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- Paternità/Maternità e le sfide della bioetica
- Maschio e femmina: dall'uguaglianza alla reciprocità
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- La coppia e la complicità
Angelo Peluso
La coppia e la complicità
Presentazione di Sandro Spinsanti
Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo 1999
pp. 5-8
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PRESENTAZIONE
Chi si occupa per mestiere della coppia — come Angelo Peluso, che da anni offre consulenza a partner mal assortiti e problematici, per i quali lo stare assieme non e più un piacere — deve necessariamente farsi un’idea di vita amorosa sana e funzionante: un modello forse da tenere per sé, soprattutto da non imporre agli altri, sottraendosi così alla sottile tentazione di prevaricare, che è il rischio professionale di chi offre aiuto su richiesta. Il modello al quale si orienta Peluso viene nondimeno alla luce dalla definizione che egli stesso fornisce di “salute sessuale”, là dove ne parla come della capacità di costruire relazioni affettive basate sulla complicità, l’intimità e l’alleanza, nel rispetto della propria e dell’altrui personalità, nell’accettazione di precisi e chiari valori di riferimento, nel vivere con maturità le fasi evolutive della vita e della sessualità, nel pieno rispetto e nella tolleranza delle diversità, da quella ideologica a quella sessuale”.
In questa elaborata descrizione, tre parole attireranno l’attenzione del lettore. La prima è alleanza: la buona coppia è quella che sa modellare i rapporti fra i partner come un’alleanza. Il pensiero non corre qui agli accordi politici o commerciali, con cui le parti contraenti
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si impegnano a comportarsi in un modo concordato, a vantaggio reciproco. L’alleanza ci guida più in alto: Peluso e troppo immerso nel mondo concettuale religioso (lo dimostrano gli autori che cita e i tanti altri, ancor più numerosi, del cui pensiero si è nutrito) per non essere consapevole che l’alleanza è categoria propria del mondo biblico. È infatti il patto sacro che lega Dio e il suo popolo, vincolandoli a un’appartenenza reciproca. Come tale, essa crea un organismo nuovo, diverso dagli accordi strategici mediante i quali individui o gruppi difendono i propri interessi; di più: essa unisce l’invisibile e il visibile, il cielo e la terra, l’onnipotenza e l’impotenza. È questo spessore che i credenti attribuiscono al matrimonio quando lo considerano un segno sacro: sacramento, appunto. Un terapeuta della coppia come Peluso, che non è pastore né teologo, si guarda bene dal creare la minima confusione di ruoli: tiene le sue convinzioni relative alla sacralità del matrimonio opportunamente in ombra, senza potersi tuttavia impedire che siano presenti e rendano percepibile il fascino di un modello alto — addirittura divino — a cui ispirare la propria capacità di amare.
La seconda parola-chiave è intimità. A scanso di equivoci, diciamo subito che il rapporto intimo di cui qui è questione non ha come protagonista la pelle; l’intimità che fornisce la piena misura della salute della coppia è molto più profonda di quella esposizione reciproca di epidermidi necessaria per avere “rapporti intimi”. Il modello personalista al quale Peluso si ispira fa coincidere l’intimità con il disvelarsi, in una comunione reciproca, di ciò che costituisce la preziosa unicità della persona. Le coscienze umane sono costruite con la possibilità di una meravigliosa reciprocità (il filosofo personalista Gabriel Marcel ha coniato in proposito l’espressione
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“reciprocità delle coscienze”), ma raramente tale profondità è raggiunta: si possono avere “rapporti intimi” senza sfiorare l’intimità della persona. E una porta, questa, che si apre solo dall’interno: cercare di forzarla produce l’effetto di una chiusura più ermetica. È constatazione quotidiana: la liberalizzazione dei costumi non ha portato a una maggiore intimità fra le persone. Per tale motivo — osserva Peluso come terapeuta e sessuologo — c'è tanto malessere nelle coppie, malgrado sia finita l’epoca dei tabù sessuali.
Il terzo modello che sintetizza la salute della coppia — la complicità — deve avere un significato particolare, se l’autore l’ha scelto per affidargli il compito, fin dal titolo del libro, di guidare i lettori nei sentieri di un buon rapporto di coppia. La complicità viene loro incontro con aria più rassicurante: non intimidisce, come l’alleanza, con l’aura del sacro; non aggrava con le responsabilità connesse con l’etica personalistica. Infatti non si tratta di essere complici in qualcosa di losco, ma dell’intesa che è indispensabile per condurre insieme un gioco, forse anche dell’aiuto reciproco necessario a farsi beffe di tutto ciò che minaccia un progetto di lunga durata per la coppia. Perché, oggi, una coppia stabile è insidiata da tutte le parti, quando l’esperienza ci mostra la fragilità di tante unioni nate sotto i migliori auspici, e i modelli che vengono proposti dai mass media privilegiano il fatuo scomporsi e ricomporsi di coppie che hanno conquistato il palcoscenico. “Complicità” equivale a un ottimistico: “Noi speriamo che ce la caviamo”...
Da un terapeuta della coppia ci si aspetta un aiuto perché il desiderio di “cavarsela” si traduca in realtà. Ciò che Peluso offre ai suoi lettori è la possibilità di identificarsi con una delle innumerevoli situazioni di coppie in difficoltà che sono sfilate nel consultorio da
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lui diretto: dunque, leggere il suo libro è quasi una terapia per procura. Tanto più che i protagonisti, lungi dal presentarsi ingessati in “storie cliniche”, si fanno avanti con fresca immediatezza, nello stesso modo in cui — in situazioni confidenziali — siamo soliti parlare delle storie di coppie e di famiglie che conosciamo: quando non ci sentiamo professionisti autorizzati a classificare e valutare i comportamenti, ma esseri umani che vogliono partecipare, con l’intelligenza e con il cuore, in forza della comune umanità. Raccontiamo, e ci lasciamo raccontare, storie di coppie perché le sentiamo tessere di un mosaico di cui tutti siamo parte e, specchiandoci in loro, vogliamo trarre ispirazione per svolgere meglio il nostro compito. Forse anche questo coinvolgimento si può chiamare “complicità”... Almeno nel senso in cui è vera l’affermazione di Gandhi: «Noi dobbiamo essere il cambiamento che vogliamo vedere nel mondo».