Documenti di deontologia e etica medica

Book Cover: Documenti di deontologia e etica medica
Parte di Bioetica sistematica series:

DOCUMENTI DI DEONTOLOGIA E ETICA MEDICA

a cura di Sandro Spinsanti

Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo 1985

pp. 228

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PRESENTAZIONE

Il professor Spinsanti ha compiuto un'opera meritoria raccogliendo, in modo attento e panoramico, documenti di etica medica e di deontologia medica. Non si può non essere d'accordo con quanto egli scrive nell'introduzione: su questo argomento non v'è da lamentare la scarsa quantità delle fonti e dei documenti normativi, ma piuttosto la poca chiarezza in merito.

Prosegue tuttora il dibattito se l'etica medica e la deontologia medica siano o meno la stessa cosa. Lortat-Jacob (presidente dell'Unione Europea degli Ordini dei medici), nel presentare la «Guida europea di etica e di comportamento professionale dei medici» [documento n. 16 della presente raccolta], ebbe a dire che l'etica è immutabile, mentre la deontologia è mutevole. L'espressione può essere accettata nel senso che per la «deontologia» talora è ammissibile qualche deroga marginale dai principi etici fondamentali e tradizionali, ma essa non può e non deve «mutare» quei princìpi e stravolgerli. Continuiamo ad essere dell'idea che il nucleo dell'etica medica (e della deontologia che ne deriva) sia sempre quello ippocratico, sintetizzato in due proposizioni fondamentali: 1) l'ammalato (oggi diremmo il cittadino, ammalato o sano) merita il massimo rispetto da parte del medico; 2) il medico non deve abusare del suo «potere» (oggi diremmo delle potestà che la legge gli riconosce, quando lo abilita all'esercizio professionale, e che vanno usate sempre in favore della salute umana e mai contro di essa).

La successione secondo la quale il professor Spinsanti ha raccolto e coordinato i «documenti», le «dichiarazioni» ed i «codici» costituisce un'efficace prova di questo fatto: l'etica professionale medica (e quindi la somma dei doveri da osservare per rispettare quell'etica) non tanto è cambiata (né poteva cambiare), quanto si è complicata. Tale «complicazione» scaturisce da due motivi principali: 1) ai doveri del medico (che sono sostanzialmente quelli di sempre) si affiancano i diritti umani e giuridici dei cittadini, onde più chiaro diventa il principio che il primo dovere del medico sta

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nel rispettare i «diritti dell'uomo» (sano o ammalato; fanciullo, adulto o vecchio; libero o prigioniero; povero o ricco; umile e modesto oppure illustre); 2) il progresso tecnologico della medicina, nella diagnosi e nella terapia, suscita dubbi, timori ed interrogativi nel medico impegnato in uno specifico caso.

Poiché il medico non sempre ha un'autentica sensibilità e preparazione culturale nel campo dell'etica, i documenti, le dichiarazioni, i codici ecc. gli forniscono una «guida» (ovverossia un reticolo di norme etiche dettagliate) per decidere come comportarsi quando deve chiedere il consenso, quando vuol fare un tentativo sperimentale, quando deve prendere una decisione che possa accelerare il «momento della morte», quando deve procedere ad un esplanto d'organi a fini di trapianto, quando trova contrasto fra una norma legale o amministrativa e il dovere professionale (etico) che gli incombe in quanto medico (ed appunto perché medico) nei confronti del cittadino e della collettività. Queste norme, queste dichiarazioni, questi «codici», che si susseguono e si accavallano, sono indispensabili perché il medico (ed ogni operatore della salute umana) non indulga al semplicismo auto-giustificativo, grazie al quale egli ritiene di poter agire «secondo scienza e coscienza».

È, questa, un'affermazione generale, contenuta nel vigente «Decalogo» che precede il «Codice italiano di deontologia medica» [documento n. 26], ma essa non implica che ci si debba affidare all'arbitrio del singolo a seconda della scienza che egli crede (talora superbamente) di avere e secondo la sua coscienza personale. Non deve esistere una coscienza individuale del medico, ma una «coscienza medica» comune a tutti i medici, perché tutti i medici hanno gli stessi doveri fondamentali e devono sentirne l'imperativo etico.

È la prima volta che un attento studioso di etica medica si impegna nella raccolta coordinata di documenti, dichiarazioni e codici riguardanti questo argomento. Il risultato delle sue fatiche troverà il pieno consenso non solo di coloro che si imbattono quotidianamente nei problemi etici (i medici pratici), ma anche di coloro che devono insegnare etica e deontologia medica (i docenti), di coloro che devono custodirne i principi fondamentali (le strutture ordinistiche professionali), di coloro che, legiferando, rischiano di violare quei principi (i legislatori).

Questa raccolta di documenti ha grande importanza anche sotto il profilo medico-legale: perché la «Deontologia» fa parte del programma didattico della Medicina legale, perché le norme deontologiche

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sono in genere collegate a leggi penali, civili ed amministrative e perché la «responsabilità professionale del medico» non è solo di natura etico-deontologica ma anche di natura espressamente legale.

L'opera del professor Spinsanti, inoltre, suggerisce un'idea ovvia ma non sempre tenuta presente: la deontologia medica, figlia dell'etica medica e traduzione in «norme» ed «articoli» dei principi etici, non deve mai contrastare con questi ultimi, e deve rispettare l'equilibrato coesistere fra diritti del cittadino e doveri del medico.

Su un punto tuttavia v'è ancora spazio per la meditazione etica: si tratta della ricerca bio-medica, che non ha davanti a sé il cittadino come persona giuridica, bensì una struttura biologica appartenente alla specie umana. Manipolazione genetica, fecondazione in vitro, determinazione (diversa cosa dalla diagnosi precoce) del sesso, clonazione, embryo-transfer e via dicendo: su questi temi la meditazione etica deve impegnarsi con la massima urgenza e rispondere ad un quesito: fino a che punto è eticamente lecito (e giuridicamente legittimo) manipolare la natura?

L'interrogativo investe l'etica della scienza. E la scienza, dono divino di cui l'uomo dispone, deve essere usata sempre e solo a favore dell'umanità cui apparteniamo e del mondo che ci è stato da- to e di cui dobbiamo essere gestori buoni ed onesti. Ancora una volta nell'etica medica originaria troviamo la risposta valida. Ce la dà Mosè Maimonide (la cui «Preghiera» è riprodotta in questo volume: documento n. 2): «Dio, allontana da me l'idea che io possa tutto».

Il professor Spinsanti ha fatto da par suo la propria parte. Il lettore deve ora meditare sul materiale presentato ai suoi occhi, alla sua mente, al suo cuore.

FRANCESCO INTRONA

Ordinario di Medicina legale

nell'Università di Padova

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INTRODUZIONE

DIRITTI E DOVERI IN CAMPO BIO-MEDICO

Per essere un buon medico bisogna avere qualcosa di più, oltre lo standard di conoscenze professionali che ogni epoca e ogni cultura richiedono come prerequisito per esercitare l’arte del guarire. Nella formulazione tradizionale, il medico deve essere vir bonus, sanandi peritus. Questa «bonitas», questo «di più» al di là delle capacità cliniche per poter essere non solo un medico, ma un «buon» medico, ha ricevuto varie formulazioni. Nell’ottica religiosa appare come una disposizione dello spirito e del cuore necessaria per collaborare all’opera divina della guarigione. Preghiere, giuramenti, istruzioni morali emanate dalle autorità religiose veicolano questo tipo di istanza normativa 1. L’ethos professionale — ossia quei comportamenti distintivi che caratterizzano coloro che esercitano la stessa professione, in quanto promuovono o si riferiscono a certi valori — costituisce una seconda fonte di normatività. Nella nostra tradizione occidentale tale fonte coincide praticamente con l’ethos ippocratico,

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che ha trovato espressione in uno «spirito» umanitario che deve animare l’esercizio professionale, in una serie di regole comportamentali per essere socializzati nella professione, più propriamente qualificabili come «etichetta medica», e in norme codificate, soprattutto codici deontologici 2. Più di recente il settore della normatività in campo bio-medico è stato investito dal movimento per i diritti umani, innovando l’ottica paternalistica che predominava nel rapporto medico-paziente del passato. Interventi di organismi internazionali (ONU, Associazione Medica Mondiale, Comunità Europea) e richieste dalla base (carte dei diritti del malato) hanno prodotto una quantità di documenti che circoscrivono con precisione l’ambito dei diritti/doveri in campo sanitario.

Se di qualcosa si può lamentare la mancanza in questo settore, non è certo la quantità di fonti e documenti normativi per la condotta, ma piuttosto la chiarezza in merito. Una notevole confusione semantica accompagna l’uso di termini come «etica medica», «deontologia», «morale medica», «bioetica». Per quanto riguarda la delimitazione delle discipline e la loro fondazione epistemologica, siamo ancora nel periodo dei dibattiti che accompagnano la fase della fondazione3. In tale contesto ci è sembrato di far cosa utile raccogliere i documenti che riflettono l’esigenza di corredare con norme etiche e deontologiche la pratica della medicina.

La raccolta si raccomanda per diversi motivi. Alcuni documenti sono di non facile reperibilità. Inoltre, il fatto stesso di poterne avere una visione sinottica ne allarga la comprensione e favorisce il lavoro dell’interpretazione. La raccolta, infine, oltre che un utile vademecum per qualsiasi operatore sanitario, può essere utilizzata come sussidio nei corsi universitari di deontologia e di etica medica per studenti di medicina, nonché nelle scuole di formazione di altre professioni sanitarie.

Abbiamo diviso la raccolta in quattro sezioni omogenee. La prima comprende i documenti pervenutici dal passato, anche remoto. Per quanto riguarda la tradizione occidentale, il giuramento

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di Ippocrate e la preghiera di Mosè Maimonide sono tra i documenti più antichi e più noti riguardanti l’etica medica. Ambedue presentano problemi storico-critici. Quanto al giuramento attribuito ad Ippocrate [documento n. 1], ma i cui contenuti sono fatti risalire dalla storiografia moderna agli influssi della successiva scuola pitagorica 4, esso ha assunto col tempo il ruolo di emblema dell’ethos filantropico e umanitario a cui il medico dichiara di ispirarsi. Assunto in epoca patristica come un nobile legato dell’antichità greco-romana e «cristianizzato», si è inserito senza soluzioni di continuità nell’ideale morale del cristianesimo. Anche la preghiera attribuita a Mosè Maimonide [documento n. 2], nonostante l’accertata pseudo-epigrafia, è un documento insigne che testimonia l’influenza dei valori della religione giudaico-cristiana nella formazione storica dell’etica medica. Come ulteriore supplemento di documentazione riportiamo anche [documento n. 3] il «giuramento di Asaph», ugualmente proveniente dall’area culturale ebraica. Un codice etico islamico [documento n. 4], redatto in epoca moderna, testimonia la sostanziale consonanza dei modelli ideali di medico formulati in area musulmana, sotto l’influenza di un’altra religione monoteistica, con quelli propri dell’occidente cristiano.

La seconda sezione, dedicata ai codici etici e dichiarazioni, raccoglie i documenti, prodotti nell’epoca più recente, che indicano gli ideali etici ai quali si deve ispirare il medico e prendono posizione su problemi specifici. Il fatto nuovo dell’epoca moderna è che, accanto alle istanze normative che valutano i problemi nuovi che sorgono nell’esercizio della medicina alla luce dei principi religiosi (vedi, nella nostra raccolta, la Dichiarazione della Sacra Congregazione per la dottrina della fede sull’eutanasia [documento n. 15] e, nella sezione seguente, le Questioni etiche relative ai malati gravi e ai morenti del Pontificio Consiglio «Cor Unum» [documento n. 21]), intervengono in questioni di natura etica anche istituzioni non confessionali. Benché il loro magistero non sia comparabile a quello delle Chiese, la voce degli organismi internazionali si è levata e continua a

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levarsi a difendere autorevolmente i diritti dell’uomo in campo bio-medico e a condannare le prassi disumanizzanti 5. Un ruolo di leader in tal senso è stato assunto dall’Associazione Medica Mondiale. Fin dal suo inizio, nel 1948, incoraggiò i medici a sviluppare standards internazionali di etica medica. Abbandonate le regolamentazioni dettagliate di etichetta e di deontologia professionale, i suoi interventi si riferiscono a valori etici che si suppongono condivisi da tutti i medici. L’afflato idealistico è presente fin dai primi documenti: la Dichiarazione di Ginevra (1948) [documento n. 5], concepita per prendere il posto del giuramento di Ippocrate, considerato non più adatto alle condizioni del mondo moderno e screditato dall’uso che di esso aveva fatto il regime nazista, e il successivo Codice internazionale di etica medica (1949) [documento n. 6]. A differenza della maggior parte dei codici deontologici dei vari paesi, nel codice internazionale non è contemplata la minuziosa casistica occorrente nella pratica professionale, come pure mancano riferimenti a procedure giudiziarie. Le numerose dichiarazioni successive dell’Associazione Medica Mondiale [documenti nn. 9-14], pur presupponendo un’etica universale valida per tutti i medici, devono realisticamente considerare la mancanza di consenso su questioni anche fondamentali. Così nello stesso Codice internazionale, nella sua stesura originale, figurava una risoluzione sull’aborto terapeutico che, a causa della sua natura controversa, fu cancellata nella versione definitiva.

Un diverso modo di concepire la promozione della qualità etica della medicina è quello rispecchiato dal Giuramento del medico sovietico [documento n. 7]. Qui la medicina non viene ancorata né a una dottrina rivelata, né alla protezione della persona umana e della sua integrità fisica e morale in quanto bene primario della comunità, bensì a un’ideologia politica, anzi piuttosto allo Stato in quanto sua concretizzazione.

La terza sezione raccoglie i documenti rivolti alla difesa dei diritti in campo biomedico. Sono prese di posizione che mirano alla tutela di categorie i cui diritti fondamentali, in quanto persone umane, possono venire disattesi o compromessi dalla società in genere e dalla medicina in particolare: persone minorate,

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ritardati mentali, morenti, malati ricoverati in ospedale. Quest’ultimo ambito è quello che ha visto la più esplosiva richiesta di tutela dei diritti. Negli Stati Uniti si è potuto individuare un vero e proprio movimento dei diritti del paziente, nato sulla scia del movimento dei diritti civili 6. La Carta dei diritti del paziente, redatta dall’American Hospital Association [documento n. 23], che raggruppa 7600 ospedali e cliniche, è uno dei modelli più autorevoli. Tra le numerose altre abbiamo scelto quella emanata dalla Comunità Economica Europea [documento n. 24], in quanto più vicina alle problematiche comuni del nostro continente. La valutazione dell’incidenza di tali formulazioni di diritti nella prassi sanitaria è oggetto di dibattiti. Vi è accordo nel vedere nell’accentuazione del concetto di diritto del paziente una svolta di costume nei rapporti medico-malato. Per alcuni, però, tale trasformazione è indice del degrado dell’ethos ippocratico che ha regolato finora tali rapporti e dello sfaldamento della normatività di tipo deontologico; altri invece vedono nella domanda di giustizia e di migliore qualità della vita che emerge dalle classi popolari un segno della crescita di consapevolezza e l’inizio di una gestione democratica diretta dei «microdiritti» che sfuggono tra le maglie di una legislazione rivolta per sé a tutelare i «macrodiritti». La Carta dei 33 diritti del cittadino [documento n. 25], insieme al lavoro dei tribunali dei diritti del malato, può essere considerata il simbolo di tale nuova prassi politica in ambito sanitario.

La quarta sezione è dedicata ai codici deontologici. La priorità spetta a quelli di deontologia medica. Priorità storica, anzitutto: il primo codice medico ufficiale è quello emanato dall'American Medical Association nel 1847. Riformulato in parecchie riprese, ha fornito il modello a numerosi altri codici sorti in seguito in altri paesi. Il codice deontologico si differenzia dai codici etici in quanto il suo obiettivo principale è quello di regolamentare l’esercizio della medicina come pratica professionale. Anche se nei codici deontologici dei nostri giorni sono state introdotte in misura crescente normative attinenti a problemi squisitamente etici (come interruzione della gravidanza, eutanasia, informazione del paziente), il tessuto fondamentale di

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tali codici è costituito dalle norme che gli organismi professionali si impongono per garantire una prassi professionale efficiente e socialmente ineccepibile 7. La deontologia medica non equivale all’etica, anche se la sensibilità morale dell’epoca può riflettersi nella normativa deontologica, dal momento che atti valutati come immorali dall’ethos dominante possono essere pregiudizievoli al professionista, e vanno perciò evitati 8. I codici deontologici sono quindi una realtà storica mutevole; possono e devono essere costantemente rivisitati, al fine di riflettere le variazioni della sensibilità etica della società e dell’organizzazione della sanità. Le riformulazioni del codice deontologico che avvengono nelle sub-aree culturali dei diversi paesi non sono, per tale ragione, pleonastiche. Rispecchiano piuttosto la necessità di modulare attentamente le norme deontologiche con le precise coordinate socio-culturali in cui viene esercitata la professione medica. Il confronto è utile, anche se le norme deontologiche di altri paesi non sono in vigore nel proprio. Nella nostra raccolta riportiamo, ai fini di un tale confronto, oltre ovviamente al codice deontologico italiano [documento n. 26], anche quello francese [documento n. 27] 9.

Dopo i codici di deontologia medica abbiamo riprodotto i codici di altre professioni dell’ambito sanitario. I principi ispiratori sono gli stessi che sottendono la deontologia medica. Nuova è invece l’estensione del concetto e della pratica di una normativa deontologica anche ad altre professioni, oltre che a quella del medico. L’ampliamento riflette l’apertura di un fronte più articolato di quello rappresentato dall’etica medica tradizionale; esso comprende i problemi che sorgono in tutte le professioni rivolte alla salute in modo inclusivo (comprese, quindi, le professioni della salute mentale, della promozione dell’igiene pubblica e della distribuzione dei servizi). Per designare questo ambito

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gli americani hanno coniato un neologismo: «bioetica» 10. I codici deontologici delle altre professioni sanitarie — infermiere, dentisti, farmacisti, psichiatri e psicologi — sono tutti americani e sono tratti dall’Encyclopaedia of Bioethics. Li riportiamo [documenti nn. 29-33] nella convinzione che i professionisti del nostro paese possano trovare in essi uno stimolo ad elaborare delle proprie normative deontologiche.

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SEZIONE I

DOCUMENTI DELL’EREDITÀ STORICA

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GIURAMENTO DI IPPOCRATE *

Affermo con giuramento per Apollo medico e per Esculapio, per Igea e per Panacea — e ne siano testimoni tutti gli Dei e le Dee — che per quanto me lo consentiranno le mie forze e il mio pensiero, adempirò questo mio giuramento che prometto qui per iscritto.

Considererò come padre colui che mi iniziò e mi fu maestro in quest’arte, e con gratitudine lo assisterò e gli fornirò quanto possa occorrergli per il nutrimento e per le necessità della vita; considererò come miei fratelli i suoi figli, e se essi vorranno apprendere quest’arte, insegnerò loro senza compenso e senza obbligazioni scritte, e farò partecipi delle mie lezioni e spiegazioni di tutta intera questa disciplina tanto i miei figli quanto quelli del mio maestro, e così i discepoli che abbiano giurato di volersi dedicare a questa professione, e nessun altro all’infuori di essi.

Prescriverò agli infermi la dieta opportuna che loro convenga per quanto mi sarà permesso dalle mie cognizioni, e li difenderò da ogni cosa ingiusta e dannosa. Giammai, mosso dalle premurose insistenze di alcuno, propinerò medicamenti letali né commetterò mai cose di questo genere. Per lo stesso motivo mai ad alcuna donna suggerirò prescrizioni che possano farla abortire, ma serberò casta e pura da ogni delitto sia la vita sia la mia arte. Non opererò i malati di calcoli, lasciando tal compito agli esperti di quell’arte. In qualsiasi casa entrato, baderò soltanto alla salute degli infermi, rifuggendo ogni sospetto di ingiustizia e di corruzione, e soprattutto dal desiderio di illecite relazioni con donne o con uomini sia liberi che schiavi. Tutto

* Il testo del giuramento è quello stabilito da Edelstein (cfr. L. Edelstein, The Hippocratic Oath: Text, Translation and Interpretation, Baltimore, 1948). Nostra traduzione.

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quello che durante la cura ed anche all’infuori di essa avrò visto e avrò ascoltato sulla vita comune delle persone e che non dovrà essere divulgato, tacerò come cosa sacra.

Che io possa, se avrò con ogni scrupolo osservato questo mio giuramento senza mai trasgredirlo, vivere a lungo e felicemente nella piena stima di tutti, e raccogliere copiosi frutti della mia arte. Che se invece lo violerò e sarò quindi spergiuro, possa capitarmi tutto il contrario.

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PREGHIERA QUOTIDIANA DEL MEDICO

(MOSÈ MAIMONIDE) *

Dio Onnipotente, Tu hai creato il corpo umano con infinita sapienza. Diecimila organi per diecimila volte hai combinati in esso, perché agendo incessantemente e con armonia ne preservino l’insieme in tutta la sua bellezza: il corpo, involucro dell’anima immortale. E agiscono sempre con un ordine perfetto e in un armonioso accordo. Ma quando la fragilità della materia o l’impeto delle passioni ne sconvolgono l’ordine o ne interrompono l’accordo, le forze si scontrano e il corpo crolla per tornare nella polvere dalla quale è venuto. Tu mandi all’uomo le malattie quali benefici messaggeri per avvertirlo del pericolo che lo minaccia e perché lo sollecitino ad evitarlo. Tu hai benedetto la Tua terra, i Tuoi fiumi e le Tue montagne con sostanze benefiche che permettono alle Tue creature di alleviare le loro sofferenze e guarire le malattie. Tu hai dotato l’uomo di saggezza, perché possa lenire il dolore del fratello, individuarne i disturbi, estrarre dalla natura le sostanze medicamentose, scoprirne il potere, prepararle e somministrarle a seconda della malattia. Nella Tua Eterna Provvidenza, Tu hai scelto me per vigilare sulla vita e sulla salute delle Tue creature. Ora sto per dedicarmi ai compiti della mia professione. Sostienimi, o Dio Onnipotente, in questa importante impresa, affinché io possa

* La preghiera venne pubblicata per la prima volta in una rivista tedesca, nel 1793, e presentata come «Preghiera quotidiana di un medico prima della visita ai suoi pazienti. Dal manoscritto ebraico di un famoso medico ebreo egiziano del XII secolo». L’allusione è a Mosè Maimonide (1135-1204), ma l’attribuzione è molto dibattuta. Sembra che la preghiera sia stata composta da uno scrittore del XVIII sec., probabilmente Marcus Herz, medico tedesco discepolo di Immanuel Kant. Manca però una prova assoluta, e forse non si potrà mai scoprire la vera paternità della preghiera (cfr. F. Rosner, The Physician Prayer attributed to Moses Maimonides, in C.R. Burns, Legacies in Ethics and Medicine, New York 1977, pp. 158-172).

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essere di giovamento all’umanità, poiché senza il Tuo aiuto nulla potrà aver buon esito, neppure la più piccola cosa.

