- Ripensare la cura nel contesto di una società conflittuale
- La promozione della salute mentale
- L'analisi transazionale come psicoterapia
- La professione psicoterapeutica
- Psicoterapie e pastorale
Sandro Spinsanti
L'ANALISI TRANSAZIONALE COME PSICOTERAPIA E COME STRUMENTO PER MIGLIORARE LE RELAZIONI INTERPERSONALI
in Kerigma e Therapeia
Quaderni di V.M. Camaldoli, n. 21
Camaldoli, 1979
pp. 21-39
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1. L’Analisi Transazionale: un nuovo approccio in psicoterapia
La nascita dell’A.T. potrebbe essere letta come un’ulteriore esemplificazione di quel processo di distacchi e creazione di nuove correnti che caratterizza la storia del movimento psicoanalitico. Fin dall’epoca di Freud la preoccupazione per l’unità e l’ortodossia non è riuscita a neutralizzare le spinte centrifughe di altri capiscuola: Jung, Adler, Fromm, Sullivan, per nominare solo i più rappresentativi. Dopo la morte del fondatore della psicoanalisi gli approcci alla psicologia del profondo si sono sempre più moltiplicati e differenziati 1. Eric Berne, cui dobbiamo l’Analisi Transazionale, veniva da una formazione psicoanalitica classica. L’aveva iniziata nel 1941 all’istituto Psicoanalitico di New York, facendo un’analisi personale con Paul Federn, e ripresa nel 1946
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all’istituto Psichiatrico di San Francisco, dove è stato in analisi per due anni con Eric Erikson. Nei suoi scritti tra il 1947 e il 1956 non si trova traccia della preoccupazione di portare modifiche alla psicoanalisi. La rottura avvenne nel 1956, l’anno in cui richiese il titolo di «psicoanalista». Se lo vide rifiutare, con la motivazione che non era ancora pronto e che aveva bisogno di alcuni anni di formazione supplementare. Solo allora maturò in Berne il progetto di continuare per la propria strada. Iniziava così un nuovo approccio in psicoterapia, con i suoi rischi e le sue «chances». Tuttavia i presupposti per la svolta dovevano essere presenti già da tempo nel pensiero di Berne. Lo dimostra la rapidità con cui redasse gli scritti di fondazione dell’A.T. Con la pubblicazione dell’articolo: «Analisi Transazionale: un metodo nuovo ed efficace di terapia di gruppo» nell'American Journal of Psychotherapy, nell’ottobre 1958, il nome e i contenuti essenziali della nuova psicoterapia avevano la loro consacrazione ufficiale. Nel 1963 l’Associazione Psichiatrica Americana gli permetteva di presentare un contributo al congresso annuale, col titolo: Principi di Analisi Transazionale; nei congressi degli anni successivi l’interesse degli altri psichiatri crebbe progressivamente, in parallelo con la diminuzione delle inevitabili resistenze iniziali. L’A.T. (come nuovo orientamento psicoterapeutico) acquistava un diritto reale di cittadinanza, consacrato dalla pubblicazione del «Transactional Analysis Bullettin» e, a partire dal 1971, dal più impegnativo «Transactional Analysis Journal».
A complemento dell’informazione essenziale sull’iniziatore della nuova scuola psicoterapeutica va detto qualcosa circa l’A.T. stessa. Comprende una teoria sistematica della personalità e della psicopatologia, nonché un metodo di trattamento derivato da tali costrutti teoretici. In questo breve schizzo rinunciamo ai rimandi bibliografici. Lo scheletro della teoria transazionale si trova, con maggiore o minore ampiezza, in quasi tutte le opere di Berne citate nella scheda bibliografica.
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L’analisi strutturale della personalità consiste essenzialmente nell'individuare i tre «stati dell’io», secondo come emergono nelle diverse situazioni. Gli stati sono fenomenologicamente distinti, in rapporto stretto con le esperienze e le percezioni della persona. Il loro riconoscimento è intuitivo; il passaggio dalla spiegazione all’«insight» personale è immediato. È forse questa la ragione della popolarità che hanno subito acquisito, anche al di fuori dell’ambito psico-terapeutico, il «Genitore», l’«Adulto», il «Bambino» coniati da Berne. L’abbondante uso di diagrammi contribuisce ancor più alla chiarezza.
