
Sandro Spinsanti
L'inganno in medicina
Editoriale Janus 11 - Autunno 2003
“Imparò qualcosa sui referti medici: più la gente sorride, più le notizie sono brutte”: il soggetto a cui è attribuita questa esperienza è un’adolescente, Calliope Stephanides, protagonista del romanzo di successo di Jeffrey Eugenides: Middlesex (Mondadori, 2002). Medici e genitori si sono alleati per proteggere la ragazzina quattordicenne da un’informazione traumatizzante: il sesso che le è stato attribuito alla nascita era sbagliato; in realtà, è un maschio, o piuttosto uno pseudoermafrodito, avendo ereditato una mutazione genetica legata al quinto cromosoma. Genitori e medici hanno deciso di affidare al bisturi la soluzione dell’anomalia, venuta allo scoperto tardivamente: intendono minimizzare il problema di identità sessuale di Calliope, ingannandola. Un inganno pensato per il suo bene. Al fine di riparare quell’altro inganno, ben più grave, che la natura ha malignamente inferto alla ragazza con la mutazione genetica recessiva.
Con il caso immaginario di Calliope si offre alla nostra considerazione un ventaglio amplissimo di inganni che possono aver luogo in medicina: da quelli deliberati, affidati alle parole dei protagonisti dei processi di cura, agli “inganni” di cui è artefice la natura, e vittime sia i curanti sia coloro che ricevono le cure. Tra questi due estremi si può collocare una tipologia molto variegata di comportamenti catalogabili sotto la categoria dell’inganno: nella terapia e nella ricerca, da parte dei sanitari come da parte dei cittadini. “L’obiettivo” di Janus si è focalizzato sui comportamenti riconducibili all’inganno, cercando di dar conto almeno dei principali.
Le nostre considerazioni acquistano più spessore se, in prospettiva storica, valutiamo il cambiamento di sensibilità nei confronti dell’inganno in ambito clinico. Il “privilegio” di poter dispensare informazioni incomplete, fuorvianti o addirittura francamente menzognere era riconosciuto ai medici dall’etica medica del passato: il contributo di Salvino Leone illustra in che modo l’etica tradizionale conciliava parola menzognera e orientamento al bene del paziente. L’inganno era esplicitamente contemplato nelle regole deontologiche e negli scritti dedicati all’etichetta alla quale i sanitari devono attenersi. Può essere istruttiva una pagina tratta da Cento aforismi medico-politici del medico padovano Alessandro Knips Macoppe, che tenne la cattedra di Medicina Pratica sino alla metà del XVIII secolo (un contemporaneo del grande Morgagni, dunque). L’ottavo aforisma impartisce al medico questi consigli:
Cerca di essere sempre ambiguo nel formulare previsioni sul decorso della malattia. Pressante e inevitabile tormento è per il medico la continua richiesta di previsioni sull’esito della malattia, da parte non solo dei familiari ma anche dei semplici conoscenti.
In questa situazione tu devi barcamenarti formulando vaghe previsioni secondo lo stile delle profezie delle antiche sibille. Con parole di dubbio significato, con espressioni ambigue, riuscirai a tenere in sospeso gli animi, a mitigare le curiosità, ad accontentare gli ingenui. Sii prudente nel formulare la diagnosi, in modo da avere sempre di riserva eventuali giustificazioni in caso di errore. Potrai dire, per esempio: “Il malato guarirà solo se avrà una forte sudorazione; solo se i medicamenti riusciranno a manifestare la loro efficacia e soprattutto se il corpo sofferente riuscirà a completare la loro azione; solo se l’organismo ormai gravemente debilitato riuscirà a vincere la gravissima e refrattaria malattia”.
Ci sono anche medici che in caso di malattie gravi e di prognosi incerta ad alcuni dei parenti predicono la guarigione del paziente, ad altri invece la morte. Così in ogni caso potranno citare un testimonio della loro corretta prognosi facendo finta di ignorare l’altro testimonio, oppure affermando di avergli deliberatamente taciuto la verità (Centum Aphorismi medico-politici, ed. Casamassima, 1991, pp. 37 e ss.).
Consigli di furbizia professionale di questo genere non hanno alcun diritto di cittadinanza nella pratica medica del nostro tempo. Non solo i comportamenti opportunistici per acquistare credito agli occhi di pazienti e familiari sono delegittimati, ma anche lo stesso ‘privilegio terapeutico’ che autorizzava il medico a mentire al paziente per il suo stesso bene non è più sostenibile. Nessun clinico potrebbe esibire oggi la tranquilla certezza di comportarsi in modo professionalmente irreprensibile di cui dà mostra il medico messo in scena da Tennessee Williams nel dramma La gatta sul tetto che scotta (del 1955; il film è del 1958). Riportiamo alla memoria la scena che si svolge tra il medico personale di un personaggio e il figlio di questi. L’anziano genitore è appena tornato a casa da un soggiorno di sei settimane in una clinica, dove si è recato per accertamenti. L’accompagna l’annuncio trionfale da parte della moglie: l’operazione esplorativa ha dimostrato che non ha niente; solo un piccolo spasmo al colon. Più gioioso di tutti è il diretto interessato, che festeggia in quel giorno 65 anni: “Mi hanno detto che vivrò. C’è un milione di sensazioni che voglio ancora provare. Tutte voglio gustarle!”.
