Janus 26 – Quando la medicina cura i sani

Book Cover: Janus 26 - Quando la medicina cura i sani

Sandro Spinsanti

Quando la medicina cura i sani

Editoriale Janus 26 - Estate 2007

 

Che cosa c’è, oltre la salute? La risposta scanzonata, che definisce la salute come uno stato di benessere provvisorio, dal quale non c’è da aspettarsi niente di buono, sembra passata di moda. Ora la tendenza è piuttosto quella di enfatizzare la possibilità di aumentare la salute; vale a dire: oltre la salute c’è ancora più salute. Come se la salute fosse equiparabile a un bene a quantità variabile.- così come non si può mai dire di essere sufficientemente ricchi (né sufficientemente magri, avrebbe aggiunto perfidamente Coco Chanel), allo stesso modo non si è mai abbastanza sani. Il potenziamento dell’essere umano: ecco il nuovo eldorado, terra di conquista della medicina. “Curare i sani” non è un ossimoro; si tratta piuttosto dell’ultima trasformazione che sta attraversando la medicina. Con una restrizione d’obbligo: stiamo parlando di ciò che avviene alle nostre latitudini; nei Paesi che sono fuori dell’area dello sviluppo economico e del benessere, la medicina è ancora confrontata con il compito primario di contenere le malattie, specie quelle infettive, e di impedire che la morte tronchi vite umane troppo precocemente.

Il cambiamento più recente era stato la conquista dei non-pazienti (un-patients, in inglese): persone che non accusano sintomi né malesseri, ma che hanno solo la predisposizione ad ammalarsi. Senza essere attualmente presente, la malattia è almeno potenzialmente all’orizzonte delle storie personali degli un-patients. Con l’ultima mutazione, proponendosi di curare i sani, la medicina compie un ulteriore salto, se non di qualità almeno di quantità: si annette un impero sul quale non tramonterà mai il sole. Quasi pazienti, o potenzialmente pazienti, sono tutti. A qualificare questa nuova medicina troviamo ancora una volta una parola inglese: enhancement. È la medicina che ha come obiettivo, appunto, di potenziare l’essere umano.

La trasformazione era già in atto quando, all’inizio degli anni ’90, lo Hastings Center di New York promuoveva la ricerca sugli scopi della medicina. Per tre anni, esperti di 14 Paesi si sono confrontati per chiarirsi la natura e gli obiettivi che la pratica medica dovrebbe proporsi. Nel rapporto finale, coordinato da Daniel Collahan (ne esiste anche una versione italiana: Gli scopi della medicina: nuove priorità- pubblicata da Notizie di Politeia nel 1997)  il “miglioramento umano” è chiaramente individuato come uno dei nuovi obiettivi che sovvertono la medicina così come l’abbiamo conosciuta e praticata per secoli:

 

Miglioramento umano. La frontiera più grande, aperta e utopistica della medicina è quella del miglioramento umano: si tratta di usare la medicina non solo per fronteggiare le patologie biologiche e per restaurare uno stato di normalità, ma anche per migliorare effettivamente le capacità umane -in una parola, di normalizzare e di ottimizzare. Finora le nostre possibilità di perseguire concretamente questo obiettivo sono state limitate, ed è possibile che tali rimangano. Tuttavia la prospettiva resta seducente. La contraccezione moderna ha determinato una svolta drastica nella visione del ruolo delle donne e della procreazione come componente dell’esistenza. La nuova frontiera degli interventi genetici integra il quadro con una prospettiva di una manipolazione dei caratteri umani fondamentali  -tra i sogni avveniristici di cui si parla, ricorderò quello di migliorare l’intelligenza e la memoria e quello di ridurre la violenza. Così la scoperta  dell’ormone umano della crescita consente già ora di aumentare la statura di coloro che, non essendo in partenza patologicamente bassi, desiderano però per migliorare il loro aspetto per ragioni personali o sociali. Qui, però, è importante notare che le possibilità utopistiche di cambiare la natura umana probabilmente sono molto limitate, mentre i progressi concreti e quotidiani realizzati sul terreno dell’istruzione e su quello farmacologico sono destinati ad esercitare un influsso più ampio e profondo.