I tre stati dell’io possono deviare dal funzionamento che è loro appropriato. Le loro emozioni — idee — comportamenti possono subentrare nel momento e luogo sbagliati e condurre così ad un comportamento che è distruttivo per la persona: questa la dinamica interna della psicopatologia. L’espressione caratteristica degli stati dell’io del paziente si può dedurre dal modo in cui avvengono le sue transazioni col terapeuta e con i membri del gruppo di terapia. Le persone interagiscono e comunicano tra loro a tre livelli, quelli appunto dei tre stati dell’io. La comunicazione è interrotta quando il partner risponde su un altro piano rispetto a quello in cui è stato interpellato. Il trattamento nella sua fase di «analisi strutturale» consiste nel rendere cosciente la persona di queste sue espressioni; nella fase «transazionale» vengono analizzate le sue transazioni patologiche e le strategie che guidano la sua esistenza («transazioni» sono tutti gli scambi interpersonali tendenti ad acquisire unità elementari di «riconoscimento»: strokes o «carezze»). Al centro della teoria psicopatologica dell’A.T. sta il concetto dell’adattamento inconscio ai desideri e comandi primitivi dei genitori. Dopo le prime intuizioni di Berne, i transazionalisti hanno sviluppato l’elaborazione teorica e pratica di questo importante problema: attraverso quale meccanismo un desiderio genitoriale viene trasporto in un modello comportamentale di docilità, che in alcuni casi si rivela altamente distruttivo
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per l’individuo? Nella situazione della prima infanzia il bambino, preso tra i suoi desideri-bisogni e le situazioni ambientali che vi si oppongono, prende alcune decisioni di sopravvivenza. La sua vita si costruirà sopra quelle prime decisioni, relative a ciò che è importante per lui, a come vede se stesso, ai suoi rapporti con l’ambiente. La sua esistenza sarà strutturata secondo un «copione», al quale si attiene scrupolosamente; le diverse strategie transazionali, analizzate da Berne nel suo popolarissimo A che gioco giochiamo, servono per mantenere questo «copione». Dal momento che molte delle nostre prime decisioni sono prese inconsciamente o in un momento troppo precoce della vita per valutarne giustamente la portata, le «chances» che le prime decisioni siano realistiche e appropriate per la vita futura non sono molte. Ne derivano allora copioni autodistruttivi, riconoscibili dal fatto che si continua a fallire. Lo scopo della seconda fase del trattamento è di portare alla piena luce il «copione di vita» e le transazioni che lo sostengono, in vista di una «ridecisione». La nuova decisione struttura il comportamento in modo che la persona si lascerà guidare dal desiderio sano di fare il proprio interesse, e non dalla paura della disapprovazione genitoriale. Il cambiamento deve avvenire a livello emotivo, ma spesso è facilitato dalla conoscenza.
Il terapeuta si impegna per facilitare la conoscenza, non tuttavia come una nuova figura genitoriale che impone un altro «copione». La terapia tende a far conseguire la completa autonomia nella libertà.
Una funzione particolare in questa psicoterapia spetta al gruppo. Fin dall’inizio l’A.T. si è sviluppata come tecnica di gruppo. Analizzando il comportamento nel quadro costituito dal piccolo gruppo, è più facile individuare gli stati dell’io, il genere di «giochi» che si predilige e il «copione di vita». Il gruppo costituisce un’opportunità di apprendimento diretto, dove vengono sperimentati nuovi stili di transazioni e rafforzata la decisione di cambiare il proprio «copione».
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2. L’A.T. e lo «Zeitgeist»
L’A.T. si è affermata in modo estremamente rapido. Nel giro di pochi anni è diventata negli Stati Uniti una delle psicoterapie più diffuse; anche la sua applicazione al di fuori della psicoterapia vera e propria, nei settori in cui può aiutare a risolvere problemi di relazione — i cosiddetti «special fields» —, continua a crescere. Le pubblicazioni — opere tecniche e divulgative, riviste specializzate — abbondano. Dall’America è straripata in Europa. Nei paesi di lingua tedesca e francese è già molto conosciuta. L’osservatore culturale non può fare a meno di domandarsi che cosa abbia reso possibile un tale successo. Una delle voci più rappresentative dell’A.T., Muriel James, elenca le seguenti ragioni: è una psicologia da self-help (i concetti base provocano risposte immediate: spesso le persone rimangono sorprese e convinte al solo leggere libri di A.T.); non è minacciosa (non scende nelle segrete dell’inconscio, dirige l’attenzione sui comportamenti facilmente osservabili); ha un’efficacia immediata: basta pochissimo tempo perché le persone abbiano degli «insights» su se stesse, i loro bisogni e le vie per operare un cambiamento; è una psicologia di crescita personale, rivolta a persone anche mentalmente sane 2. La lista contiene ragioni di diverso peso e qualità. Alcune suonano dubbiose e lasciano l’osservatore perplesso. Ci sono transaziona- listi che amano presentare il loro metodo psicoterapeutico calcando la mano sulle caratteristiche di facilità, efficacia, democraticità. Agganciano così gli umori ribelli di coloro che della psicoanalisi classica criticano la lunghezza, l’incertezza dei risultati terapeutici, il gergo sofisticato per iniziati. In implicita polemica con gli interminabili procedimenti psicoanalitici, ci si compiace di ripetere l’affermazione paradossale
