Janus 03 – La ricerca sull’uomo. La ricerca con l’uomo.

Book Cover: Janus 03 - La ricerca sull'uomo. La ricerca con l'uomo.

Sandro Spinsanti

La ricerca sull'uomo. La ricerca con l'uomo

Editoriale Janus 3 - Autunno 2001

 

L’estate appena trascorsa ha portato alla ribalta, insieme alle futilità d’obbligo, anche i temi di grande serietà relativi alla ricerca biomedica: la sicurezza dei farmaci a cui facciamo con sempre maggiore frequenza ricorso, il ruolo delle grandi aziende farmaceutiche che li producono e li commercializzano, i compiti di controllo e di garanzia che spettano allo stato. L’opinione pubblica è stata scossa dalla notizia che farmaci ampiamente diffusi per combattere l’eccesso di colesterolo abbiano causato dei decessi e quindi siano stati tolti dal commercio, ma con una mancanza di tempestività che ha prestato il fianco a violenti accuse alla casa farmaceutica produttrice e alle autorità che dovrebbero esercitare una rigida farmacovigilanza. I cittadini si sono scoperti fondamentalmente ignari degli effetti collaterali negativi che possono accompagnare l’assunzione dei farmaci (come se la nostra cultura avesse dimenticato l’avvertenza prudenziale che i greci ci fornivano utilizzando la stessa parola – pharmakon – per indicare sia un rimedio medicamentoso, sia il veleno). I fogli illustrativi acclusi nella confezione del farmaco, peraltro squalificati con l’appellativo ironico-affettuoso di “bugiardini”, sono apparsi inadeguati a svolgere un efficace compito di tutela; e i medici, a loro volta, troppo avari di informazioni ai pazienti: o perché ne fossero a loro volta sprovveduti, o per una reticenza deliberata, finalizzata a non alimentare processi ipocondriaci nei loro pazienti.

Quasi in controcanto al dibattito sulla sicurezza dei farmaci, i lettori di uno dei quotidiani più diffusi ricevevano quotidianamente - a dosi omeopatiche? - per tutta la durata dell’estate, una puntata di un romanzo–denuncia di John Le Carré, noto scrittore di storie di spionaggio. Al rientro dalle ferie, gli italiani che leggono hanno potuto trovare il libro completo con titolo Il giardiniere tenace, in bella mostra in tutte le librerie. Le trame questa volta non sono attribuite ai servizi segreti delle grandi potenze, ma alla superpotenza chiamata Big Pharma, ovvero l’internazionale del farmaco. Vi circolano enormi quantità di denaro e molti sono i corrotti; il romanziere – che già dal mese di febbraio aveva preannunciato il libro con un articolo sullo stesso quotidiano dal titolo programmatico: “La mia guerra all’industria del farmaco” – si sente autorizzato a dipingere Big Pharma come responsabile di ogni nefandezza ai danni dei più indifesi e sprovveduti. Quasi una “tuta bianca” in lotta contro la globalizzazione...

Janus non poteva rinunciare a mettere nella propria vetrina il libro di Le Carré, per sottoporlo a una lettura critica, a più voci. Non si tratta di rivendicare una posizione di neutralità, non meno sospetta di espliciti atteggiamenti di accettazione o di rifiuto della tesi sostenuta dal romanzo. Sarà forse più opportuno riconoscere che in questo tema siamo tutti parti in causa. Conoscenza e consapevolezza ci sono richieste, come professionisti sanitari e come cittadini, se vogliamo abitare il tempo che è il nostro.

Le esigenze della modernità sono illustrate dal libro Corpo e libertà di Amedeo Santosuosso, l’altro libro che collochiamo in grande evidenza nella nostra “Biblioteca aperta”, affidandolo alla lettura congiunta di tre studiosi, che lo considerano da angolature diverse. Non è soltanto nella ricerca – a cui Santosuosso dedica, peraltro, una parte cospicua del volume – che emergono le esigenze di una ristrutturazione del rapporto tra l’individuo, la famiglia e la società: tutta la pratica della medicina, dagli interventi diagnostico-terapeutici più consolidati alle punte più avanzate della genetica e della biologia molecolare, è sottoposta a un veloce e radicale cambiamento legato all’emergere di valori e categorie proprie della cultura liberale, in un ambito che è stato tradizionalmente pensato entro un contesto paternalistico.

