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Sandro Spinsanti
Fidarsi della scienza medica?
Editoriale Janus 13 - Primavera 2004
Non chiedete a Pinocchio se possiamo fidarci della scienza medica: la sua risposta sarebbe troppo scontata! Eppure questo personaggio resta un punto di riferimento obbligato, se è vero che è un prototipo di atteggiamenti molto diffusi, e non solo tra gli italiani. Pinocchio diffida della medicina e di chi l’esercita. Ai suoi occhi - quanto meno agli occhi di Collodi - i medici sono più vicini a personaggi di operetta, grondanti retorica e sofismi. Nella scena del consulto il medico Corvo, dopo aver testato il polso di Pinocchio, sentenzia:
A mio credere il burattino è bell’e morto: ma se per disgrazia non fosse morto, allora sarebbe indizio sicuro che è sempre vivo!
Mi spiace - disse la Civetta - di dover contraddire il Corvo, mio illustre amico e collega; per me, invece, il burattino è sempre vivo, ma se per disgrazia non fosse vivo, allora sarebbe segno che è morto davvero. […]
- Quando il morto piange, è segno che è in via di guarigione - disse solennemente il Corvo.
- Mi duole contraddire il mio illustre amico e collega, - soggiunse la Civetta -, ma per me quando il morto piange, è segno che gli dispiace a morire.
Per indurre Pinocchio ad assumere la medicina, la Fata dai capelli turchini deve ricorrere a tutto l’arsenale delle arti di manipolazione, dalla seduzione al ricatto, passando per l’inganno.
La diffidenza di Pinocchio nei confronti dei medici e della medicina esprime una saggezza intuitiva o è un indice di immaturità? In un contributo molto ben argomentato Anna Oliverio Ferraris ha presentato ai lettori di Janus (“Pinocchio, o della fatica di crescere”, in Janus n. 3, 2001, pp. 151-156) l’ipotesi che la favola di Pinocchio sia centrata sulla tematica universale della crescita. La rinascita come homo novus riguarda in primo luogo ogni persona che si trovi alle soglie dell’adolescenza; ma la metamorfosi iniziatica, con l’abbandono dell’involucro legnoso, è appropriata anche per descrivere altre transizioni nella vita degli individui e dei gruppi sociali. Assumendo questa ipotesi, possiamo immaginare che la sfiducia radicale e l’irrisione della medicina non sia un segno di raggiunta maturità, ma piuttosto un’acerba caricatura della saggezza.
Dobbiamo consapevolmente contrastare la diffusa convinzione che la crescita equivalga all’abbandono della fiducia ingenua, sostituendola con la sfiducia sistematica. Ovvero che il candore infantile con cui ci abbandoniamo a coloro che si presentano a noi rivestiti del sacro manto di una professione sanitaria debba cedere il posto al dubbio sulla loro competenza e soprattutto sulla qualità filantropica delle loro intenzioni. Se questo fosse lo schema che qualifica crescita e maturità, potremmo presumere di aver raggiunto un traguardo considerevole: mai nella nostra società la sfiducia verso i medici è stata così bassa.
Non si tratta certo di una novità: gli spiriti “illuminati” non hanno mai fatto mancare i loro strali satirici alla pratica medica. Senza rievocare i celebri attacchi ai medici di cui sono ricche le commedie di Molière, possiamo riferirci a un brano poetico di Bernard de Mandeville (“L’alveare scontento, ovvero i furfanti resi onesti”) che precede La favola delle api (1705), il trattato che pretende di illustrare come “veramente” funziona l’organizzazione sociale, mettendo l’egoismo alla base dei comportamenti apparentemente filantropici:
Tutti i commerci e le cariche avevano qualche trucco.
Nessuna professione era senza inganno.
I medici stimavano la fama e la ricchezza
più della salute malferma del paziente e delle proprie capacità:
la maggior parte si curava, invece che delle regole dell’arte,
di avere un aspetto grave e pensieroso e un portamento severo,
per guadagnarsi il favore del farmacista
le lodi delle levatrici, dei preti e di tutti quelli
che assistono alla nascita e al funerale.
(B. Mandeville, La favola delle api, Laterza, Roma-Bari 2002)
In un’epoca di cultura di massa, come la nostra, la differenza nei confronti della medicina non è più esclusiva di alcuni intellettuali, ma ha assunto anch’essa dimensioni di massa. In un numero recente della rivista La Professione, mensile della Federazione nazionale degli Ordini dei medici chirurgici e odontoiatri, troviamo diversi indizi del malessere che circola tra i medici italiani a seguito di un vistoso ritiro della fiducia da parte dei cittadini. Una lettera (“Fango sui medici legali”) protesta sul discredito gettato sui medici che si occupano dei casi di responsabilità professionale, accusati di aver indotto un aumento dei costi assicurativi. Un articolo dedicato alla crisi del rapporto medico-paziente oscilla tra difesa e autocritica («Forse ci siamo distratti e non abbiamo seguito abbastanza l’evolversi della società, cosicché altri hanno preso il timone e ci hanno relegato solo ai remi…»). A documentazione della crisi vengono citati tre articoli recenti su tre diversi giornali: la copertina de L’Espresso, con la foto di un medico e la didascalia: «Ci possiamo ancora fidare di loro?»; l’articolo de Il bisturi che riporta un’indagine del Tribunale dei diritti del malato: «I cittadini non si fidano dei medici specialisti del Ssn»; un articolo su un numero precedente de La Professione dal titolo: «Il malessere di una categoria».