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di Berne: «Un analista transazionale si propone di guarire i suoi pazienti fin dalla prima seduta. Se non ci riesce, dedica il suo tempo, fino al secondo incontro, ad esaminare come arrivarci». I transazionalisti rifiutano deliberatamente la terminologia psichiatrico-psicoanalitica; il linguaggio quotidiano che le contrappongono non manca di una sfumatura provocatoria. Pretendono che tutto il vocabolario tecnico dell’A.T. si restringa a 5-6 parole, assunte con significato particolare (Genitore, Adulto, Bambino, carezze, giochi, copione). Il vocabolario ristretto ed intuitivo intende servire a democratizzare la cura della salute psichica: tutti possono, almeno teoricamente, impadronirsene e acquisire le tecniche terapeutiche per diventare il medico di se stesso. La modestia con cui l’A.T. presenta se stessa è accattivante: semplice, povera, lontana dalle dispute accademiche, con l’unica pretesa di contribuire a diffondere il benessere psichico, sembra avere tutti i requisiti per diventare la psicoterapia dell’uomo della strada. Anche terapeuti che non hanno una formazione medica possono utilizzarla. Viene così infranto il monopolio medico dell’analisi. Della mentalità del paese d’origine, l’A.T. mostra tutte le caratteristiche salienti: l’empirismo e la ricerca di presa diretta sulla realtà, la partecipazione democratica e l’ottimismo circa le possibilità di cambiamento sia sociale che personale. Lo spirito americano è favorevole agli sforzi di automiglioramento. Li coltiva promettendo a tutti la possibilità di mobilità sociale verso l’alto e incentivando la responsabilità personale circa il proprio benessere.
Alcune delle caratteristiche sopra elencate non sono specifiche dell’A.T. Le ritroviamo anche nelle nuove psicoterapie di gruppo che, alla fine degli anni ’60, hanno preso piede in America, in particolare la Gestalt-therapy e le tecniche di derivazione behavioristica. L’entusiasmo per questi nuovi metodi è legato alle loro caratteristiche intrinseche che rispondono alle esigenze socio-culturali del momento. Non è neppure da trascurare il fatto che tanto il paziente che il terapeuta che usa queste tecniche ne ricavano una ricompensa immediata.
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Rispetto ai metodi tradizionali di trattamento, i nuovi procedimenti di gruppo incrementano una maggiore attività del terapeuta e del paziente, e la loro partecipazione ad esperienze emotive drammatiche e gratificanti. I terapeuti in generale sono contenti dei fondamenti concettuali, estremamente semplici, di questi metodi, si sentono a loro agio nel ruolo loro attribuito, e naturalmente il loro entusiasmo si ripercuote sulle reazioni favorevoli che suscitano nei pazienti 3. In una prospettiva più ampia, possiamo considerare l’A.T. in rapporto alle esigenze che sono confluite nel movimento della «psicologia umanistica». Quest’ultimo, presentandosi come «Terza forza», ha inteso prendere le distanze tanto dalla psicoanalisi quanto dalla psicologia comportamentistica. Alla psicoanalisi rimprovera di non tenere conto delle qualità positive dell’essere umano. Fortemente improntata dalla personalità del suo fondatore, la psicoanalisi ha fatto oggetto principale, se non unico, della sua attenzione il sintomo, il dolore, la diminuzione, lo storpiamento psichico. Manca in essa quell’approccio amico del corpo, della emozione e del comportamento espressivo che molti sono andati invece a cercare nei «gruppi di incontro» 4. Lo scontento nei confronti della psicologia behavioristica si alimenta alla sua ristrettezza antropologica. L’uomo è considerato come la vittima indifesa delle pressioni esercitate su di lui dall’ambiente; non gli si attribuisce il diritto di autodeterminarsi. Si riconoscono nel movimento della Psicologia umanistica quanti hanno a cuore l’uomo come essere che è in grado di formulare progetti, valutazioni, opzioni; che tende alla auto-realizzazione e alla creatività; determinato nel suo
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comportamento più dalle motivazioni che dalle pulsioni o rinforzi.
La Psicologia umanistica ha preso coscienza di sé come movimento appena una quindicina di anni fa 5. Attualmente è più un insieme di orientamenti che una teoria sistematica della personalità umana e della psicoterapia. Riconosce come suoi presupposti la filosofia dell'umanesimo rinascimentale, la fenomenologia e l’esistenzialismo europei, il liberalismo politico anglo-americano. Questi nobili ascendenti vanno piuttosto intesi in senso lato. L’esistenzialismo di cui qui si parla, per fare un esempio, è diverso da quello di Heidegger o di Sartre. Mentre i pensatori europei considerano una esistenza che trae il suo senso dall’ineluttabilità della morte, i contemporanei umanisti americani parlano di espansione dell’esperienza, di gioia, di pienezza del processo vitale. Secondo Korchin, si tratta di «un’americanizzazione dell’esistenzialismo europeo, che nel traversare l’Atlantico ha perduto alcune delle sue sfumature più tetre, per trasformarsi in una filosofia ottimista della crescita e dell’auto-perfezionamento» 6.
