Sandro Spinsanti
Stagioni della genetica, stagioni dell'etica
in Quaderni acp
n. 4, volume VIII - 2001, pp. 39-41
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STAGIONI DELLA GENETICA, STAGIONI DELL'ETICA
Nessuna forma di potere che l’uomo ha potuto esercitare in passato sulla natura è paragonabile al dominio sulla vita che è stato reso possibile dalle scoperte recenti nel campo della genetica e dalla messa a punto di tecnologie che permettono di intervenire nel substrato più profondo della natura vivente. Come ha affermato il presidente americano Clinton in occasione dell’annuncio della conclusione del Progetto Genoma, nel giugno 2000, abbiamo la sensazione di “leggere nel libro con cui Dio ha scritto la vita”. Pur detraendo il tributo che una frase di questo genere fa alla retorica, rimane la consapevolezza di aver varcato una soglia nello sviluppo dell’umanità. A questo traguardo non siamo giunti improvvisamente. Possiamo riconoscere periodi ben differenziati nello sviluppo della genetica, ai quali corrispondono altrettante stagioni dell’etica. Ogni fase, infatti, della crescita del sapere e del potere dell’uomo sul meccanismo della trasmissione della vita ha mobilitato la riflessione etica in modo differente.
La genetica quale scienza dell’ereditarietà, tenuta a battesimo dall’abate Mendel (1822- 1884) poco più di un secolo fa, non ha mostrato subito le potenzialità di cui era dotata. Come quegli alunni considerati sottodotati dagli insegnanti, che sembrano scaldare i banchi di scuola per anni, finché un giorno escono dal bozzolo in maniera folgorante. Le scoperte di Mendel, riconosciute come leggi generali dell’ereditarietà solo all’inizio del secolo XX, sono apparse portatrici di conseguenze pratiche decenni più tardi, quando sono state considerate la base teorica dell’eugenismo.
Questo movimento è nato come un progetto per migliorare la specie umana mediante un controllo della procreazione, favorendo la trasmissione dei caratteri ereditari auspicati e impedendo la riproduzione di quelli valutati come negativi. Il dizionario Larousse del XX secolo, pubblicato nel 1928, attribuiva come finalità alla “nuova scienza” dell’eugenismo di “eliminare gli indesiderabili e di conservare e perfezionare gli elementi sani e robusti”. Le basi scientifiche dell’eugenetica erano tutt’altro che solide. È bastata, tuttavia, la sola patina di scientificità perché nel periodo tra le due guerre mondiali programmi eugenetici fossero intrapresi dal governo nazista in Germania ― che si servì dell’eugenismo per giustificare la sua criminale politica razzista ― e altri ne fossero realizzati nei paesi Scandinavi e negli Stati Uniti (con la stessa inconsistenza scientifica e nullità di risultati quanto al miglioramento della specie, ma con il totalitarismo nazista in meno). Gli errori del passato hanno gettato il discredito sui programmi eugenetici autoritari, inequivocabilmente condannati anche dal punto di vista morale, in quanto violano il fondamentale diritto della persona all’autodeterminazione.
Se le scoperte di Mendel corrispondono alla preistoria e l’eugenismo alla storia antica della genetica (il miglioramento della specie mediante l’eliminazione dei tarati era, del resto, la politica sanitaria corrente anche a Sparta, con risultati molto meno brillanti, a quanto ci dice la storia della civiltà, di quelli ottenuti ad Atene...), la storia moderna della genetica comincia a metà degli anni ‘50 del XX secolo, con l’identificazione del modo in cui si trasmettono i cromosomi e la scoperta della struttura molecolare del Dna. Gli anni seguenti furono segnati dal progressivo, paziente studio del modo in cui il “messaggio” ereditario, contenuto nel Dna dei cromosomi sotto forma di una successione di geni, poteva essere tradotto in proteine. Si trattava però ancora di conoscere il processo come avviene in natura, senza mettervi le mani; l’intervento dell’etica in questa fase ―
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superata la fascinazione dell’eugenismo quale misura politica autoritaria che ricorre alla costrizione per ottenere la trasmissione dei caratteri genetici ritenuti auspicabili ― non eccede l’interesse rivolto alle conoscenze scientifiche di base, senza alcun particolare segnale di allarme, in quanto di per sé neutre.
