente il dibattito attuale sulla legalizzazione dell’eutanasia.

L'eutanasia coatta, in nome dello stato, per coloro che sono giudicati

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inadatti: l'eutanasia come libera scelta di un'uscita di servizio da una vita giudicata invivibile: non sono queste le sole espressioni dell'eutanasia. Ne esiste almeno un’altra, forma, meno clamorosa e per questo più insidiosa, alla quale è stato dato il nome di “eutanasia da abbandono”. In una vibrante “lettera aperta ai sindacalisti e alla coscienza delle donne e degli uomini in Italia” Andrea Bartoli della Columbia University; denuncia la fragilità in cui vengono a trovarsi molti anziani: «Per l’anziano ammalarsi oggi in molti luoghi d’Italia è una condanna a morte. Le attività di prevenzione vengono tagliate, quelle curative negate, quelle riabilitative sono inesistenti. L’orientamento sembra proseguire forte, anche perché finora i sindacati non hanno assunto posizioni a difesa dei diritti degli anziani cronici non autosufficienti». All’analisi della condizione dell’anziano fa seguito un appello alla coscienza di ognuno: «Spero che parlando a quella coscienza tu possa accogliere il grido di chi non è più ascoltato, il lamento di chi muore solo, male, senza cure, senza assistenza, condannato da un sortilegio che sembra dire ai sani: “Non t’ammalare, perché altrimenti ti abbandono”. Spero che nella coscienza di qualcuno quel grido risuoni e rompa la complicità di chi vede un cronico, non autosufficiente, un demente, un allettato e dichiara: “Non è malato, non me ne curo”» (Bartoli, 1998).

È in riferimento a questo scenario che è costruito il dossier dedicato a I non autosufficienti: la trama delle cure. Dopo l’esplorazione ― affidata a Marco Trabucchi e Ermellina Zanetti ― delle dimensioni epidemiologiche e cliniche che ci offrono la descrizione dell’entità del problema che la nostra società è chiamata ad affrontare, le considerazioni della sociologa Paola Di Nicola individuano la categoria essenziale per l’organizzazione delle risposte: la rete delle cure. Sempre più spesso i sociologi parlano di rete per descrivere di che cosa abbiamo bisogno quando eventi catastrofici ― malattia invalidante, disabilità, vecchiaia, perdita dell’autosufficienza ― ci minacciano. Mentre le società tradizionali erano raffigurate come organismi complessi animati da un cervello centrale che tutto ordinava e coordinava, la società post-moderna rappresenta se stessa come una rete, più che come un corpo. Sempre meno ci sarà un'istituzione unica ― la famiglia, lo stato ― capace di rispondere a tutti i nostri bisogni. Bisogna piuttosto imparare a destreggiarsi, chiamando a raccolta tutte le risorse che le diverse reti ci mettono a disposizione.

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Dal punto di vista dell'organizzazione dei servizi, l'impegno prioritario deve essere l'integrazione tra le due reti, costituite rispettivamente dal servizio sanitario e da quello sociale. Troppo spesso la gestione degli anziani non autosufficienti viene scaricata sulla famiglia, senza fornirle te risorse per portare i grandi pesi che ne derivano, dopo che i responsabili della sanità e quelli dell'assistenza sociale hanno attribuito gli uni agli altri la competenza del caso. Anche altri sistemi sanitari nazionali stanno riorganizzando le loro politiche per l’assistenza agli anziani non autosufficienti cronici: citiamo, per il valore esemplare, la nuova assicurazione sociale introdotta in Germania per l’assistenza continuativa ai non autosufficienti: la Pflegeversicherung (cfr. Evers, 1998). Nel disegno normativo italiano, ricostruito dettagliatamente da Fosco Foglietta, l’integrazione è prevista con tutta la chiarezza auspicabile. Il Piano sanitario nazionale per il triennio 1998- 2000 é esplicito nell’individuare ― nell’ambito dell’obiettivo IV: “Rafforzare la tutela dei soggetti deboli” ― che cosa va fatto nei confronti degli anziani e delle loro famiglie:

● promuovere il mantenimento e il recupero dell’autosufficienza nell’anziano;

● adottare politiche di supporto alle famiglie con anziani bisognosi di assistenza a domicilio (anche a tutela della salute della donna, sulla quale ricade nella maggior parte dei casi l’onere dell’assistenza);

● promuovere l’assistenza continuativa e integrata (intra ed extraospedaliera) a favore degli anziani;

● favorire l’integrazione interna al sistema sanitario e fra questo el’assistenza sociale.

Non sono solo le disposizioni normative riferite alla politica sanitaria che tutelano l’anziano non autosufficiente. I contributi di due giuristi ― Ferrando Mantovani per il diritto penale e Pietro Rescigno per il diritto civile ― illustrano il disegno di civiltà che differenzia la nostra società da quelle che mirano a “scaricare i pesi morti della nazione”. Le leggi tuttavia non bastano per tradurre in pratica quella trama delle cure necessaria per impedire che lo stato di bisogno generato dalla non autosufficienza si tramuti in una catastrofe. Senza pavidità, il dossier addita, attraverso l’articolo di Carlo Molari, l’orizzonte spirituale che si apre per chi vuol cercare un senso anche allo spegnersi delle energie, fisiche e intellettuali, che si accompagna per lo più al cumulo degli anni.

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Può sembrare troppo audace correlare questa stagione della vita con una possibilità di sviluppo spirituale: ma è quanto emerge da una rilettura del messaggio cristiano in chiave evolutiva. Una frase del Vangelo sembra contenere, in nuce, la promessa di un'autorealizzazione anche attraverso ciò che Teilhard de Chardin chiamava “le passività di crescita”. «Quando eri più giovane ― dice Gesù a Pietro nel Vangelo di Giovanni ― ti cingevi e andavi dove volevi, ma quando sarai vecchio stenderai le braccia e un altro ti cingerà e vi condurrà dove tu non vorrai» (Giov 21,8). La frase misteriosa viene spiegata dal Vangelo stesso come una velata profezia del martirio che sarebbe spettato all'apostolo. Forse non è del tutto illegittimo estendere il valore della predizione oltre il martirio per testimoniare la fede: c’è una specie di “martirio naturale” connesso con la vita in quanto tale, che si esprime in un destino di dipendenza anche perle necessità fondamentali dell’esistenza (vestirsi, lavarsi, mangiare...). Per la nostra cultura, disabituata alla dipendenza, la non autosufficienza è uno scandalo. Possiamo ipotizzare che non sia soltanto durezza di cuore ed egoismo che inducono a trascurare i bisogni dei non autosufficienti: la nostra cultura sta perdendo la capacità stessa di attribuire uno statuto antropologico a chi “stende le braccia” per essere cinto. Far sì che la non autosufficienza si traduca in gesti di cura e non in un martirio è tutta la differenza tra la trama delle cure e l’eutanasia da abbandono.

Riferimenti bibliografici

Battoli A., «D’abbandono si muore», in Sanitas Domi, 9, 1998, n. 2, pp. 1-5.

SuzzatiD., Il colombre, Mondadori, Milano 1966.

Emanuel EJ., Battin M.P., «What are the potential cost savings from legalizing physician assisted suicide?», in New England Journal of Medicine, vol 339, 1998, n. 3, pp. 167-172.

Evers A., «La nuova assicurazione sociale tedesca per l’assistenza continuativa ai non autosufficienti», in Prospettive Sociali e Sanitarie, XXVIII, 1998, n. 21, pp. 1-8.

Schneider H., Il piccolo Adolf non aveva le ciglia, Rizzoli, Milano 1998.

Weizsäcker V.v., «Euthanasie und Menscheaversuche», in Psyche, I, 1948.