Le varie teorie psicologiche e metodi terapeutici che si riconoscono nella Psicologia umanistica condividono alcuni principi comuni: la persona umana va studiata come un tutto; le mete, i valori, le aspirazioni, il futuro contano più delle determinanti storiche ed ambientali; si devono valorizzare le qualità del comportamento che sono più propriamente umane, come la capacità di scelte, la creatività e l’auto-realizzazione. In prospettiva umanistica, la terapia consiste essenzialmente nell’incontro autentico tra due individui reali, per promuovere il passaggio ad uno stato di maggiore crescita.
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Dal momento che le persone davvero realizzate sono rare e che ciascuno ha la capacità di trovare maggiormente se stesso, l’indicazione psicoterapeutica diventa fluida: è di utilità tanto ai malati che ai «sani». La psicoterapia è finalizzata alla liberazione dell’energia bloccata, ad attuare il potenziale integrale della persona, a promuovere la crescita per vivere con piena consapevolezza le esperienze più significative. Sulla scia del human-potential movement, originariamente nato in California, migliaia di persone normali, desiderose di una maggiore crescita e maturazione personali, alla ricerca di un aiuto per arrivare al riconoscimento del proprio valore e alla fiducia in se stessi, hanno preso la strada della psicoterapia. Molte sono approdate ai gruppi di A.T. Non per caso: essa sembra tagliata su misura per rispondere a questo tipo di richiesta.
Non abbiamo certamente esaurito l’esplorazione delle ragioni che sembrano aver favorito il successo dell’A.T. Un teologo, Th. C. Oden, ha addirittura creduto opportuno di dover ricorrere alle affinità nascoste con la tradizione religiosa dell’Occidente 7. La fede implicita dell’A.T. si appoggerebbe su un quadro di riferimento antropologico ricalcato su quello cristiano. La problematica tipicamente religiosa della salvezza ritorna nella triplice scansione: malattia — terapia — salute (vale a dire: schiavitù — redenzione — libertà). Il processo terapeutico, sempre secondo Oden, interviene su una situazione umana di fondamentale decadenza, introducendovi una prospettiva di vita giusta, animata da un amore cosciente e responsabile. Ci sarebbe, dunque, un’anima religiosa nascosta dentro la secolarissima psicoterapia.
Abbiamo considerato le caratteristiche interne che fanno dell’A.T. uno strumento terapeutico adatto a una larga diffusione e la crescita della domanda sociale nei confronti di una psicoterapia che rispetti le esigenze messe a fuoco dalla
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Psicologia umanistica. Tutto ciò ci ha portato abbastanza lontano dalla psicoanalisi classica. Eppure già nella psicoanalisi stessa si erano evidenziati sviluppi teorici e pratici che ci aiutano a situare meglio una nuova creazione come l’A.T. Se in un primo momento questa psicoterapia sembra estranea alla psicoanalisi, a un esame più accurato risulta confluente in quel ramo della psicoanalisi conosciuto col nome di «Psicologia dell’io».