Infondi in me l’amore per la mia arte e per le Tue creature. Non permettere che la sete di guadagno, l’ambizione di essere noto e ammirato, ostacolino la mia professione, poiché questi sono i nemici della verità e dell’amore per l’umanità e potrebbero sviarmi dal grande compito di dedicarmi al benessere delle Tue creature. Conserva al mio corpo e alla mia anima la forza necessaria per essere sempre pronto ad aiutare serenamente e ad assistere sia i ricchi che i poveri, i buoni come i cattivi, i nemici come gli amici. In colui che soffre, concedimi di vedere solamente l’essere umano. Illumina la mia mente perché veda con chiarezza ciò che le sta davanti e intuisca ciò che è assente o nascosto. Fa’ che possa riconoscere ciò che è visibile, ma non permetterle di arrogarsi il potere di vedere ciò che non può essere visto: delicati e infiniti sono infatti i confini di quella grande arte che è la cura della vita e della salute delle Tue creature. Fa’ che io non mi distragga mai. Che nessun pensiero estraneo svii la mia attenzione al capezzale del malato, né disturbi il silenzioso lavoro della mia mente, perché grandi e sacre sono le profonde deliberazioni necessarie per vigilare sulla vita e sulla salute delle Tue creature.

Fa’ che i miei pazienti abbiano fiducia sia in me che nella mia arte, e seguano le mie istruzioni e i miei consigli. Allontana da loro tutti i ciarlatani, la moltitudine di parenti premurosi e di infermieri saccenti, tutta gente crudele che rende inutili con la sua arroganza gli intenti più assennati della nostra arte e spesso porta le Tue creature alla morte.

Se qualcuno più saggio di me volesse migliorarmi e consigliarmi, fa’ che la mia anima segua con gratitudine la sua guida; perché vasta è l’estensione della nostra arte. Se però qualche sciocco presuntuoso impedisse con la sua critica il mio lavoro, fa’ che l’amore per la mia arte mi dia il coraggio incrollabile di affrontarlo e di continuare risoluto senza alcun riguardo per la sua età, reputazione, fama, perché se mi arrendessi le Tue creature soccomberebbero alla malattia e alla morte.

Riempi la mia anima di gentilezza e di calma quando colleghi più anziani, forti della loro età, dovessero soppiantarmi, disdegnarmi o ammaestrarmi con atteggiamento sprezzante.

Fa’ che io possa giovarmi anche di questo, perché loro sanno

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molte cose che io ignoro, ma aiutami a non soffrire per la loro arroganza. Perché loro sono vecchi, e la vecchiaia non è padrona delle passioni. Anch’io spero di poter giungere alla vecchiaia su questa terra, davanti a Te, o Dio Onnipotente.

Fammi essere soddisfatto di ogni cosa, eccetto della grande scienza della mia professione. Non permettere che nasca in me il pensiero di aver raggiunto una conoscenza sufficiente, ma concedimi la forza, la possibilità e l’ambizione di ampliarla sempre più. Perché l’arte è grande, ma la mente dell’uomo è in continua espansione.

O Dio Onnipotente! Tu mi hai scelto nella Tua misericordia per vigilare sulla vita e sulla morte delle Tue creature. Adesso io mi dedicherò all’esercizio della mia professione. Sostienimi in questo grande compito, affinché l’umanità possa beneficiarne, poiché senza il Tuo aiuto neppure la più piccola cosa potrà aver buon esito.

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GIURAMENTO DI ASAPH *

Questi sono i termini del giuramento fatto prestare da Asaph, figlio di Berachyahu, e da Jocbanan, figlio di Zabda, ai loro discepoli:

Non ucciderete nessun uomo col succo di una radice, né somministrerete alcuna pozione ad una donna in attesa di un figlio illegittimo perché abortisca; non vi perderete dietro le belle donne per commettere adulterio con loro; non rivelerete i segreti che vi sono stati affidati e non accetterete ricompense per provocare danno o uccidere; non indurirete il vostro cuore verso il povero e il bisognoso, ma li curerete; non chiamerete bene il male e male il bene; non vi comporterete come i maghi, gettando incantesimi per ammaliare e stregare, al fine di separare un uomo dalla donna del suo seno o una donna dal marito della sua giovinezza.

Non accetterete doni né ricchezze per favorire turpi commerci sessuali. Non adorerete mai gli idoli per guarire per loro tramite e non crederete nei poteri taumaturgici di nessuna pratica del loro culto. Piuttosto aborrirete e detesterete e odierete tutti i loro adoratori e quelli che credono in loro e inducono altri a credere in loro, poiché non sono altro che cose vane, inutili e vuote; e sono dei demoni. Non possono salvare i loro stessi cadaveri, come dunque salveranno i viventi?

E ora riponete la vostra fede nel Signore vostro Dio, il Dio

* Il giuramento di Asaph figura al termine del Libro di Asaph il medico («Sefer Asaph ha-Rofe»), che costituisce il più antico testo medico ebraico. È stato scritto da Asaph, noto anche come Asaph ben Berachyahu, un medico ebreo originario della Siria o della Mesopotamia, che visse in un’epoca imprecisata tra il III e il VII secolo d.C., probabilmente nel VI. Il giuramento, che in parte riecheggia quello di Ippocrate, veniva pronunciato dagli studenti di medicina quando ricevevano il loro diploma. Ripreso dall’appendice dell’Encyclopaedia of Bioethics, New York 1978, vol. IV, pp. 1733s.

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della verità, il Dio vivente, giacché Egli dà la morte e dà la vita, colpisce e guarisce. Insegna all’uomo la conoscenza ed anche a fare il bene. Egli punisce in modo legittimo e giusto e libera dal male con misericordia e con amore. Nessuna astuzia può essergli nascosta, poiché nulla si cela alla Sua vista.

Egli ha fatto sì che crescano piante benefiche, ha instillato nei cuori dei saggi l’abilità di guarire per mezzo dei Suoi innumerevoli benefici e di render note alla moltitudine le sue meraviglie, così che coloro che vivono sappiano che Lui li ha creati e che al di fuori di Lui non c’è nessuno che dia la salvezza. Infatti i popoli credono ai loro idoli perché questi li liberino dalle loro pene, ma essi non li salveranno dall’angoscia, dal momento che la loro speranza e la loro fede sono riposte nella morte. Bisogna perciò che vi teniate lontano da essi e da tutti i sacrilegi dei loro idoli, e che siate fedeli al nome di Dio, Signore di ogni essere. Sono nelle sue mani la vita e la morte di ogni creatura vivente e nessuno può sfuggire alla sua mano.

Vi ricorderete di Lui in ogni momento e lo cercherete nella verità, nella rettitudine e nell’integrità con cui potrete far prosperare ogni vostra azione. Egli allora vi renderà prosperi e lodati da tutti. E le genti lasceranno le loro divinità e i loro idoli e vorranno seguire il Signore proprio come noi facciamo, giacché essi si accorgeranno di aver riposto la propria fede nel nulla e che i loro sforzi sono vani: altrimenti quando imploreranno Dio Egli non li salverà.

Quanto a voi, sarete forti e non starete inoperosi, giacché vi è una ricompensa per le vostre fatiche. Dio è con voi quando voi siete con Lui. Se manterrete il Suo patto e seguirete i Suoi comandamenti e sarete loro fedeli, sarete considerati santi dagli uomini, ed essi diranno: «Felice il popolo che si trova in tale situazione, felice è il popolo il cui Dio è il Signore».

E i loro discepoli risposero loro e dissero:

Tutto ciò che ci hai prescritto e ordinato noi lo eseguiremo, poiché è un comandamento della Torah e dobbiamo adempirlo con tutto il cuore, tutta l’anima e tutte le nostre forze: agire, obbedire e non volgersi né a sinistra né a destra.

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Ed essi li benedirono nel nome di Dio altissimo, Signore del cielo e della terra.

E li ammonirono ancora dicendo loro:

Fate attenzione: il Signore Dio, i suoi santi e la sua Torah vi siano testimoni che avrete timore di Lui, non deviando dai suoi comandamenti ma seguendo onestamente le sue leggi.

Non abbassatevi alla cupidigia e non aiutate i malfattori a versare sangue innocente. Non preparerete veleni ad un uomo o ad una donna per uccidere il loro amico, né rivelerete mai quali radici siano velenose o le darete a qualcuno, né vi farete persuadere a fare del male. Non verserete sangue in nessun trattamento medico. Avrete cura di non causare un danno a chicchessia e di non provocare una lesione ad alcuno per la fretta di tagliare le membra con uno strumento di ferro o mediante la cauterizzazione, ma dovrete osservare più e più volte, e solo dopo emettere la vostra diagnosi.

Non lasciate che l’arroganza vi innalzi al di sopra dei vostri occhi e del vostro cuore a causa dell’orgoglio. Non sfogate l’odio della vendetta su di un uomo malato e non modificate le prescrizioni per coloro che odiano il Signore nostro Dio, ma rispettate i suoi decreti e i suoi comandamenti e seguite le sue norme, così da trovare favore ai suoi occhi.

Queste cose Asaph e Jochanan insegnarono e fecero giurare ai loro discepoli.

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UN CODICE ISLAMICO *

1. Il medico non deve essere presuntuoso, deve sapere che il vero guaritore è Dio.

2. Deve lodare i suoi maestri e insegnanti e ringraziarli per la loro benevolenza.

3. Non deve calunniare un altro medico. L’errore altrui deve essere occasione per riconoscere il proprio, non di alterigia e presunzione.

4. Deve rivolgersi al paziente con tatto e animo ben disposto, e non arrabbiarsi mai per le scorrettezze e gli insulti dei pazienti.

5. Deve proteggere i segreti dei pazienti e non rivelarli, specialmente a coloro ai quali i pazienti non vogliono farli conoscere.

6. Nel caso di contagio di malattia, il medico non deve aizzare i malati contro coloro che hanno trasmesso loro la malattia.

7. Deve essere infaticabile nello studio delle malattie e dei medicinali, e preciso nella diagnosi e nella cura di un paziente o di una malattia.

8. Non deve mai intestardirsi sul proprio punto di vista persistendo nel proprio errore o sbaglio, ma deve, se possibile, consultarsi con medici competenti e appurare i fatti.

9. Se qualcuno azzarda un’idea inutile o sbagliata, egli non deve contraddirla apertamente ma ribattere educatamente: «Può

* Durante il periodo islamico, nel 1770, Mohamad Hosin di Shiraz, in Persia, scrisse l’opera Kholasah al Hekmah. Il primo capitolo di essa contiene un elenco dei doveri del medico. Ne riportiamo qui un riassunto, come appare nella Encyclopaedia o/Bioethics, IV, p. 173.

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essere vero in alcuni casi, ma ritengo che in questo caso si tratti più probabilmente di questo o quest'altro».

10. Se un medico che lo ha preceduto conosce meglio il paziente o la malattia, deve incoraggiare il paziente a tornare dal medico precedente.

11. Se la sua cura non dà risultati, o nota che il paziente non ha fiducia nel suo lavoro o vorrebbe rivolgersi a un altro medico, è meglio che trovi una scusa e consigli al paziente di consultare un altro medico.

12. Non deve nutrire pregiudizi nei confronti di nessun metodo di cura e non deve mai continuare un trattamento sbagliato.

13. Nella cura delle malattie deve usare tutta la scienza medica e non prescrivere farmaci se non quando la malattia e la cura non fanno progressi.

14. Se un paziente è affetto da più malattie, bisogna prima curare la più grave, che potrebbe essere causa di complicazioni.

15. Non deve mai prescrivere alcun tipo di farmaco mortale, dannoso o debilitante, deve sapere che come medico deve fare ciò che è in armonia con il temperamento del paziente e che il temperamento è già in se stesso un efficace correttivo e protettore del corpo, e non è nocivo o distruttivo.

16. Non deve vantarsi della propria famiglia o della propria classe sociale e non deve considerare gli altri con disprezzo.

17. Non deve rifiutare le conoscenze della propria professione; anzi dovrebbe insegnarla a chiunque si occupi di medicina, senza discriminazioni tra ricchi e poveri, nobili e schiavi.

18. Non deve far sentire obbligati studenti e pazienti.

19. Deve contentarsi facilmente, essere riconoscente a coloro verso i quali ha degli obblighi, generoso e magnanimo e mai avaro, cupido, ingordo e geloso.

20. Non deve mai desiderare beni altrui. Se qualcuno gli offre in dono qualcosa di cui egli stesso ha bisogno, non deve accettare.

21. Non deve mai pretendere di essere in grado di guarire

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qualcuno che si sia ridotto in miseria passando da un medico all’altro, e mettere in questo modo a repentaglio la propria reputazione.

22. Non deve essere goloso ed essere coinvolto nella ricerca del piacere, in azioni ridicole, nel bere e in altri vizi.

23. Non deve guardare le donne con lussuria, ma come guarderebbe la propria figlia, sorella O madre.

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SEZIONE II

CODICI ETICI E DICHIARAZIONI

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DICHIARAZIONE DI GINEVRA *

Al momento di essere ammesso quale membro della professione medica, io mi impegno solennemente a consacrare la mia vita al servizio dell’umanità. Riserverò ai miei maestri il rispetto e la gratitudine che è loro dovuta; praticherò la mia professione con coscienza e dignità; la salute dei miei pazienti sarà la mia prima preoccupazione; rispetterò i segreti che mi verranno affidati, anche dopo la morte del paziente; custodirò con tutte le mie forze l’onore e le nobili tradizioni della professione medica; i miei colleghi saranno miei fratelli; non permetterò che considerazioni d’ordine religioso, nazionale, razziale, politico o di rango sociale si inseriscano fra il mio dovere e i miei pazienti; manterrò il massimo rispetto per la vita umana dal momento del concepimento: nemmeno sotto costrizione farò delle mie conoscenze mediche un uso contrario alle leggi di umanità.

Faccio queste promesse solennemente, liberamente e sul mio onore.

* Approvata dall’assemblea generale dell’Associazione Medica Mondiale a Ginevra nel 1948, e rivista dalla XXII Assemblea Medica Mondiale a Sydney nel 1968, la Dichiarazione fu uno dei primi più importanti atti dell’Associazione. È sostanzialmente una dichiarazione di devozione ai fini umanitari della medicina. La sua particolare importanza deriva dal riferimento implicito ai crimini appena commessi nella Germania nazista.

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CODICE INTERNAZIONALE DI ETICA MEDICA*

DOVERI GENERALI DEL MEDICO

Il medico deve sempre mantenersi ai più alti livelli di condotta professionale.

Il medico non deve praticare la professione a scopo di lucro.

I seguenti comportamenti sono considerati non etici:

a) farsi qualsiasi tipo di pubblicità professionale, eccetto quella espressamente autorizzata dai Codici nazionali di Etica Medica;

b) collaborare a qualunque forma di servizio medico in cui il medico non sia libero nell’esercizio della professione;

c) ricevere denaro per servizi resi a un paziente, al di fuori del conveniente onorario professionale, anche quando il medico conosca il paziente.

Qualsiasi azione o comunicazione che possa indebolire la resistenza fisica o mentale di un essere umano può essere usata solo nell’interesse di questi.

Il medico deve usare grande cautela nella divulgazione di scoperte o nuove tecniche di cura.

Il medico deve certificare o testimoniare solamente ciò che ha personalmente verificato.

* Adottato dalla III assemblea generale dell’Associazione Medica Mondiale a Londra nel 1949, il Codice internazionale di etica medica stabilisce i principi generali per l’esercizio della professione medica in armonia con l’etica.

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DOVERI DEL MEDICO VERSO IL PAZIENTE

Il medico deve avere sempre impresso nella mente l’obbligo di preservare la vita umana fin dal concepimento.

L’aborto terapeutico può essere praticato solo se lo permettono la coscienza del medico e le leggi del paese **.

Il medico deve al suo paziente completa lealtà e deve offrirgli le risorse della sua scienza.

Nel caso che un esame o una cura siano al di sopra delle sue capacità, deve appellarsi a un altro medico che abbia le capacità necessarie.

Il medico deve conservare l’assoluta segretezza su tutto ciò che sa del suo paziente, in quanto comunicatogli in modo confidenziale.

Il medico deve prestare soccorso nelle emergenze come dovere umanitario, a meno che non si sia assicurato che altri vogliano e possano prestare tali soccorsi.

DOVERI RECIPROCI TRA I MEDICI

Il medico deve comportarsi coi suoi colleghi come vorrebbe che essi si comportassero con lui.

Il medico non deve indurre i pazienti ad abbandonare i propri colleghi.

Il medico deve osservare i principi della Dichiarazione di Ginevra approvati dall’Associazione Medica Mondiale.

** Questo periodo è stato cancellato nella redazione definitiva del Codice.

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GIURAMENTO DEL MEDICO SOVIETICO *

Nel ricevere l’alto titolo di medico, e sul punto di accedere alla professione medica, giuro solennemente:

― di consacrare tutte le mie conoscenze e le mie forze a proteggere e migliorare la salute degli uomini, a curare e prevenire le malattie, a lavorare coscienziosamente ovunque lo esigano gli interessi della società;

― di essere sempre pronto a portare il soccorso medico, di essere pieno di attenzione e sollecitudine verso i malati, di conservare il segreto medico;

― di perfezionare costantemente le mie conoscenze di medicina e la mia competenza professionale, di contribuire con il mio lavoro allo sviluppo della scienza e delle pratiche mediche;

― di consultare i miei colleghi quando lo esigano gli interessi del malato, e di non rifiutare mai i loro consigli e aiuti;

― di osservare e sviluppare le nobili tradizioni della medicina nazionale, di fondare tutti i miei atti sui principi della morale comunista, di avere sempre presente l’alto titolo di medico sovietico e di essere sempre cosciente delle mie responsabilità verso il popolo e lo Stato sovietici.

Giuro di rimanere tutta la vita fedele a questo giuramento.

* Approvato con decreto del Presidium del Soviet Supremo dell’U.R.S.S. in data 16 marzo 1971. Tutti i medici e laureati in medicina sono tenuti ad accettarlo, firmandone una copia, e a conformarsi ad esso. Riproduciamo la traduzione apparsa nella Rivista Italiana di Medicina Legale 1981/4.

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CODICE DI NORIMBERGA*

1. Il consenso volontario del soggetto umano è assolutamente essenziale. Ciò significa che la persona in questione deve avere capacità legale di dare il consenso, deve essere in grado di esercitare il libero arbitrio senza l’intervento di alcun elemento coercitivo, inganno, costrizione, falsità o altre forme di imposizione o violenza; deve avere sufficiente conoscenza e comprensione degli elementi della situazione in cui è coinvolto, tali da metterlo in posizione di prendere una decisione cosciente e illuminata. Quest’ultima condizione richiede che prima di accettare una decisione affermativa da parte del soggetto dell’esperimento lo si debba portare a conoscenza della natura, della durata e dello scopo dell’esperimento stesso; del metodo e dei mezzi con i quali sarà condotto; di tutte le complicazioni e rischi che si possono aspettare e degli effetti sulla salute o la persona che gli possono derivare dal sottoporsi all’esperimento. Il dovere e la responsabilità di constatare la validità del consenso pesano su chiunque inizia, dirige o è implicato nell’esperimento. È un dovere e una responsabilità che non possono essere impunemente delegati ad altri.

2. L’esperimento dovrà essere tale da fornire risultati utili al bene della società, e non altrimenti ricavabili con mezzi o metodi

* La sentenza del tribunale militare di Norimberga nella causa che opponeva Karl Brandt agli Stati Uniti comprende ciò che ora è denominato Codice di Norimberga (1946), un documento in dieci punti che limita le possibili sperimentazioni mediche su soggetti umani. Secondo questo documento, la sperimentazione su esseri umani è giustificata solo se i suoi risultati apportano benefici alla società e se è condotta secondo principi di base che rispettino «soddisfacenti norme morali, etiche, legali». Sotto certi punti di vista il Codice di Norimberga è stato rimpiazzato, come guida per la sperimentazione su esseri umani, dalla Dichiarazione sulle ricerche biomediche [documento n. 9].

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di studio; la natura dell’esperimento non dovrà essere né casuale né senza scopo.

3. L’esperimento dovrà essere impostato e basato sui risultati della sperimentazione su animali e sulla conoscenza della storia naturale del morbo o di altri problemi allo studio, cosicché risultati antecedenti giustifichino lo svolgersi dell’esperimento.

4. L’esperimento dovrà essere condotto in modo tale da evitare ogni sofferenza o lesione fisica e mentale che non sia necessaria.

5. Non si dovranno condurre esperimenti ove vi sia già a priori ragione di credere che possa sopravvenire la morte o un’infermità invalidante, eccetto forse quegli esperimenti in cui il medico sperimentatore si presta come soggetto.

6. Il grado di rischio da correre non dovrà oltrepassare quello determinato dalla rilevanza umanitaria del problema che l’esperimento dovrebbe risolvere.

7. Si dovrà effettuare una preparazione particolare, e particolari attenzioni dovranno essere usate al fine di mettere al riparo il soggetto dell’esperimento da possibilità anche remote di lesione, invalidità o morte.

8. L’esperimento dovrà essere condotto solo da persone scientificamente qualificate. Sarà richiesto il più alto grado di capacità e attenzione in tutte le fasi dell’esperimento a coloro che lo conducono o vi sono comunque coinvolti.

9. Nel corso dell’esperimento il soggetto umano dovrà avere la libera facoltà di porre fine ad esso se ha raggiunto uno stato fisico o mentale per cui gli sembra impossibile continuarlo.

10. Durante l’esperimento lo scienziato responsabile deve essere pronto a interromperlo in qualunque momento se è indotto a credere in buona fede, dopo una ponderata riflessione con tutte le sue facoltà, che la continuazione dell’esperimento comporterebbe probabilmente lesioni, invalidità o morte per il soggetto umano.

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DICHIARAZIONE SULLE RICERCHE BIOMEDICHE *

INTRODUZIONE

La missione del medico è di salvaguardare la salute dell’uomo. Egli esercita questa missione nella pienezza del suo sapere e della sua coscienza.

La Dichiarazione di Ginevra [documento n. 5] impegna il medico a «considerare la salute del paziente come la sua prima preoccupazione» ed il Codice Internazionale di Etica Medica [documento n. 6] proibisce al medico di dare un consiglio o di porre in essere un atto medico profilattico, diagnostico e terapeutico che non sia giustificato dall’interesse diretto del paziente e particolarmente di indebolire la resistenza fisica o mentale di un essere umano a meno che per necessità terapeutica. L’oggetto della ricerca biomedica deve essere il miglioramento dei metodi diagnostici, terapeutici e profilattici, e la comprensione dell’etiologia e della patogenesi delle malattie.

