Le cure domiciliari

Book Cover: Le cure domiciliari

Sandro Spinsanti

Le cure domiciliari

Editoriale

in L'Arco di Giano, n. 2, 1993, pp. 13-16

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EDITORIALE

Con pacata compostezza l’arco che porta il nome di Giano, l’antico monumento della Roma classica, ha prestato la sua robusta struttura al nostro progetto di una rivista dedicata alle medical humanities. L’idea di un luogo di incontro tra i diversi saperi e le molteplici discipline che afferiscono alle medical humanities ha trovato nel simbolo dell’arco a quattro porte un felice supporto. Molti lettori hanno dichiarato di aver apprezzato l’immagine dell’arco di Giano, che si è imposta loro con la immediata evidenza di un insight. E soprattutto hanno espresso la loro approvazione per il contenuto e le modalità degli incontri che l’arco di Giano si propone di ospitare.

All’appuntamento del secondo fascicolo la rivista si presenta con un impianto già collaudato. La struttura rimane quella tripartita, già nota a coloro che hanno avuto in mano il primo numero, che aveva un carattere programmatico: un dossier monografico, la rassegna di alcune importanti pubblicazioni scelte nel vasto campo delle medical humanities e articoli di attualità.

Un saggio di apertura (focus) punta i riflettori su un tema di vasta ramificazione. In questo numero Thomas H. Murray analizza le ripercussioni della genetica sulla medicina ― con le nuove possibilità di terapia e di prevenzione ―, sui comportamenti sociali e sulle categorie antropologiche che li fondano. La ricerca genetica è un tema esemplare di medical humanities, per la sua capacità di mobilitare le scienze più hard e i saperi umanistici sull’uomo, l’efficienza tecnologica e i bisogni di regolamentazione sociale ed etica delle pratiche.

Il dossier è dedicato alle cure domiciliari. La crisi del welfare state costringe le politiche sanitarie e le pratiche mediche più consolidate a confrontarsi con la necessità di un profondo cambiamento. La risorsa

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principale che si profila all’orizzonte è quanto di più tradizionale sia mai stato utilizzato per la cura dell’uomo malato e fragile: la sua casa. L’immaginario, sorretto dalla memoria artistica, ricorre spontaneamente a contesti domiciliari, dove le attività di cura e assistenza ispirano sicurezza, protezione, confort. La documentazione iconografica che alleghiamo ci orienta decisamente in tale direzione.

Tuttavia la promozione delle cure domiciliari non è una operazione da svolgere all’insegna della nostalgia. Le cure domiciliari sono uno dei settori in più rapida crescita nella sanità. Spingono in questo senso la flessione del progetto di Stato sociale, il nuovo vigore delle forze del mercato, i dati incontrovertibili della demografia, che illustrano il carico crescente costituito per la nostra società dall’invecchiamento della popolazione, e la protesta strisciante per l’incapacità della medicina ospedaliera a rispondere a bisogni sempre più sentiti come irrinunciabili.

Nonostante la connotazione positiva dell’aggettivo, che col suo riferimento al “domicilio” veicola associazione rassicuranti, questo tipo di cure costituisce una sfida tra le più difficili per il nostro sistema sanitario e per la concezione stessa della medicina. Le cure domiciliari, infatti, non implicano semplicemente un cambiamento di luoghi di somministrazione delle cure ― come fossero una versione domestica dell’ospedale, magari senza le risorse tecnologiche, il personale e la qualità dei servizi ivi disponibili ― bensì richiedono una diversa concettualizzazione della medicina.

Le cure domiciliari occupano una posizione inattaccabile per il loro alto profilo ideale: promettono di tutelare l’indipendenza personale e di garantire l’integrazione sociale del malato e dell’anziano fragile. Ma l’ideale va confrontato con i condizionamenti e i pesi reali che questa organizzazione diversa della medicina pone a tutti i protagonisti coinvolti. Questo confronto è un compito tipico delle medical humanities.

Il cambiamento di paradigma non si realizza solo con esortazioni morali. È necessaria una profonda svolta culturale, che comprende una molteplicità di dimensioni: etiche (diritto del malato ad essere curato a casa), economiche (contenimento della spesa sanitaria), antropologiche (conoscenza dei bisogni del malato curato a casa, dei dinamismi familiari, dell’utilizzo ottimale delle risorse disponibili), organizzative e manageriali.