La riflessione sistematica sulle vicende della teoria psicoanalitica nei pochi decenni della sua esistenza ha messo in evidenza le fluttuazioni dialettiche del processo originario di Freud di sviluppare una psicologia generale. L’esplorazione dell’inconscio, attività tipica con cui la psicoanalisi è stata identificata, ha offuscato la considerazione globale dell’essere umano come soggetto psichico. Risultato di questo lavoro sull’inconscio è stata la demistificazione dell'immagine del soggetto reale. L’individuo non risponde alla figura ingenua di un «ego» centrato sull’«io» o sulla «coscienza»; il soggetto umano è decentrato: i determinanti decisivi del comportamento (le pulsioni) sono relegati nell’inconscio, mentre nella coscienza emergono solo gli epifenomeni e i determinanti apparenti (l’«io»). L’inconscio introduce nell’«autonomia» del soggetto una serie di istanze che lo spossessano dalla sicurezza soggettiva. Il soggetto non è più di fronte all’esteriorità del mondo, è anche di fronte a se stesso; deve ammettere la determinazione multipla del proprio comportamento, la sua fondamentale eteronomia. Il forte impatto, emotivo oltre che intellettuale, di queste scoperte ha fatto perdere di vista che nel programma della psicoanalisi era iscritta l’esplorazione di tutte le strutture psichiche, vale a dire anche dell’io e del Super-Io, oltre che dell’Es. Per lungo tempo, secondo l’autorevole ricostruzione storico-teoretica fatta da Rapaport 8, l’esplorazione dell’io parve soltanto un programma
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per il futuro. Freud ritardò questo studio in quanto considerava primo compito l’esplorazione dell’inconscio. Tuttavia risalgono a lui anche i primi elementi di questo nuovo capitolo della psicoanalisi. Gli storici del pensiero di Freud mettono in risalto, nel periodo che va dal 1922 alla sua morte, l’interesse per l’io come codeterminante, sia esso conscio o meno, del comportamento; in particolare con l’opera «Inibizione, sintomo e angoscia» del 1925, in cui è già tentata un’esplicita concettualizzazione dell’io. Questa fase del programma sarà realizzata pienamente dalla corrente psicoanalitica nota come «Psicologia dell’io». I rappresentanti più in vista della tendenza sono Heinz Hartmann, Ernst Kris, David Rapaport e Anna Freud. La teoria sviluppa lo schema strutturale della psiche già proposto da Freud negli anni ’20 per rendere conto dei conflitti intrapsichici. L’Io viene opposto all’Es (sistema inconscio di esigenze pulsionali) e al Super-Io (sistema di esigenze normative ugualmente inconsce). Nell’opera «L’Io e l’Es» (1922) Freud attribuiva all’io un aspetto di mediazione. Lo descriveva come «sottomesso ad una triplice schiavitù e perciò minacciato da tre sorta di pericoli: quello che viene dal mondo esterno, quello della libido dell’Es e quello della severità del Super-Io». L’Io freudiano è dunque un «essere di frontiera», un sistema di scelta e di rifiuto, grazie al quale il soggetto si riconosce come un’individualità coerente ed autonoma. Gli psicologi dell’io hanno privilegiato proprio questa struttura psichica, con il suo duplice compito di adattarsi alle esigenze della realtà esterna e di dominare i conflitti interni.
Dal punto di vista teorico emerge l’importanza accordata ai compiti di adattamento alla realtà e all’analisi dei sistemi difensivi rispetto alle pulsioni. Ben più rilevanti sono le incidenze sulla tecnica terapeutica e la trasformazione del modo stesso di concepire la natura e la funzione della psicoterapia.
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Dal momento che c’è un Io che dipende dall’autonomia della coscienza e un Io che dipende dall’eteronomia pulsionale, alla psicoanalisi si attribuisce la funzione di rafforzare il primo Io e di neutralizzare il secondo. La psicoterapia diventa così una specie di educazione dell’io, in modo che si sottragga alle tre minacce — della realtà, della libido e della rigidità morale — individuate da Freud. E così la psicoanalisi è snaturata!, affermano coloro che si oppongono a questo sviluppo della psicoanalisi. Invece di mettersi all’ascolto dei desideri incoscienti e di favorire la liberazione dell’energia pulsionale repressa, lo psicoanalista diventa un’istanza di adattamento alla realtà stabilita, un garante dell’integrità del corpo sociale, una funzione repressiva sotto un’apparenza illuminata. Porre l’attività dell’io al centro della terapia ha portato a un tradimento revisionistico dell’ispirazione originaria della psicoanalisi, protestano i critici radicali; a un ampliamento nello spirito del progetto iniziale, affermano i sostenitori. La prima tendenza è rappresentata soprattutto dagli esponenti della «teoria critica»: la scuola sociologica di Francoforte e Marcuse in particolare. A Freud, con tutto il suo biologismo di impronta ottocentesca, essi riconoscono il merito di minare alla base una delle fortificazioni ideologiche più solide della civiltà moderna: l’idea dell’individuo autonomo. Riconducendo il fuoco dell’attenzione sulla determinazione sociale del comportamento, gli psicoanalisti di orientamento sociale — Adler, Sullivan, Horney, Kardiner — avrebbero addomesticato l’opera rivoluzionaria di Freud, considerato come un pensatore non ideologo e teorico delle contraddizioni. «La grandezza di Freud — ha scritto Adorno intervenendo contro i revisionisti in psicoanalisi — consiste nel fatto che, come tutti i grandi pensatori borghesi, ha lasciato che queste contraddizioni si conservassero irrisolte, ed ha disdegnato di affermare una pretesa armonia dove la cosa stessa è contraddittoria. Ha mostrato il carattere antagonistico della realtà sociale».
I critici radicali accusano gli psicoanalisti dissidenti di
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aver trascurato l’esistenza e la natura delle pulsioni, di sottolineare le esigenze ambientali, e pertanto di rinforzare la censura e il Super-Io. È stato rimproverato a questi terapeuti di «prendere le parti della società contro il paziente» 9. Un passo ulteriore nel senso del conformismo sarebbe stato fatto dagli sviluppi della psicologia dell’io. Questa ha distaccato l’io, o parte dell’io, dall’inconscio e dalle pulsioni libidiche; ha privilegiato la sfera dell’io «libera da conflitti». Le conseguenze non sono solo visibili sul piano della teoria, ma anche su quello della pratica terapeutica. Il fine della terapia diventa l’adattamento: «aiutare gli uomini a raggiungere una sintesi e un rapporto con l’ambiente che funzionino meglio», per esprimersi con le parole di H. Hartmann.