Nella pratica medica ordinaria ogni metodo diagnostico, terapeutico o profilattico comporta rischi: ciò si applica a fortiori alla ricerca biomedica. Il progresso della medicina è basato sulla ricerca, che in definitiva deve avvalersi della sperimentazione inerente all’uomo. Poiché è risultato indispensabile per il progresso della scienza e per il bene dell’umanità sofferente applicare i risultati degli esperimenti di laboratorio all’uomo, l’Associazione Medica Mondiale ha redatto le raccomandazioni che seguono perché servano da guida ad ogni medico che si occupa

* La prima redazione di questo documento dell’Associazione Medica Mondiale, che contiene norme per la conduzione di esperimenti su soggetti umani, fu approvata nel 1962; nel 1964 venne modificata a Helsinki e sottoposta a revisione nel 1975 a Tokyo.

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delle ricerche biomediche. Queste raccomandazioni dovranno essere periodicamente revisionate in avvenire.

È sottolineato che queste regole sono state redatte solamente per chiarire la coscienza dei medici del mondo intero. Questi non sono esonerati dalla loro responsabilità penale, civile e deontologica al riguardo delle leggi e regolamenti interni del loro paese.

È opportuno, nel campo della ricerca biomedica, stabilire una distinzione fondamentale tra:

― da una parte una ricerca a scopo essenzialmente diagnostico o terapeutico nei riguardi del paziente;

― dall’altra parte una ricerca il cui obiettivo essenziale sia puramente scientifico e senza finalità diagnostica o terapeutica diretta nei riguardi del paziente;

― precauzioni speciali debbono essere prese nel condurre le ricerche che possono danneggiare l’ambiente;

― il benessere degli animali utilizzati nel corso delle ricerche deve essere salvaguardato.

I — PRINCIPI DI BASE

1. La ricerca biomedica inerente gli esseri umani deve essere in conformità ai principi scientifici generalmente riconosciuti e deve essere basata sia su esami eseguiti in laboratorio o su animali in modo adeguato, sia su una conoscenza approfondita della letteratura scientifica.

2. Il progetto e l’esecuzione di ogni fase della sperimentazione riguardante l’uomo debbono essere chiaramente definiti in un protocollo sperimentale che deve essere sottoposto ad un Comitato indipendente nominato appositamente a tale scopo, per pareri e consigli.

3. L’esperimento sull’essere umano deve essere condotto da scienziati qualificati e sotto la sorveglianza di un clinico competente. La responsabilità verso il soggetto della sperimentazione deve sempre incombere ad una persona medicalmente qualificata e non può mai spettare al soggetto stesso, anche se esso ha dato il suo consenso.

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4. L’esperimento non può essere legittimamente tentato se l’importanza dello scopo inteso sia in relazione con il rischio corso dal soggetto.

5. Prima di intraprendere un esperimento, bisogna valutare accuratamente i rischi e i vantaggi prevedibili per il soggetto o per altri. Gli interessi del soggetto debbono sempre prevalere su quelli della scienza o della società.

6. Il diritto del soggetto alla salvaguardia della sua integrità e della sua vita privata deve sempre essere rispettato. Tutte le precauzioni debbono essere prese per ridurre le ripercussioni dello studio sull’integrità fisica e mentale del soggetto e sulla sua personalità.

7. Il medico non deve intraprendere un progetto di ricerca se non è possibile prevederne i rischi potenziali. Il medico deve cessare l’esperimento se i rischi prevalgono sui benefici scontati.

8. Al momento della pubblicazione dei risultati della ricerca il medico deve controllare l’esattezza dei risultati stessi. Non dovranno essere pubblicate relazioni su una sperimentazione non conforme ai principi enunciati in questa dichiarazione.

9. Al momento di ogni ricerca sull’uomo, l’eventuale soggetto sarà informato in modo adeguato sugli obiettivi, metodi, benefici scontati e sui rischi potenziali e sugli svantaggi che potrebbero derivargliene. Egli (ella) dovrà anche essere informato(a) che è libero(a) di disimpegnarsi in qualsiasi momento. Il medico dovrà ottenere il consenso libero e cosciente del soggetto, preferibilmente per iscritto.

10. Quando il medico sollecita il consenso consapevole del soggetto al progetto di ricerca, dovrà prendere delle precauzioni particolari se il soggetto si trova di fronte a lui in una situazione di dipendenza o deve dare il suo consenso sotto costrizione. In quel caso, sarà preferibile che il consenso sia sollecitato da un medico non impegnato nell’esperimento in causa e del tutto estraneo nel rapporto medico-soggetto.

11. Nel caso di incapacità legale, e soprattutto se si tratta di minore, il consenso dovrà essere sollecitato da un rappresentante legale, tenuto conto delle legislazioni nazionali. Nel caso

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in cui un’incapacità fisica o mentale renda impossibile l’ottenimento di un consenso cosciente, l’autorizzazione dei parenti stretti responsabili sostituisce quella del soggetto.

12. Il protocollo della ricerca dovrà sempre contenere una dichiarazione sulle considerazioni etiche implicate in questa ricerca e dovrà indicare che i principi esposti nella presente dichiarazione sono rispettati.

II — RICERCA MEDICA ASSOCIATA ALLE CURE MEDICHE (RICERCA CLINICA)

1. Al momento del trattamento di un malato, il medico deve essere libero di ricorrere ad un nuovo metodo diagnostico o terapeutico, se giudica che questo offre una speranza di salvare la vita, ristabilire la salute o alleviare le sofferenze del malato.

2. Il medico dovrà valutare i vantaggi, i rischi e gli inconvenienti di un nuovo metodo in relazione ai metodi correnti di diagnosi e di terapia migliori.

3. Nel corso di ogni studio clinico — con o senza gruppo tipo — il malato dovrà beneficiare dei migliori mezzi diagnostici e terapeutici disponibili.

4. Il rifiuto del paziente di partecipare ad uno studio non dovrà in alcun caso pregiudicare le relazioni esistenti tra il medico ed il malato.

5. Se il medico ritiene che sia essenziale non chiedere il consenso dichiarato del soggetto, le ragioni specifiche di tale decisione dovranno essere contenute nel protocollo della progettata sperimentazione precedentemente trasmesso ad un Comitato indipendente, secondo la procedura prevista al I, 2 sopra citato.

6. Il medico può associare la ricerca biomedica alle cure mediche, in vista dell’acquisizione di nuove conoscenze mediche,

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solo nella misura in cui questa ricerca biomedica è giustificata da una utilità diagnostica o terapeutica potenziale nei riguardi del suo malato.

III — RICERCA BIOMEDICA NON TERAPEUTICA

1. Nell’applicazione di esperienza puramente scientifica intrapresa sull’uomo, il dovere del medico è di restare il protettore della vita e della salute del soggetto dell’esperimento.

2. I soggetti dovranno essere dei volontari in buona salute o malati colpiti da un’affezione estranea allo studio.

3. Lo sperimentatore o il gruppo di ricerca debbono cessare l’esperimento qualora, secondo il loro giudizio, il suo proseguimento rischia di esporre il soggetto a pericoli.

4. Nella ricerca medica gli interessi della scienza e quelli della società non devono mai prevalere sul benessere del soggetto.

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DICHIARAZIONE SULL’ABORTO TERAPEUTICO *

1. Il primo principio di morale imposto ad un medico è il rispetto assoluto della vita umana, affermato nella clausola della Dichiarazione di Ginevra [documento n. 5]: «Osserverò il rispetto assoluto della vita umana, fin dalla concezione».

2. Le circostanze che mettono in conflitto gli interessi vitali della madre con quelli del nascituro possono essere causa di dilemmi e far sorgere il problema se la gravidanza debba essere interrotta o no.

3. La diversità delle risposte a questa domanda è causata dai differenti atteggiamenti od opinioni relativi al nascituro. Queste opinioni scaturiscono da convinzioni personali che debbono essere rispettate.

4. Non è il ruolo della professione medica determinare a questo proposito le regole e gli atteggiamenti per un paese o una comunità, ma è nostro dovere proteggere i pazienti e salvaguardare i diritti del medico nella società.

5. Di conseguenza, quando la legge autorizza che l’aborto terapeutico sia praticato o che una legislazione apposita sia esaminata e che essa non vada contro le norme dell’Associazione Medica Nazionale, o quando il legislatore desidera, ricerca o accetta l’assistenza della professione medica, i seguenti principi possono essere ricordati:

a) l’aborto terapeutico deve essere praticato solamente su indicazione del medico;

b) la decisione di interrompere una gravidanza deve essere

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normalmente approvata per iscritto da almeno due medici prescelti in ragione della loro competenza professionale;

c) l’intervento dovrà essere praticato da un medico competente, in un ospedale o clinica riconosciuti dalle autorità competenti.

6. Se il medico, in ragione delle sue convinzioni, pensa che gli sia proibito consigliare o praticare l’aborto, può desistere dal farlo, assicurando però la continuità delle cure da parte di un collega qualificato.

7. Questa dichiarazione, adottata all’unanimità dall’assemblea generale dell’Associazione Medica Mondiale, non deve essere considerata come una costrizione da nessun membro di una associazione, a meno che essa sia stata adottata dall’associazione stessa.

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DICHIARAZIONE SULLA TORTURA

E LE ALTRE PENE O TRATTAMENTI CRUDELI DISUMANI O AVVILENTI

IN RELAZIONE ALLA DETENZIONE E ALLA CARCERAZIONE *

PREMESSA

Il medico ha la prerogativa di esercitare la sua professione per servire l’umanità. Egli deve conservare e ristabilire la salute fisica e mentale di tutti senza discriminazione, confortare e sollevare i suoi pazienti. Il medico deve osservare il rispetto assoluto della vita umana fin dalla concezione, anche sotto la minaccia, e non farà uso delle sue conoscenze mediche contro le leggi dell’umanità.

Ai sensi della presente dichiarazione, la tortura può essere definita come le sofferenze psichiche e mentali inflitte ad un certo livello, deliberatamente, sistematicamente o senza motivo apparente da una o più persone che agiscono di loro propria volontà o dietro ordine di una autorità per ottenere con la forza delle informazioni, una confessione o una collaborazione della vittima, o per qualsiasi altra ragione.

DICHIARAZIONE

1. Il medico non dovrà mai assistere, partecipare o ammettere gli atti di tortura o altre forme di trattamenti crudeli, disumani o avvilenti, quali che siano le colpe commesse, l’accusa,

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le credenze o i motivi della vittima, in tutte le situazioni, così come nei casi di conflitto civile o armato.

2. Il medico non dovrà mai fornire locali, strumenti, sostanze o mettere a disposizione le sue conoscenze per facilitare l’uso della tortura o di altro procedimento crudele, disumano o avvilente o per indebolire la resistenza della vittima con questi trattamenti.

3. Il medico non dovrà mai essere presente quando il detenuto è minacciato o sottoposto alla tortura o ad ogni altra forma di trattamento crudele, disumano o avvilente.

4. Il medico deve avere una indipendenza professionale totale per decidere delle cure da prescrivere ad una persona posta sotto la sua responsabilità medica. Il ruolo fondamentale del medico è di alleviare le sofferenze dei suoi simili e nessun motivo di ordine personale, collettivo o politico potrà prevalere contro questo nobile fine.

5. Quando un prigioniero rifiuta qualsiasi nutrimento e il medico ritiene che costui è in condizione di formulare un giudizio cosciente e razionale, malgrado le conseguenze che provocherebbe il suo rifiuto di nutrirsi, l’interessato non dovrà essere alimentato artificialmente. La decisione per quanto riguarda la capacità del prigioniero di esprimere un tale giudizio dovrà essere confermata da un secondo medico indipendente. Il medico dovrà spiegare al prigioniero le conseguenze che la sua decisione di non nutrirsi potrebbero avere sulla sua salute.

6. L’Associazione Medica Mondiale sosterrà e dovrà incitare la comunità internazionale, le Associazioni Nazionali membri e tutti i medici ad appoggiare il medico e la sua famiglia che potrebbero costituire oggetto di rappresaglia o minacce per aver rifiutato di accettare che dei mezzi di tortura od altre forme di trattamenti crudeli, disumani o avvilenti siano impiegati.

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DICHIARAZIONE SULL’IMPIEGO E SULL’ABUSO

DELLE SOSTANZE PSICOTROPE *

L’impiego delle droghe psicotrope dipende da un fenomeno sociale complesso dagli aspetti molteplici di cui le cause sono numerose; non si tratta solo di un problema medico.

È urgente educare l’opinione pubblica in maniera non moralizzatrice e non punitiva, sviluppare e dimostrare le soluzioni pratiche per l’impiego della droga. I medici come cittadini bene informati dovrebbero partecipare a tali programmi.

I medici dovrebbero:

1. prescrivere droghe psicotrope con la più grande riserva, dopo una diagnosi precisa, essendo attenti al giusto uso di questi medicinali, dati i pericoli eventuali del cattivo impiego e dell’abuso;

2. prendere la responsabilità di raccogliere, collazionare e fornire le informazioni disponibili circa i rischi per la salute che può provocare l’impiego non a scopo medico delle droghe, compreso l’alcool.

La professione medica dovrebbe, in collaborazione con i governi e gli organismi interessati, assicurarsi che queste informazioni siano largamente diffuse, specialmente tra le persone che hanno tendenza ad abusare di medicinali per vincere lo stress, anche allo scopo di consentire a ciascuno di assumere le proprie responsabilità.

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DICHIARAZIONE SULLA DETERMINAZIONE DEL MOMENTO DELLA MORTE *

La determinazione dell’ora della morte, nella maggior parte dei paesi, è sotto la responsabilità legale del medico e deve rimanerlo. Egli sarà in genere capace di decidere, senza aiuto speciale, alla luce dei criteri classici, se una persona è morta.

Due procedimenti moderni utilizzati in medicina hanno reso necessario lo studio più approfondito della morte nel tempo:

1. la possibilità di mantenere con mezzi artificiali l’ossigenazione di tessuti che possono essere stati irreversibilmente lesi;

2. l'utilizzazione di organi di cadaveri in vista del loro trapianto: per esempio, il cuore o i reni.

La questione diventa più complessa considerando che la morte è un processo graduale al livello delle cellule e che i tessuti reagiscono diversamente alla mancanza di ossigeno. Tuttavia l’interesse clinico non risiede nel mantenimento di cellule isolate, ma in quello della persona. La questione del momento della morte delle differenti cellule ed organi è meno importante qui della certezza che questo processo è diventato irreversibile, quali che siano i metodi di rianimazione che possono essere impiegati.

Questa determinazione sarà basata sul giudizio clinico sostenuto, se necessario, da un certo numero di apparecchi che permettono la diagnosi, tra i quali l’elettroencefalografo è attualmente il più indispensabile. Non esiste, nello stato attuale delle conoscenze mediche, un criterio unico che dia pienamente soddisfazione e nessun processo tecnico attuale potrà sostituire il giudizio del medico. Qualora il trapianto di un organo sia possibile, la decisione che la morte è presente dovrà essere presa da

* Assemblea Medica Mondiale, Sydney 1968.

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due o più medici e costoro non dovranno essere gli stessi medici che eseguiranno l’operazione di trapianto.

La determinazione del momento della morte consentirà, dal punto di vista etico, di cessare gli sforzi di rianimazione e, nei paesi ove la legge lo consente, di fare il prelievo degli organi dal momento che le condizioni legali, per ciò che riguarda il consenso, sono adempiute.

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DICHIARAZIONE SULLA FASE FINALE DELLA MALATTIA *

1. La missione del medico è di guarire e, nei limiti del possibile, di alleviare la sofferenza, avendo sempre come fine l’interesse fondamentale del paziente.

2. Questo principio non ammette eccezioni neppure in caso di malattia inguaribile o di malformazione.

3. Questo principio non esclude tuttavia la possibilità di applicare le regole che seguono:

a) Il medico può risparmiare al paziente le sofferenze causate da una malattia in fase terminale, astenendosi da trattamenti terapeutici d’accordo con il paziente o con i parenti prossimi se egli è incapace di esprimere la propria volontà. Questa astensione dal trattamento non esime tuttavia il medico dall’obbligo di assistere il morente e di somministrargli i calmanti e i medicamenti idonei a rendergli meno dolorosa la fase terminale della malattia.

b) Il medico si asterrà da ogni accanimento terapeutico, cioè da ogni trattamento di carattere eccezionale da cui non si possa comunque sperare alcun beneficio per il paziente.

c) Il medico potrà mettere in atto tali trattamenti artificiali al fine di mantenere in attività organi destinati a trapianti, qualora ci si trovi nell’impossibilità di invertire il processo terminale di cessazione delle funzioni vitali del paziente, e purché il medico agisca in conformità alle leggi del paese e in virtù di un consenso esplicito o tacito presunto espresso dalla persona interessata e che la constatazione della morte o dell’irreversibilità dell’attività vitale sia stata fatta da un collegio di medici

* Assemblea medica Mondiale, Venezia 183.

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diverso da quello che assume la responsabilità dei trapianti e della cura dei riceventi.

Il costo di questi trattamenti artificiali non dovrà essere posto a carico del paziente deceduto né dei suoi aventi diritto. I medici responsabili del donatore morente devono essere totalmente indipendenti da quelli che sono responsabili del o dei pazienti destinati ai trapianti.

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DICHIARAZIONE SULL’EUTANASIA *

INTRODUZIONE

I diritti e i valori inerenti alla persona umana occupano un posto importante nella problematica contemporanea. Al riguardo, il Concilio ecumenico Vaticano II ha solennemente riaffermato l’eccellente dignità della persona umana e in modo particolare il suo diritto alla vita. Ha perciò denunciato i crimini contro la vita «come ogni specie di omicidio, il genocidio, l’aborto, l’eutanasia e lo stesso suicidio volontario» (Cost. Past. Gaudium et Spes, n. 27).

La Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede, che di recente ha richiamato la dottrina cattolica circa l’aborto procurato 11, ritiene ora opportuno proporre l’insegnamento della Chiesa sul problema dell’eutanasia.

* La Dichiarazione (del 5 maggio 1980) promana dall’autorità dottrinale centrale della Chiesa cattolica, più in particolare dalla Sacra Congregazione per la dottrina della fede, che si occupa di difendere e promuovere l’integrità del patrimonio delle verità da credere. È stata preparata secondo il metodo abituale: inchiesta preliminare e fissazione di un progetto da parte di una commissione di esperti, studio da parte dei consultori della Congregazione, messa a punto definitiva e approvazione pontificia. Sia allo stato preliminare che a quello finale si è fatto ricorso a rappresentanti del mondo della salute, e in particolare a eminenti specialisti in medicina.

Il documento comprende quattro parti. Dopo l'introduzione, che indica i destinatari (pur rivolgendosi direttamente ai cattolici, il richiamo ai grandi principi morali in materia può essere accolto anche dagli altri cristiani, dagli altri credenti e da tutti gli uomini di buona volontà), un primo punto richiama il valore della vita umana. Un secondo punto è dedicato all’eutanasia propriamente detta. La terza parte tratta dei problemi morali che comporta l’uso degli analgesici. La quarta, infine, espone i grandi principi morali che regolano l’uso proporzionato dei mezzi terapeutici nel corso di gravi malattie e nell’imminenza della morte.

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In effetti, per quanto restino sempre validi i principi affermati in questo campo dai recenti Pontefici 12, i progressi della medicina hanno messo in luce negli anni più recenti nuovi aspetti del problema dell’eutanasia, che richiedono ulteriori precisazioni sul piano etico.

Nella società odierna, nella quale non di rado sono posti in causa gli stessi valori fondamentali, la modificazione della cultura influisce sul modo di considerare la sofferenza e la morte; la medicina ha accresciuto la sua capacità di guarire e di prolungare la vita in determinate condizioni, che talvolta sollevano alcuni problemi di carattere morale. Di conseguenza, gli uomini che vivono in un tale clima si interrogano con angoscia sul significato dell’estrema vecchiaia e della morte, chiedendosi conseguentemente se abbiano il diritto di procurare a se stessi o ai loro simili la «morte dolce», che abbrevierebbe il dolore e sarebbe, ai loro occhi, più conforme alla dignità umana.

Diverse Conferenze Episcopali hanno posto, in merito, dei quesiti a questa Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede, la quale, dopo aver chiesto il parere di competenti sui vari aspetti dell’eutanasia, intende con questa Dichiarazione rispondere alle richieste dei Vescovi per aiutarli ad orientare rettamente i fedeli e per offrire loro elementi di riflessione da far presenti alle Autorità civili a proposito di questo gravissimo problema.

La materia proposta in questo Documento riguarda, innanzitutto, coloro che ripongono la loro fede e la loro speranza in Cristo, il quale, mediante la sua vita, la sua morte e la sua risurrezione, ha dato un nuovo significato all’esistenza e soprattutto alla morte del cristiano, secondo le parole di S. Paolo: «Sia che viviamo, viviamo per il Signore; sia che moriamo, moriamo

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per il Signore. Quindi, sia che viviamo, sia che moriamo siamo del Signore» (Rm 14,8; cfr. Fil. 1,20).

Quanto a coloro che professano altre religioni, molti ammetteranno con noi che la fede in un Dio creatore, provvido e padrone della vita — se la condividono — attribuisce una dignità eminente a ogni persona e ne garantisce il rispetto.

Si spera, ad ogni modo, che questa Dichiarazione incontri il consenso di tanti uomini di buona volontà, che, al di là delle differenze filosofiche o ideologiche, hanno tuttavia una viva coscienza dei diritti della persona umana. Tali diritti, d’altronde, sono stati spesso proclamati nel corso degli ultimi anni da dichiarazioni di Congressi Internazionali 13; e poiché si tratta qui dei diritti fondamentali di ogni persona umana, è evidente che non si può ricorrere ad argomenti desunti dal pluralismo politico o dalla libertà religiosa, per negarne il valore universale.

I — VALORE DELLA VITA UMANA

La vita umana è il fondamento di tutti i beni, la sorgente e la condizione necessaria di ogni attività umana e di ogni convivenza sociale. Se la maggior parte degli uomini ritiene che la vita abbia un carattere sacro e che nessuno ne possa disporre a piacimento, i credenti vedono in essa anche un dono dell’amore di Dio, che sono chiamati a conservare e far fruttificare. Da quest’ultima considerazione derivano alcune conseguenze:

1. Nessuno può attentare alla vita di un uomo innocente senza opporsi all’amore di Dio per lui, senza violare un diritto fondamentale, inammissibile e inalienabile, senza commettere, perciò, un crimine di estrema gravità 14.

2. Ogni uomo ha il dovere di conformare la sua vita al disegno

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di Dio. Essa gli è affidata come un bene che deve portare i suoi frutti già qui in terra, ma trova la sua piena perfezione soltanto nella vita eterna.

3. La morte volontaria, ossia il suicidio è, pertanto, inaccettabile al pari dell’omicidio: un simile atto costituisce, infatti, da parte dell’uomo, il rifiuto della sovranità di Dio e del suo disegno di amore. Il suicidio, inoltre, è spesso anche rifiuto dell’amore verso se stessi, negazione della naturale aspirazione alla vita, rinuncia di fronte ai doveri di giustizia e di carità verso il prossimo, verso le varie comunità e verso la società intera, benché talvolta intervengano — come si sa — dei fattori psicologici che possono attenuare o, addirittura, togliere la responsabilità.

Si dovrà, tuttavia, tenere ben distinto dal suicidio quel sacrificio con il quale per una causa superiore — quali la gloria di Dio, la salvezza delle anime o il servizio dei fratelli — si offre o si pone in pericolo la propria vita.