La “manipolazione” segna l’ultima tappa del progresso della genetica. Dopo appena cinque lustri ― i primi lavori di questo genere sono del 1973 ― gli scienziati hanno messo a punto una tecnica per introdurre all'interno del patrimonio ereditario di una cellula un frammento di Dna estraneo, ottenuto mediante sintesi chimica. Tecnicamente si parla in questo caso di “Dna ricombinante”. Si tratta di molecole di Dna costruite al di fuori delle cellule viventi, che vengono congiunte a segmenti di Dna, al fine di farli replicare in una cellula vivente.
Impadronirsi della chiave con cui si trasmettono i caratteri ereditari significa poter smontare la catena del Dna e pilotarne la ricostruzione a volontà. In pratica, l’elica del Dna (quel lunghissimo filamento che contiene le istruzioni di crescita per ogni organismo) viene tagliata per inserire altri frammenti, con informazioni diverse, che modificano lo sviluppo della cellula. È un lavoro di microchirurgia, in cui il bisturi viene sostituito da enzimi che attaccano e incidono il Dna, mentre dei batteri trasportano i geni scelti per la ricombinazione.
Le applicazioni possibili sono apparse le più varie: incroci tra piante diverse, nonché tra cellule vegetali e cellule animali; creazione di nuove specie vegetali, con caratteri modificati, come grano capace di crescere nel deserto od ortaggi che resistono al gelo; realizzazione in laboratorio di animali transgenici ― per così dire “su misura” ― per disporre di modelli sperimentali per la ricerca e l’osservazione in vitro dei meccanismi di azione di determinate patologie a base genetica, nonché come fornitori di organi per i trapianti (xenotrapianti); nel settore diagnostico- terapeutico, infine, creazione di sostanze organiche ― come l’interferone e l’ormone che regola la crescita ― e interventi terapeutici, grazie ai quali si trasferiscono geni tra organismi diversi per correggere, attivare o disattivare un gene difettoso o inserirne uno mancante perché trasmetta in modo corretto il suo codice.
Tuttavia, insieme alle promesse che fanno balenare l’ingegneria genetica come l’Eldorado dell’era tecnologica, si evidenziarono ben presto i dubbi. Si paventò il pericolo che le manipolazioni genetiche portassero alla creazione e moltiplicazione di germi patogeni nuovi, come batteri mutanti resistenti agli antibiotici e non trattabili con i mezzi farmacologici in nostro possesso. I problemi della sicurezza nei confronti di microrganismi geneticamente modificati smorzarono l’euforia creata dall’ingegneria genetica e sollevarono l’interrogativo etico della liceità dell’intervento dell’uomo in processi biologici che modificano la natura stessa degli organismi viventi.
Il primo allarme nasceva nell’ambito stesso degli scienziati che si occupavano di ingegneria genetica. Nel luglio 1974 un gruppo di specialisti lanciava con una lettera aperta un appello all’autoregolazione e gli esperimenti di modificazione genetica degli organismi venivano congelati da una moratoria. Ma nella conferenza di Asilomar, in California, tenutasi nel 1975, veniva decisa la ripresa dei lavori. In seguito le regolamentazioni e le misure precauzionali prese dai governi si sono succedute con ritmo discontinuo: a restrizioni e severi controlli hanno fatto seguito edulcorazioni permissive.
Una nuova fase dell’appello all’etica nell’ambito della genetica si è aperta nella primavera del 1997, con la notizia della clonazione di un mammifero a partire da una cellula differenziata di adulto (la pecora Dolly), ottenuta nei laboratori del Roslin Institute di Edimburgo (notizia apparsa su Nature del 27 febbraio 1997). La risonanza mondiale dell’evento è stata favorita dall’ipotesi di un’applicazione agli esseri umani della stessa tecnologia, per produrre a questo punto degli “uomini su misura” (Harris, 1997). La reazione generalizzata, tanto di istanze religiose come l’intervento del magistero cattolico nella persona del pontefice Giovanni Paolo II, quanto di quelle politiche e secolari, come il presidente degli Stati Uniti Bill Clinton, che ha istituito una commissione per indagare sull’eticità di queste procedure e ha deliberato una moratoria sul finanziamento pubblico delle ricerche sulla clonazione umana è stata di condanna. In questa fase l’etica è apparsa sulla scena principalmente sotto forma di ampio coinvolgimento dell’opinione pubblica, mobilitazione di emozioni, pressioni per il controllo dell’attività degli scienziati, piuttosto che come ricerca di orientamenti per l’azione, attinti dalla riflessione filosofica.