Sandro Spinsanti
Egualmente diseguali
Editoriale Janus 3 - Autunno 2011
L'UGUAGLIANZA CHE FA DISUGUALI
Applicare lo stesso criterio a persone diverse non è un principio di uguaglianza, ma il suo contrario. La strada dell'equità nella salute passa per il riconoscimento e la presa in carico delle differenze. Una strada difficile in un mondo sempre più complesso e che l'attuale approccio alla crisi rischia di far saltare del tutto.
-Eva Benelli
«Esistono almeno due "uguaglianze". Una che tratta gli uomini "come se fossero uguali" e una che li tratta con equità a partire dalle loro effettive differenze». Ce lo ricorda il filosofo del diritto Ronald Dworkin nel suo saggio Virtù sovrana. Teoria dell'eguaglianza (pubblicato in Italia da Feltrinelli nel 2002).
L'uguaglianza - ci ricorda ancora Dworkin- è strettamente connessa alla distribuzione equa di risorse: una distribuzione i cui criteri di equità sono tali solo se sono in grado di prendere in considerazione i desideri e le diverse aspettative delle persone, legittimamente protetti e garantiti dalle istituzioni.
Nulla di più lontano dal dibattito e dalle prassi di questi mesi, in cui la crisi infuriante ha stravolto ogni criterio di rispetto e di solidarietà e in cui l'approccio nell'affrontare le scelte, sicuramente difficili, per conseguire l'abbattimento del debito non ha tenuto conto nemmeno lontanamente della cultura dell'equità. Così la filosofia dei "tagli lineari" ha esacerbato le diseguaglianze, portando peraltro all'esplosione delle difese corporativistiche del tutti contro tutti. Un esempio facile e immediato è quello dei ticket: i 10 euro sulle prestazioni specialistiche e le visite mediche, approvati con la manovra della scorsa estate, teoricamente uguali per tutti, si sono immediatamente trasformati in un patchwork di diversità da nord a sud e da est ad ovest. C'è chi non paga, chi paga in parte e chi paga del tutto.
VALUTARE L'APPROPRIATEZZA
Ma al di là della crisi e delle sue conseguenze, interrogarsi sulle diseguaglianze nell'accesso alle cure è sempre stato parte integrante di un sistema sanitario universalistico come il nostro. In un processo continuo di tensione verso il miglioramento e di analisi dei presupposti che devono garantire le cure migliori per tutti. I processi di autoanalisi e autovalutazione non sono semplici e spesso non sono nemmeno graditi, partire dai risultati di valutazione e trasferirli in interventi di miglioramento del sistema è un'operazione complessa.
Uno dei cardini è la valutazione dell'appropriatezza e dell'efficacia degli interventi erogati, sappiamo infatti che tra le diseguaglianze che maggiormente colpiscono i cittadini del nostro Paese, la difficoltà di accesso a cure efficaci e appropriate è forse la più frequente. Solo il 34% degli atti clinici effettuati negli ospedali sarebbero da considerare davvero efficaci, mentre del 51% non sono disponibili conoscenze scientifiche di efficacia. Ancora peggio: questa distanza si allarga per effetto della velocità con cui si produce nuova conoscenza in medicina e, parallelamente, della lentezza con cui i sistemi delle cure rispondono dal punto di vista organizzativo.
QUANDO SAPERE NON BASTA
Portare i cittadini a conoscenza delle diverse performance di ospedali e medici è un principio di equità e trasparenza da cui si attende un impatto positivo sulla riduzione delle diseguaglianze. Probabilmente vero, teoricamente vero. La letteratura infatti dimostra che accanto alla crescente domanda di maggiore trasparenza dell'universo sanitario, i cittadini spesso non traggono le opportune conclusioni, o almeno non lo fanno solo sulla base di scelte di pura razionalità.
Altri fattori sociali ed economici entrano in scena nell'orienta re i comportamenti. Per esempio l'offerta di servizi, che oggi sempre di più passa anche attraverso Internet. I gruppi di acquisto on line promuovono un marketing sanitario sempre più esplicito e centrato sul costo più basso, a prescindere dal fatto che ci sia o meno bisogno di quella certa cura. Molto prima, quindi, di qualsiasi considerazione di appropriatezza. All'estremo opposto si collocano gli stranieri in terra straniera, gli immigrati (in regola o meno con il permesso di soggiorno) per cui l'accesso alle cure spesso è in salita per le difficoltà non solo di sapere, ma di comprendere le logiche e le modalità della nostra assistenza sanitaria. In questo scenario il pacchetto sicurezza del 2009 che prevedeva di imporre l'obbligo di segnalazione da parte dei sanitari degli immigrati clandestini ha rischiato di far saltare uno dei presupposti fondamentali della tutela della salute collettiva. Un esempio, totalmente in negativo, di particolarismo.
Allora la reazione del mondo sanitario è stata immediata ed efficace e ha ottenuto lo stralcio della norma dal pacchetto sicurezza. Ma le diseguaglianze non sono finite: l'attenzione prestata a livello locale alla salute delle popolazioni immigrate è spesso un miscuglio di indifferenza e ambiguità.
Infatti è la vera presa in carico delle persone e delle loro esigenze di salute una (forse la sola) strada per il contrasto alle diseguaglianze: ce lo dimostra il successo del programma screening mammografico a Firenze, che in dieci anni è stato in grado di modificare la sopravvivenza delle donne colpite dal tumore al seno. Anche di quelle dei gruppi più disagiati.