II — L’EUTANASIA

Per trattare in maniera adeguata il problema dell’eutanasia, conviene, innanzitutto, precisare il vocabolo.

Etimologicamente la parola eutanasia significava, nell’antichità, una morte dolce senza sofferenze atroci. Oggi non ci si riferisce più al significato originario del termine, ma piuttosto all’intervento della medicina diretto ad attenuare i dolori della malattia e dell’agonia, talvolta anche con il rischio di sopprimere prematuramente la vita. Inoltre, il termine viene usato, in senso più stretto, con il significato di «procurare la morte per pietà», allo scopo di eliminare radicalmente le ultime sofferenze o di evitare a bambini anormali, ai malati mentali o agli incurabili il prolungarsi di una vita infelice, forse per molti anni, che potrebbe imporre degli oneri troppo pesanti alle famiglie o alla società.

È quindi necessario dire chiaramente in quale senso venga preso il termine in questo Documento.

Per eutanasia s’intende un’azione o un’omissione che di natura sua, o nelle intenzioni, procura la morte, allo scopo di eliminare

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ogni dolore. L’eutanasia si situa, dunque, al livello delle intenzioni e dei metodi usati.

Ora, è necessario ribadire con tutta fermezza che niente e nessuno può autorizzare l’uccisione di un essere umano innocente, feto o embrione che sia, bambino o adulto, vecchio, ammalato incurabile o agonizzante. Nessuno, inoltre, può richiedere questo gesto omicida per se stesso o per un altro affidato alla sua responsabilità, né può acconsentirvi esplicitamente o implicitamente. Nessuna autorità può legittimamente imporlo né permetterlo. Si tratta, infatti, di una violazione della legge divina, di un’offesa alla dignità della persona umana, di un crimine contro la vita, di un attentato contro l’umanità.

Potrebbe anche verificarsi che il dolore prolungato e insopportabile, ragioni di ordine affettivo o diversi altri motivi inducano qualcuno a ritenere di poter legittimamente chiedere la morte o procurarla ad altri. Benché in casi del genere la responsabilità personale possa esser diminuita o perfino non sussistere, tuttavia l’errore di giudizio della coscienza — fosse pure in buona fede — non modifica la natura dell’atto omicida, che in sé rimane sempre inammissibile. Le suppliche dei malati molto gravi, che talvolta invocano la morte, non devono essere intese come espressione di una vera volontà di eutanasia; esse infatti sono quasi sempre richieste angosciate di aiuto e di affetto. Oltre le cure mediche, ciò di cui l’ammalato ha bisogno è l’amore, il calore umano e soprannaturale, col quale possono e debbono circondarlo tutti coloro che gli sono vicini, genitori e figli, medici e infermieri.

III — IL CRISTIANO DI FRONTE ALLA SOFFERENZA E ALL’USO DEGLI ANALGESICI

La morte non avviene sempre in condizioni drammatiche, al termine di sofferenze insopportabili. Né si deve sempre pensare unicamente ai casi estremi. Numerose testimonianze concordi lasciano pensare che la natura stessa ha provveduto a rendere più leggeri al momento della morte quei distacchi, che sarebbero terribilmente dolorosi per un uomo in piena salute. Perciò

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una malattia prolungata, una vecchiaia avanzata, una situazione di solitudine e di abbandono possono stabilire delle condizioni psicologiche tali da facilitare l’accettazione della morte.

Tuttavia si deve riconoscere che la morte, preceduta o accompagnata spesso da sofferenze atroci e prolungate, rimane un avvenimento che naturalmente angoscia il cuore dell’uomo.

Il dolore fisico è certamente un elemento inevitabile della condizione umana; sul piano biologico, costituisce un avvertimento la cui utilità è incontestabile; ma poiché tocca la vita psicologica dell’uomo, spesso supera la sua utilità biologica e pertanto può assumere una dimensione tale da suscitare il desiderio di eliminarlo a qualunque costo.

Secondo la dottrina cristiana, però, il dolore, soprattutto quello degli ultimi momenti di vita, assume un significato particolare nel piano salvifico di Dio; è infatti una partecipazione alla Passione di Cristo ed è unione al sacrificio redentore, che Egli ha offerto in ossequio alla volontà del Padre. Non deve dunque meravigliare se alcuni cristiani desiderano moderare l’uso degli analgesici, per accettare volontariamente almeno una parte delle loro sofferenze e associarsi così in maniera cosciente alle sofferenze di Cristo crocifisso (cfr. Mt. 27,34). Non sarebbe, tuttavia, prudente imporre come norma generale un determinato comportamento eroico. Al contrario, la prudenza umana e cristiana suggerisce per la maggior parte degli ammalati l’uso dei medicinali che siano atti a lenire o a sopprimere il dolore, anche se ne possono derivare come effetti secondari torpore o minore lucidità. Quanto a coloro che non sono in grado di esprimersi, si potrà ragionevolmente presumere che desiderino prendere tali calmanti e somministrarli loro secondo i consigli del medico.

Ma l’uso intensivo di analgesici non è esente da difficoltà, poiché il fenomeno dell’assuefazione di solito obbliga ad aumentare le dosi per mantenere l’efficacia. Conviene ricordare una dichiarazione di Pio XII, la quale conserva ancora tutta la sua validità. Ad un gruppo di medici che gli avevano posto la seguente domanda: «La soppressione del dolore e della coscienza per mezzo dei narcotici... è permessa dalla religione e dalla morale al medico e al paziente (anche all’avvicinarsi della morte e se si prevede che l’uso dei narcotici abbrevierà la vita)?», il Papa rispose: «Se non esistono altri mezzi e se, nelle date circostanze, ciò non impedisce l’adempimento di altri doveri religiosi

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e morali: Sì» 15. In questo caso, infatti, è chiaro che la morte non è voluta o ricercata in alcun modo, benché se ne corra il rischio per una ragionevole causa: si intende semplicemente lenire il dolore in maniera efficace, usando allo scopo quegli analgesici di cui la medicina dispone.

Gli analgesici che producono negli ammalati la perdita della coscienza meritano invece una particolare considerazione. È molto importante, infatti, che gli uomini non solo possano soddisfare ai loro doveri morali e alle loro obbligazioni familiari, ma anche e soprattutto che possano prepararsi con piena coscienza all’incontro con il Cristo. Perciò Pio XII ammonisce che «non è lecito privare il moribondo della coscienza di sé senza grave motivo» 16.

IV — L’USO PROPORZIONATO DEI MEZZI TERAPEUTICI

È molto importante oggi proteggere, nel momento della morte, la dignità della persona umana e la concezione cristiana della vita contro un tecnicismo che rischia di divenire abusivo. Di fatto, alcuni parlano di «diritto alla morte», espressione che non designa il diritto di procurarsi o farsi procurare la morte come si vuole, ma il diritto di morire in tutta serenità, con dignità umana e cristiana. Da questo punto di vista, l’uso dei mezzi terapeutici talvolta può sollevare dei problemi.

In molti casi la complessità delle situazioni può essere tale da far sorgere dei dubbi sul modo di applicare i principi della morale. Prendere delle decisioni spetterà in ultima analisi alla coscienza del malato o delle persone qualificate per parlare a nome suo, oppure anche dei medici, alla luce degli obblighi morali e dei diversi aspetti del caso.

Ciascuno ha il dovere di curarsi e di farsi curare. Coloro che hanno in cura gli ammalati devono prestare la loro opera con ogni diligenza e somministrare quei rimedi che riterranno necessari o utili.

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Si dovrà però, in tutte le circostanze, ricorrere ad ogni rimedio possibile? Finora i moralisti rispondevano che non si è mai obbligati all’uso dei mezzi «straordinari». Oggi però tale risposta, sempre valida in linea di principio, può forse sembrare meno chiara, sia per l’imprecisione del termine che per i rapidi progressi della terapia. Perciò alcuni preferiscono parlare di mezzi «proporzionati» e «sproporzionati». In ogni caso, si potranno valutare bene i mezzi mettendo a confronto il tipo di terapia, il grado di difficoltà e di rischio che comporta, le spese necessarie e le possibilità di applicazione, con il risultato che ci si può aspettare, tenuto conto delle condizioni dell’ammalato e delle sue forze fisiche e morali.

Per facilitare l’applicazione di questi principi generali si possono aggiungere le seguenti precisazioni:

― In mancanza di altri rimedi, è lecito ricorrere, con il consenso dell’ammalato, ai mezzi messi a disposizione dalla medicina più avanzata, anche se sono ancora allo stadio sperimentale e non sono esenti da qualche rischio. Accettandoli, l’ammalato potrà anche dare esempio di generosità per il bene dell’umanità.

― È anche lecito interrompere l’applicazione di tali mezzi, quando i risultati deludono le speranze riposte in essi. Ma nel prendere una decisione del genere, si dovrà tener conto del giusto desiderio dell’ammalato e dei suoi familiari, nonché del parere di medici veramente competenti; costoro potranno senza dubbio giudicare meglio di ogni altro se l’investimento di strumenti e di personale è sproporzionato ai risultati prevedibili e se le tecniche messe in opera impongono al paziente sofferenze e disagi maggiori dei benefici che se ne possono trarre.

― È sempre lecito accontentarsi dei mezzi normali che la medicina può offrire. Non si può, quindi, imporre a nessuno l’obbligo di ricorrere ad un tipo di cura che, per quanto già in uso, tuttavia non è ancora esente da pericoli o è troppo oneroso. Il suo rifiuto non equivale al suicidio: significa piuttosto o semplice accettazione della condizione umana, o desiderio di evitare la messa in opera di un dispositivo medico sproporzionato ai risultati che si potrebbero sperare, oppure volontà di non imporre oneri troppo gravi alla famiglia o alla collettività.

― Nell’imminenza di una morte inevitabile nonostante i mezzi usati, è lecito in coscienza prendere la decisione di rinunciare

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a trattamenti che procurerebbero soltanto un prolungamento precario e penoso della vita, senza tuttavia interrompere le cure normali dovute all’ammalato in simili casi. Perciò il medico non ha motivo di angustiarsi, quasi che non avesse prestato assistenza ad una persona in pericolo.

CONCLUSIONE

Le norme contenute nella presente Dichiarazione sono ispirate dal profondo desiderio di servire l’uomo secondo il disegno del Creatore. Se da una parte la vita è un dono di Dio, dall’altra la morte è ineluttabile; è necessario, quindi, che noi, senza prevenire in alcun modo l’ora della morte, sappiamo accettarla con piena coscienza della nostra responsabilità e con tutta dignità. È vero, infatti, che la morte pone fine alla nostra esistenza terrena, ma allo stesso tempo apre la via alla vita immortale. Perciò tutti gli uomini devono prepararsi a questo evento alla luce dei valori umani, e i cristiani ancor più alla luce della loro fede.

Coloro che si dedicano alla cura della salute pubblica non tralascino niente per mettere al servizio degli ammalati e dei moribondi tutta la loro competenza; ma si ricordino anche di prestare loro il conforto ancor più necessario di una bontà immensa e di una carità ardente. Un tale servizio prestato agli uomini è anche un servizio prestato al Signore stesso, il quale ha detto: «Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt. 25, 40).

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GUIDA EUROPEA DI ETICA E DI COMPORTAMENTO PROFESSIONALE

DEI MEDICI *

INTRODUZIONE

Consultare un medico, un chirurgo, uno specialista, sottomettersi alla loro terapia, comporta da parte di un individuo inquieto o malato un atto di fiducia. Il medico deve dunque esercitare la sua arte nelle condizioni che gli permettono di non ingannare questa fiducia. Come è stato detto, l’atto medico è una «fiducia che raggiunge una coscienza».

Una tale fiducia, concernente ciò che l’uomo ha di più prezioso, vale a dire la sua salute e l’integrità del suo corpo, è necessariamente fondata su due nozioni essenziali:

1. una, pragmatica, riguarda i risultati scontati dell’intervento del medico, la cui migliore garanzia è largamente condizionata da un’eccellente tecnicità. Da questo punto di vista, dovere degli insegnanti di medicina è di conferire diplomi sulla base di conoscenze approfondite, e dovere dei medici è di acquisire la migliore istruzione, incrementare le conoscenze nel corso della loro pratica e perfezionarle nella misura in cui evolvono le acquisizioni della scienza;

* La Conferenza Internazionale degli Ordini dei Medici e degli Organismi di Attribuzione simili della C.E.E. ha deciso di studiare, da un punto di vista molto generale, i principi etici e le regole deontologiche in vigore nei diversi paesi della Comunità stessa, al fine di ricavarne le grandi linee comuni e anche di tentare di armonizzarne l’espressione scritta sotto forma di una «Guida», senza tuttavia pregiudicare le loro formulazioni originali. Il testo della guida non ha potuto essere adottato all’unanimità dai partecipanti alla Conferenza Internazionale, tenuto conto di alcune difficoltà di adattamento legate a particolarità delle leggi rispettive dei paesi membri. I partecipanti hanno nondimeno deciso all’unanimità la sua pubblicazione, con la firma di J. L. Lortat-Jacob, presidente della Conferenza (dicembre 1982). Nostra traduzione dal francese.

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2. l’altra, filosofica, riguarda il clima psicologico nel quale deve svolgersi l’atto medico, consacrato al solo interesse dell’individuo, della sua integrità, della sua dignità e della sua vita. Ogni interferenza estranea al colloquio medico-malato deve essere eliminata.

Si giunge così a considerare i principi generalmente ammessi in tutte le nazioni della C.E.E., che presiedono alla realizzazione dell’atto medico legale, ovvero che rispondono meglio all’attesa dell’essere umano in questione.

CAP. I — RISPETTO DELLA VITA E DELLA PERSONA UMANA

Il rispetto della vita e della persona umana riassume l’essenziale dell’etica medica. Questa procede dalla tradizione ippocratica, rafforzata dalle regole morali delle religioni giudaico-cristiane. Le filosofie laiche hanno raccolto questi principi, sui quali è fondata ora la Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo.

Il diritto dell’individuo al rispetto della propria vita e dell’integrità fisica e mentale della sua persona risponde al desiderio istintivo di ogni uomo.

Il medico, mediante l’esercizio della sua arte, si trova ad essere in prima fila tra coloro che intervengono in questa opera di protezione della vita, sia per le sue azioni terapeutiche, sia per le sue azioni di prevenzione.

Questo sentimento, profondamente sentito da tutti, è il fondamento della fiducia che deve poter essere posta in lui. Ricorrere a un medico vuol dire in primo luogo affidarsi a lui.

Tale azione, che domina tutta l’etica medica, proibisce, di conseguenza, alcune azioni ad essa contrarie.

Così il medico non può procedere all’eutanasia.

Deve sforzarsi di placare le sofferenze del suo malato, ma non ha il diritto di provocarne deliberatamente la morte.

L’alleviamento delle sofferenze può rendere necessaria l’utilizzazione di medicine tossiche, suscettibili talvolta di ridurre il tempo della sopravvivenza. Ma il medico non può, anche su domanda dell’interessato, e ancor meno dei suoi familiari, andare al di là.

Questa regola, conosciuta da tutti e rispettata dal corpo medico,

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deve essere la ragione e la giustificazione della fiducia posta in lui. Nessun essere malato, handicappato, infermo o senile, alla vista del medico chiamato al suo capezzale, deve avere dubbi a questo riguardo.

Quando la condizione del malato richiede una procedura di rianimazione, tutto deve essere tentato, per un tempo e nelle condizioni scientificamente ragionevoli per assicurarne l’efficacia. «L'accanimento terapeutico», in queste condizioni, è conforme all’obbligo di portare aiuto. Per contro, venuto il momento, quest’azione può essere legittimamente abbandonata. Anche «l’ostinazione terapeutica», che comporta azioni prolungate, scientificamente non ragionevoli, non è auspicabile. In particolare, nei casi di coma dépassé. Ma il medico deve rimanere il solo giudice della propria condotta.

Trattandosi del rispetto della persona umana, si deve affermare che nessuna mutilazione può essere praticata senza motivo medico molto serio e, salvo urgenza o impossibilità, dopo informazione degli interessati e con il loro consenso.

Quanto ai prelievi di organi, non dovranno essere praticati che nei casi e alle condizioni generalmente previste dai testi di legge.

Il medico sollecitato o richiesto di esaminare una persona privata della libertà o di somministrarle delle cure non può, direttamente o indirettamente, magari con la sua sola presenza, favorire o avallare un’offesa all’integrità fisica o mentale di questa persona o della sua dignità. Se constata che questa ha subito sevizie o cattivi trattamenti, deve, sotto riserva e d’accordo con l’interessato, informare le autorità competenti.

Nell’ambito della ricerca scientifica, specialmente quella farmacologica, la protezione della persona umana deve essere oggetto di un’attenzione particolare.

In primo luogo, sarebbe auspicabile che fossero meglio distinti il tentativo terapeutico e la sperimentazione farmacologica sull’uomo sano.

Un tentativo terapeutico condotto in condizioni scientifiche rigorose è legittimo se si presume che la medicina o il prodotto sperimentato possano essere benèfici ai malati consenzienti sui quali si fa il tentativo, dopo che sono stati validamente informati. Naturalmente, la condizione di «malato» non deve autorizzare tentativi terapeutici diversi da quelli che si indirizzano

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all’affezione da cui è colpito l’interessato, nonché ogni altra sperimentazione.

La sperimentazione farmacologica sul sano è tutt’altra cosa. È abitudine che i ricercatori, in questo ambito, insistano sulla necessità di sottoporre a dei «Comitati etici», per approvazione, i programmi sperimentali. È abitudine che sia richiesto anche il «consenso informato» del soggetto sottoposto alla sperimentazione. La libertà di decisione di tale soggetto deve essere totale, escludendo dunque ogni ricatto o pressione, dopo essere stato «totalmente informato» dell’esperimento progettato e dei suoi eventuali rischi.

Pur tuttavia, il carattere di totale illuminazione di tale informazione appare ai più discutibile, nella misura in cui sussiste una parte di incognita, ragione stessa della sperimentazione. La totale informazione dei rischi non può dunque, in tutta onestà, essere considerata come reale.

Per questo motivo, salvo per dei tests certamente anodini, è consigliabile che il responsabile dell’équipe di ricerca e di informazione intraprenda le prime sperimentazioni su se stesso e, col loro consenso, questa volta certamente «informato», sui membri volontari dell’équipe di ricerca.

Questa misura è la sola che garantisca nel miglior modo possibile la sicurezza dei soggetti reputati sani, informati e liberamente volontari. L’etica si troverebbe così meglio rispettata. Moralmente, solo dopo questa prima tappa i ricercatori potrebbero vantarsi di un’informazione illuminata, totale e onesta. Del resto, numerosi ricercatori procedono sempre così, seguendo in ciò l’esempio di ricercatori celebri 17. Non dimentichiamo, infine, che Claude Bernard riteneva necessaria e obbligatoria l’autosperimentazione preliminare a ogni prova sull’uomo.

Bisogna considerare infine un ultimo aspetto del rispetto della vita: quello che è stato così spesso rimesso in discussione, in questi ultimi anni, da diverse leggi che autorizzano aborti senza motivazione medica.

Non è scientificamente ammissibile stabilire una distinzione

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nei caratteri essenziali della vita, tra la vita di un embrione e quella di un feto vitale. Pertanto, questo è protetto nella maggior parte delle legislazioni.

D’altra parte, l’eliminazione provocata di un embrione, dunque prima che abbia acquisito la vitalità, è il passo che è stato compiuto legalmente di recente nella maggior parte dei nostri paesi, sotto la designazione di interruzione volontaria della gravidanza.

Questa disposizione è combattuta dalla maggior parte delle morali religiose. Non spetta certamente alla Conferenza Internazionale degli Ordini imporre, per questa sola ragione, una tale interdizione alle donne che sono indotte, per motivi personali molto diversi, a ricorrere all’aiuto e alla competenza tecnica dei medici. D’altra parte, il miglior argomento adatto ai sostenitori dell’interruzione volontaria della gravidanza è stato quello della protezione delle donne incinte che ricorrerebbero a manovre abortive pericolose, addirittura mortali, in particolare nella clandestinità.

La protezione della vita di queste donne ha turbato più di una coscienza di medico, come si può ben capire. Ciò senza considerare, per contropartita, il numero di «vite in potenza» soppresse in tal modo.

Fatte queste considerazioni, rimane vero che il diritto alla vita di ogni essere umano, fin dal concepimento, è una nozione iscritta nei testi d’ispirazione laica. Il rispetto dell’essere creato «a immagine e somiglianza di Dio» non vi è certo invocato. Si tratta dunque di una disposizione puramente filosofica. L’etica medica ha sempre denunciato le manovre abortive. Il giuramento di Ippocrate fa fede. Ora, questa etica, ancora una volta, per restare efficiente e costituire il ricorso alla coscienza con cui ogni medico può opporsi, in tutte le circostanze che minacciano la vita o l’integrità della persona umana, deve restare una e senza strappi. La nostra etica non può dunque accettare di adattarsi a questo diritto, aperto dalla legge, all’aborto per convenienze personali.

La conservazione fortemente proclamata di questo punto di vista ha guidato il legislatore, in alcuni dei nostri paesi, a iscrivere nella legge una clausola che permette a ogni medico, per ragioni che gli sono personali (etiche o religiose), di rifiutare l’interruzione volontaria della gravidanza. È ciò che si designa,

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nella maggior parte di questi paesi, con la «clausola di coscienza».

Era evidentemente il solo modo per tentare di conciliare l’inconciliabile, cioè la violazione e il rispetto dei principi che l’etica medica difende. Ogni medico resta arbitro delle sue opinioni. Così si è potuto scrivere: «Il medico non può praticare un’interruzione di gravidanza che nei casi e nelle condizioni previste dalla legge. È sempre libero di rifiutare di dare corso a una domanda di interruzione volontaria di gravidanza».

Come corollario alla pratica dell’interruzione volontaria della gravidanza emergono gravi problemi giunti di recente all’evidenza, quali la sperimentazione sull’embrione e sul feto vivo, talvolta anche in utero. Si sa a quali eccessi ripugnanti ha potuto condurre l’abbandono delle regole etiche sopra enunciate.

CAP. II — SEGRETO PROFESSIONALE

La regola del segreto professionale fa parte delle tradizioni mediche più antiche e più universali. Il segreto è, infatti, una condizione necessaria della fiducia dei malati, nell’interesse dei quali è stabilito. È anche un simbolo: con la sua discrezione, ogni medico manifesta il rispetto che ha dei suoi malati.

Il segreto non verte solo sulle constatazioni di ordine sanitario che il medico ha potuto fare, o sulle confidenze del malato. Tutto quello che ha potuto vedere, sentire o anche dedurre nell’esercizio della sua professione, deve essere conservato segreto.

È importante che a questo riguardo non si possa dubitare di alcun medico e che si sappia bene che ogni essere umano che ha bisogno di soccorso si può rivolgere a un membro del corpo medico, senza rischiare di essere tradito o denunciato.

