UN COMITATO ETICO ALLA PROVA DEI FATTI
a cura di Sandro Spinsanti
in I quaderni di Janus
Zadigroma editore, Roma 2007
pp. 8-16
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UN BREVE PASSATO, UN FUTURO PROBLEMATICO
Il Comitato di bioetica degli Ospedali Riuniti di Bergamo ha una storia solo in parte sovrapponibile a quella dei comitati nati dopo il Decreto legislativo del 18 marzo 1998, che ha disseminato per il Paese i comitati destinati a valutare e autorizzare le sperimentazioni cliniche.
Il primo Comitato è stato istituito il 24 marzo 1997. Nel decreto istitutivo si fa esplicito riferimento al documento redatto dal Comitato nazionale per la bioetica il 28 febbraio 1992, inteso a stimolare l’istituzione di comitati etici nelle realtà sanitarie. Per un anno il Comitato si è occupato esclusivamente di situazioni riconducibili alla bioetica. Sotto la presidenza di Carlo Alberto Defanti, ha affrontato problemi di procreazione medicalmente assistita, accanimento terapeutico, consenso informato.
In base al Decreto legislativo del 1998 il Comitato ha modificato la propria composizione, accogliendo alcuni componenti della Commissione terapeutica, e ha iniziato a esaminare i protocolli della ricerca biomedica, seguendo le linee guida ministeriali. Istituito come “organismo di consulenza” stabilmente costituito presso la direzione sanitaria, si premurava di darsi un regolamento. Tra i compiti previsti figurava, accanto alla valutazione di protocolli di ricerca clinica e farmacologica, anche un’ampia attività consulenziale: il Comitato, infatti, «formula pareri e fornisce consigli e/o chiarimenti
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in ordine alle decisioni mediche per le quali le norme deontologiche e giuridiche non offrono risposte esaurienti, quali per esempio le terapie palliative, le diagnosi di morte, il trattamento del dolore, il trattamento di malati non in grado di decidere, il consenso informato alle cure ecc.».
L’attenzione alla dimensione della bioetica clinica, parallela al compito istituzionale relativo alla sperimentazione, è rimasta costante nell’evoluzione successiva del Comitato. Questo corrisponde anche alle indicazioni contenute nel documento del Comitato nazionale per la bioetica I comitati etici in Italia: problematiche recenti del 28 aprile 1997. Il documento stabiliva una chiara distinzione tra due finalità dei comitati: valutare la ricerca scientifica e rispondere a quesiti etici connessi con l’assistenza. Diversa è la composizione del comitato per le competenze richieste; diverso è anche il modo di operare. Pur accentuando le differenze strutturali e funzionali, il Comitato nazionale si pronunciava a favore di un organismo unico, che espletasse i due compiti attribuiti al comitato. E questa è stata la scelta degli Ospedali Riuniti.
In seguito il Comitato nazionale è ritornato sulla questione, rimettendo in discussione l’adozione del modello dell’organismo unico polifunzionale: nel 2000 diffondeva un documento per la discussione e sollecitava un’ampia raccolta di esperienze e pareri. Il Comitato degli Ospedali Riuniti, cogliendo l’occasione per riflettere sulla propria esperienza, si esprimeva nella sua risposta a favore del comitato unico, competente sia per la bioetica sia per la ricerca biomedica: «La fase iniziale di fusione tra i componenti del Comitato etico e quelli della Commissione terapeutica non è stata semplice, in quanto
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l’impostazione metodologica e le finalità dei due organismi erano diverse. Nell’arco di un anno circa è stata raggiunta una maturità etica da parte di tutti i componenti e una buona collaborazione nelle valutazioni degli studi clinici. L’attenzione e l’assiduità con cui sono state analizzate le numerose sperimentazioni hanno migliorato la specifica competenza dei singoli componenti del comitato etico, hanno accresciuto in tutti l’interesse per gli aspetti etici della sperimentazione (criteri di inclusione/esclusione, informazione su rischi e vantaggi, consenso informato, allocazione delle risorse, conflitti di interesse, obiettivi della ricerca), hanno stimolato la cultura del dialogo e il riferimento all’etica del quotidiano, facilitando un costante confronto tra principi e prassi».
Sulla base di questa ricostruzione storica del proprio operato, il Comitato si dichiarava orientato a proseguire per la strada del modello unico polifunzionale. Le linee di indirizzo del Comitato nazionale di bioetica non hanno avuto seguito, motivo per cui attualmente non esistono in Italia modelli vincolanti di funzionamento dei comitati, al di fuori delle norme ministeriali.
Più di recente (marzo 2007) il Comitato è stato rinominato in conformità con i requisiti richiesti dal Decreto ministeriale del 12 maggio 2006 “Requisiti minimi per l’istituzione, l’organizzazione e il funzionamento dei Comitati etici per le sperimentazioni cliniche dei medicinali”, che specifica le competenze obbligatorie del Comitato e le altre condizioni minime. Il nuovo Comitato, valutato da parte della regione Lombardia, è entrato a far parte del registro nazionale dei Comitati etici gestito dall’Agenzia nazionale del farmaco (Aifa).