Non sempre tuttavia si può accusare l’analisi di orientamento psicosociale di collusione con la società repressiva. Altri dissidenti hanno considerato la società come responsabile dei disturbi dell’uomo e si sono schierati dalla parte dell’individuo contro la società. È questa l’aria che si respira tra le fila dei freudiani di sinistra, come Laing e Cooper: bisogna cambiare la società, in modo che non causi più danno all’individuo.
Non è questa la sede per seguire gli sviluppi di un dibattito culturale che si pone al crocevia delle più cruciali questioni sull’uomo e la società. Tanto il punto di vista critico-sociale quanto quello psicologico-individuale sono legittimi, in quanto tentativi di far luce sul nodo che lega l’individuo alla compagine sociale. Il pericolo è insito solo nelle estremizzazioni, come per esempio nell’alternativa: psicoterapia o rivoluzione. L’A.T., in quanto psicoterapia che si situa sulla parabola evolutiva che conduce verso l’integrazione organica dell’analisi alla vita dell’uomo contemporaneo, non può dispensarsi dal riflettere al grave interrogativo che le viene posto: a quale tipo di società riadatta l’individuo? Se la psicoterapia
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non vuol diventare una valvola di scarico del malessere della civilizzazione, deve essere cosciente del pericolo di manipolazione culturale delle persone connesso col suo uso. Un pericolo che è tanto più grande per una psicoterapia a larga diffusione come l’A.T.
3. Le applicazioni dell’A.T.
Nata come tecnica terapeutica per la cura delle malattie mentali, l’A.T. ha dimostrato ben presto la sua utilità anche al di fuori del campo strettamente terapeutico. Si è cominciato ad applicarla ai cosiddetti special fields, cioè a particolari settori dell’esistenza quotidiana in cui si è confrontati a problemi di tipo relazionale: il rapporto educativo nella scuola, quello sanitario negli ospedali, le grandi organizzazioni. Per avere un’idea di questo tipo di applicazioni, prendiamo il settore delle imprese. Uno dei primi tentativi è quello di Jut Meininger col suo Success through Transactional Analysis 10. Le promesse fatte al manager che si impadronirà dello strumento transazionale sono seducenti: non solo verrà a capo dei problemi che può avere con altre persone, ma acquisterà abilità nel ricevere informazioni, stabilire priorità, prendere decisioni adeguate alle situazioni. I concetti chiave dell’A.T. vengono passati successivamente in rassegna: gli stati dell’io, i giochi, il copione di vita, i comportamenti ripetitivi. Di ciascuno si esplicitano le conseguenze nella vita quotidiana di un’impresa. Si vuol offrire un aiuto a strutturare le azioni-reazioni in modo che coincidano con le intenzioni consce. Il manager impara attraverso l’A.T. come aiutare attivamente un collaboratore a raggiungere una posizione più produttiva e positiva (ci sono troppe persone ―
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— avverte Meininger — che partecipano alla vita commerciale con copioni che esigono di lavorare senza successo).
Il «campo speciale» di applicazione che costituisce l’oggetto diretto del nostro interessamento è quello della pastorale o «teologia pratica», per usare il termine più corrente in ambito evangelico. Anche in questo settore l’A.T. si è imposta all’attenzione, suscitando un interesse che non accenna a diminuire. Dal punto di vista bibliografico le opere di maggior rilievo sono quelle di Muriel James. Discepola di Eric Berne e di Fritz Perls, fondatore della terapia della Gestalt, ha tentato un’integrazione dei due approcci; con il best-seller Born to win, venduto a milioni di copie, ha contribuito come pochi alla più larga diffusione dell’A.T. La stessa M. James ha tentato successivamente, con il volume Born to love, un’applicazione dell’A.T. alla vita ecclesiale 11. La sua prospettiva in questo libro è esplicitamente pratica: vuol applicare i principi validi per l’educazione degli adulti anche al campo delle credenze religiose. Con le sue stesse parole: «Ci sono due vie fondamentali per influenzare gli altri: l’uso della propaganda o l’uso dell’educazione. Alcuni genitori, maestri e chiese sono propagandisti e impongono arbitrariamente le loro opinioni e atteggiamenti agli altri. Altri genitori, maestri e chiese sono educatori e non cercano di usare pressioni o coercizioni sulla gente. Offrono al contrario altre possibilità fornendo un quadro in cui si possa pensare e agire in libertà». Il suo interesse va quindi a una comunità di fede in cui l’istinto innato alla comunione possa realizzarsi, senza che ne faccia le spese il diritto alla libertà personale. Nell’A.T. vede un approccio razionale che spiega chi sono le persone e perché si comportano in un determinato modo. È uno strumento che aiuta a risolvere i problemi individuali e di relazione interpersonale senza ricorrere
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alla manipolazione, nel pieno rispetto della personalità propria e altrui. I possibili usi dell’A.T. in Born to love riguardano l’assistenza pastorale («pastoral counseling»), le situazioni in cui nei gruppi si sviluppa una dinamica interpersonale, prediche o conferenze con partecipazione attiva.