Il segreto medico è una clausola privata del contratto tacito che lega il medico al suo malato; esso ha un interesse sociale. Tuttavia, apprezzando l’interesse sociale, la legge può dire che un interesse superiore esige la rivelazione di certe constatazioni mediche: le deroghe legali al segreto sono la conseguenza di questa interpretazione dell’ordine pubblico (per esempio: quando il rispetto del segreto comporterebbe la propagazione di un’epidemia).

Inoltre, l’evoluzione tecnica della medicina, l’importanza crescente

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delle cure per le quali il malato è affidato a un’équipe medica, lo sviluppo delle istituzioni di solidarietà sociale che introducono un terzo garante nei rapporti malato/medico, implicano spesso la condivisione del segreto, con i rischi di diluizione che ciò comporta.

Se lo scambio di informazioni è indispensabile tra medici per lo svolgimento delle cure, deve essere limitato a ciò che è necessario, e niente autorizza il medico a dare informazioni sui suoi malati a un altro medico che non partecipa alle cure.

Quanto ai collaboratori del medico — aiuti, infermiere, segretarie — condotti a intervenire nel corso delle cure, essi sono tenuti al segreto medico. È un dovere, per il medico, vegliare sulla loro discrezione.

Le schede, note e osservazioni riguardanti il malato, che il medico redige per se stesso, così come tutti i risultati di laboratorio, radiografie e le conclusioni di tutti gli esami complementari (biopsia, esami istologici, esami radiologici, ecc.) che ha conservato, sono, evidentemente, documenti confidenziali. Il medico ne ha la responsabilità e deve assicurarsi che nessuno vi possa avere accesso 18.

Questa nozione del segreto medico deve essere distinta da quella della verità dovuta al malato. Infatti la verità è, in linea di principio, dovuta al malato da parte del suo medico. Tuttavia questi deve rimanere arbitro di ciò che pensa di poter rivelare e sotto quale forma, tenuto conto del migliore interesse del malato 19.

Cap. III — L’INDIPENDENZA DEL MEDICO

L’esercizio della medicina deve assicurare a tutti quelli che ricorrono a coloro che la praticano la garanzia che l’unico obiettivo

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di costoro è l’interesse primo dei loro malati. Guarire, alleviare, o almeno confortare l’individuo, escludendo ogni considerazione di razza, di nazionalità, di religione: ecco le risposte che ogni medico deve sforzarsi di dare alla fiducia riposta in lui.

Ciò presuppone che nessuno venga a interferire, come terzo elemento, in questo «colloquio» singolare medico/malato. Questa necessità si esprime nel rispetto dell'indipendenza professionale di ogni medico, che non deve subire subordinazioni di alcun genere.

Il carattere personale di questo atto di fiducia implica, evidentemente, la sola responsabilità propria dell’uomo dell’arte (quale che sia la modalità di esercizio: liberale, salariato o in associazioni ecc.). Questi deve dunque essere responsabile, personalmente, del suo comportamento professionale, delle sue ricerche diagnostiche, delle sue scelte terapeutiche, in breve di tutte le sue decisioni concernenti il suo malato. Nessuna autorità deve imporgli una determinata condotta, nel qual caso egli può decidere di rinunciare al suo intervento presso il malato.

Beninteso, questa indipendenza implica che il medico, totalmente responsabile, possa esser chiamato a rispondere dei suoi errori eventuali di fronte alle giurisdizioni civili, penali e professionali del paese in cui esercita.

Questa disposizione, che correla indipendenza e responsabilità personale, è la caratteristica propria delle professioni dette liberali, meglio libere. Professioni rese singolari anche dalla natura intima di ciò che viene affidato al professionista dai suoi clienti (la vita o la salute, nel caso del medico). Ciò non dispensa — piuttosto è vero il contrario — il medico dal sottostare alle regole deontologiche e alle leggi del suo paese.

Tuttavia, questa indipendenza non può essere messa in questione nelle sue decisioni tecniche relative a questo o quel malato, anche se deve, in via di principio, osservare le regolamentazioni di salute pubblica in vigore, così come la legislazione propria alla sua professione e agli organismi sanitari pubblici, ai quali collabora di buon grado (obbligo di fornire tutti i documenti, certificati e attestati la cui produzione è prescritta dai testi legislativi e regolamentari).

L’indipendenza professionale deve essere considerata non come un privilegio dei medici, ma come un diritto del malato. Il

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medico fa e prescrive liberamente ciò che è necessario: «La sua indipendenza è acquisita quando ciascuno dei suoi atti professionali è determinato solamente dal giudizio della sua coscienza e dalle referenze scientifiche, con l’interesse del malato come unico obiettivo» 20. Questa indipendenza non è solo la libertà di prescrizione; bisogna che sia anche un atteggiamento dello spirito.

Non si potrebbe concepire, infatti, senza mettere in causa la sua efficacia, che l’atto medico, anche libero e indipendente, sia semplicemente una merce distribuita da prestatori di servizi, la cui coscienza e affettività non partecipano al valore della prestazione. Non bisogna che «dal fondo della loro miseria i malati, mentre chiamano un medico, si vedano arrivare un impiegato» 21.

Nel caso in cui l’esercizio del medico comporti per lui un qualsiasi legame amministrativo o giuridico, la sua indipendenza professionale e la sua responsabilità personale gli devono essere espressamente riconosciute.

CAP. IV — LA LIBERTÀ DEL MALATO

Come corollario dall’indipendenza del medico, la libertà del malato deve essere rispettata al massimo grado. Il malato deve avere la libertà di scegliere il suo medico, di rifiutare un medico, di cambiare medico in qualsiasi momento, di chiedere un consulto, di accettare o di rifiutare il trattamento proposto, l’ospedalizzazione ecc.

Il rispetto della volontà del malato pone talvolta problemi particolari ai quali la risposta data in luoghi diversi ha potuto mostrare qualche divergenza. È questo il caso del suicidio.

Il suicidio è un atto di autodistruzione interdetto da diverse legislazioni. Quali che siano le disposizioni legali, non solamente il medico non può farsi complice di un suicidio, ma deve portare soccorso al suicida e offrirgli le sue cure, specialmente quando questi non ha più completa coscienza.

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Quest’obbligo può apparire come una contraddizione alla regola del rispetto della volontà dell’individuo. L’atto suicidano è, infatti, l’espressione estrema della volontà di darsi la morte. Tuttavia l’esperienza prova che la maggior parte dei «suicidi» che sopravvivono al loro tentativo non lo ripetono, salvo nel corso di certe sindromi psichiatriche.

D’altra parte, non è impensabile che, durante lo svolgimento del suicidio, l’individuo non provi, in un ultimo soprassalto di coscienza, un sentimento di rimpianto, o addirittura di rimorso, tanto sono ancorati nel subconscio dell’uomo l’istinto di conservazione e il desiderio di vivere. Da questa analisi, spesso confermata dai sopravvissuti, deriva l’obbligo di soccorso e di trattamento dei suicidi da parte del medico.

Questi non ha diritto, d’altra parte, di prendere in considerazione, per determinare il proprio comportamento, i moventi del suicidio — sentimentali, filosofici, politici o altri —, né gli obiettivi talvolta cercati dai suicidi.

Un esempio particolare merita una riflessione: quello di coloro che fanno lo sciopero della fame. La maggior parte dei medici, dei giuristi, dei moralisti, interrogati su questo punto, ritengono che la volontà di digiuno debba essere rispettata, quando non si riesce nel tentativo di dissuasione. Ma quando appaiono i segni di un perturbamento della coscienza, che offusca la lucidità nell’espressione della volontà, gli stessi ritengono che il medico possa, e anzi debba, come per ogni suicida, portare soccorso e intervenire immediatamente.

CAP. V — LA COMPETENZA DEI MEDICI

Gli aspetti strettamente morali dell’etica medica non escludono che si prendano in considerazione gli imperativi tecnici necessari all’esercizio corretto della professione, giustificando la fiducia che il malato mette nel suo medico. Questo obiettivo comporta la necessità di essere iscritto nell’Albo dell’Ordine dei Medici o in organismi simili. Questa iscrizione avviene dopo un controllo della moralità del medico e della validità dei suoi diplomi. Comporta il suo assoggettamento alla disciplina professionale esercitata dalle istanze create a questo fine dal legislatore,

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oltre all’assoggettamento generale di tutti i cittadini ai tribunali di diritto comune.

D’altra parte, gli Ordini possono essere incaricati di controllare la validità dei diplomi rilasciati dalle università (dottorati, specializzazioni e altri diplomi particolari). Più eccezionalmente, gli Ordini possono essere chiamati a pronunciarsi sulla validità di certe condizioni di pratica professionale probatoria, prima dell’esercizio nelle specialità.

Allo stesso modo, gli Ordini e organismi simili devono vigilare sul perfezionamento e la formazione continua postuniversitaria dei medici, allo scopo di concorrere alla migliore qualità delle cure dispensate ai malati.

APPENDICE

I principi sopra enunciati non sono elementi di un codice, ma solamente una Guida etica. Non ci si stupirà, quindi, di non trovarvi regole precise e dettagliate di comportamento professionale, quali alcuni avrebbero desiderato.

Questo testo riflette gli scambi di vedute tra le delegazioni di diversi Ordini e organismi simili. Non poteva, evidentemente, che definire linee molto generali, in ragione soprattutto di difficoltà di adattamento legate ad alcune particolarità delle leggi rispettive dei paesi membri.

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SEZIONE III

DIRITTI IN CAMPO BIOMEDICO

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DICHIARAZIONE SUI DIRITTI DELLE PERSONE MINORATE*

L’Assemblea Generale,

Cosciente dell’impegno che gli Stati membri hanno preso, in virtù della Carta delle Nazioni Unite, di intraprendere un’azione congiunta o separata, in collaborazione con l’Organizzazione, al fine di promuovere migliori condizioni di vita, il pieno impiego, lo sviluppo economico e sociale,

Riaffermando la fede nei principi di pace, di giustizia sociale, di dignità e valore della persona umana, proclamati dalla Carta,

Ricordando i principi proclamati dalla Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo, dai Patti Internazionali relativi ai diritti dell’uomo, dalla Dichiarazione dei diritti del bambino, così come le norme di progresso sociale enunciate negli Atti costitutivi, nelle Convenzioni, Raccomandazioni e Risoluzioni dell'Organizzazione Internazionale del Lavoro, dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura, dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, del Fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia e di altre organizzazioni interessate,

Ricordando parimenti la risoluzione 1921 (LVIII) del Consiglio Economico e Sociale in data 6 maggio 1975 sulla prevenzione dell’invalidità e il riadattamento dei minorati,

Sottolineando che la Dichiarazione sul progresso e lo sviluppo in campo sociale ha proclamato la necessità di proteggere i diritti e di garantire il benessere e il riadattamento dei minorati fisici e mentali,

* La Dichiarazione è stata approvata nella seduta plenaria dell’O.N.U. del 9 dicembre 1975.

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Tenendo presente la necessità di prevenire le invalidità fisiche e mentali, di aiutare le persone minorate a sviluppare le proprie attitudini nei più diversi campi di attività, come pure di promuovere, nella misura più ampia possibile, la loro integrazione nella vita sociale,

Cosciente che alcuni paesi, allo stadio attuale del loro sviluppo, possono dedicare a questa azione solo risorse limitate,

Proclama la presente Dichiarazione dei diritti dei minorati e chiede che sia intrapresa un’azione, su piano nazionale e internazionale, affinché questa Dichiarazione costituisca una base ed un riferimento comuni per la protezione dei seguenti diritti:

1. Il termine «minorato» o «handicappato» designa ogni persona incapace di provvedere da sé, interamente o in parte, alle normali necessità della propria vita individuale o sociale, a causa di una deficienza, congenita o acquisita, fisica o mentale.

2. Il minorato deve fruire di tutti i diritti enunciati nella presente Dichiarazione. Questi diritti devono essergli riconosciuti senza alcuna eccezione e senza discriminazioni basate sulla razza, il colore, il sesso, la lingua, la religione, l’opinione politica, l’origine nazionale o sociale, la condizione economica e ogni altra situazione del minorato stesso o della sua famiglia.

3. Il minorato ha diritto al rispetto della sua dignità: quali siano l’origine, la natura e la gravità delle sue turbe e deficienze, ha gli stessi diritti fondamentali dei suoi concittadini coetanei, ciò che implica principalmente quello di godere di una vita decorosa, sviluppata al massimo delle possibilità.

4. Il minorato ha gli stessi diritti civili e politici degli altri individui; l’articolo 7 della Dichiarazione sui diritti delle persone ritardate mentali [documento n. 18] va applicato per ogni limitazione o soppressione di tali diritti di cui il minorato fosse oggetto.

5. Il minorato ha diritto alle misure adatte a permettergli la più ampia autonomia possibile.

6. Il minorato ha diritto alle cure mediche, psicologiche e funzionali, compresi gli apparecchi di protesi e di ortesi; ha diritto al riadattamento medico e sociale; all’educazione; alla formazione

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professionale; agli aiuti, consigli, uffici di collocamento ed altri servizi che gli permettano di esplicare e valorizzare le sue capacità e attitudini, favorendo altresì il processo della sua integrazione o reintegrazione sociale.

7. Il minorato ha diritto alla Previdenza Sociale, in modo che possa condurre una vita decorosa. Ha il diritto, secondo le sue possibilità, di ottenere e conservare un impiego o di esercitare un’occupazione utile, produttiva e redditizia remunerata, e di far parte di organizzazioni sindacali.

8. Il minorato ha diritto ad una particolare attenzione verso i suoi specifici bisogni in ogni stadio della pianificazione economica e sociale.

9. Il minorato ha il diritto di vivere in seno alla propria famiglia o in un’altra che la sostituisca e di partecipare ad attività creative e ricreative. Nessun minorato può esser costretto a cambiare o mantenere l’abituale residenza, ove ciò non sia richiesto dal suo stato o dal miglioramento che gli può essere apportato. Se il soggiorno di un minorato in un istituto specializzato è indispensabile, l’ambiente e le condizioni di vita debbono essere simili, per quanto possibile, a quelli della vita normale dei suoi coetanei.

10. Il minorato deve esser protetto contro ogni sfruttamento, contro norme o trattamenti discriminatori, abusivi o degradanti.

11. Il minorato deve poter beneficiare di una tutela legale qualificata, allorché tale misura si riveli indispensabile alla protezione della sua persona e dei suoi beni. Se è oggetto di procedimenti giudiziari, deve beneficiare di una procedura regolare che tenga pienamente conto della sua condizione fisica o mentale.

12. Le organizzazioni dei minorati possono essere utilmente consultate su tutte le questioni riguardanti i diritti dei minorati.

13. Il minorato, la famiglia e la comunità devono essere informati con tutti i mezzi appropriati dei diritti contenuti nella presente Dichiarazione.

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DICHIARAZIONE SUI DIRITTI DELLE PERSONE RITARDATE MENTALI *

Art. 1. La persona ritardata mentale ha gli stessi diritti fondamentali degli altri cittadini dello stesso paese e della stessa età.

Art. 2. La persona ritardata ha diritto a un’assistenza medica adeguata, a una terapia fisica e all’istruzione e al sostegno che la rendano capace di sviluppare le sue capacità e il suo potenziale al massimo livello possibile, senza tener conto della gravità del suo handicap. Nessuna persona ritardata deve essere privata di questi servizi a motivo delle spese che essi comportano.

Art. 3. La persona ritardata ha diritto alla sicurezza economica e a un decoroso livello di vita. Ha diritto a un lavoro produttivo o ad un’altra utile occupazione.

Art. 4. La persona ritardata ha diritto a vivere con la sua famiglia o con i genitori adottivi, a partecipare sotto tutti gli aspetti alla vita sociale e ad essere occupata in attività appropriate durante il tempo libero. Se le è necessaria l’assistenza in un istituto, bisogna che questo si trovi nelle vicinanze del luogo in cui abita e che l’assistenza sia fornita in modi che rendano possibile una vita normale.

Art. 5. La persona ritardata ha diritto a un accompagnatore qualificato che deve proteggere il suo benessere e i suoi personali interessi. Chi fornisce direttamente servizi alla persona ritardata non dovrebbe fungere anche da suo accompagnatore.

Art. 6. La persona ritardata ha diritto ad essere protetta da

* La Dichiarazione è stata adottata dalla «Lega internazionale delle società per gli handicappati mentali» nel 1968. L’assemblea generale dell’O.N.U. ha riesaminato ed emendato la Dichiarazione, e l’ha ufficialmente riconosciuta nel 1971.

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sfruttamenti, violenze sessuali e trattamenti degradanti. Se è accusata, ha diritto a un esame equo per valutare il suo grado di responsabilità.

Art. 7. Alcune persone ritardate possono essere incapaci, per la severità del loro handicap, di esercitare da se stesse tutti i loro diritti; per altre persone è conveniente che tali diritti vengano modificati tutti o in parte. La procedura usata per la modifica o la sospensione dei diritti deve contenere appropriate assicurazioni legali contro ogni forma di abuso; deve essere basata sulla valutazione della capacità della persona ritardata da parte di esperti qualificati e deve essere soggetta a controlli periodici e al diritto di appello ad autorità superiori.

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RACCOMANDAZIONE RELATIVA AI DIRITTI DEI MALATI E DEI MORENTI*

L’Assemblea,

Considerando che i progressi rapidi e costanti della medicina creano dei problemi e celano anche certe minacce per i diritti fondamentali dell’uomo e l’integrità dei malati;

Notando che il perfezionamento dei mezzi medici tende a dare al trattamento un carattere sempre più tecnico e a volte meno umano;

Considerando che da qualche tempo si concorda nel riconoscere che i medici debbono prima di tutto rispettare la volontà dell’interessato circa il trattamento da applicare;

Ritenendo che il diritto dei malati alla dignità e alla integrità, nonché il diritto all’informazione e alle cure appropriate, debba essere definito con precisione e accordato a tutti;

Convinta che la professione medica è al servizio dell’uomo, per la protezione della salute, per il trattamento delle malattie e delle ferite, per l’alleviamento delle sofferenze, nel rispetto della vita umana e della persona umana, e convinta che il prolungamento della vita non debba essere in sé lo scopo esclusivo della pratica medica, che deve mirare altrettanto ad alleviare le sofferenze;

Considerando che il medico deve sforzarsi di placare le sofferenze e che non ha il diritto, neppure nei casi che sembrano disperati, di affrettare intenzionalmente il processo naturale della morte;

* L’assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, dopo la discussione del rapporto preparato dalla commissione per i problemi sociali e sanitari, ha adottato il testo il 29.1.1976.

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Sottolineando che il prolungamento della vita con mezzi artificiali dipende, in larga misura, da fattori quali l’attrezzatura disponibile, e che i medici, operanti negli ospedali in cui gli impianti tecnici consentono di prolungare la vita per un periodo particolarmente lungo, si trovano spesso in una posizione delicata circa il proseguimento del trattamento, nel caso ove la cessazione di tutte le funzioni cerebrali di una persona è irreversibile;

Sottolineando che i medici debbono agire in conformità con la scienza e l’esperienza medica ammessa, e che nessun altro medico o altro membro delle professioni mediche potrebbe essere costretto ad agire contro la propria coscienza in correlazione con il diritto del malato di non soffrire inutilmente;

Raccomanda al Comitato dei Ministri di invitare i governi degli stati membri:

I. a) A prendere tutte le misure necessarie in particolare per ciò che riguarda la formazione del personale medico e l’organizzazione dei servizi medici, affinché tutti i malati, ricoverati o curati a domicilio, siano alleviati nelle loro sofferenze per quanto lo stato attuale delle conoscenze mediche lo consente; b) A richiamare l’attenzione dei medici sul fatto che i malati hanno il diritto, se lo richiedono, di essere informati completamente sulla loro malattia e sul trattamento previsto, e a fare in modo che al momento dell’accettazione in un ospedale essi siano informati circa il regolamento, il funzionamento e l’attrezzatura medica dell’ospedale; c) Si assicurino che tutti i malati abbiano la possibilità di prepararsi psicologicamente alla morte e prevedano l’assistenza necessaria a questi fine facendo ricorso sia al personale curante — come medici, infermieri e ausiliari —, che dovranno ricevere una formazione di base per poter discutere di questi problemi con le persone vicine alla propria fine; sia agli psichiatri, ministri del culto o assistenti sociali specializzati, addetti agli ospedali.

II. A creare delle commissioni nazionali d’inchiesta — composte da rappresentanti della professione medica, giuristi, teologi, moralisti, psicologi e sociologi — incaricate di elaborare delle norme etiche per il trattamento dei morenti; di determinare i principi medici di orientamento in materia di utilizzazione di

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misure speciali in vista del prolungamento della vita; e di esaminare tra l’altro la situazione nella quale potrebbero trovarsi i membri della professione medica — per esempio nell’eventualità di sanzioni previste dalle legislazioni civili e penali — quando hanno rinunciato a prendere le misure artificiali di prolungamento del processo della morte sui malati per i quali l’agonia è già cominciata e la cui vita non può essere salvata nello stato attuale della medicina, o quando sono intervenuti prendendo misure destinate prima di tutto a placare le sofferenze di tali malati e suscettibili di avere un effetto secondario sul processo della morte; e di esaminare il problema delle dichiarazioni scritte fatte da persone giuridicamente capaci, autorizzando i medici a rinunciare a misure per prolungare la vita, in particolare in caso di cessazione irreversibile delle funzioni cerebrali.

III. A istituire, se delle organizzazioni paragonabili non esistono ancora, delle commissioni nazionali incaricate di esaminare le denunce fatte contro il personale medico per errori od incurie professionali, e ciò senza portare pregiudizio alla competenza dei tribunali ordinari.

IV. A comunicare al Consiglio d’Europa i risultati delle loro analisi e conclusioni nell’intento di armonizzare i criteri sul diritto dei malati e dei morenti, e di assicurare i mezzi giuridici e tecnici.

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LEGGE SULLA MORTE NATURALE *

Ovvero sulla sospensione dell’assistenza medica ai pazienti terminali.

Non esiste nessun regolamento contenente la procedura che una persona deve seguire per decidere in anticipo di rifiutare o far sospendere le cure mediche, nel caso dovesse trovarsi in condizioni di una malattia terminale o di un danno fisico mortale.

Questa legge supplisce a tale carenza autorizzando i pazienti adulti in condizioni terminali, purché abbiano sottoscritto una dichiarazione allo scopo che soddisfi i requisiti legali, a rifiutare o far sospendere le tecniche per prolungare artificialmente la loro vita.

Una tale dichiarazione ha una validità di 5 anni dalla data di redazione, se non è revocata in maniera esplicita in questo arco di tempo.