Il dossier attinge abbondantemente ai vari saperi che ci permettono di disegnare in modo creativo i futuri scenari di cure fomite a domicilio: la clinica medica e la storia della sanità, l’antropologia culturale e la sociologia, le politiche sociali e la pedagogia sanitaria. Un’attenzione

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privilegiata è rivolta alle esperienze in atto, in alcuni punti nevralgici delle cure domiciliari: ospedalizzazione a domicilio, cure geriatriche, assistenza ai malati terminali.

Le cure domiciliari ci appaiono come un imperativo ineludibile del momento storico che sta attraversando la nostra organizzazione sanitaria. L’Arco di Giano si propone di contribuirvi con quanto costituisce la sua specificità: la promozione di una “cultura delle cure domiciliari”.

Gli incontri favoriti da L’Arco di Giano nella sezione della rassegna non sono tanto quelli tra discipline e pratiche diverse, quanto tra singoli studiosi. La recensione di un libro permette un confronto più approfondito di punti di vista e offre l’opportunità di sviluppare proprie argomentazioni e proporre nuovi sviluppi. Il genere letterario della recensione-saggio, qui coltivato, favorisce esplorazioni inusuali e piene di sorprese del territorio delle medical humanities.

La sezione dedicata all’attualità offre degli appuntamenti abituali. Quello con un classico della letteratura, anzitutto. A Tolstoj, con il suo romanzo La morte di Ivàn Il’ič, è qui affidato il compito di farci sentire quanto un classico parli alle nostre orecchie non meno che a quelle dei contemporanei dello scrittore. La rilettura alla luce dell’attualità è una prova che pochi scrittori possono affrontare con la stessa sicurezza di Tolstoj, la cui fortuna critica sembra più che mai splendente sul finire del XX secolo. La morte di Ivàn Il’ič è stato da sempre un beniamino delle medical humanities. Tra i sanitari più sensibili alle problematiche umanistiche della cura dei malati e dell’assistenza ai morenti non è raro sentir ventilare la proposta di renderne la lettura obbligatoria a tutti gli aspiranti medici e infermieri. La rilettura che ne fa I. Sibaldi si qualifica anche come prova brillante di quel principio che regge la concezione dell’“interpretazione infinita”: un’opera cresce con chi la legge.

All’attualità appartengono anche i maestri. L’Arco di Giano favorisce in questo fascicolo l’incontro con Jean Bernard, il celebrato ematologo che tanto ha contribuito all’affermazione della bioetica come ricerca di un’etica civile condivisibile nella società pluralista che è la nostra. J. Bernard è dotato di sufficiente ironia per neutralizzare il pericolo di imbalsamatore insito nel titolo serioso di “maestro”.

All’insegna dell’attualità vengono presentate anche riflessioni originate da ricerche, congressi, incontri. F.J. Illhardt, ad esempio, guarda “con occhi da straniero” la pratica di consulenza bioetica diffusa negli

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Stati Uniti d’America; M.C. Setti Bassanini riferisce sulla necessità di fornire un filo d’Arianna agli utenti dei pubblici servizi socio-sanitari, perché non si smarriscano in percorsi che non sono stati pensati all’insegna della trasparenza: S. Govoni analizza le potenzialità umanistiche connesse con l’esplorazione delle neuroscienze.

M. Ciampoli, infine, riporta la preoccupazione del Cnr di estendere la tensione etica dei ricercatori fino ad includere la cura per il benessere degli animali utilizzati nella ricerca. Possiamo legittimamente chiedere alla figura di Giano di prestare la sua potenzialità simbolica anche ad esprimere la nostra ricerca di un nuovo rapporto con gli animali? Se una faccia può e deve essere rivolta costantemente verso lo spirito, un’altra guarda verso l’animalità dell’animal rationale e verso gli esseri animali che con lui costituiscono la biosfera. Una ricerca che si proponga di essere “amichevole” verso gli animali aumenta non solo il nostro sapere e il nostro potere, ma ci aiuta ad accrescere anche il nostro essere, la nostra umanità. E nient’altro che questo è il fine che si propongono le medical humanities.