In un libro successivo la James, in collaborazione con L.M. Savary, ha esteso ulteriormente l’applicazione dell’A.T. in campo religioso. Mentre in Born to love ricorre all’A.T. come a uno strumento utile per capire la dinamica tra le persone in una comunità e per aiutare a rapportarsi gli uni agli altri col dialogo, nell’opera successiva, The power at the bottom of the well, si rivolge a persone che cercano un mezzo per chiarire la loro esperienza religiosa 12. «Siamo molto complessi. Esperienze e reazioni religiose servono a complicarci ancora di più. Da questo punto di vista la capacità dell’A.T. di semplificare le cose costituisce un vantaggio rispetto ad altre teorie più complicate. Anche se l’A.T. non è la Parola del Signore, può aiutare a chiarificare la Parola; e questa è un’esperienza utile, eccitante e gioiosa». Su questa base il libro fornisce una quantità di spunti per verificare come gli stati dell’io possano influenzare le idee teologiche e le stesse esperienze religiose trascendenti; come i modi di vivere la fede siano diversi a seconda della scelta esistenziale prevalente (divulgata come «posizione OK» e
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«non OK»); come il modo di pregare e di leggere la Bibbia sia condizionato dalla personalità di ognuno. I libri della James abbondano di indicazioni pratiche, esercizi individuali e di gruppo, spunti per l’applicazione. La riflessione sistematica sul rapporto tra A.T. e cristianesimo è appena abbozzata nel capitolo finale di Born to love. Vi si prospetta addirittura «una teologia transazionale»; in pratica si riduce a un’assunzione teologica di fondo: l’amore incondizionato di Dio per ogni essere umano, al quale Dio ripete, nel più «Intimo Nucleo» della personalità: «Tu sei OK».
L’esame della letteratura esistente ci conferma che qualsiasi bilancio dell’applicazione dell’A.T. al campo religioso è prematuro. È ancora tempo di esplorazione e di sperimentazione. Possiamo per ora intravvedere solo alcune linee di tendenza. C’è una consonanza di fondo che dovrà essere sempre più esplicitata. L’A.T. si presenta come una strategia terapeutica che si propone di trattare la sfera interpersonale nel suo insieme. La sua meta è di condurre l’individuo all’autonomia, sviluppando in lui tre capacità: la coscienza, la spontaneità e l’intimità. La coscienza comincia col contatto col «qui e ora» e implica il potere di governare se stesso, di assumere la responsabilità delle proprie azioni, di sbarazzarsi di comportamenti dannosi e inutili. La spontaneità è la condizione psichica dell’uomo che cessa di difendersi dalla realtà con difese patologiche: la riconosce e l’accetta, ritrovando così il coraggio di esistere alla luce della verità. L’intimità, quale fine autentico dell’incontro personale, comporta la capacità di amare con la mente e con il sentimento, di interagire in modo da incoraggiare la vicinanza, nello scambio di calore e tenerezza. Questo ritratto ideale della personalità felicemente realizzata contiene tutti i tratti dell’autentico credente. Basterebbe, per convincersene, rileggere le pagine della «Redemptor Hominis» dedicate alla dimensione umana del mistero della salvezza.