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È nato il comitato: che nome gli diamo?
Il nome da attribuire all’organismo consultivo che affianca i sanitari nella ricerca e nella pratica clinica non ha costituito motivo di riflessione esplicita. La denominazione di “comitato etico”, che troviamo già nel Decreto ministeriale del 18 marzo 1998 che istituisce i comitati e detta le regole per il loro funzionamento, è stata accettata senza sussulti. Eppure meriterebbe di essere seriamente discussa. Intanto per la sua approssimazione linguistica: l’inglese Ethics Committee, tradotto come “comitato etico”, fa diventare aggettivo (etico) ciò che in inglese è sostantivo. E poi per la sua presunzione (anche se non voluta e non consapevole): autodefinendosi “etico”, il comitato dà l’impressione di essere un organismo che gestisce l’etica in modo monopolistico, dispensando bollini di qualità etica. Come se l’etica non fosse, piuttosto, un’istanza con la quale il comitato stesso si deve confrontare, dando prova di non cedere a comportamenti “non etici”. Una scelta linguistica meno compromettente sarebbe stata di chiamare questi organismi “comitati per l’etica” o “di etica”, proponendo la qualità etica del comitato come obiettivo a cui tendere, piuttosto che come un pacifico possesso.
Nella scelta del Comitato degli Ospedali Riuniti di qualificarsi come “comitato di bioetica” c’è un’intenzione ulteriore, che merita di essere esplicitata: presuppone l’identificazione della bioetica come un paradigma di riferimento che si discosta dall’etica medica. Inevitabilmente l’etica medica evoca un modello di pratica della medicina e di riflessione etica costruito sul presupposto della centralità del medico. Le scelte, sia di natura clinica sia di valore etico, sono sua responsabilità:
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è il medico che decide, “in scienza e coscienza”. Il riferimento alla coscienza veicola l’etica medica, cosi come è stata tramandata per secoli. La vera discontinuità nell’etica che regola i comportamenti in medicina è costituita dall’introduzione dei valori fondamentali del liberalismo, cioè il rispetto dell’autonomia della persona, anche se malata, e del suo diritto a partecipare alle scelte che la riguardano. Questa è, in sintesi, la rivoluzione introdotta dalla bioetica rispetto all’etica medica.
Un terzo parametro per valutare la qualità morale delle decisioni da prendere nell’ambito delle cure è il riferimento alla comunità e al dovere di operare per rendere effettiva la giusta allocazione delle risorse. Questo comporta un’ulteriore dislocazione del centro di gravità dell’etica: dalla relazione con il paziente ai bisogni di tutti coloro che hanno diritto e bisogno di cure. Secondo la più recente revisione del codice di deontologia dei medici italiani (dicembre 2006), la qualità professionale si misura con l’appropriatezza secondo le esigenze della scienza, con il rispetto dell’autonomia delle persone e con l’impegno per un’equa ripartizione delle risorse. L’articolo 6 recita infatti: «Il medico agisce secondo il principio di efficacia delle cure nel rispetto dell’autonomia della persona tenendo conto dell’uso appropriato delle risorse».
Sono sufficienti queste considerazioni per giustificare l’appropriatezza del termine bioetica riferito al Comitato. Adottando l’orizzonte della bioetica, il Comitato si impegna a muoversi nell’orizzonte della complessità, dove i comportamenti per essere etici devono misurarsi simultaneamente con le esigenze del beneficio da apportare al paziente, con il
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rispetto dei suoi valori e delle sue preferenze e con la promozione di cure che non raggiungano solo i privilegiati, ma tutti quelli che ne hanno diritto e bisogno.
La bioetica alla quale il Comitato si riferisce non è intesa nel senso restrittivo della specifica disciplina di natura filosofica che si è andata costituendo di recente, finalizzata a riflettere sulla qualità morale dei comportamenti umani relativi alla vita. Un esperto di bioetica è richiesto nell'organico del Comitato e una certa competenza nella disciplina è auspicabile da parte di tutti i compresenti. Ma il comitato nel suo insieme si riferisce alla bioetica come pratica, piuttosto che come disciplina. In quanto pratica, la bioetica nasce dalla necessità delle persone di convivere in società nelle quali si affrontano (e a volte si scontrano) concezioni morali diverse. Per poter convivere, è necessario gestire le differenze etiche. Si tratta di comportamenti molto controversi, che hanno a che fare con l’intervento umano sulla vita, come manipolazioni genetiche e pratiche biomediche molto invasive: dalla procreazione medicalmente assistita al prolungamento artificiale della sopravvivenza, dai trapianti di organo agli interventi che modificano la natura umana. In questo ambito la bioetica si propone di mettere un certo ordine, e più fondamentalmente si propone come una lingua franca, grazie alla quale anche coloro che si sentono “stranieri morali” possono parlare tra di loro. Per certi versi la bioetica come pratica si sovrappone alla democrazia come alternativa agli assolutismi nei quali la verità è monopolio esclusivo di qualcuno.