Tutte le voci raccolte nell’ampio dossier curato da Claudio Rugarli – “La ricerca sull’uomo, la ricerca con l’uomo” – contribuiscono a illuminare qualche aspetto di quel quadro complesso che è la ricerca nell’ambito delle scienze della vita. Il campo è attraversato non solo da conflitti di interessi, ma anche da punti di vista qualitativamente diversi, riconducibili alle due modalità conoscitive proprie delle scienze della natura e delle scienze dell’uomo. Per spiegare una patologia abbiamo bisogno della genetica e della biologia molecolare; se vogliamo capirla ci vengono invece incontro le scienze umane e le “medical humanities”. Per questo la ricerca “con” il paziente, a differenza di quella che si conduce “su” di lui, vuol mettere insieme il rigore metodologico della scienza con la svolta che si è soliti designare globalmente come “medicina antropologica”, ovvero medicina centrata sul paziente.

Il primo aspetto è oggi quasi del tutto monopolizzato dalla Evidence based medicine e dal dibattito che si sta svolgendo attorno ad essa. I lettori di Janus hanno già trovato nel secondo fascicolo l’intervento di Paolo Vineis: “Alla ricerca della prova, tra Ebm e paternalismo”, che muove da un’analisi critica di ciò che siamo disposti ad accettare come “prova”, in diversi contesti. Ulteriori sviluppi della riflessione sono offerti in questo numero: oltre alle approfondite considerazioni di Claudio Rugarli e Luigi Pagliaro nel dossier, l’articolo di Gian Paolo Gensini et al. nella sezione della rivista che guarda verso il passato ci aiuta a ricostruire la continuità di quel movimento che, a partire dalla Médecine d’Observation di P.Ch.A. Louis, nella Parigi del XIX secolo, attraverso l’anello dell’epidemiologia clinica porta all’Ebm come strumento clinico e alle linee-guida dei nostri giorni.

Non meno importante è la dimensione organizzativa della ricerca. A cominciare dal coinvolgimento delle strutture sanitarie pubbliche, finalizzate all’erogazione di cure e assistenza. La cosiddetta “riforma sanitaria ter” (D.L. n. 229/1999) ha inserito organicamente la ricerca nel contesto del servizio pubblico, riconoscendo che “la ricerca sanitaria risponde al fabbisogno conoscitivo e operativo del Ssn e ai suoi obiettivi di salute, individuato con apposito programma di ricerca previsto dal Piano sanitario nazionale (art. 12 bis). Il programma di ricerca sanitaria previsto dal disegno normativo è di vasto respiro. Esso, infatti

  • individua gli obiettivi prioritari per il miglioramento dello stato di salute della popolazione;
  • favorisce la sperimentazione di modalità di funzionamento, gestione e organizzazione dei servizi sanitari nonché di pratiche cliniche e assistenziali e individua gli strumenti di verifica del loro impatto sullo stato di salute della popolazione e degli utilizzatori dei servizi;
  • individua gli strumenti di valutazione dell’efficacia, dell’appropriatezza e dell’incongruità economica delle procedure e degli interventi, anche in considerazione di analoghe sperimentazioni avviate da agenzie internazionali e con particolare riferimento agli interventi e alle procedure prive di una adeguata valutazione di efficacia;
  • favorisce la ricerca e la sperimentazione volte a migliorare l’integrazione multiprofessionale e la continuità assistenziale, con particolare riferimento alle prestazioni sociosanitarie a elevata integrazione sanitaria;
  • favorisce la ricerca e la sperimentazione volta a migliorare la comunicazione con i cittadini e con gli utilizzatori dei servizi sanitari, a promuovere l’informazione corretta e sistematica degli utenti e la loro partecipazione al miglioramento dei servizi;
  • favorisce la ricerca e la sperimentazione degli interventi appropriati per la implementazione delle linee guida e dei relativi percorsi diagnostico-terapeutici, per l’autovalutazione dell’attività degli operatori, la verifica e il monitoraggio dei risultati conseguiti.