Psicoterapia e religione non procedono solo parallelamente verso una stessa meta antropologica. Possono svolgere
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anche un servizio reciproco di «correzione fraterna». L’A.T. può aiutare a discernere la qualità dell’aggregazione religiosa. Ci sono persone che perseguono per tutta la vita l’aspirazione dell’infanzia di avere sopra di sé una persona onnipotente che faccia da guida e dia assoluta sicurezza; altre che organizzano le transazioni interpersonali in modo da rafforzare il ruolo drammatico — di Salvatore, Persecutore o Vittima — con cui si sono identificati. Per queste persone la vita religiosa è piena di insidie; può condurli per un cammino di progressiva alienazione, invece che di autorealizzazione. D’altra parte, la psicoterapia può ricevere un indubbio beneficio dalla critica che le viene dalla religione. Ciò vale soprattutto per ciò che riguarda il quadro di riferimento antropologico. L’A.T. non è stata la sola tra le psicoterapie a pretendere di stabilire i valori per l’uomo universale. La critica sociologica è in grado di mostrare che i sistemi di valori promossi dalla «sottocultura terapeutica» hanno un orientamento di classe (l’A.T., in particolare, sembra tagliata su misura per gli strati superiori della classe media americana). La critica religiosa può denunciare i tentativi di decurtamento antropologico: la rinuncia a capire la condizione umana a partire dalla storicità; la sottovalutazione della trascendenza e della positiva dialettica che esiste tra il bene e il male; l’inclinazione all’edonismo; l’obnubilazione pratica delle esigenze morali. Sono capitoli che saranno scritti nei tempi, che si annunciano già prossimi, in cui teologi e psico-terapeuti cesseranno di guardarsi con diffidenza o di ignorarsi, per iniziare un dialogo sull’argomento centrale dei rispettivi interessi: l’uomo sano e felice.
BIBLIOGRAFIA SULL’A.T.
Opere di E. Berne, in traduzione italiana:
― Analisi Transazionale e psicoterapia, Ed. Astrolabio
― A che gioco giochiamo, Ed. Bompiani
― Ciao e poi?, Ed. Bompiani
Altre opere di E. Berne:
― Principles of group treatement, Grove Press
― The structure and dynamics of organizations and groups, J.B. Lippincott
Letteratura sussidiaria:
Th. A. Harris, Io sono OK, tu sei OK, Ed. Rizzoli (guida pratica all’A.T., a carattere divulgativo).
M. James - D. Jongeward, Born to win, Addison-Wesley (l’A.T. integrata con esercizi di Gestalt-therapy).
AA.VV., Techniques in Transactional Analysis, Addison-Wesley (manuale per psicoterapeuti e consulenti).
C. Steiner, Games Alcoholics play. The analysis of life scripts, Grove Press (l’opera che ha segnato un progresso nell’analisi del «copione di vita»).
Riviste:
Transactional Analysis Journal (la rivista ufficiale dell’Assoc. Intern. di A.T.).
Actualités en Analyse Transactionnelle (pubblicata dal gruppo belga di A.T.; riproduce i migliori articoli del TAJ).
NOTE
1 Una buona visione d’insieme nell’opera di D. Wyss, Die tiefpsychologischen Schulen von den Anfängen bis zur Gegenwart, Göttingen 1977. Suddivide le scuole di psicologia del profondo secondo l’orientamento ideale all’epistemologia propria delle scienze della natura (Freud) o alla filosofia (Jung, Binswanger e alcuni neo-analisti).
2 M. James - L.M. Savary, The power at the bottom of the well. T. A. and religious experience, New York 1974, pp. 3-5.
3 Vedi le osservazioni sulle nuove tecniche di gruppo nell’opera a cura di C.J. Sager - H.S. Kaplan, Progress in group and family therapy, New York 1972.
4 Cfr. A. Burton, «Encounter, Existence and Psychotherapy», in A. Burton (a cura), Encounter, San Francisco 1969.
5 Sulla psicologia umanistica: C. Bühler - M. Allen, Introduzione alla psicologia umanistica, tr. ital. Roma 1976; cfr. anche A. Maslow, Verso una psicologia dell’essere, tr. ital. Roma 1971.
6 S.J. Korchin, Psicologia clinica moderna, tr. ital. Roma 1977, p. 618.
7 Th. C. Oden, Game free. A guide to the meaning of intimacy, New York 1974.
8 D. Rapaport, Struttura della teoria psicoanalitica, tr. ital. Torino 1969, p. 151 ss.; cfr. anche H. Hartmann, «Evoluzione del concetto dell’io in Freud», in H. Hartmann, Saggi sulla psicologia dell'io, tr. ital. Torino 1976, pp. 287-317.
9 Cfr. R. Jacoby, L'amnesia sociale, tr. ital. Milano 1978.
10 J. Meininger, Success Trough Transactional Analysis, New York 1974.
11 M. James, Born to love. Transactional Analysis in the Church, Addison-Wesley 1973.
12 M. James - L.M. Savary. The power at the bottom…, cit. Da segnalare anche, nella stessa direzione, R. Haughton, The liberated heart. T.A. in religious experience, New York 1974: intende scoprire le strade per le quali lo sviluppo religioso conduce alla crescita verso la pienezza, per distinguerle da quelle in cui lo sviluppo religioso si arresta per tramutarsi in bigottismo, evasione dalle responsabilità o pretesto per l’odio e la crudeltà. Riguardo al rapporto tra A.T. e religione, precisa: «L’argomento trascende lo strumento. L’A.T. non ci condurrà in cielo, né porterà la pace nel mondo e neppure in una famiglia; ma ci mostra che cosa possiamo fare e che cosa non possiamo fare».