Sandro Spinsanti
Governo clinico: sudditi o protagonisti?
Editoriale Janus 2 - Estate 2011
ALLA BASE C'È UN CONSENSO (DAVVERO) INFORMATO
Il malato: suddito o cittadino? la contrapposizione è chiara; evoca intuitivamente scenari opposti, che generano relazioni molto diverse tra professionisti sanitari e coloro che ricorrono ai loro servizi. Non altrettanto chiara, in ambito sanitario, è la differenza tra governo (clinico) e governance.
-Sandro Spinsanti
Governo clinico e governance: una traduzione approssimativa li considera come sinonimi. Si tratta invece di due modalità irriducibili l'una all'altra di prendere delle decisioni.
Il concetto di governance indica l'interconnessione tra gruppi di interesse e altri soggetti informali, da una parte, e autorità pubbliche, dall'altra.
Presuppone una nuova idea di cittadinanza, come risposta alla complessità globale. Il perseguimento degli obiettivi che ci si propone richiede una forma di partnership tra la pubblica amministrazione e la società civile. Ciò vale per tutte le politiche sociali, quelle sanitarie in particolare.
PAZIENTI, CONSUMATORI, CLIENTI
La governance promuove relazioni alternative al tradizionale governo, così come lo ha teorizzato Max Weber, basandolo sulla legittimazione di tipo legale-razionale e come in ambito medico è stato praticato dalle professioni sanitarie. Allo stesso tempo la governance è diversa dall'approccio consumista ai servizi sanitari. Questo intende il ruolo dei pazienti come consumatori e clienti del sistema sanitario: il compito di decidere è affidato al paziente-cliente, che con le sue scelte legittima i consumi (anche per la sanità si affaccia il modello supermercato, retto dallo slogan: più potere ai consumatori).
La governance si colloca tra i due estremi di una sanità governata dall'alto in modo autoritario o governata dal mercato.
Nell'ambito specifico della sanità, la governance richiede nuove forme di partnership tra la pubblica amministrazione e i soggetti sociali per produrre insieme le politiche sanitarie.
Seguendo la metafora del supermercato, possiamo dire che il cittadino non può essere ridotto al ruolo di cliente che sceglie tra le merci disposte sugli scaffali. Il cittadino ha qualcosa da dire su che cosa esporre negli scaffali; su chi ha diritto di accedere al consumo secondo il principio dell'equità; sul modo in cui viene presentato il prodotto.
Per appoggiarci a una definizione più formale, possiamo riferirei a quella offerta da Grilli e Tarmi (Il governo clinico, il pensiero scientifico, Milano 2004), che definiscono il governo clinico, nel senso della governance, come il «tentativo di trovare un approccio integrato al problema della qualità dell'assistenza, riconoscendo che non si tratta solo d'intervenire sulle singole decisioni cliniche per orientarle verso una migliore appropriatezza, ma anche di fare in modo che i sistemi assistenziali nel loro insieme siano orientati verso questo obiettivo».
LA QUESTIONE DEL CONSENSO
In questo ampio contesto possiamo collocare la questione del consenso informato. Esso è subalterno alla definizione del potere in medicina, esercitato secondo la modalità contrapposta del governo o della governance.
L'esercizio della medicina presuppone il riconoscimento al medico del potere di curare; nel tempo, tuttavia, questo potere ha cambiato forma ed espressioni.
Mutuando dalla genetica un termine che, mentre connota il potere come patrimonio ereditario dell'arte medica, rimanda a possibili espressioni fenotipiche molto diverse le une dalle altre, si potrebbe dire che questo potere ha subito traslocazioni, nel senso di ricollocazioni in punti diversi.
Nel modello tradizionale, che a ragione è chiamato ippocratico, il medico esercita sul malato un potere esplicito, senza complessi di colpa e senza bisogno di giustificazioni. Il potere si regge intrinsecamente sulla finalità che lo ispira: è esercitato per il bene del malato.
Il MODELLO IPPOCRATICO
Rodrigo De Castro, medico del diciassettesimo secolo, nel suo trattato Medicus politicus arriva ad affermare che, come il sovrano governa lo Stato e Dio governa il mondo, il medico governa il corpo umano. Si tratta di un potere assoluto, in cui chi sta in posizione dominante (one up) determina in modo autoreferenziale che cosa è autorizzato a fare a beneficio di chi sta in posizione dominata (onedown).
Nel caso specifico della medicina, il medico stabilisce la diagnosi, indica l'opportuna terapia e la esegue senza bisogno di informare il malato e senza necessità di ottenere un serio consenso, se non quello implicito nell'affidamento fiduciale. Nessun dovere esplicito gli richiede di dar conto al malato né della diagnosi, né della terapia prescritta. Obblighi di informazione e di coinvolgimento nelle scelte sussistono invece nel confronti dei familiari del paziente, che sono i veri interlocutori del medico e sottoscrivono con lui l'alleanza terapeutica.
