L’educazione fisica non basta

Sandro Spinsanti

L'educazione fisica non basta

in Etica per le professioni

anno IV, n. 2, 2002, pp. 25-30

25

L'EDUCAZIONE FISICA NON BASTA

La ginnastica tradizionale si proponeva di "educare" il corpo, separando il fisico dallo psichico. Ma il corpo non è una parte, è l'essere umano nella sua totalità.

Nella riflessione filosofica contemporanea sulla corporeità ― in particolare in quella fenomenologica ed esistenzialista ― sono emersi tutti i temi essenziali della nuova coscienza del corpo propri della cultura occidentale: l'apertura del soggetto al mondo in virtù del corpo che esso vive; l'inerenza della coscienza al proprio corpo; la concordanza tra la percezione che il mio corpo ha di sé stesso e l'esperienza percettiva dell'oggetto esterno; la connessione tra l'esservi di un mondo percepito in comune e la compresenza dei soggetti.

Tutto parte dal corpo

Per oltrepassare l'alternativa del per-sé e dell'in-sé, è necessario partire dalla struttura del comportamento. In questa esperienza il corpo proprio (nel senso di Leib, o corpo animato: la realtà psico-fisica avente la particolarità di essere vissuta come "mia") viene a formare un terzo genere tra il puro soggetto e l'oggetto, (ovvero il corpo come Körper).

Questa esperienza vissuta del proprio corpo non ha nulla a che vedere col "pensiero del corpo", o con l'"idea del corpo" che ci formiamo per riflessione attraverso la distinzione del soggetto e dell'oggetto. Il corpo vissuto non è solo il nostro modo di far attivamente presa sul mondo; è anche la nostra possibilità di esserne partecipi e di abitarlo: «Sia che si tratti del corpo altrui, sia che si tratti del mio, ― ha scritto Maurice Merlau-Ponty ― non ho altro modo di conoscere il corpo umano che viverlo, cioè assumere sul mio conto il dramma che mi attraversa e confondermi con esso».

La riduzione, così caratteristica della filosofia

26

contemporanea, del corpo a un comportamento ― o a un modo d'essere vissuto ― ha gettato nuova luce sulla sfera dei fenomeni in cui il corpo consiste.

La riduzione non è riduzionismo. Tutt'altro: il corpo è corpo, ma il corpo supera il corpo; è più di sé stesso. È carico di un significato che ne fa una cifra della totalità della persona.

Il ritorno all'immediatezza del corpo, così come ci viene posto dalla severa riflessione del pensiero fenomenologico, mobilita gli animi più di qualsiasi programma ideologico. Le pratiche corporee recenti, che contraddistinguono in modo così vistoso la fisionomia della nostra civilizzazione, realizzano un ritorno al corpo sui generis. La categoria più esplicativa di ciò che si sta svolgendo sotto gli occhi sembra essere quella del "narcisismo". Esso fornisce in misura crescente una figura della società post-moderna, perché intimamente legato ai dispositivi permeanti che nella nostra società muovono cose e persone. Secondo lo psico-sociologo C. Lasch, il concetto di narcisismo ci offre un ritratto sufficientemente esatto della personalità "liberata" del nostro tempo. È come se stesse prendendo forma un nuovo stadio dell'individualismo 1.

Il tratto fondamentale di questo narcisismo è il ritorno su di sé. In questo ripiegamento vengono investite le energie altrimenti canalizzate nei trascendimenti di tipo politico o sociale. È un tuffo nell'interiorità, che sceglie di fare del corpo il solo "luogo dell'avventura" 2.

L'appoggiarsi alla coscienza corporea non fornisce solo una risorsa intima di durata e di certezza, ma è ricercato come via di liberazione: «Chiunque voi siate, se volete trasformarvi cominciate dal vostro corpo» 3. È come se le resistenze al cambiamento situate nell'inafferrabile inconscio diventassero finalmente disponibili a una presa corporea.

Ma è reale o illusoria tale riacquistata padronanza del corpo? Il ritorno su di sé, all'immediatezza del corpo, è una figura sociale; le norme continuano a esistere, anche se non sempre mostrano palesemente la loro natura nell'abile rivestimento. "Narcisismo diretto", lo ha chiamato Baudrillard. Il narcisismo non è una forza egualitaria, che livella le differenze. Le avventure della coscienza corporea sono anch'esse un modo per sottolineare le distanze. Queste pratiche psicologizzate fanno risaltare differenziazioni che sono sociali. L'inflazione del corpo resta un fenomeno che coinvolge le classi medie, installate in un "io" sempre più appropriato, ma senza poter sfuggire alle sollecitazioni di mode e interessi che hanno il loro centro altrove.