Ma il medico confida, in privato, al figlio minore un’altra verità. Il referto è di segno del tutto opposto: è un tumore maligno ed è inoperabile. Non c’è speranza. Quando il giovane contrappone le buone notizie diffuse dal medico stesso, questi non esita a riconoscere: “Bugie. Ho mentito. Anche a lui ho mentito. Etica professionale”. Alla timida protesta del figlio: “È giusto illudere così il padre?”, non c’è risposta. Il richiamo dell’etica professionale è risuonato come una sanzione superiore, senza appello, che non permette di mettere in discussione il comportamento del medico.
Per quanto non siano trascorsi ancora cinquant’anni, le norme comportamentali alle quali si fa riferimento suonano del tutto arcaiche. Ai nostri giorni, nessuno potrebbe riproporle con la tranquilla sicurezza che esibisce il medico nel dramma di Williams. E non solo negli Stati Uniti: anche nella più conservatrice Europa le regole che sovraintendono al rapporto tra medici e pazienti – e i loro familiari – sono cambiate in modo irreversibile. L’etica professionale dei medici non prescrive più la menzogna come espressione della pietas del sanitario nei confronti del malato su cui incombe una diagnosi a prognosi infausta; né i costumi sociali attribuiscono ai familiari il compito di gestire l’informazione al posto della persona interessata, quali diretti interlocutori del medico. Queste regole del gioco sono franate, a dispetto della loro secolare tenuta nel tempo: nel giro di pochi anni sono state riscritte, delineando un nuovo profilo di diritti e doveri tra le parti coinvolte.
L’evacuazione di ogni forma di inganno deliberato dai comportamenti eticamente accettabili ha assunto maggiore radicalità negli anni più recenti. È un buon indice la questione del placebo. Se confrontiamo le due edizioni dell’Encyclopedia of Bioethics, notiamo che quella del 1978 non riporta neppure la voce, mentre l’edizione del 1995 comprende un articolo di Howard Brody che non concede al placebo alcuno spazio di legittimità: in quanto forma di inganno del paziente, è considerata un’espressione del paternalismo medico; in medicina vanno promossi solo i comportamenti che conciliano il bene del paziente con la sua autonomia. Anche per quanto riguarda la ricerca, nei trial nei quali viene usato il placebo va richiesto un adeguato consenso del soggetto su cui si fa sperimentazione.
La riflessione sul placebo è quanto mai attuale. Il nostro dossier gli dedica un’attenzione privilegiata. Nel più ampio contesto di una medicina che prende coscienza di quanto siano ingannevoli le certezze su cui si fonda (Giacomo Delvecchio), il placebo trova ampia applicazione nella clinica (Vito Cagli) e soprattutto nella ricerca, specie in quella che adotta la metodologia esigente dei trial clinici (Luigi Saccà e Claudio Buccelli). Non solo clinici e ricercatori, ma anche gli infermieri si pongono il problema etico del ricorso al placebo (Laura D’Addio).
Oltre alla menzogna a fini terapeutici e al ricorso metodologico al placebo, altre figure dell’inganno si affacciano all’orizzonte della medicina dei nostri giorni. I professionisti sono tentati di farvi ricorso per coprire i loro errori (Sabina Gainotti), mentre per i cittadini l’inganno può essere esercitato sui medici, sotto forma di false dichiarazioni di malattia (Francesca Fiecconi). Le nuove norme che determinano la copertura pubblica delle spese sanitarie – i Drg – sembrano costituire un incentivo sistematico all’inganno (Andrea Cambieri). Si affaccia il sospetto che l’inganno in medicina non sia un fatto occasionale o sporadico, ma la conseguenza necessaria dell’uso della parola (Paolo Dordoni).
Eppure, malgrado tutte le carenze, il pessimismo non appare giustificato. Il panorama che presenta questo dossier ci mostra un’intensa attività di riscrittura delle regole relative alla comunicazione ingannevole in medicina. I lavori in corso non sono semplici, anche perché scopriamo sempre nuovi travestimenti dell’inganno. Tuttavia sembra predominare un atteggiamento di fiducia: la trasparenza è destinata a prevalere.
