Janus 24 – Formare e ri-formare

Book Cover: Janus 24 - Formare e ri-formare

Sandro Spinsanti

Formare e ri-formare

Editoriale Janus 24 - Inverno 2006

 

Sanitas semper reformanda: un programma ambizioso, modellato su quello che Lutero proponeva per la "Ecclesia". E, non meno del progetto rivolto a modificare una realtà religiosa fonte di perplessità e di resistenze. Almeno quando la ricerca di una nuova "forma" è intesa in senso radicale. Nessuna obiezione, infatti, è sollevata in linea di principio nei confronti di una sanitas semper formanda. La formazione, intesa come preparazione dei professionisti sanitari per essere all'altezza di ciò che la società dei nostri giorni richiede da loro, nessuno la mette in discussione. La formazione è richiesta non solo prima dell'accesso alla professione, ma anche dopo, secondo le esigenze della formazione continua. È pacifico oggi che neppure la migliore delle preparazioni universitarie può dare al medico l'attrezzatura concettuale e tecnica che gli basterà per tutto il corso della sua vita professionale. È stato ripetuto fino alla noia il bon mot attribuito ai professori delle facoltà di medicina americane, i quali sarebbero soliti dire agli studenti: "Tra sette anni metà di quello che vi insegniamo oggi risulterà falso. Purtroppo non sappiamo dirvi quale metà...". La necessità di continuare la formazione parallelamente all'esercizio della professione sembra ormai acquisita: «formare e ri-formare, equivale, in questa ottica, a ribadire che la formazione non può dirsi mai conclusa. Bisognerà riprenderla e intensificarla senza pause. Sarà necessario proporla e riproporla, senza interruzioni, se non vogliamo avere medici e infermieri che, invece di essere una risorsa, costituiscono un pericolo per la salute.

Così sta avvenendo nella sanità italiana: da quando il programma ministeriale di Educazione continua in medicina (Ecm) è diventato realtà, gli eventi formativi si sono moltiplicati. Da parte dei professionisti sanitari la formazione continua obbligatoria è stata recepita senza resistenze (verrebbe piuttosto da osservare che l'adesione, trasformatasi in una corsa a raccogliere crediti, sia stata anche troppo entusiasta: non avrebbe guastato un po' di senso critico e di discernimento tra eventi formativi di diversa qualità). Si sono moltiplicate
le modalità delle proposte formative: di aula e sul campo, con l'uso di metodiche tradizionali o a distanza, valorizzando l'e-learning, rivolte a gruppi professionali omogenei o a sanitari di diversa professionalità. La formazione, dunque, c'è, e in grande quantità. La diffusione e la varietà delle proposte formative sono documentate su vasta scala sul nostro dossier. Ma a che cosa è finalizzata questa mobilitazione formativa? Facciamo nostra la formulazione del problema proposta nella primavera scorsa dal Gruppo sanità dell'Associazione italiana formatori, che raccoglie quanti operano nella formazione e nelle attività educative degli adulti, per il suo convegno nazionale: «Formazione e cambiamento in sanità». Evocando il, Deserto dei Tartari di Buzzati, i formatori si chiedevano, in senso autocritico: «Stiamo tenendo in movimento mentale i professionisti. Ma per cosa?».

Non riusciamo a sottrarci all'impressione che, malgrado tanta formazione, il corso degli eventi in sanità abbia preso una brutta piega. Benché medici, infermieri e altri professionisti sanitari siano competenti e aggiornati, malgrado la loro preparazione di base e la formazione continua, cresce la dissonanza tra professionisti sanitari e cittadini. Mentre la formazione tiene in movimento i professionisti, mobilitando le loro energie e competenze contro il nemico (identificato con ciò che minaccia la vita e la salute), trascura di occuparsi di ciò che avviene all'interno della fortezza, posta a guardia del deserto dei tartari. Proprio in casa propria invece, sta avvenendo una vistosa trasformazione, che assomiglia al tracollo dello stesso sistema difensivo. È come se professionisti e cittadini (cioè erogatori e beneficiari dei servizi della salute) stessero diventando sempre più estranei gli uni agli altri. Non riconosciamo più la fisionomia di quel rapporto che possiamo identificare, senza esitazione, come opera di Cura, la dea che, secondo il mitografo latino Igino, tiene insieme l'uomo dalla nascita alla morte.