Questo modello, che costituiva la spina dorsale dell'etica medica, è stato in vigore in Occidente ininterrottamente per venticinque secoli.
LA MEDICINA MODERNA
La buona medicina poteva e doveva interrogarsi se le decisioni prese in scienza e coscienza fossero giustificate dalle conoscenze mediche e se fossero davvero orientate al miglior interesse del malato, ma non richiedeva al medico di includere (e preferenze del paziente tra gli elementi che determinavano le decisioni. La volontà stessa del paziente era, al limite, irrilevante, qualora il medico fosse in grado di far valere il suo punto di vista, cui veniva riconosciuto il peso della competenza professionale. La modernizzazione della medicina, avvenuta nell'arco temporale di pochi decenni del ventesimo secolo, ha messo in crisi il modello tradizionale del potere medico. Le radici del cambiamento di paradigma affondano nella rivendicazione di un potere di autodeterminazione da parte dell'individuo sulle decisioni che riguardano il suo corpo. In medicina il cambiamento è stato registrato due secoli dopo la sua teorizzazione e con molto ritardo rispetto ad altri ambiti della vita; ma alla fine ha avuto luogo.
LA FINE DELLA DOMINANZA MEDICA
Utilizzando categorie sociologiche, possiamo parlare della fine della dominanza medica, traduzione italiana dell'espressione coniata e diffusa dal sociologo delle professioni sanitarie Eliot Freidson nel 1970 e che presupponeva l'interazione tra soggetti di livello culturale diverso resa possibile dalla partecipazione allo stesso processo sociale.
In concreto, i medici si rapportano ai pazienti all'interno dei vincoli posti dal sistema finanziario e organizzativo in cui svolgono la loro attività professionale, mentre le persone che cercano aiuto lo fanno sulla base delle loro conoscenze e della loro percezione del problema.
Nell'analisi di Freidson, tutte le variabili del rapporto medico paziente vanno collocate entro il contesto di interazione sociale garantito dal professionismo. La professione controlla, direttamente o indirettamente, le sue istituzioni formative e le certificazioni dei suoi membri, garantendo loro, con il sostegno dello Stato, il monopolio nello svolgimento di un insieme specifico di compiti e funzioni. Dal momento che i professionisti controllano il proprio lavoro, le professioni creano interazioni sociali diverse da quelle che sostengono il libero mercato, in cui sono i consumatori a esercitare il controllo, o da un sistema burocratico, dove il lavoro viene controllato dai manager.
Ora è proprio questa dominanza professionale che si è andata progressivamente sfaldando nell'ambito della medicina. Ciò ha portato alla crisi del modello di rapporto medico paziente che avevamo ereditato dal passato.
IL CONFLITTO SI DELINEA
Il passato e il presente sono in rotta di collisione. Infatti il modello forte di responsabilità non si può più coniugare con la cultura moderna.
Il conflitto che si delinea sta scuotendo equilibri secolari nell'ambito dell'etica che re gola la medicina: i valori etici che sono stati veicolati dalla concezione sacra le e da quella libero professionale devono confrontarsi oggi con una società in cui non c'è più, da una parte, una persona che in forza della sua dedizione è vincolata da obblighi quasi unilaterali, come l'impegno a orientarsi a fare il bene del malato anche contro il proprio interesse, e, dall'altra, un malato, visto unicamente sotto l'angolatura del suo stato fragile e di bisogno.
Il sanitario ha di fronte un altro individuo, con il quale entra in un rapporto di responsabilità condivisa, che assomiglia sempre di più alla responsabilità debole, cioè a quella giuridica.
LONTANI DA UNA GOVERNANCE
Un documento ufficiale del Comitato nazionale per la bioetica (Informazione e consenso all'atto medico, 1992) descrive questa transizione con parole molto appropriate e pertinenti al tema della responsabilità: «Il consenso informato, che si traduce in una più ampia partecipazione del paziente alle decisioni che lo riguardano, è sempre più richiesto nelle nostre società. Si ritiene tramontata la stagione del paternalismo medico, in cui il sanitario si sentiva, in virtù del mandato a esplicare nell'esercizio della professione, legittimato ad ignorare le scelte e le inclinazioni del paziente e a trasgredirle quando fossero in contrasto con le indicazioni cliniche in senso stretto». Il consenso informato è il luogo critico dove si traduce in questa nuova modalità di fare medicina pratica.
In che misura e attraverso quali modalità il modello moderno è entrato nella cultura sanitaria di oggi?
Dobbiamo riconoscere che la porta d'ingresso non è stata l'adesione al modello di rapporto sotteso alla modernità, ma piuttosto una reazione difensiva al contenzioso giudiziario e all'aggressione da parte dei pazienti, diventati esigenti. L'equazione implicita in tanta pratica quotidiana di ciò che viene chiamato consenso informato è riconducibile alla convinzione: paziente informato, medico salvato. Finché sarà questo il presupposto, saremo ancora in un regime di governo (autoritario) del paziente, culturalmente lontani dal modello della governance.