L’ottimismo illuministico è temperato dalla consapevolezza che esiste una dimensione dell’inganno nei cui confronti siamo molto sprovveduti, perché non dipende dagli esseri umani a vario titolo coinvolti nell’impresa terapeutica, ma è imputabile alla natura stessa. La vicenda di Calliope, la giovane ermafrodita di Middlesex, con cui abbiamo iniziato le nostre riflessioni, ha aperto la finestra su scenari nei quali agli esseri umani spetta il ruolo di vittima, più che di protagonista. L’inganno è appunto il titolo di un celebre racconto di Thomas Mann, pubblicato nel 1953. In verità, la traduzione italiana introduce una significativa modifica di accento, dal momento che nell’originale si parla di una ‘ingannata’ (Die Betrogene). L’ingannata è Rosalie von Tümmler, una vedova che superato i cinquant’anni. Le circostanze la portano a frequentare e a innamorarsi di un giovane americano ventenne. L’ambiente sociale disapproverebbe ogni infrazione alla barriera d’età che li divide; ma Rosalie considera come un’approvazione della natura ai propri sentimenti il fatto che improvvisamente le mestruazioni abbiano interrotto il silenzio della menopausa. Alla figlia adulta, che condanna come gli altri il proposito di cedere alla passione, Rosalie contrappone “la Pasqua della sua femminilità, prodigio operato dall’anima sul corpo”: “È vita, vita con dolore e delizia, e la vita è speranza” (Thomas Mann, I romanzi brevi, Mondadori, 2000, p. 679).
Ma la vigilia dell’incontro amoroso la matrona ha un grave malore. I medici diagnosticano un tumore dell’utero, il cui sanguinamento l’aveva ingannata. Le ultime parole della donna alla figlia sul letto di morte sono di pacificazione:
Anna, non parlare di inganno e di crudeltà schernitrice della natura. Non rimproverarla, come non la rimprovero io. Me ne vado a malincuore, da voi, dalla vita e dalla sua primavera. Ma come ci sarebbe primavera senza morte? La morte è pure un grande strumento di vita, e se per me assunse l’aspetto della resurrezione e dell’amore, non fu inganno, ma bontà e grazia […].
La natura, io l’ho sempre amata, ed essa ha ricambiato amore alla sua creatura (Ib., pp. 700 e ss.).
Le parole che lo scrittore mette in bocca alla sua eroina morente non corrispondono all’animus di Thomas Mann nel redigere il racconto. In uno scritto autobiografico dichiara che, nel travestire letterariamente un fatto di cronaca di cui avevano parlato i giornali, intendeva narrare “la storia di un inganno, di un’amara frode della natura, subita da una buona figliola della natura, tale da saperne scusare la perfidia”. Nell’ampio arco che va dalla collera contro la natura ingannatrice alla pacificata adesione ai suoi progetti si estende la varietà delle risposte umane al gioco cieco dei geni e delle cellule impazzite.
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Questo fascicolo di Janus si presenta con una nuova rubrica, aggiunta a quelle abituali: “Religio Medici”. Il titolo crea un nesso deliberato con l’opera omonima di Thomas Browne, un medico-scrittore del barocco inglese, di cui Giorgio Cosmacini ci traccia un ritratto incisivo. Numerosi motivi ci inducono a scegliere Thomas Browne come figura emblematica dell’ambito che la rubrica tende a esplorare. Browne si colloca nel periodo di transizione dalla visione del mondo religiosa propria del Medioevo a quella caratteristica dell’uomo moderno: razionale, scientifica e scettica. Egli stesso è stato figlio del suo tempo: pur avendo dedicato un’opera - Vulgar Errors - a confrontare le più comuni superstizioni popolari, non trovava nulla da obiettare che si mandassero al rogo donne accusate di stregoneria. Tuttavia si è fatto paladino di tolleranza in un’epoca di aspre controversie religiose. La fede nella rivelazione coesiste in lui con un esplicito scetticismo (afferma nella Religio Medici: “Io ho percorso tutte le scuole, e pure non trovo riposo in alcuna […]. Veggo che i capi più savi si dimostrano, in fine, quasi tutti Scettici, e si stan come Giano nel campo della conoscenza”).
In un’antologia dedicata alla prosa e alla poesia inglesi del XVII secolo, Frank J. Warneke si sente autorizzato ad applicare la figura di Giano a Browne stesso: come altri grandi scrittori barocchi, si rivolge contemporaneamente sia al passato sia al futuro ed è capace di rendere con straordinaria eloquenza la consapevolezza della complessità. Di fronte all’atteggiamento emergente del secolarismo e della specializzazione, difende la funzione unificante che assume nella vita quotidiana l’esercizio della virtù (nel suo orizzonte sono le virtù cristiane: la Religio Medici si sviluppa nella prima parte all’insegna della fede, la seconda della carità). Come un anfibio, Browne si dichiara disposto a vivere contemporaneamente in mondi del tutto diversi, quali sono quelli della medicina e della religione, della scienza e dell’arte. Nella rubrica che abbiamo, programmaticamente, denominato con il titolo del celebre trattato di Browne ci proponiamo di mettere a fuoco alcuni aspetti del complesso intreccio di sinergie e conflitti tra l’arte della guarigione e le attività che afferiscono alla religione.