Tuttavia, con una certa incoerenza rispetto a un impianto di ricerca così esigente, il D.L. non prevede che le Aziende sanitarie siano incaricate di promuovere la ricerca corrente e quella finalizzata, che risultano riservate alle regioni, all’Istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza sul lavoro, all’Agenzia per i servizi sanitari regionali e agli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico. Non si tratta solo di una rivendicazione in linea di principio, che autorizzi le Aziende sanitarie a inserire la ricerca nei propri piani strategici, in quanto la ricerca assicura anche la qualità dell’assistenza. Più in concreto, l’inclusione delle Aziende tra i soggetti autorizzati a promuovere le ricerca permetterebbe loro di accedere ai finanziamenti previsti dal Fondo nazionale per la ricerca. Sarebbe oltretutto un aiuto sostanziale alla ricerca non sponsorizzata dalle aziende farmaceutiche, che ha difficoltà di imporsi per la mancanza di finanziamenti.

Non meno centrale negli interessi di Janus è la promozione della linea esplorativa che persegue l’obiettivo di “comprendere” i processi patologici di cui la medicina si occupa. Già nello stesso dossier la ricerca sul vissuto di malattia, fatta attraverso lo strumento della narrazione (Guido Miccinesi et al.), viene accostata alla ricerca che percorre la via del sapere quantitativo e oggettivante. Ma soprattutto filosofia e letteratura aprono orizzonti che potranno considerare estranei alla medicina solo i medici che avessero rinunciato alla vocazione umanistica della loro professione.

Il ginnasio filosofico  ci propone un saggio con cui Luisella Battaglia valorizza l’ “etica della cura” come categoria irrinunciabile della nostra cultura. L’intento è quello di trovare uno spazio concettuale condivisibile per parlare del rapporto degli uomini con gli animali. Ma l’etica della cura si rivela centrale in medicina, proprio nell’epoca in cui le pratiche che hanno per oggetto il corpo rivendicano la “libertà” rispetto alle regole e alle restrizioni poste dallo stato e i legami primari – come quelli della famiglia – devono retrocedere di fronte al primato dell’individuo. Perché un effettivo curare non potrà mai darsi senza un contemporaneo prendersi cura.

Nello spazio riservato a Il polso letterario Anna Oliverio Ferraris riserva sorprese a chi volesse piegare la sua lettura psicologica del Pinocchio  di Collodi, incentrata sulla transizione dall’infanzia a una giovinezza che abbia in sé i presupposti della maturità, anche a interpretare la “fatica di crescere” che ha luogo nell’ambito della medicina. L’autrice stessa ci incoraggia in questa direzione quando invita a considerare i comportamenti di Pinocchio come analoghi a quelli di «molti adulti maturi che, lasciandosi infantilizzare  nella posizione di paziente, si concedono il lusso di fare i capricci con il loro medico curante». Un passo ulteriore sarà quello di vedere la conquista della “adultità” (come la chiama Duccio Demetrio, che ha fondato una rivista con lo stesso titolo per promuoverla...) come un compito non solo dell’individuo singolo, ma dei malati come categoria nella nostra società. Nonché dei cittadini nel loro insieme, malati e sani, in quanto consumatori di farmaci e di servizi sanitari.

Un’ultima annotazione. Nella struttura della nostra rivista i lettori troveranno una novità: la rubrica La posta di Janus. La piacevole provocazione ad aprire questo spazio ci è giunta da Pius-Ramon Tragan, uno studioso di esegesi biblica. Leggendo il primo fascicolo di Janus, con il dossier dedicato a “Il dolore non necessario”, ha trovato lacunosa la nostra trattazione dal punto di vista dell’imprinting religioso che i nostri comportamenti nei confronti del dolore hanno avuto nella cultura dell’Occidente, segnata dal cristianesimo. Ci ha inviato un’ampia trattazione, a integrazione del nostro dossier. La pubblichiamo volentieri, come un invito a non escludere il pensiero religioso dall’orizzonte della “cultura”, con cui la medicina è chiamata a misurarsi. Inversamente, anche il pensiero religioso può trarre beneficio da un confronto serio con le domande umane che nascono dall’interno della pratica medica. Proprio il tema del “dolore non necessario”, ad esempio, costringe la teologia a rinunciare – come suggerisce P. Tragan – a ridurre il messaggio cristiano alla “buona sofferenza” o al dolorismo che richiede solo accettazione passiva del dolore. Inaugurando lo spazio destinato a La posta di Janus, auspichiamo che il dialogo con i nostri lettori prenda la strada indicata da questo intervento: un incrocio di voci e commenti, consensi e dissensi, che ampli sempre più il cerchio di coloro che cercano di coniugare cultura/culture e medicina.