La legge sulla morte naturale solleva i medici e tutti coloro che provvedono all’assistenza del paziente dalla perseguibilità civile e penale e dalle accuse di condotta non professionale per aver rifiutato o sospeso l’assistenza necessaria al mantenimento in vita del paziente, in accordo con le disposizioni di legge. Questa legge prevede che tali misure non costituiscano un suicidio, e non possono danneggiare o invalidare le assicurazioni sulla vita; la legge specifica che la dichiarazione del paziente non

* Promulgata dallo Stato della California nel 1976, e successivamente approvata anche da altri stati U.S.A. Alla base della legge vi è, da un lato, il rifiuto categorico dell’eutanasia attiva-passiva, dall’altro il riconoscimento del diritto del cittadino di rifiutare le cure mediche e chirurgiche e di sopportarne le conseguenze. La legge in pratica autorizza i medici a non applicare o a sospendere le tecniche rianimatorie in pazienti adulti affetti da una malattia allo stato terminale, purché i pazienti stessi lo abbiano chiesto per iscritto. Il testo della legge è riportato integralmente in G. Giusti, L’eutanasia. Diritto di vivere — diritto di morire, Padova 1982, pp. 91-99. Nostra traduzione.

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può avere ripercussioni sulla stipulazione di assicurazioni sulla vita, né modificare quelle già esistenti. La legge prevede che gli agenti delle assicurazioni non possano chiedere l’esecuzione della dichiarazione come condizione per stipulare polizze di assistenza sanitaria o per riceverla.

La legge dichiara illegale nascondere, rendere illeggibile, annullare, cancellare o comunque danneggiare intenzionalmente la dichiarazione di un’altra persona senza il consenso della stessa. Chiunque, non giustificato o scusato dalla legge, falsifica o manomette la dichiarazione di un altro, oppure nasconde o nega la conoscenza di ima regolare revoca di dichiarazione e affretta in tal modo la morte del suo firmatario, sarà perseguibile per omicidio colposo.

Questa legge non permette né rimborsi né appropriazioni motivati dalla sua applicazione.

1. Questa legge sarà conosciuta e può essere citata come «Legge sulla morte naturale».

2. Le persone adulte hanno il fondamentale diritto di decidere della propria assistenza medica, quindi possono rifiutare o far sospendere le tecniche per prolungare artificialmente la vita, se si dovessero trovare in condizioni terminali ed averne bisogno.

La moderna tecnologia medica ha reso possibile prolungare la vita oltre i suoi limiti naturali. Ciò può essere lesivo della dignità del malato e può causare dolori e sofferenze inutili, mentre non arreca alcun beneficio al paziente.

In campo medico e giuridico si discute se sia legale rifiutare il prolungamento artificiale della vita di un paziente che volontariamente, ed in stato di capacità giuridica, abbia espresso tale desiderio.

Poiché il paziente ha il diritto di veder rispettate la sua dignità e privacy, le leggi dello stato della California riconoscono a una persona adulta il diritto di redigere una dichiarazione con cui viene richiesto al medico curante di non prolungare artificialmente la propria vita nel caso di condizioni terminali.

3. Nel testo di questa legge sono usate alcune espressioni con i seguenti significati:

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a) «medico curante»: è il medico, scelto o assegnato al paziente, che ha la responsabilità primaria del suo trattamento;

b) «dichiarazione»: è un documento volontariamente redatto dall’interessato in accordo con i requisiti richiesti dalla legge. La dichiarazione, o una sua copia, farà parte della cartella clinica del paziente;

c) «tecniche per prolungare artificialmente la vita»: sono tutti i tipi di intervento medico con mezzi artificiali per sostenere, ripristinare o sopperire a una funzione vitale, i quali, applicati a un paziente in condizioni terminali, servirebbero solo a ritardare il momento della sua morte e, per giudizio del medico, non potrebbero evitarla. Devono però essere prestate al paziente tutte le cure che possono alleviargli la sofferenza;

d) «medico»: è un medico chirurgo regolarmente abilitato dai competenti organismi;

e) «paziente terminale»: è un paziente cui è stata diagnosticata e certificata per iscritto una condizione terminale da parte di due medici, uno dei quali deve essere il medico personale, che abbiano personalmente esaminato il paziente;

f) «condizione terminale»: è uno stato dovuto a lesioni, incidenti o malattie, che non è più curabile e che, secondo il parere dei medici, comporterebbe la morte se non fossero adottate tecniche per prolungare la vita; l’applicazione di tali tecniche non può servire ad altro che a rimandare il momento della morte del paziente.

4. Ogni persona adulta può sottoscrivere una dichiarazione per rifiutare o far sospendere il prolungamento artificiale della vita se si trovasse in condizioni terminali.

La dichiarazione sarà firmata dall’interessato alla presenza di due testimoni non imparentati con lui per sangue o matrimonio e che non abbiano alcun diritto sull’eredità del dichiarante, secondo le leggi esistenti al momento della morte o in vigore all’atto della firma della dichiarazione.

Inoltre non può essere testimone di una dichiarazione il medico curante dell’interessato o qualunque persona che gli presti assistenza o possa rivendicare alcunché della sua eredità al momento della morte.

La dichiarazione sarà redatta nel modo seguente:

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DICHIARAZIONE PER I MEDICI

Redatta il (data)

Io (nome dell’interessato), nel pieno delle mie facoltà, di mia volontà e iniziativa, rendo noto il desiderio che la mia vita non sia prolungata artificialmente nelle condizioni spiegate più avanti, e dichiaro:

I. Se in qualunque momento fossi colpito da danno incurabile, o da una malattia certificata come incurabile da due medici, se il prolungamento artificiale della vita servisse solo a ritardare il momento della morte che i medici ritengono inevitabile, desidero che non si faccia nulla per prolungare artificialmente la mia vita e che mi sia permesso di morire in modo naturale.

II. Nel caso che io sia incapace di prendere decisioni, desidero che la dichiarazione sia onorata dalla mia famiglia e dai medici, come ultima espressione del mio diritto a rifiutare un trattamento medico o chirurgico e ad accettarne le conseguenze.

III. Se fossi incinta, e il mio medico lo sapesse, questa dichiarazione non sarà valida durante la mia gravidanza.

IV. Mi è stata diagnosticata e certificata una condizione terminale da almeno 14 giorni da (nome, indirizzo e numero di telefono dei. medico). Mi rendo conto che, se non ho indicato i dati del medico, si presumerà che non mi trovo in condizioni terminali nel momento in cui sottoscrivo questa dichiarazione.

V. Questa dichiarazione è valida per cinque anni dalla data di sottoscrizione.

VI. Comprendo il pieno significato di questa dichiarazione e sono in condizioni psichiche e mentali per sottoscriverla.

firma

città, contea e stato di residenza

Conosco personalmente l’interessato e lo ritengo legalmente capace.

firma dei due testimoni

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La dichiarazione non è valida se il paziente è ricoverato in una struttura assistenziale mentre la redige, eccetto il caso in cui uno dei due testimoni sia avvocato o difensore civico, autorizzato per questo dal Dipartimento di Stato per gli anziani, e siano rispettate tutte le norme di legge.

Questo è stato stabilito perché i pazienti ricoverati in taluni reparti possono non essere in grado di prendere una decisione di propria volontà, a causa della natura dell’assistenza loro prestata.

Bisogna assicurarsi che possano sottoscrivere la dichiarazione di propria volontà e iniziativa.

5. Una dichiarazione può essere annullata in qualunque momento dal dichiarante, indipendentemente dal suo stato mentale o capacità giuridica, in qualunque dei seguenti modi:

I. Se è cancellata, rovinata, resa illeggibile, bruciata o strappata dal dichiarante o da altri, purché alla sua presenza e per sua volontà.

II. Da una revoca firmata e datata dal dichiarante che esprima il suo desiderio di rinuncia. Tale revoca entra in vigore solo dopo essere stata comunicata al medico personale dal dichiarante o persona che agisca su suo incarico. Il medico curante prenderà nota della revoca nella scheda personale del paziente, annotando l’ora e la data in cui gli è stata notificata.

III. Se l’interessato esprime a voce il desiderio di revocare la dichiarazione già firmata. Tale revoca diviene effettiva solo dopo essere stata comunicata al medico curante dall’interessato o da persona che agisca per sua volontà. Il medico prenderà nota nella scheda personale del paziente dell’ora, data e luogo della revoca. Non sarà perseguibile legalmente chi non abbia preso in considerazione la revoca, non essendone venuto a conoscenza.

Una dichiarazione è valida per 5 anni dalla data di redazione, se non viene revocata prima con le modalità di cui sopra.

Questa legge non vieta in alcun modo a una persona di riconvalidare la dichiarazione in qualunque momento (purché ciò sia conforme all’articolo 4 di questa legge), ad esempio dopo che le sia stata diagnosticata una condizione terminale.

Se una persona ha sottoscritto più di una dichiarazione, i 5

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anni di validità saranno calcolati dalla data della più recente, nota al medico curante.

Se il dichiarante entra in coma o è incapace di comunicare col medico curante, la sua dichiarazione rimarrà comunque valida per tutto il tempo del coma o finché non sarà di nuovo in grado di comunicare col medico curante.

6. Nessun medico od ospedale che in conformità a questa legge rifiuti o sospenda le procedure per il prolungamento artificiale della vita di un paziente sarà eventualmente perseguibile, e non lo sarà neppure il personale che partecipa a tale procedura sotto la direzione dei medici. Tutte queste persone non potranno nemmeno, per lo stesso motivo, essere accusate di condotta non professionale o essere perseguite penalmente.

7. Prima di applicare le direttive contenute nella dichiarazione del paziente, il medico personale deve stabilire se essa è conforme all’art. 4 di questa legge; e inoltre, se il paziente è cosciente, che la dichiarazione e tutte le procedure che stanno per essere intraprese rispettino i suoi desideri.

Se il dichiarante si trovava in condizioni terminali già 14 giorni prima di rendere esecutiva la dichiarazione o di convalidarla di nuovo, e se questa non è stata revocata, essa rappresenta in modo definitivo i desideri dell’interessato sul trattamento che desidera ricevere. Nessun medico o persona da lui diretta è perseguibile dalla legge per non aver realizzato i desideri del paziente in conformità ad essa. Tale omissione costituisce però condotta non professionale se il medico non prende i necessari provvedimenti per affidare il paziente a un suo collega che compirà il volere del paziente.

Se il dichiarante diviene un paziente terminale dopo aver redatto la sua dichiarazione e successivamente non l’ha riconvalidata, il medico curante deve considerare la dichiarazione come espressione dei desideri del paziente; ma deve tener presenti anche altri fattori, come informazioni fornite dalla famiglia o sulla natura dell’infermità del paziente, prima di determinare se l’insieme delle circostanze a lui note giustifichi l’attuazione delle direttive contenute nella dichiarazione.

Nessun medico o persona da lui diretta sarà perseguibile legalmente per non aver attuato la dichiarazione in conformità a questo articolo.

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8. Un paziente che rifiuti o faccia sospendere le procedure per il prolungamento artificiale della sua vita non sarà in nessun modo considerato un suicida.

Sottoscrivere una dichiarazione conforme all’art. 4 di questa legge non interferirà in alcun modo sulla contrattazione di qualsiasi polizza di assicurazione sulla vita, né potrà modificare le clausole di una polizza già esistente.

Se un paziente terminale è assicurato sulla vita, l’applicazione di una sua dichiarazione non modificherà o invaliderà in alcun modo i termini della sua polizza.

Nessun medico, ospedale o persona o programma che fornisce assistenza, agente assicurativo, impiegato di Enti Assistenziali, normative per l’assistenza gratuita negli ospedali possono chiedere a una persona di sottoscrivere una dichiarazione (di cui all’art. 4) come condizione per essere assicurati per cure mediche o per riceverle.

9. Questa legge non invalida o scavalca qualunque diritto o responsabilità legale che una persona abbia di rifiutare o far sospendere il prolungamento artificiale della propria vita, purché siano pienamente validi dal punto di vista legale. A questo scopo bisogna considerare le norme di questa legge come un tutt’uno: devono essere tutte e completamente rispettate.

10. Chiunque intenzionalmente nasconde, cancella, rende illeggibile o strappa la dichiarazione di un altro senza la sua approvazione, si sarà comportato in modo illegale.

Chiunque, non giustificato o scusato dalla legge, falsifica o contraffà la dichiarazione di un altro o nega di conoscere l’esistenza di una revoca ad essa (di cui all’art. 5), con l’intento di far applicare le direttive della dichiarazione contro i desideri dell’interessato ed affretta così la morte di questi, sarà perseguibile per omicidio di secondo grado, secondo le norme del codice penale.

11. I. Questa legge non condona, autorizza o approva un omicidio per compassione né alcuna influenza o azione per far cessare la vita, eccetto che per permettere il naturale processo della morte, come disposto nei capitoli precedenti.

II. Se qualche disposizione di questa legge o sua applicazione

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a persone o circostanze risulta non valida, tale invalidità non coinvolgerà altre disposizioni o applicazioni della legge che possono rimanere in vigore ad esclusione della norma contestata. A differenza di quanto sostenuto dall’art. 9, le disposizioni di legge in questi casi sono separabili.

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QUESTIONI ETICHE RELATIVE AI MALATI GRAVI E AI MORENTI *

1. INTRODUZIONE

1.1. Il gruppo di lavoro

Nel quadro del suo incarico di assicurare il coordinamento delle attività che vengono svolte nel mondo cattolico in campo sanitario, il pontificio Consiglio Cor unum ha riunito, dal 12 al 14 novembre 1976, un gruppo di lavoro su alcune questioni etiche relative ai malati gravi e ai morenti. Era un gruppo interdisciplinare di una quindicina di persone: teologi, medici, membri di congregazioni religiose che si dedicano alla cura dei malati, infermiere, cappellani.

1.2. Il tema

I recenti progressi della scienza si ripercuotono in maniera crescente sulla pratica medica, in particolare per quanto riguarda la cura dei malati gravi e dei morenti. Questo stato di cose solleva problemi di ordine teologico ed etico sui quali chi lavora in campo sanitario desidera essere illuminato in modo autorevole. Tale esigenza è sentita dai professionisti cristiani che lavorano in ambiente cristiano, e più ancora da quelli che lavorano in ambiente non cristiano, ma devono ispirare la loro attività alla propria fede e darne testimonianza.

* Documento del Pontificio Consiglio «Cor unum», 1981. Riprodotto da Rivista Italiana di Medicina Legale 1982/1.

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Il campo dell’etica medica è, per molti, oggetto di speculazione, di informazioni approssimative e di concezioni erronee: tutto questo crea una grande confusione. Il compito delCor unum non era certo quello di avviare un vasto programma di ricerche dottrinali o scientifiche, perché questo spetta ad organismi superiori e più competenti. L’incarico affidato al gruppo di lavoro era più modestamente quello di analizzare le nozioni di base, di mettere in evidenza alcune distinzioni che è necessario fare e di formulare alcune risposte pratiche agli interrogativi posti dalla pastorale e dalla cura dei morenti.

1.3. La sacra Congregazione per la dottrina della fede

Il 5 maggio 1980, questo dicastero pubblicava una Dichiarazione sull’eutanasia [vedi sopra, in questo stesso volume, documento n. 15], che esponeva autorevolmente i principi dottrinali e morali relativi a questo grave problema che ha risvegliato l’interesse dell’opinione pubblica; in seguito ad alcuni casi particolari, ma famosi, di quello che è stato chiamato l’« accanimento terapeutico», le coscienze si ponevano certi interrogativi. Questo importante documento, dopo aver ricordato il valore della vita umana, tratta dell’eutanasia, ed offre al cristiano alcuni principi teorici e pratici per affrontare il problema della sofferenza e dell’uso degli analgesici, così come quello dell’utilizzo dei mezzi terapeutici.

1.4. La pubblicazione del Cor unum

Lo studio del gruppo di lavoro del 1976 è piuttosto di ordine pastorale e risponde ad alcune domande precise e concrete poste al Cor unum da cappellani, medici e infermiere. In seguito allaDichiarazione sull’eutanasia, edita dalla s. Congregazione per la dottrina della fede, il pontificio consiglio Cor unum è stato sollecitato a pubblicare la relazione preparata dal suo gruppo di lavoro; questo fatto gli offre l’occasione per ringraziare tutti coloro che hanno partecipato al gruppo con tanta competenza ed esperienza.

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2. QUESTIONI FONDAMENTALI

2.1. La vita

2.1.1. Significato cristiano della vita. — La vita è un dono del Creatore all’uomo; questo dono è concesso in funzione di una missione. La prima cosa da mettere in evidenza non è dunque il «diritto alla vita»; tale diritto è susseguente alla disposizione di Dio, che non intende dare la vita all’uomo come un oggetto di cui si può disporre come si vuole. La vita è orientata ad un fine verso cui l’uomo ha la responsabilità di dirigersi: la propria perfezione personale secondo il disegno di Dio.

Il primo corollario di questa affermazione fondamentale è che rinunciare per propria scelta alla vita significa rinunciare a un fine di cui non si è padroni. L’uomo è chiamato a fare uso della propria vita e non può distruggerla con le proprie mani. Ha il dovere di aver cura del proprio corpo, delle sue funzioni, dei suoi organi, e di fare il possibile per rendersi più capace di raggiungere Dio. Questo dovere comporta delle rinunce a cose che in sé sono beni; arriva talvolta fino al sacrificio della salute e della vita, che in effetti non possono esser anteposte a valori superiori. Allo stesso modo, le cure per mantenere la salute e conservare la vita devono essere commisurate sia ai beni superiori che possono essere in gioco, sia alle condizioni concrete in cui l’uomo vive la propria esistenza.

2.1.2. Non si può disporre della vita altrui. — Se non è permesso a nessuno di disporre in piena libertà della propria vita, questo vale a maggior ragione per la vita degli altri. In particolare non si può fare del malato l’oggetto di decisioni che non è lui a prendere, e, se non è in grado di farlo, che non potrebbe approvare. La «persona», principale responsabile della propria vita, deve essere il centro di qualsiasi intervento di assistenza; altri sono presenti per aiutarla, non per sostituirsi ad essa. Questo non significa tuttavia che i medici o i membri della famiglia non si trovino a volte nelle condizioni di dover decidere per un malato, per vari motivi incapace di farlo, sulle cure e sulle terapie da prestargli. Ma a loro più che a chiunque altro si applica la proibizione assoluta di attentare alla vita del paziente, fosse pure per compassione.

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2.1.3. Diritti primordiali della persona umana. — Il gruppo di lavoro pone questo richiamo dottrinale fondamentale alla base delle proprie considerazioni. Non si nasconde l’immensa difficoltà di dare un significato alla vita e alla morte per coloro che non condividono la nostra fede o non nutrono nessuna convinzione a proposito di un aldilà della vita terrena. I cristiani, d’altronde, ritengono che la loro posizione non sia un elemento specifico della loro fede. Ciò che è in gioco, è la difesa dei diritti primordiali della persona umana; non si può transigere su questo punto, specialmente quando questi diritti vengono messi in questione sul piano politico e legislativo. Per convincere chi pensa che tutto finisca con la morte, per quanto riguarda il rispetto che è dovuto alla propria vita e a quella degli altri, l’argomento più sicuramente efficace consiste nel mettere in luce le conseguenze che si determinano in una società per una mancanza di rigore nella difesa della vita.

2.2. La morte

2.2.1. Significato cristiano della morte. — La morte dell’uomo segna la cessazione della sua esistenza nella condizione corporale. La morte pone fine a quella fase della sua vocazione che consiste nello sforzo di tendere nel tempo alla perfezione integrale; per il cristiano, il momento della morte è quello dell’unione definitiva col Cristo. Ai nostri giorni è più che mai opportuno ricordare questa concezione religiosa e cristologica della morte, a cui deve accompagnarsi il sentimento molto vivo della contingenza della vita corporea e quello della connessione tra la morte e la nostra condizione di peccatori. «Sia che viviamo, sia che moriamo, siamo dunque del Signore» (Rm. 14, 8). L’atteggiamento nei confronti dei morenti si ispirerà a questa visione della morte, e non dovrà ridursi a un semplice sforzo della scienza per allontanarne il più possibile il momento.

2.2.2. Diritto a una morte umana e dignitosa. — A questo proposito, i membri del gruppo provenienti dal terzo mondo hanno espresso il desiderio che si sottolinei l’importanza per l’uomo di terminare la propria vita, per quanto è possibile, nell’integrità della sua personalità e delle relazioni che lo legano al suo ambiente e in primo luogo alla sua famiglia. Presso i popoli meno

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sviluppati a livello tecnologico, ma anche meno sofisticati, la famiglia circonda il morente, e questi sente come un bisogno e un diritto essenziale il fatto di essere così circondato dai suoi. Di fronte alle condizioni richieste da certe terapie e all’isolamento totale che impongono al malato, non viene a sproposito ricordare che il diritto di morire da uomini e con dignità comporta questa dimensione sociale.

2.3. La sofferenza

2.3.1. Significato cristiano della sofferenza. — Né la sofferenza (suffering) né il dolore (pain), che vanno distinti l’uno dall’altro, rappresentano un fine in se stessi. A livello scientifico regna ancora la più grande incertezza sugli elementi costitutivi del dolore. Quanto alla sofferenza, ha valore agli occhi del cristiano soltanto per l’amore che in essa si esprime e per gli effetti di purificazione che può avere; come ha rilevato Pio XII nel suo discorso del 24 febbraio 1957, una sofferenza troppo intensa può impedire la padronanza che deve essere esercitata dallo spirito. Non si deve dunque ritenere che ogni sofferenza e ogni dolore debbano essere sopportati ad ogni costo o che, con spirito stoico, non si debba far nulla per cercare di attenuarli o di calmarli. Su questo punto il gruppo di lavoro ritiene che la cosa migliore sia rimandare al testo di Pio XII.

2.3.2. Effetti della sofferenza e del dolore. — La capacità di soffrire varia a seconda degli individui. Spetta all’équipe sanitaria, al medico, al personale infermieristico, senza dimenticare il cappellano, stabilire gli effetti della sofferenza e del dolore sulla condizione spirituale e psicologica del paziente e agire di conseguenza nell’applicazione di una terapia o nella sua omissione; bisogna anche mettersi in condizione di percepire, ascoltando pazientemente il malato, qual è la realtà della sua sofferenza, di cui lui per primo rimane giudice. Il medico indubbiamente può ritenere che il paziente manchi un po’ di coraggio e che sia capace di sopportare più di quanto crede, ma la scelta ultima spetta al malato.

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2.4. I mezzi terapeutici

2.4.1. Mezzi ordinari e mezzi straordinari. — Il gruppo si è soffermato sulla distinzione tra «mezzi ordinari» e «mezzi straordinari» a cui ricorrere nella cura delle malattie. Se l’uso di queste espressioni, nella terminologia scientifica e nella pratica medica, tende ad essere superato, agli occhi del teologo esse hanno ancora valore per dirimere questioni morali della più grande importanza, dal momento che il termine «straordinario» qualifica dei mezzi a cui non si ha mai l’obbligo di ricorrere.

Tale distinzione permette di esplorare più a fondo alcune complesse realtà e svolge in questo un ruolo di mediazione (middle axiom). La vita nel tempo è un valore primordiale ma non assoluto, per cui è necessario individuare i limiti dell’obbligo di mantenersi in vita. La distinzione tra mezzi «ordinari» e «straordinari» esprime questa verità e ne illumina l’applicazione ai casi concreti. L’uso di termini equivalenti, in particolare dell’espressione «cure proporzionate», esprime la questione in un modo che sembra più soddisfacente.