Ascesi o divertimento?

Le pratiche tendenti a disciplinare il corpo, a fini religiosi o educativi, sembrano aver perso diritto di cittadinanza nell'àmbito culturale che vive dell'eredità della cristianità. Hanno bisogno di una nuova fondazione, dopo che l'ascetica, tradizionalmente elemento integrante della vita religiosa, è stata messa in crisi di diritto e di fatto.

L'ascesi, sia quando ricorre a metodi fisici, sia quando si risolve in esercitazione spirituale delle facoltà superiori dell'uomo, presuppone una negazione della vita "normale" e comune. La pratica ascetica rifiuta essenzialmente di accettare

27

la realtà così com'è. Concepisce l'uomo come dotato di energie fisiche o di poteri spirituali che, sottoposti a regolari training, gli consentono di accedere a un'esperienza di corporeità superiore, ovvero di salire a un livello di maggiore perfezione (virtù, santità). Proprio questo modello antropologico, fondamentalmente evolutivo e ottimista, si rivela problematico per la sensibilità moderna ed è sottoposto a critica.

La diffidenza verso l'ascesi corporea si è insinuata anche presso quegli aggregati religiosi che l'avevano tradizionalmente privilegiata. All'interno del cattolicesimo è penetrata la riserva protestante nei confronti delle opere di penitenza, indiziate di corrompere il senso autentico della salvezza per grazia. Contemporaneamente anche il modello secolarizzato dell'ascesi si è sgretolato. Intendiamo riferirci all'ideale dell'autocontrollo, che costituiva un pilastro dell'educazione impartita fino a un recente passato.

Non cedere agli istinti, moderare i desideri, saper dilazionare le gratificazioni, non far trapelare le proprie emozioni, tenere il corpo sotto controllo: tutto ciò era considerato una meta aspirativa da trasmettere nel processo educativo.

Mentre in àmbito religioso l'autocontrollo riceveva facilmente una colorazione ascetico-spirituale, nella prospettiva secolare era apprezzato in sé e per sé, come strumento di formazione della personalità virile.

Oggi gli educatori sono diventati reticenti circa l'autocontrollo. Forse perché la nostra civiltà è più edonistica e tende a considerare come valore l'appagamento dei desideri, piuttosto che la loro repressione? È diventato molto arduo convincere qualcuno, in particolare i giovani, a rinunciare a qualcosa che si presenta come piacevole. Siamo tutti, in qualche modo, figli della civiltà dei consumi, legati ad essa per il bene e per il male.

Se cessiamo di desiderare ― prodotti sempre nuovi, a un ritmo sempre più accelerato ― la macchina si inceppa: le merci non sarebbero richieste, la produzione ristagnerebbe. L'autocontrollo ascetico di colui che si priva del superfluo, e magari tende a restringere anche i limiti dell'indispensabile, rischia di apparire come un comportamento anti-sociale.

Le pratiche tendenti a disciplinare il corpo sembrano aver perso diritto di cittadinanza. L'autocontrollo ascetico rischia di apparire una pratica antisociale.

La fame di esperienza che oggi induce a rifiutare ogni forma di autocontrollo, specialmente quello proposto in nome di una supremazia della volontà e dello spirito sulla parte corporea-istintuale, nasce dal sospetto che non facciamo che perpetuare una visione distorta della realtà, perdendo così gli aspetti più belli del mondo come si apre all'esperienza umana.

Dominare o essere dominati dal corpo? L'alternativa è falsa, e si fonda su una dicotomia implicita, che ci induce a identificarci o con l'intelletto/volontà, o con il corpo, disintegrando così l'organismo totale. C'è disciplina e disciplina. Ce n'è g una finalizzata a mantenere il predominio di una parte sull'altra, infrangendo *§ l'unità originaria; e c'è una disciplina

28

volta a ottenere uno stato di sana spontaneità.