Illustra la crisi anche la notizia della costituzione di “Amami”, acronimo di Associazione medici accusati di malpractice ingiustamente (raramente un acronimo è stato più efficace: sintetizza un percorso secolare in cui il rapporto tra professionisti e pazienti, che gravitava intorno a una richiesta reciproca di amore, è diventato una ricerca di tutela gli uni dagli altri…). Potremmo continuare, citando dallo stesso numero de La Professione a cui ci stiamo riferendo un altro ampio articolo dal titolo eloquente: «Il medico “aggredito”. Come difendersi», che culmina con l’esortazione rivolta ai medici a “riappropriarsi dei propri atti”, rifiutando la subalternità alle logiche di tipo efficientistico-finanziario che predominano oggi nelle aziende sanitarie. A questa veloce spigolatura di segni di diffidenza da parte dei pazienti, si potrebbe contrapporre che gli stessi cittadini che non si fidano dei medici e della medicina sono gli stessi che affidano i propri risparmi a bond truffaldini. Il rispecchiamento di Pinocchio è perfetto: sbeffeggia i medici, ma si affida al Gatto e alla Volpe per farsi dire dove seminare i suoi zecchini d’oro, per poterli moltiplicare…
A questo schema ideale - si cresce passando dall’abbandono fiducioso e credulone pregiudiziale, decidendo di non fidarsi più di coloro ai quali eravamo stati indotti ad attribuire la fiducia - vanno contrapposte rilevazioni di ordine psicologico, nonché filosofico ed etico, come quelle di Erik H. Erickson. È molto nota la schematizzazione che, nella sua proposta di ciclo di vita, individua come prima tappa di uno sviluppo sano l’acquisizione di un atteggiamento fondamentale di fiducia, contrapposto a uno di sfiducia. Negli individui nei quali prevale la fondamentale sfiducia, si avrà in seguito una incapacità di risolvere le situazioni di conflitto con se stessi e con gli altri.
Erickson ha teorizzato la fiducia fondamentale come una delle pietre angolari non solo della personalità vitale, ma anche delle società ben funzionanti (cfr. Infanzia e società, A. Armando ed., Roma 1982). Molte voci denunciano oggi i pericoli che ci sovrastano, quando la sfiducia viene posta come paradigma fondamentale dell’interazione sociale. In questo numero abbiamo messo in prima evidenza nella vetrina della nostra “Biblioteca aperta” il saggio di Onora O’Neill: Questione di fiducia, sottoponendolo a una molteplice lettura critica, anche per le pesanti conseguenze che la perdita della fiducia ha nella pratica quotidiana della medicina. Lo stesso presidente della repubblica Ciampi nel suo messaggio alla nazione per l’inizio del 2004 ha indirizzato con chiarezza la forza della sua moral suasion verso il recupero della fiducia nella vita sociale: “La fiducia è tutto, è la forza che ci permette di costruire il futuro”, ha proclamato.
La fiducia che costituisce una risposta al nostro malessere sociale, nella medicina come in numerose altre istituzioni, non è figlia dell’ingenuità, da lasciarci dietro le spalle crescendo, ma una condizione per la convivenza, che si basa su un patto fondante.
Non è antitetica alla critica alla vigilanza e al controllo. Questa fiducia non si presenta con un’alternativa di tipo binario - tutto o niente - ma ammette crescita e regressione: può essere concessa e negata senza che il tessuto dei rapporti sociali sia strappato in modo irreversibile. La sua migliore garanzia è costituita dai sistemi di verifica, inseriti nei principali svincoli dove si accentrano il sapere e il potere che costituiscono l’arsenale terapeutico.
L’ampio dossier che presentiamo ai lettori di Janus percorre tutte le tappe cruciali dove la fiducia nella medicina va messa alla prova. A cominciare dalla ricerca: dobbiamo chiederci quale sia l’istituzione che la promuove (Carlo Flamigni) e quale uso viene fatto delle sue risultanze (Athos Borghi). Anche ambiti relativamente nuovi della medicina, come la prevenzione (Marco Zappa e Caterina Ferrari) e la farmacoeconomia (Fausto Roila e Enzo Ballatori), non possono sottrarsi a domande scomode: sono saperi autoreferenziali o possono addurre prove e giustificazioni?
Mentre una denominazione come “bugiardino”, affibbiata al foglietto illustrativo nelle scatole dei medicinali, traduce un senso di sconfitta e frustrazione (anche se il suffisso - ino, frequentemente utilizzato per formare parole di registro scherzoso, sembra non prendere eccessivamente sul serio la denuncia…), non c’è ragione di lasciar cadere la fiducia di poter controllare le informazioni fornite dai farmaci (Antonio Addis), dai colleghi medici (Enrico Beretta), dagli informatori scientifici (Alfredo Zuppiroli).
La qualità dell’informazione fornita è anche la variabile da considerare nei rapporti conflittuali tra sanitari e cittadini, quando giungono alla considerazione del magistrato (Francesca Fiecconi).
Neppure il sistema di formazione E.C.M. si può sottrarre a verifiche. Per quanto le questioni poste da Silvana Quadrino siano ruvide, non hanno uno scopo disfattista, ma vogliono rivendicare la possibilità di parlare di qualità in uno degli ambiti più cruciali per la salute: la formazione continua degli operatori sanitari. Allo sviluppo di una struttura sociale favorevole alla fiducia non può mancare l’opera di istituzioni pubbliche, in particolare quelle che tutelano la sanità organizzata regionalmente (Francesco Taroni).
Dall’insieme dei contributi emerge un disegno coerente. L’alternativa all’affidamento acritico al sistema medico non è la sfiducia generalizzata, bensì una fiducia che sappia attivare tutti i legami che ci interconnettono. Perché l’autonomia a cui aspiriamo non è assenza di legami, bensì equilibrio tra bisogni e interessi contrapposti. Per esercitarsi nella diffidenza basta la furbizia; ma per crescere nella giusta fiducia è necessario essere saggi.