2.4.2. Criteri. — I criteri per distinguere i mezzi straordinari da quelli ordinari sono molteplici; li si applicherà in base alle esigenze dei casi concreti. Alcuni sono di ordine oggettivo, come la natura dei mezzi, il loro costo, alcune considerazioni di giustizia nella loro applicazione e nelle scelte che essa implica; altri sono di ordine soggettivo, come la necessità di evitare a un certo paziente degli shock psicologici, delle situazioni di angoscia, dei disagi ecc. In ogni caso, per decidere dei mezzi a cui ricorrere, si tratterà sempre di stabilire la proporzione tra il mezzo e il fine perseguito.

2.3.4. Importanza del criterio della qualità della vita. — Fra tutti i criteri, si darà particolarmente peso alla qualità della vita salvata o mantenuta dalla terapia. La lettera del card. Villot al congresso della Federazione internazionale delle associazioni mediche cattoliche è esplicita su questo punto: «Bisogna sottolineare che il carattere sacro della vita è ciò che proibisce al medico di uccidere e nello stesso tempo gli impone il dovere di adoperarsi con tutte le risorse della sua arte a lottare contro la morte. Ma questo non significa che egli sia obbligato ad utilizzare tutte le tecniche di sopravvivenza che gli vengono offerte

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da una scienza infaticabilmente creatrice. In molti casi, non sarebbe una tortura inutile imporre la rianimazione vegetativa nell’ultima fase di una malattia incurabile?» (La Documentation catholique, 1970, p. 963).

Il criterio della qualità della vita, comunque, non è l’unico che va preso in considerazione, poiché, come abbiamo detto, anche alcune considerazioni soggettive devono entrare nella formazione di un prudente giudizio sull’azione da intraprendere o da omettere. Ciò che rimane fondamentale è che la decisione venga presa sulla base di un’argomentazione razionale che tenga conto dei diversi elementi della situazione, compresa la loro incidenza sull’ambiente familiare. Il principio è dunque che non c’è obbligo morale di ricorrere a mezzi straordinari; e che, in particolare, il medico deve inchinarsi di fronte alla volontà del malato che rifiutasse tale ricorso.

2.4.4. Mezzi minimali obbligatori. — Rimane, invece, l’obbligo stretto di proseguire ad ogni costo l’applicazione dei mezzi cosiddetti «minimali», di quelli cioè che normalmente e nelle condizioni abituali sono destinati a mantenere la vita (alimentazione, trasfusioni di sangue, iniezioni ecc.). Interromperne la somministrazione significherebbe in pratica voler porre fine ai giorni del paziente.

3. L’EUTANASIA

3.1. Imprecisione del termine «eutanasia». — Storicamente ed etimologicamente, la parola «eutanasia» significa «una morte dolce e senza dolori». Nell’uso corrente di oggi, il termine sta ad indicare un’azione o un’omissione che mira ad abbreviare la vita del paziente. Questa accezione comune non manca di causare, nelle discussioni sull’eutanasia, una notevole confusione che è urgente dissipare. Certi testi, come quelli recentemente emanati da alcune assemblee parlamentari, ci fanno vedere d’altra parte come i progressi della medicina contemporanea abbiano ugualmente reso ambigua e probabilmente superflua la distinzione tra «eutanasia attiva» ed «eutanasia passiva», a cui sarebbe preferibile rinunciare.

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3.2. Azioni e decisioni che non rientrano nel campo dell’eutanasia. — Di conseguenza, il gruppo è del parere che, almeno negli ambienti cattolici, predomini un linguaggio che non si serva assolutamente del termine «eutanasia»:

― per indicare le cure terminali (terminal care) destinate a rendere più sopportabile la fase terminale della malattia (reidratazione, cure infermieristiche, massaggi, interventi medici palliativi, presenza accanto al morente...);

― né per indicare la decisione di rinunciare a certi interventi medici che non sembrano adeguati alla situazione del malato (nel linguaggio tradizionale, «decisione di rinunciare ai mezzi straordinari»), In questo caso non si tratta di una decisione di far morire, ma di mantenere il senso della misura di fronte alla risorse tecniche, di non agire in maniera irragionevole, di comportarsi secondo prudenza;

― né per indicare un intervento destinato a sollevare il malato dalla sua sofferenza, forse a rischio di abbreviargli la vita. Questo tipo di intervento fa parte della missione del medico, che non è soltanto di guarire o di prolungare la vita, ma più in generale di curare il malato e di dargli sollievo se soffre.

3.3. Significato stretto del termine. — Bisognerebbe riservare il termine «eutanasia» all’atto di porre fine ai giorni del malato. È in questo senso che l’eutanasia, come ripete Pio XII, non è mai lecita (discorso del 24 novembre 1957; La Documentation catholique, p. 1609).

Sebbene, nella pratica, le distinzioni di cui sopra siano a volte difficili da fare, sembrano tuttavia idonee a conferire al termine «eutanasia» un significato non ambiguo, e quindi ad offrire dei punti di riferimento al medico, che dovrà prendere la sua decisione dopo aver consultato l’équipe sanitaria (specialmente gli infermieri e le infermiere), i cappellani e la famiglia del malato. In questa decisione si dovrà tener conto del fatto che i principi morali o valori inerenti alla persona sono intangibili, e che un prudente giudizio su ciò che bisogna fare o non fare, continuare, cessare o intraprendere, determinato in ogni caso in funzione di tali principi, non può mai essere arbitrario.

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4. L'USO DEGLI ANALGESICI NELLA FASE TERMINALE

4.1. Mezzi diversi per alleviare la sofferenza. — L’uso degli analgesici centrali presenta il rischio di effetti secondari: azione sulle funzioni respiratorie, alterazione della coscienza, dipendenza ed assuefazione. Per questo è sempre preferibile non usarli quando si può alleviare la sofferenza del malato con altri mezzi.

Gli altri mezzi sono molteplici (farmaci come l’aspirina, immobilizzazione di certe parti del corpo, radiazioni, anche operazioni chirurgiche..., e soprattutto lotta contro la solitudine e l’angoscia del malato attraverso una presenza umana). Si comincia anche ad utilizzare alcune tecniche che fanno appello alla padronanza del proprio corpo da parte del malato.

4.2. Uso degli analgesici centrali. — In molti casi, tuttavia, la cura delle sofferenze gravi, a volte intollerabili, esige, allo stato attuale delle nostre conoscenze e delle nostre tecniche, l’impiego di analgesici centrali (come la morfina) uniti ad altre droghe.

Non c’è motivo di rifiutare l’impiego di queste droghe, tanto più che i loro effetti secondari possono essere fortemente ridotti facendone un uso assennato (dosi adeguate ad intervalli convenienti). Il ricorso a droghe efficaci contro il dolore, mantenendo, nella misura del possibile, la coscienza del malato, richiede una conoscenza perfetta di tali prodotti, del loro uso, dei loro effetti secondari e delle loro controindicazioni. Quando si decide in proposito, il ruolo del farmacologo nell’équipe sanitaria, e a volte accanto al malato, si rivela importante.

4.3. Necessità di una presenza umana. — È necessario mettere in guardia contro la tentazione di vedere in queste droghe un rimedio che basta da solo a combattere la sofferenza. La sofferenza umana porta con sé una dimensione di angoscia, di paura di fronte all’ignoto rappresentato dalla malattia grave e dalla prossimità della morte. Questa angoscia può essere attenuata, ma il più delle volte non viene totalmente eliminata dalle droghe. Soltanto una presenza umana, discreta ed attenta, che permetta al malato di esprimersi e di trovare un conforto umano e spirituale, può riuscire a tranquillizzarlo.

4.4. È permesso sprofondare il malato nell’incoscienza? — Questo ci consente di affrontare la questione della liceità, all’approssimarsi

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della morte, dell’impiego di droghe che sprofondano il malato nell’incoscienza. In alcuni casi il loro uso s’impone, e papa Pio XII ne ha riconosciuto la legittimità a certe condizioni (discorso del 24 febbraio 1957).

Tuttavia è forte la tentazione di ricorrere sistematicamente a tali droghe, molte volte, indubbiamente, per compassione, ma spesso anche più o meno deliberatamente, per evitare a tutti coloro che si accostano al malato (infermieri, parenti...) il rapporto spesso difficile e faticoso con un essere umano vicino alla morte. Allora non si cerca più il bene della persona ammalata, ma la protezione dei sani all’interno di una società che ha paura della morte e la fugge con tutti i mezzi a sua disposizione. Si priva così il malato della possibilità di «vivere la propria morte», di arrivare ad un’accettazione serena, alla luce, alla relazione a volte intensa che può crearsi fra un essere umano ridotto a una grande povertà e un interlocutore privilegiato. Lo si priva della possibilità di vivere la morte in comunione col Cristo, se il morente è cristiano.

Bisogna dunque contestare la riduzione sistematica dei malati gravi all’incoscienza, ed invitare piuttosto medici e infermieri a ricevere la formazione necessaria all’ascolto dei morenti e a stabilire fra di loro dei rapporti tali da potersi sostenere reciprocamente nell’accostare i morenti e da poter aiutare le famiglie ad accompagnare il parente ammalato nell’ultima fase della sua vita.

4.5. Narcosi e decisione del malato. — In tutta questa materia, il principio fondamentale è stato posto da Pio XII nel discorso già citato: la decisione spetta al malato. «Sarebbe evidentemente illecito praticare l’anestesia contro la volontà espressa del morente (quando questi è “sui juris”). Se gravi motivazioni militano a favore di un’anestesia, si ricorderà che il morente non può moralmente sottoporvisi se non ha soddisfatto a determinati doveri che sono impellenti alla fine di una vita» (cf. sotto 6.1.1.). Il medico sollecitato dal malato a ricorrere alla narcosi, «soprattutto se è cristiano, non si presterà a tale intervento senza averlo prima invitato personalmente o meglio ancora tramite altri ad adempiere in precedenza i propri doveri» (loc. cit.). Pio XII precisa che, se il malato rifiuta, e insiste nella sua richiesta di narcosi, il medico può praticarla: «il medico può acconsentire

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senza rendersi colpevole di collaborazione formale alla mancanza commessa. Questa infatti non dipende dalla narcosi, ma dalla volontà immorale del paziente; che gli si procuri o no l’analgesia, il suo comportamento rimarrà identico: non compirà il suo dovere» (loc. cit.).

5. LA MORTE CEREBRALE

5.1. La definizione è di competenza della scienza medica. — Nel discorso del 24 novembre 1957 Pio XII dice che «spetta al medico... dare una definizione chiara e precisa della “morte” e del “momento della morte”». Indubbiamente non si può aspettare dalla scienza medica qualcosa di più di una descrizione di criteri che permettono di stabilire che la morte è sopravvenuta, ma ciò che il papa intende dire è che questo giudizio appartiene alla medicina e non alla competenza della Chiesa. Alle ragioni da lui ricordate per illustrarne la pratica si aggiungono oggi le richieste di trapianto di organi e la conseguente necessità di essere in grado di constatare la morte del «donatore» prima di praticare il prelievo di organi.

5.2. Difficoltà di questa definizione. — Stabilire una definizione medica della morte è complicato dal fatto che, allo stato attuale delle nostre conoscenze, la morte non sembra consistere in un arresto istantaneo di tutte le funzioni dell’organismo, ma piuttosto in una serie progressiva di arresti definitivi delle diverse funzioni vitali. In primo luogo scomparirebbe la funzione più complessa, quella che regola l’insieme dell’organismo e che risiede nel cervello; in seguito sarebbero toccati dalla necrosi i diversi sistemi (sistema nervoso, cardiovascolare, respiratorio, digestivo, uro-genitale e locomotore), e da ultimo gli elementi cellulari e sub-cellulari. Ma oggi bisogna ancora essere prudenti, perché sussistono molte incertezze a proposito di una «definizione medica della morte».

Si va tuttavia formando un consenso crescente nel considerare come morto l’essere umano in cui sia stata constatata una mancanza totale e irreversibile di attività del cervello (morte cerebrale). Diversi specialisti hanno redatto una lista di criteri,

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non del tutto identici fra loro ma convergenti, per fornire un insieme di indici per lo meno altamente probabili. Attualmente sono in vigore (o sono in via di elaborazione) degli accordi convenzionali e degli atti amministrativi per permettere di procedere alla redazione dell’atto di morte, quando sono presenti tutti gli elementi richiesti, e di conseguenza al prelievo di organi in vista di un trapianto.

5.3. La Chiesa è interpellata. — Si manifesta da parte delle famiglie una reticenza crescente ad autorizzare il prelievo di organi. Per questo motivo, come è stato riferito al gruppo, è stato espresso da ambienti medici molto autorevoli l’auspicio che la Chiesa faccia una dichiarazione ufficiale sulla validità dell’affermazione della morte dell’essere umano quando è stata debitamente constatata la morte cerebrale. Il gruppo ritiene che una simile iniziativa sia di competenza di organismi superiori, ma è stato convenuto di segnalarla a chi di dovere tramite la presente relazione. Anche se la richiesta venisse presa in considerazione, però, secondo i nostri teologi, la Chiesa non potrebbe aderire ad essa facendo propria un’affermazione di ordine scientifico, e ancor meno una serie di criteri per stabilire la morte cerebrale. Tutt’al più potrà ricordare le condizioni in cui è legittimo far credito al giudizio prudente di coloro alla cui competenza specifica spetta la determinazione del fatto della morte.

5.4. Cure in caso di morte apparente. — Per quanto riguarda le cure da prestare in caso di morte apparente, come ha detto Pio XII, è dovere del medico sforzarsi di ripristinare con tutti i mezzi ordinari le funzioni vitali. Viene tuttavia un momento in cui la morte dovrà essere considerata come un fatto acquisito e in cui si porrà fine agli sforzi di rianimazione senza incorrere in una mancanza a livello professionale o morale (Pio XII, discorso del 24 novembre 1957).

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6. COMUNICAZIONE CON I MORENTI

6.1. Il diritto alla verità

6.1.1. Preparazione alla morte. — Il rapporto con i morenti pone alla morale il problema del loro diritto alla verità, e pone alla pastorale, così come alla professionalità del personale sanitario, il problema del comportamento che il morente ha il diritto di attendersi da quelli che lo circondano. I morenti, e più in generale quanti sono colpiti da una malattia incurabile, hanno il diritto di essere informati sul loro stato. La morte rappresenta un momento troppo essenziale perché la sua prospettiva venga evitata. Per un credente, il suo approssimarsi richiede una preparazione a determinati atti posti in piena coscienza; per ogni uomo, l’avvicinarsi della morte porta con sé la responsabilità di compiere determinati doveri riguardanti i propri rapporti con la famiglia, la sistemazione di eventuali questioni professionali, l’aggiornamento della propria contabilità, i propri debiti, ecc. In ogni caso, la preparazione alla morte comincia molto tempo prima del suo approssimarsi e quando l’uomo è ancora in buona salute.

6.1.2. Responsabilità di quanti circondano il malato. — Spetta a coloro che si trovano ad essere più vicini al morente il compito di illuminarlo sul suo stato. La famiglia, il cappellano e il personale sanitario hanno ciascuno un proprio ruolo da svolgere a questo proposito. Ogni singolo caso ha le sue esigenze, in funzione della sensibilità e delle capacità di ciascuno, delle relazioni col malato e del suo stato; in previsione di sue eventuali reazioni (ribellione, depressione, rassegnazione, ecc.), ci si preparerà ad affrontarlo con calma e con tatto. È opportuno lasciare al malato un raggio di speranza e non presentare la prospettiva della morte come ineluttabile, purché questo non si risolva nel tacerne totalmente la possibilità o una seria probabilità.

6.1.3. Missione del cappellano. — L’assistenza costante del cappellano lungo tutto il decorso della malattia è di capitale importanza a questo proposito. La sua missione gli conferisce un ruolo privilegiato nella preparazione progressiva alla morte. Senza dubbio rimane fino alla fine il dovere di credere all’efficacia ex

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opere operato dei sacramenti (riconciliazione, viatico, sacramento dei malati) e della loro amministrazione sotto condizione nei casi previsti. Tuttavia l’apparizione improvvisa del prete solo all’ultimo istante rende molto difficile, e a volte impossibile, l’esercizio del suo ministero. Il cappellano dell’ospedale cercherà quindi di creare un clima di fiducia attraverso continui contatti con i malati, soprattutto in un ambiente di cattolici poco praticanti o indifferenti. Senza nascondere ingiustamente la verità, si guarderà dall’affrettarne la scoperta. Non è superfluo, inoltre, insistere perché almeno gli ospedali cattolici e il personale sanitario cattolico lascino il debito spazio al cappellano, sia per quanto riguarda la sua partecipazione alle decisioni dell’équipe sanitaria, sia per quanto riguarda i suoi rapporti col malato.

6.2. Atteggiamento della società di fronte alla morte

6.2.1. In Occidente. — La società occidentale conosce oggi una fuga generalizzata di fronte alla morte; il personale medico e ospedaliero così come le famiglie dei malati non sono immuni da questo atteggiamento. All’interno del gruppo di lavoro, la rappresentante del Comitato per la famiglia ha portato alcune testimonianze sconvolgenti sugli atteggiamenti della stessa famiglia di fronte alla morte a circa trent’anni di distanza: accettazione della morte di una madre da parte di tutti i membri della famiglia, compresi i più giovani, intorno al 1930: negli anni ’60, fuga di fronte alla morte, silenzio davanti ai bambini, abbandono di una sposa morente. Ora, mentre ci si accanisce ad allontanare il momento della morte fisiologica, pretendendo di calmare i dolori, con le misure che vengono prese si generano l’angoscia e le più grandi sofferenze morali nel paziente, che nella maggior parte dei casi è più cosciente della gravità del suo stato di quanto non si finga di pensare intorno a lui. Il morente prova tristezza, sensi di colpa, ansia, paura, depressione, e tutto questo è accompagnato dal dolore fisico. La cosa peggiore per lui è l’isolamento, la solitudine, che esercita l’influsso più grave sul suo stato psicosomatico. La tendenza a separare il paziente dapprima dalla società, poi dalla famiglia, e infine anche dagli altri ricoverati, lo priva di ogni possibilità di comunicazione

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della sua angoscia. Eppure ci sarebbero tanti modi per spezzare la sua solitudine senza disturbarlo nella sua prostrazione fisica: l’espressione di un volto, il contatto di una mano! Una presenza silenziosa è spesso tutto quello che chiede, ma lo chiede col più intenso desiderio.

La pratica degli ospedali occidentali esige su questo punto una revisione radicale. Il personale ospedaliero, per motivi non privi di fondamento, tende a proteggere se stesso dal contatto ossessivo con la morte. Evita quindi di stare accanto al morente, la cui angoscia tuttavia richiede un conforto. Sarà compito ancora una volta di un buon lavoro di équipe (medico, infermieri/e, senza dimenticare il cappellano) vegliare a che i morenti non siano privati di questo sostegno.

6.2.2. In altre società. — Altre società, invece, ci danno un grande esempio di rispetto del diritto del malato ad essere assistito dai suoi, e del diritto delle famiglie a circondare il loro malato. La famiglia spesso preferirà riportare a casa il morente per assicurargli il conforto della propria presenza e, se è credente, la comunione con lui nella preghiera. A volte bisognerà senza dubbio saper porre un limite a certe esigenze della famiglia e alle sue pretese di decidere tutto ciò che riguarda le cure da prestare al malato (a meno che non si tratti di bambini soggetti alla patria potestà), e questo nell’interesse del malato stesso. Ma non per questo si favorirà una tendenza troppo diffusa a far astrazione dalla famiglia, dalla sua presenza e, in particolare, dalle sue giuste richieste d’informazione.

7. RESPONSABILITÀ DEL PERSONALE SANITARIO

7.1. Necessaria conoscenza della deontologia. — È evidente che gli aspetti scientifici della professione medica non sono facilmente separabili dai suoi aspetti etici. Se lo sviluppo delle conoscenze fornisce al medico nuovi strumenti e nuovi mezzi terapeutici, il risultato è spesso quello di metterlo di fronte a problemi morali sempre più complessi. Abbiamo già detto in precedenza come spetti in definitiva al medico maturare la propria decisione facendo riferimento a criteri morali oggettivi; deve

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quindi conoscerli ed essere stato formato ad applicarli alle situazioni concrete. L’insegnamento della morale e dei codici deontologici deve quindi rappresentare una parte integrante della formazione del personale medico e sanitario. Tale insegnamento non può essere considerato dai professori e dagli studenti come una materia non fondamentale a cui si interessa chi ne sente la curiosità. Nei paesi retti dalla tradizione del common law, i futuri medici sono per lo meno sollecitati a conoscere le esigenze della deontologia professionale dal fatto che un’infrazione da parte loro avrebbe conseguenze penali. Ma nessun futuro medico può ignorare gli interessi essenziali del paziente, che sono difesi dalla morale e in vista dei quali sono stati formulati i codici deontologici. Per quanto riguarda il modo migliore di impartire tale insegnamento, a volte verranno dedicati ad esso dei corsi particolari, a volte si insisterà sull’argomento nel corso delle esposizioni scientifiche.

7.2. Scelta di un trattamento terapeutico. — Come regola generale, e nonostante quello che fa pensare una certa stampa, il medico di fronte al suo paziente non si pone l’alternativa di «farlo morire» o «non farlo morire». La sua decisione verte su una cura e sulle sue indicazioni e controindicazioni, il che esige che si prendano in considerazione diversi fattori. La valutazione di tutto questo avviene alla luce di determinati principi morali così come di una serie di elementi scientifici: di qui l’interesse per il medico di saper far entrare gli uni e gli altri nella sua riflessione su ciò che va fatto e su ciò che va omesso, su quando ricorrere a mezzi straordinari e quando rinunciarvi, per quali motivi e per quale durata. Accade troppo spesso, oggi, che quando si arriva ad interrogarsi sul proseguimento di una terapia, ci si domanda semplicemente se era opportuno cominciarla. Perché ci sono dei motivi morali per prolungare la vita, ma ci sono anche dei motivi morali per non opporsi alla morte con il cosiddetto «accanimento terapeutico».

7.3. Terapie intensive e scelta delle persone da curare. — Tra le questioni etiche sollevate dal ricorso a «terapie intensive» che comportano strumenti e tecniche altamente sofisticate e costose, si pone quella della selezione, della scelta delle persone a cui applicare una cura che non può essere applicata a tutti quelli che sono colpiti dalla stessa malattia. È legittimo sfruttare al

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massimo le risorse della tecnica medica a favore di un solo paziente, quando tanti altri sono ancora privi delle cure più elementari? Si ha diritto di chiederselo. Se alcuni pensano che tali considerazioni siano contrarie al progresso, i cristiani, da parte loro, hanno il dovere di tenerne ampiamente conto nelle loro valutazioni.