Per salvare la genuinità dell'essere umano è richiesta la massima disciplina: è quella necessaria per rimanere fedeli alla totalità, rifiutando la dialettica del predominio della parzialità. Questa è la visione antropologica del Vaticano II, riconducibile al compito morale di sforzarsi per il retto ordine: «Unità di anima e di corpo, l'uomo sintetizza in sé, per la stessa sua condizione corporale, gli elementi del mondo materiale, così che questi attraverso di lui toccano il loro vertice e prendono voce per lodare in libertà il Creatore (cfr. Dn 3,57-90). Allora non è lecito all'uomo disprezzare la vita corporale; egli anzi è tenuto a considerare buono e degno di onore il proprio corpo, appunto perché creato da Dio e destinato alla resurrezione nell'ultimo giorno. E tuttavia ferito dal peccato l'uomo sperimenta la ribellione del corpo. Perciò è la dignità stessa dell'uomo che postula che egli glorifichi Dio nel proprio corpo (cfr. Cor. 6,13-20), e che non permette che esso si renda schiavo delle perverse inclinazioni del cuore» (cfr. Gaudium et spes, 14).

Possiamo assumere questa posizione ― tradizionale e insieme innovativa ― come base dottrinale per la reinvenzione di una disciplina del corpo, che non sia mutilante dal punto di vista antropologico.

Educarsi attraverso il corpo

Nessun progetto pedagogico esclude il corpo dal progetto educativo. Quello che varia, invece, è il modello antropologico sottostante, cosicché la funzione del corpo nell'educazione può essere intesa in modi diversi, anche diametralmente opposti. Per riferirci a modelli storici estremi, pensiamo alla paideia greca, mirante alla celebrazione della forma atletica del corpo come epifania del divino, e alla pedagogia prussiana, il cui scopo sembrava essere l'eliminazione di tutto ciò che nel corpo evoca spontaneità e naturalezza.

L'educazione fisica che è entrata nelle nostre scuole era modellata su una concezione antropologica che non è più in armonia con il modo in cui oggi viviamo il corpo. Predominava una fisiologia a servizio di una morale volontaristica, rivolta a sviluppare la tenacia e la forza di volontà: «essere forte per essere utile» 4. Si ricercava la robustezza per una finalità trascendente e morale.

La priorità data all'elemento mentale-intellettuale era tipica di un'epoca in cui l'uomo si identificava con la propria parte pensante e affidava all'intelletto la leadership sopra la parte animale. La ginnastica tradizionale si preoccupava di "educare" il corpo; ciò che la pedagogia contemporanea rivendica è un educarsi attraverso il corpo.

Il corpo non è una parte da educare: è l'essere umano nella sua totalità, per cui l'educazione del corpo e l'educazione dell'uomo coincidono nella finalità. L'educazione corporea è una via del processo educativo, che in sé stesso non può non mirare a una integrazione tanto della sfera conscia come di quella inconscia della vita mentale. La svolta è così radicale che alcuni fautori della nuova educazione corporea parlano polemicamente di "antiginnastica".

La critica più vivace all'educazione corporea tradizionale, e all'educazione fisica

29

in particolare, è venuta dall'approccio psicocinetico. Rifiutando risolutamente di promuovere l'educazione fisica a fini strumentali di vario genere, la psicocinetica pretende di collocarsi in modo originale nel novero delle scienze umane, anzi di costruire una vera e propria "scienza del movimento umano".

Si oppone a una visione parcellizzata, quale quella di una fisiologia che spieghi solo la meccanica del gesto o di una psicologia che si limiti a cercarne la motivazione. Con l'ausilio di esercizi corporei ― e utilizzando costantemente la respirazione quale supporto energetico e prototipo di un movimento continuo che coordina il corpo e la persona ― mira a ritrovare la totalità corpo-spirito dell'individuo.

Nell'educazione psicomotoria l'attenzione è spostata dall'esercizio all'allievo. Oltre a condurlo, attraverso il corpo, a prendere coscienza di sé, agisce sul movimento per giungere all'essere sociale (educazione alla socializzazione), e alla piena consapevolezza della comunicazione tanto verbale che non verbale. L'educazione fisica in questo contesto non è più vista come un insegnamento tecnico-pratico.

Il mutamento di atteggiamento e di abitudini corporee è perseguito in quanto, attraverso questo, si modifica il comportamento globale di un soggetto. L'approccio psicocinetico favorisce una Umwertung der Werte, un capovolgimento del modo consueto di pensare, insinuando una realtà indissociabile (la "totalità primordiale").

In questo approccio riemerge la polemica contro ogni dualismo, responsabile degli squilibri profondi dovuti al rifiuto dell'unità dell'essere corporale, intellettuale, affettivo e spirituale.