 

Il rapporto insinuava il dubbi che tutti i miglioramenti che riscontriamo nelle ultime generazioni rispetto alle precedenti dovessero essere attribuiti alla medicina: se siamo più alti, più sani e più intelligenti, il merito va prioritariamente alla condizione di benessere  in cui vive la parte dell’umanità che è privilegiata e al mutato stile di vita. Ma la disponibilità della medicina a raccogliere il testimone e ad ampliare l’agenda dei suoi compiti, aggiungendo il miglioramento della natura umana al curare e al consolare, è totale. Alle esemplificazioni già presenti nel rapporto dello Hastings Center (controllo totale della procreazione, miglioramento delle funzioni intellettuali mediante la genetica, intervento sulle dimensioni del corpo, favorendone la crescita in altezza) il nostro dossier aggiunge altri capitoli: migliori prestazioni atletiche (Francesco Sala), modifiche delle modalità della nascita (Paolo Gangemi), ampio uso dell’ingegneria genetica per eliminare nei bambini le caratteristiche ritenute negative e incentivare quelle positive (Margherita Martini), interventi sul genere per persone che non si identificano con quello toccato loro in sorte dalla lotteria genetica (Stefano Pisani), modifiche farmacologiche degli stati emotivi (Stefania Santoro), senza dimenticare gli innumerevoli interventi che, in nome dell’estetica, vengono proposti dalla chirurgia e dalla medicina (Valentina Arcovio). E l’elenco non è certamente esaustivo. Il contributo di Thomas Murray sull’enhancement    propone il quadro d’insieme della medicina che cura i sani, ma elenca anche i dubbi e le questioni di fondo che agitano coloro che questo genere di interventi medici non si limitano a consumarli.

Le riflessioni che ospitiamo in questo numero di Janus problematizzano il ruolo di maggior potere che in questo modo viene attribuito al medico ( Roberto Satolli) e all’industria farmaceutica che tira le fila di questa estensione della medicina (Gianfranco Domenighetti); ci interroghiamo inevitabilmente anche sulle trasformazioni che subisce la medicina, sia pubblica che privata, quando non si limita a curare e prevenire, ma si propone di accrescere la salute (Antonio Panti).

La medicina che cura i sani fa emergere questioni ancora  più gravi e impegnative. Sappiamo che il confine tra salute e malattia, normale e patologico, è mobile: la cultura (o piuttosto, le culture) lo influenza in modo determinante. Gli argomenti di coloro che hanno voluto restringere l’ambito di legittimità della medicina alla sola cura delle patologie (escludendo, per esempio, gli interventi di fecondazione medicalmente assistita in quanto non finalizzata alla cura) non sono mai risultati convincenti. Ma un conto è ridiscutere e negoziare il confine tra salute e malattia, altra cosa invece è cancellarlo del tutto. L’apparente allargamento del potere della medicina ha basi fragili: l’attività sanitaria rischia infatti di essere assorbita dal mercato.

Ancor più intrigante è la questione che riguarda la natura umana. Proporsi di migliorarla è una trasgressione che merita di essere punita (secondo il concetto di hybris elaborato dai poeti tragici greci) o è piuttosto la vera realizzazione dell’umano? La tradizione umanistica ha evidenziato con molta enfasi la peculiarità dell’uomo di poter dare forma alla sua stessa natura (cfr. Simonetta Bassi: “La grandezza dell’uomo è nella libertà di scegliere la sua natura”, in Janus 25, primavera 2007, a commento della celebre “oratio” di Giovanni Pico della Mirandola: Della dignità dell’uomo, 1486). E il miglioramento dell’essere umano è, da sempre, al centro di ogni cultura, oltre che di ogni progetto personale. L’enhancement, quindi, o potenziamento, è piuttosto sotto il segno della continuità rispetto al migliore passato dell’umanità, e non un iniquo portato dei tempi nuovi. Ciò che si presenta come la sfida a cui siamo confrontati è piuttosto la ricerca di criteri con i quali orientarci tra le innumerevoli proposte che ci vengono rivolte. A meno che non siamo, pregiudizialmente, orientati a respingerle in blocco o ad accettarle indiscriminatamente, dobbiamo concordare criteri di discernimento: sia sociali- per distinguere le pratiche da incoraggiare, quelle da tollerare e quelle da reprimere- sia etici. In mancanza di criteri assoluti (come quello del rispetto di una natura umana definita una volta per tutte o il criterio della terapeuticità dell’intervento), ci rimangono quelli relativi e indiretti. I valori di riferimento non mancano a un’etica razionale: possiamo domandarci se con questi interventi produciamo discriminazioni e disuguaglianze; se favoriamo un controllo della persona sul proprio destino (empowerment) o se promuoviamo una pericolosa concentrazione di potere in mano a individui o a organizzazioni. Non da ultimo, possiamo ricorrere a una delle eredità più preziose della saggezza distillata da secoli di esperienze e di riflessione su di esse : la necessità di porsi dei limiti, come individui e come società. Anche la salute, come la vita stessa, non è meno preziosa per il fatto di essere circoscritta da limiti che possiamo estendere, ma non cancellare del tutto.