In un senso molto ampio, la pratica bioetica è sinonimo di “conversazione”, nel senso proposto da Theodore Zeldin: la
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conversazione incoraggia lo scambio da mente a mente, e lo scambio diventa una sfida particolarmente interessante quando le concezioni divergono. Con un mondo morale diverso dal mio, io ci posso parlare. E la prima cosa che posso guadagnare in questa conversazione è un beneficio per me stesso, perché allargo l’orizzonte del mio mondo morale.
L’attività del conversare pub essere ricondotta a uno degli insegnamenti più significativi della filosofia greca: la dottrina di Aristotele sulla retorica. Per Aristotele il concetto di verità come una e unica valeva per la geometria, non per le verità esistenziali, che invece viviamo al plurale. La retorica da lui proposta è appunto l’arte che ci permette di gestire la pluralità dei punti di vista, condividendo le diversità.
Ponendosi sotto il segno della bioetica, un comitato dev’essere consapevole di correre dei rischi: la conversazione può degenerare in chiacchiera; la retorica può diventare arte truffaldina di proporre come verità opinioni fasulle; la violenza da lupi delle ideologie può mostrarsi nelle vesti di agnello del dialogo. Ma se riesce a sfuggire a queste insidie, la bioetica può diventare una pratica tra le più esaltanti, perché ci permette di affrontare le situazioni nuove attrezzati con il meglio di ciò che abbiamo ereditato dal passato.
Ma che cosa fa un comitato di bioetica?
Ma che cosa fa un comitato di bioetica? La domanda è legittima. La risposta è contenuta, in modo si spera esauriente, nei
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diversi capitoli di questa pubblicazione che illustrano il lavoro dei sottogruppi attraverso cui opera il Comitato. In modo preliminare bisogna però sottolineare che la prima attività è quella che il comitato rivolge, al proprio interno, all’autoformazione dei componenti.
Un comitato è un organismo peculiare, del quale si può dire che il tutto è più della somma delle parti. Per quanto competenti nel proprio ambito ― clinico, assistenziale, giuridico, filosofico, o più genericamente riconducibile a una delle scienze umane ― i componenti di un comitato non sono formati ad agire in quanto comitato. Per questo è necessaria una pratica di integrazione dei saperi e di ascolto reciproco: è necessario un allenamento che non fa parte del modo abituale in cui funzionano le organizzazioni sanitarie.
Si può derivare la necessità di questo apprendimento dalla radice verbale latina alla quale si può ricondurre la parola “comitato”: il verbo comitari, vale a dire “fare strada insieme”. Quando un comitato viene costituito, deve iniziare un lungo percorso comune, nel quale il camminare insieme, nella diversità ma nell’unità degli intenti, sia piacevole e fecondo. In concreto, il Comitato degli Ospedali Riuniti di Bergamo ha identificato la necessità di dedicare almeno una giornata annuale (forum) alla propria autoformazione, confrontandosi con degli esperti su un tema specifico.
Un altro appuntamento annuale è stato quello con il convegno proposto agli operatori degli Ospedali Riuniti e a professionisti esterni. Anche in queste occasioni il Comitato si è posto in posizione di ascolto e di apprendimento. Inoltre, in appendice ad alcuni di questi convegni si sono formati dei
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sottogruppi all’interno del Comitato per tradurre in pratica le indicazioni emerse dal convegno.
Un impegno ulteriore è stato quello di rendere disponibili i contenuti dei convegni a una più vasta cerchia di operatori, mediante un’apposita pubblicazione. Ogni convegno ha prodotto così un “Quaderno di Janus”, con l’obiettivo di accrescere l’attenzione dei professionisti verso il tema messo a fuoco e creare una base più larga di consenso. A queste pubblicazioni si aggiunge inoltre il bollettino CdB informa, pensato come uno strumento di dialogo tra il Comitato e gli operatori sanitari dell’Azienda ospedaliera.
Una cosa sta soprattutto a cuore al Comitato: presentare la bioetica non come una proprietà che amministra, ma come un bene comune al quale partecipano tutti coloro che impiegano mente, cuore e mani per fare buona medicina. La bioetica non è affidata al Comitato secondo la logica delle “commissioni” (dal latino committere, cioè affidare) che vengono create, stando a un detto popolare, quando non si vuole risolvere un problema. La bioetica è l’orizzonte comune nel quale si muovono tutti i protagonisti delle scelte finalizzate a proteggere, risanare e accompagnare la vita: cittadini, professionisti sanitari, amministratori. Il Comitato è una struttura di servizio, perché tutti si possano sentire a casa propria nella bioetica.
BIBLIOGRAFIA
T. Zeldin, La conversazione. Di come i discorsi possono cambiarci la vita, Sellerio, Palermo, 2002.