Cura della salute e benessere psichico: vecchie e nuove pratiche

Lo sport è una delle manifestazioni più gloriose del potenziamento e trascendimento delle possibilità corporee che si possono ottenere con un'adeguata disciplina. La pratica dello sport favorisce un'entusiastica sensazione di vivere; fa accedere a una forma superiore: il gioco giocoso e ricreativo; contribuisce a un'armoniosa formazione fisica e psi-chica, cui si accompagnano importanti riflessi morali e spirituali (anche se l'originaria dimensione sacrale non si è potuta ripristinare neppure col nuovo "ideale olimpionico").

La pratica sportiva richiede un'adeguata disciplina. In alcuni sviluppi dello sport agonistico più esasperato si giunge però alla manipolazione del corpo.

L'etica cristiana ha da tempo affrontato in modo organico problemi morali posti dallo sport. La sua posizione si articola sostanzialmente in due momenti: a) presentare e riconoscere i valori naturali espressi dalle pratiche sportive; b) criticare i limiti e le deformazioni di quei valori, alla luce della concezione personalista del corpo.

Gli sviluppi recenti dello sport agonistico hanno esasperato la manipolazione del corpo. Il campione viene "fabbricato" come un sofisticato prodotto di laboratorio, a cui si dedicano schiere di i tecnici. La manipolazione è ormai totale

30

in tutte le discipline sportive: da un lato si neutralizza la naturale spinta della natura (ritardando, per esempio, lo sviluppo e la crescita, per ottenere atlete che siano "adolescenti-bambine"); dall'altra la si ipertrofizza (ottenendo donne-maschio, ingigantite dai muscoli).

L'aspetto fisico è devastato dalle manipolazioni, mediante sistemi di condizionamento chimico, biologico e fisiologico. Questa violazione della persona è ancora più grave della pratica del doping, cioè della battaglia per i primati fatta anche a colpi di sostanze proibite.

Al polo opposto troviamo il diffondersi delle pratiche sportive di massa. Queste vogliono reagire alla mercificazione a livello di spettacolo e di sport agonistico, rifiutando il culto del campione e dei primati. Positivamente, intendono contrastare l'assenza di qualsiasi pratica di attività motoria da parte dell'uomo moderno, che è indotto piuttosto a cercare divagazioni che non comportino sforzo e impegno. La mancanza di attività fisica è un segno dello stato di passività e di indifferenza che genera l'odierna civiltà; l'inerzia fisica è legata al cattivo umore e al pessimismo. Il movimento può essere, dunque, un modo di ribellarsi agli idoli che la società impone.

Anche se, a loro volta, queste nuove pratiche sportive difficilmente possono sottrarsi alle manipolazioni della moda. Con piena consapevolezza della sua ambiguità, possiamo considerare la "moda della corsa" venuta dagli Stati Uniti. Viene lodata come la forma più semplice, più economica e più sana di sport. Ma da molti è vissuta come un'esperienza più ampia di una semplice pratica sportiva.

Il correre regolarmente offre un valido aiuto su un duplice piano: fisiologico e psicologico. È un rimedio all'atrofia del nostro apparato motorio, che è una malattia della civiltà (l'umanità, nella sua lunga evoluzione, ha vissuto per lo più quale "animale da corsa": l'insieme della nostra biomeccanica e fisiologia è costruito sul movimento); fornisce perciò una efficace prevenzione di malattie, quali i disturbi circolatori e del ricambio e la dipendenza da sostanze eccitanti. Il vissuto emotivo, legato alla pratica regolare e intensiva della corsa, costituisce, inoltre, anche un prezioso aiuto psichico, correlato con un'influenza sull'umore.

Per molti che corrono regolarmente non si tratta solo di assolvere al "sacro dovere" di mantenere il corpo in forma per la concorrenza quotidiana. La corsa, permettendo il ristabilimento più veloce dell'equilibrio fisiologico, ha una funzione antistress, almeno quanto le diverse tecniche di rilassamento. Potenzia la vitalità, dando la sensazione di un accresciuto potenziale energetico; aumenta l'autostima e la sicurezza nelle proprie capacità. Una Miracle Drug, dunque, la corsa? No: piuttosto, uno dei mezzi più semplici per collegare cura della salute e benessere psichico.

1 Cfr.: C. LaschLa cultura del narcisismo, Milano 1981; R. SennetLes tyrannies de l'intimité, Parigi 1979.

2 A. BercoffVivre plus, Parigi 1981, p. 67.

3 P. SalomonL'art du corps, Parigi 1979.

4 Cfr.: G. HebertL’education physique, virile et morale par la méthode naturelle, Parigi 1936.