La formazione che abbiamo ritenuto necessaria si è presa a cuore tanti cambiamenti. Quelli scientifici, prima di tutto: le nuove metodiche diagnostiche, le prove di efficacia (evidence based medicine), fino alle nuove frontiere della genetica. E poi i cambiamenti organizzativi dal sistema mutualistico al Servizio sanitario nazionale, a sua volta a più riprese ri-formato con l'aziendalizzazione e la regionalizzazione del sistema. Tutte queste dimensioni sono state fatte oggetto di formazione specifica. È stato invece disatteso il cambiamento culturale generale, che ha modificato il profilo stesso della medicina come pratica sociale.
Da questo punto di vista, l'attività di "formare e ri-formare" equivale alla ricerca di una nuova "forma", nel significato diffuso dalla "psicologia della forma" o "gestaltismo". La forma (Gestalt, in tedesco) di cui parliamo è una configurazione globale, diversa dalla somma delle parti o dalla combinazione dei singoli elementi. È la forma totale, il punto di partenza di fenomeni percettivi; e alla coscienza si impongono forme, o configurazioni, o campi, colti nella loro struttura totale. Quando un insieme si."sforma", non lo riconosciamo più come tale. Allora deve avvenire una "ri-forma", in senso radicale: è questa la sanitas reformanda. Per appoggiarci all'analogia della riforma protestante, dobbiamo considerare che ciò che Lutero rimproverava alla Chiesa di Roma non era di non essere aggiornata o al passo con i tempi rinascimentali ma di aver sfigurato il profilo della Chiesa fondata da Cristo; non proponeva, perciò, di cambiare qualche tratto della comunità ecclesiale, ma di conferirle una vera e propria nuova "forma" , come di fatto è avvenuto con la riforma protestante.
Spero non sia considerato un esercizio retorico improprio affermare che il "ri-formare" di cui ha bisogno la nostra sanità è un processo di questo genere. Si tratta di una riforma nella discontinuità, piuttosto che nella continuità. Proprio perché una lenta deriva sta portando i professionisti sanitari e i cittadini lontano gli uni dagli altri, nutrendo il sospetto reciproco là dove in passato c'era fiduciosa confidenzialità, è necessario puntare sulla "forma", più che sugli elementi di contorno: quell'insieme che può essere riconosciuto
anche da singoli tratti, ma che ci riconduce ogni volta a un insight illuminante: «Qui c'è
Cura in azione!».

Non è difficile individuare i temi più caldi di questa sanitas ri-formata. Bisognerà che i professionisti
sanitari e i cittadini reagiscano alle spinte che li stanno portando su due versanti contrapposti, dove assumono posizioni difensive: la medicina esiste solo se medici e malati si sentono dalla stessa parte. Tuttavia le persone vogliono ricevere i servizi medici in quanto soggetti, non come oggetto di cure. Per questo l'informazione ha un ruolo centrale nella medicina del nostro tempo («il tempo dell'informazione è tempo di cura», proclama
la carta di Firenze). Sarà necessario che uno sforzo almeno comparabile con quello che è dedicato alla formazione dei nuovi professionisti sanitari sia rivolto alla formazione dei cittadini: perché si crei una cultura comune, sarà necessario immaginare qualcosa come un"'educazione continua" rivolta a loro. Chi ha spiegato ai cittadini il senso del "consenso informato" o delle direttive anticipate? Senza un impegno adeguato, le dissonanze sono destinate a crescere. E ancora: non si può continuare a tacere dei conflitti d'interesse. Senza
una politica di trasparenza, predominerà il sospetto sistematico, a cominciare da quello che circonda il finanziamento della formazione continua dei medici. Non si può fingere di ignorare che, proprio mentre i programmi di Ecm assumevano la dimensione capillare necessaria per coinvolgere tutti gli operatori sanitari, si chiedeva implicitamente all'industria farmaceutica di farsene carico, esigendo però dai soggetti sponsorizzanti un disinteresse che non possono avere.
Mentre alcuni (pochissimi) professionisti prendevano le distanze dall'industria considerandola un agente di contagio etico (cfr. «No, grazie. Da oggi pago io» in Janus 15, autunno 2004), la gran parte dei medici si è appoggiata volentieri alla disponibilità delle industrie farmaceutiche a farsi carico della formazione, senza molta trasparenza. La riforma di cui abbiamo bisogno richiede, invece, regole chiare e condivise: gli interessi dei diversi soggetti coinvolti possono essere riconosciuti e governati, rinunciando a moralismi e reticenze.
Altrimenti predominano il sospetto sistematico e la diffidenza. E nessuno riconosce più il profilo di Cura.