7.4. Gli infermieri e le infermiere

7.4.1. Importanza delle loro responsabilità. — Le infermiere svolgono un ruolo fondamentale di intermediarie tra il medico e il paziente, anche se molti medici tendono a considerare la loro funzione come puramente ausiliaria. Anch’esse non sfuggono al rischio di evitare il paziente nella fase finale della sua malattia. Non si può dimenticare tuttavia l’importanza capitale che spesso rivestono le loro iniziative, come ad esempio la decisione di chiamare il medico di fronte all’improvviso aggravarsi dello stato del malato, o di somministrare o meno il calmante che il medico ha lasciato al loro giudizio di usare al momento opportuno ecc. In molti istituti oggi tende fortunatamente a prevalere un vero spirito di équipe tra medici e infermiere; la loro stretta collaborazione è essenziale per sollevare e curare adeguatamente il paziente.

7.4.2. Coscienza e collaborazione. — L’infermiera, soprattutto se lavora in istituzioni o al servizio di medici non cristiani, si trova a volte di fronte al dilemma che le viene posto da un ordine del medico la cui esecuzione è di natura tale da nuocere gravemente o anche attentare direttamente alla vita del paziente.

In questi casi dovrà attenersi al di sopra di tutto alla proibizione assoluta di eseguire un intervento che per sua natura non è altro che un atto di uccidere. Né una prescrizione del medico, né una richiesta della famiglia o una preghiera del morente liberano l’infermiera dalla responsabilità della sua azione. Le cose sono differenti quando l’infermiera compie, obbedendo a un ordine, degli atti che in sé non producono la morte, anche se sa che con essi si tende ad un risultato illecito (ad esempio abbreviare i giorni del malato, sospendere una cura che non può essere qualificata come «straordinaria»; privare della coscienza un malato che non è stato in grado di ottemperare ai suoi obblighi).

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L’infermiera non può prendere l’iniziativa di simili interventi; la sua non può essere altro che una collaborazione «materiale», giustificata soltanto da una necessità che va valutata in base alla gravità dell’atto, al suo grado di partecipazione nel processo globale e nel conseguimento dell’effetto immorale, ai motivi che spingono l’infermiera ad obbedire (il timore di un danno personale in caso di rifiuto, un bene importante da salvaguardare non esponendosi al rischio di essere licenziata). Nella misura in cui la sua condizione glielo permette, l’infermiera che si trova in tal modo coinvolta in pratiche che la sua coscienza condanna, cercherà nondimeno di testimoniare le sue convinzioni.

I cappellani e i medici cattolici hanno il dovere di aiutare le infermiere ad affrontare debitamente queste difficili situazioni.

7.4.3. Formazione etica nelle scuole per infermiere. — Tutto ciò che è stato detto al n. 7.1. a proposito della necessità di una formazione etica del personale medico e sanitario vale anche per le scuole per infermiere. Le scuole cattoliche hanno il diritto e il dovere di difendere, nel loro insegnamento, i principi etici conformi all’insegnamento della Chiesa, specialmente in quei campi che toccano l’esercizio della professione: valore della persona umana, rispetto della vita, morale matrimoniale, ecc. Hanno il dovere di informare di questo orientamento etico le allieve che fanno domanda d’ammissione, e hanno il diritto di esigere la loro adesione a tali principi e la loro partecipazione ai corsi destinati all’insegnamento dell’etica professionale. Le allieve dovranno convincersi che si tratta di un elemento essenziale, di una condizione sine qua non della formazione integrale di un’infermiera responsabile. D’altra parte non si limiterà questo insegnamento alla presentazione di una casistica, ma si cercherà di creare una profonda familiarità con le nozioni di base, che sono quelle di vita, di morte, di vocazione del personale sanitario, ecc.

7.4.4. Formazione al rapporto con i malati gravi. — Il processo di familiarizzazione del personale sanitario con le esigenze poste dalla morte e dalla cura dei morenti non si realizza soltanto a livello intellettuale. L’incontro con la sofferenza, con le ansietà dei malati, con la morte, può essere molto angoscioso. È uno dei principali motivi che spingono oggi una parte del

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personale sanitario ad evitare di entrare personalmente in rapporto con i malati incurabili e ad abbandonarli alla loro solitudine. Alla formazione etica e deontologica deve quindi aggiungersi una concreta formazione alla relazione, e specialmente alla relazione con i malati gravi. Altrimenti l’insegnamento delle norme etiche rischia di rimanere senza una portata reale.

8. RESPONSABILITÀ DELLA FAMIGLIA E DELLA SOCIETÀ

8.1. Educazione alla sofferenza e alla morte. — I legami tra la vita e la morte si sono talmente allentati, almeno nella nostra società occidentale, che la morte, a poco a poco, ha perso tutto il suo significato.

La famiglia e la società che la circonda hanno le loro responsabilità in questa situazione riconosciuta come eminentemente dannosa. È urgente un’educazione alla sofferenza e alla morte. Questa è forse la chiave, o per lo meno una delle vie per giungere alla soluzione dei numerosi problemi che oggi si pongono a proposito della morte e dei morenti.

8.2. Domande da porsi. — La famiglia deve interrogarsi:

― per vedere se la sofferenza, la morte, il fallimento sono presenti o assenti nelle sue prospettive educative, fin dalle prime età della vita;

― per misurare quale spazio riserva ai malati, agli handicappati, ai falliti, ai vecchi, ai morenti.

Senza questa educazione e questa condivisione della sofferenza in famiglia, senza uno stile di vita familiare che testimoni l’amore e la fede nel valore di ogni persona umana, come sperare di creare la tanto auspicata comunicazione tra il morente e la sua famiglia negli ultimi istanti della sua vita?

8.3. La società e la famiglia. Legislazione. — Anche la società deve chiedersi che cosa offre di valido alla famiglia nel compimento di questa missione educativa, sul piano del suo ambiente di vita, del suo lavoro, della sua salute, dei suoi problemi nei confronti dei membri malati o anziani.

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È anche il caso di temere che la solidarietà della famiglia con i suoi membri sofferenti — a tutti i livelli — si trovi gravemente minacciata da un certo tipo di legislazioni contemporanee, come quelle sul divorzio, la contraccezione, l’aborto, e forse domani sull’eutanasia.

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PROGETTO DI RACCOMANDAZIONE

SULL’INSEMINAZIONE ARTIFICIALE DEGLI ESSERI UMANI*

Il Comitato dei ministri,

Considerando che lo scopo del Consiglio d’Europa è di realizzare un’unione sempre più stretta tra i suoi membri, in particolare mediante l’armonizzazione delle legislazioni sulle questioni di interesse comune;

Considerando che l’inseminazione artificiale degli esseri umani è sempre più praticata attualmente in molti degli stati membri e solleva numerosi problemi di ordine morale, giuridico e medico;

Considerando l’assenza nella grande maggioranza degli stati membri di una legislazione specifica in questa materia;

Considerando che sarebbe utile che gli stati desiderosi di regolamentare questa materia lo facessero in modo uniforme;

Raccomanda ai Governi degli stati membri, che adottassero delle regole sull’inseminazione artificiale degli esseri umani o su materie connesse, di conformare il loro diritto alle regole annesse alla presente raccomandazione.

REGOLE

Art. 1. Le presenti regole si applicano unicamente all’inseminazione artificiale di una donna con lo sperma di un donatore anonimo.

* Consiglio d’Europa, Strasburgo, 5 marzo 1979. Il testo è riportato da J.M. Morett, Le défi génétique, Paris 1982. Nostra traduzione.

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Art. 2. L’inseminazione artificiale non può essere praticata che quando esistono le condizioni appropriate per assicurare il benessere del futuro bambino.

Art. 3. 1. Lo sperma di una persona non deve essere utilizzato ai fini di una inseminazione artificiale senza il suo consenso.

2. Il consenso della donna e, se è sposata, quello del marito, è necessario per praticare una inseminazione artificiale.

3. Il medico responsabile dell’inseminazione artificiale deve assicurarsi che i consensi siano dati in modo esplicito.

Art. 4. Un medico o un presidio medico che ricevono dello sperma umano in vista dell’inseminazione artificiale devono procedere alle ricerche e agli esami appropriati al fine di prevenire la trasmissione, da parte del donatore, di malattie di carattere ereditario e di affezioni contagiose o di altri fattori pericolosi per la salute della donna o del futuro bambino. Inoltre, il medico che procede all’inseminazione deve prendere ogni misura appropriata al fine di evitare pericoli per la salute della donna e per quella del futuro bambino.

Art. 5. Il medico e il personale del presidio medico che ricevono lo sperma o praticano l’inseminazione artificiale devono conservare il segreto sull’identità del donatore e, sotto riserva delle esigenze della giustizia, sull’identità della donna e del marito di lei, se è sposata, nonché il segreto sull’inseminazione artificiale stessa. Il medico non procederà all’inseminazione se le condizioni di questa rendono improbabile la conservazione del segreto.

Art. 6. 1. Il dono dello sperma deve essere gratuito. Tuttavia la perdita del salario, così come le spese di spostamento e altre spese direttamente causate dal dono dello sperma, possono essere rimborsate al donatore.

2. La persona o l’organismo pubblico o privato che cedono lo sperma ai fini dell’inseminazione artificiale non dovranno farlo con un fine lucrativo.

Art. 7. 1. Quando l’inseminazione artificiale è stata praticata col consenso del marito, il bambino sarà considerato come figlio legittimo della donna e di suo marito, e nessuno ne potrà

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contestare la legittimità per il solo fatto dell’inseminazione artificiale.

2. Nessun legame di filiazione tra il donatore e il bambino concepito mediante inseminazione artificiale potrà essere stabilito. Nessuna azione ai fini alimentari potrà essere intentata contro il donatore o da questi contro il bambino.

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CARTA DEI DIRITTI DEL PAZIENTE *

L’Associazione degli Ospedali Americani presenta una carta dei diritti del paziente con la speranza che, se osservata, essa contribuirà a un miglior funzionamento dell’assistenza e a una maggiore soddisfazione del paziente, del medico e dell’organizzazione ospedaliera.

Inoltre l’Associazione presenta questi diritti con la speranza che saranno sostenuti dall’ospedale a vantaggio dei suoi pazienti come parte integrante del processo di guarigione.

È noto che un rapporto personale tra il medico e il paziente è necessario per avere una buona assistenza.

Il rapporto tradizionale medico/paziente assume una dimensione nuova quando le cure sono prestate nell’ambito di una struttura assistenziale organizzata. Un precedente legale ha stabilito che anche l’istituzione ha delle responsabilità nei confronti del paziente. Nel riconoscere questi dati di fatto vengono affermati questi diritti.

1. Il paziente ha diritto di essere assistito con premura e attenzione.

2. Il paziente ha diritto di ottenere dal suo medico informazioni complete e aggiornate stilla diagnosi, in termini che il paziente sia in grado di comprendere. Quando il medico ritiene che non sia opportuno fornire tali informazioni al paziente, esse dovranno essere comunicate alla persona più adatta a salvaguardare i suoi interessi. Il paziente ha diritto di conoscere il nome del medico responsabile delle decisioni riguardo alla sua terapia.

* La carta è stata approvata nel 1973 dall’assemblea dei delegati dell’American Hospital Association. La carta dei diritti del paziente dell’AHA ha esercitato un grande influsso sull’elaborazione di documenti simili in altre parti del mondo.

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3. Il paziente ha il diritto di ricevere dal medico le informazioni necessarie per dare un consenso informato a sottoporsi a qualsiasi terapia e/o trattamento. Eccetto casi di emergenza, tali informazioni devono includere i rischi, connessi alla terapia e/o al trattamento, che può correre la salute, e la probabile durata dell’inabilità. Nel caso che esistano valide alternative mediche alla terapia o al trattamento, e nel caso che il paziente richieda informazioni riguardanti tali alternative, egli ha diritto di riceverle. Il paziente ha anche diritto di conoscere il nome della persona responsabile della sua terapia e/o trattamento.

4. Il paziente ha il diritto di rifiutare la terapia nei modi permessi dalla legge e ha diritto di essere informato delle conseguenze che questa azione può avere per la sua salute.

5. Il paziente ha diritto a tutte le attenzioni per mantenere il riserbo sul suo trattamento terapeutico. La discussione del caso, la consultazione, gli esami e la terapia sono confidenziali e andranno condotti con discrezione.

Coloro che non sono direttamente addetti alla sua cura dovranno avere l’autorizzazione del paziente per esserne informati.

6. Il paziente ha il diritto di pretendere che tutte le notizie e i dati relativi alle sue cure siano mantenuti segreti.

7. Il paziente ha il diritto di aspettarsi che l’ospedale, per quanto è possibile, fornisca una risposta soddisfacente alla sua domanda di servizi. L’ospedale deve provvedere a valutare le condizioni, e a curare e/o trasferire il paziente secondo l’urgenza del caso. Quando, su parere del medico, è proposto il trasferimento a un altro ospedale, questo può avvenire solo dopo che il paziente abbia ricevuto spiegazioni e informazioni riguardo la necessità e le alternative di un tale trasferimento. La struttura in cui il paziente è trasferito deve avere preventivamente accettato il passaggio.

8. Il paziente ha diritto ad essere informato riguardo i rapporti esistenti tra il suo ospedale ed altri enti educativi o di assistenza che possono interessare la sua cura. Ha inoltre diritto di conoscere qualsiasi relazione esistente tra coloro che lo stanno curando.

9. Il paziente ha il diritto di essere avvisato se l’ospedale si

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propone di intraprendere la sperimentazione su esseri umani in un ambito di ricerca che può interessare la sua terapia e/o trattamento. Il paziente ha diritto di rifiutare la partecipazione a tali progetti di ricerca.

10. Il paziente ha il diritto di fruire di cure continuative. Deve sapere in anticipo in quali orari di appuntamento e quali medici siano disponibili e dove. Il paziente ha il diritto di aspettarsi che l’ospedale lo faccia informare dal medico o da un suo delegato delle misure necessarie per continuare il trattamento dopo la sua dimissione dall’ospedale.

11. Il paziente ha il diritto di esaminare e chiedere spiegazioni sul conto, prescindendo dalla fonte di pagamento.

12. Il paziente ha il diritto di conoscere quali norme e regolamenti ospedalieri siano applicabili al suo status di paziente.

Nessun elenco di diritti può garantire al paziente il tipo di trattamento che dovrebbe ricevere. Un ospedale deve svolgere molte funzioni, come la prevenzione e il trattamento delle malattie, l’educazione del personale sanitario e dei pazienti e la gestione della ricerca clinica. Tutte queste attività devono essere svolte nel rispetto del paziente, riconoscendo la sua dignità di essere umano: ciò garantirà la difesa dei suoi diritti.

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CARTA DEL MALATO IN OSPEDALE *

PREAMBOLO

1. Avendo la convinzione che il malato utente dell’ospedale ha fondamentali diritti per quanto riguarda la prestazione dei servizi in un ospedale, e che questi diritti sono strettamente legati al carattere profondamente umanitario di queste prestazioni, il Comitato ospedaliero della CEE ha deciso, nella sua 18a Assemblea plenaria di Copenaghen del maggio 1977, di studiare questi diritti. Tale studio ha dato luogo ad una Carta del malato in ospedale, che è stata approvata nella 20a assemblea plenaria di Lussemburgo del maggio 1979. Nel formulare le sue intenzioni, il Comitato ha tenuto conto delle disposizioni seguenti:

― art. 25 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo (1948);

― artt. 11 e 13 della Carta Sociale Europea (1961);

― t. 12.1 della Convenzione Internazionale dell’ONU sui Diritti Economici, Sociali e Culturali (1966);

― Risoluzione 23.24 dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (1970).

2. La Carta è indirizzata specificamente al malato utente dell’ospedale. Il Comitato ospedaliero della CEE vuole limitarsi al suo proprio ruolo e formulare i diritti di questo malato. Ciò non significa che si disinteressi degli altri ammalati. Il Comitato esprime la speranza che questa Carta possa contribuire all’evoluzione di una Carta dei diritti dei malati in generale.

* Adottata dal Comitato ospedaliero della Comunità Economica Europea riunito in assemblea plenaria a Lussemburgo il 6-9 maggio 1979. Riportata da Rivista Italiana di Medicina Legale, 1981/3.

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3. Il Comitato sa che l’ospedale non è la soluzione assoluta di tutti i problemi della sanità. Il Comitato considera che ogni individuo ha fondamentalmente diritto di richiedere cure ben organizzate e strutturate, nel quadro delle quali l’ospedale gioca il suo proprio ruolo, insieme ad altri dispensatori di cure.

4. La Carta del malato in ospedale è l’espressione dei diritti individuali fondamentali di ogni persona nel momento in cui entra in contatto con l’ospedale. Essa riconosce, in particolare, il diritto all’autodeterminazione, all’informazione, alla protezione della vita privata, alla libertà religiosa e filosofica.

5. Tuttavia, la codificazione dei diritti del malato in ospedale non è di per sé sufficiente. In ogni ospedale si devono mettere in opera misure appropriate affinché tali diritti siano rispettati e, ciò che più importa, per rendere cosciente il malato di poterli rivendicare.

6. Bisogna analogamente sottolineare che i diritti stipulati nella Carta implicano anche obblighi da parte del malato utente dell’ospedale. Essi consistono nella necessità di un comportamento ragionevole del malato in ogni momento, nel rispetto e nella comprensione dei diritti degli altri malati, nella volontà di collaborare con il personale e la direzione dell’ospedale.

7. La Carta riguarda tutti i malati utenti dell’ospedale, tenendo conto della legislazione in vigore in ogni paese. Esistono certe categorie di malati (per es. i malati psichiatrici), che richiedono una protezione complementare dei loro diritti. Tuttavia questa Carta vuol essere una espressione generale dei diritti fondamentali di tutti i malati utenti dell’ospedale.

I DIRITTI DEL MALATO UTENTE DELL’OSPEDALE

1. Il malato ha diritto di accedere ai servizi ospedalieri adeguati al suo stato o alla sua malattia.

2. Il malato ha diritto ad essere curato nel rispetto della sua dignità umana. Questa prestazione comprende non solamente le cure mediche, infermieristiche ed analoghe, ma anche una

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sollecitudine, una sistemazione alberghiera ed un inquadramento tecnico e amministrativo appropriati.

3. Il malato ha diritto di accettare o rifiutare ogni prestazione diagnostica o curativa. Quando un malato è incapace (per legge o di fatto) di esercitate tale diritto, questo è esercitato dal suo rappresentante o da una persona designata per legge.

4. Il malato ha diritto di essere informato di quanto concerne il suo stato. È l’interesse del malato ciò che determina l’informazione da dargli. Essa deve permettere al malato di ottenere una visione completa di tutti gli aspetti, medici e non, del suo stato, e di prendere egli stesso le decisioni o di partecipare alle decisioni che possano avere conseguenze per il suo benessere.

5. Il malato od il suo rappresentante (come precisato sub 3) ha diritto di essere completamente informato in anticipo dei rischi che può presentare ogni prestazione non routinaria avente scopo diagnostico o terapeutico. Essa deve ottenere il consenso esplicito del malato, che può ritirarlo in ogni momento. Il malato deve potersi sentire completamente libero di dare o rifiutare la sua collaborazione alla ricerca clinica o all’insegnamento; egli può ritirare il suo consenso in ogni momento.

6. Il malato ha diritto, nella misura permessa dalle condizioni ambientali, alla protezione della sua vita privata. Deve essere garantito il carattere confidenziale dell’informazione e del contenuto, specialmente medico, delle cartelle che lo riguardano.

7. Il malato ha diritto al rispetto ed al riconoscimento delle sue convinzioni religiose e filosofiche.

8. Il malato ha diritto a sporgere un reclamo, a vederlo esaminato e ad essere informato del seguito che ad esso sarà dato.

Lussemburgo, 9 maggio 1979

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PROPOSTA DI MOZIONE DEL COMITATO PERMANENTE DEI MEDICI DELLA CEE

A proposito della Carta del malato in ospedale approvata dal Comitato di coordinamento delle Organizzazioni ospedaliere della CEE, il Comitato permanente dei medici della CEE emette il seguente parere:

I diritti del malato in ospedale non sono diversi, quanto ai principi, dai diritti del malato fuori dall’ospedale. Questi diritti si riferiscono alle garanzie essenziali della libera scelta del medico da parte del malato, dell’accesso alle cure più appropriate alla situazione e rispondenti alle acquisizioni della scienza, del rispetto della dignità umana e particolarmente del segreto medico e del diritto all’informazione. Il Comitato permanente ricorda che ha già fin dal 1967 definito i diritti del malato nella Carta di Norimberga.

1. Il malato deve avere, senza discriminazione, la libera scelta del suo ricovero ospedaliero, qualunque sia il suo stato giuridico.

2. La disponibilità dei mezzi da porre in opera e particolarmente i mezzi dell’esercizio medico:

― deve essere garantita nelle misure necessarie in rapporto ai compiti ed alle funzioni dell’ospedale;

― non può essere ostacolata da una programmazione restrittiva di questi mezzi che impedisca l’accesso alle cure.

3. Nel quadro del rispetto della dignità del paziente, il suo rifiuto per un trattamento che gli sia proposto deve, necessariamente, contemplare il diritto di cambiare ospedale. Delle garanzie assolutamente particolari debbono essere previste per proteggere i malati che sono in una situazione di accentuata vulnerabilità (malati psichiatrici, drogati).

4. L’informazione del malato deve essere obiettiva, competente e tanto completa quanto il suo stato lo permette. L’informazione medica deve essere assicurata dal o dai medici curanti, fatto salvo il diritto del paziente di richiedere il consulto di un altro medico. Per quanto riguarda i rischi, questa informazione non può che esser fatta sui rischi normalmente prevedibili secondo le conoscenze mediche.

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CARTA DEI 33 DIRITTI DEL CITTADINO *

1. Il diritto di ogni malato ad essere trattato come un utente pagante per un servizio dovuto, liberandolo dal peso di una prassi di corruzione, favoritismi e clientelismo che va dalla mancia per un piccolo servizio alla compravendita a borsa nera di un posto letto.

2. Il diritto di ogni malato di tutelarsi nei confronti di fenomeni di corruzione, favoritismi e clientelismo e per ogni altra forma di abuso che sia commessa contro di lui nel corso della degenza e comunque nel quadro di procedimenti terapeutici, con l’ausilio delle forze politiche, dei sindacati, delle amministrazioni, degli ordini professionali e, se necessario, della magistratura, mediante la costituzione di appositi canali politici e istituzionali, dei quali una prima attuazione potranno essere i Centri per i diritti del malato, da aprirsi in ogni struttura sanitaria.

3. Il diritto dei malati ad essere assistiti esclusivamente da personale sanitario perfettamente identificabile, sia per quanto riguarda la qualifica, sia per quanto riguarda la persona, e perciò munito di cartellino di identificazione visibile e leggibile.

Il diritto dei malati di disporre all’interno di ogni istituzione sanitaria di organi che li rappresentino sia di fronte all’ente ospedaliero, sia di fronte al personale sanitario, sia, infine, di fronte alle pubbliche autorità. Tali organi potranno essere i già segnalati Centri per i diritti del malato, che dovranno essere provvisti di personale volontario delle unità sanitarie locali

* Dichiarazioni conclusive della prima sessione pubblica del Tribunale per i Diritti del Malato tenutasi a Roma, piazza del Campidoglio, il 29 giugno 1980.

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e di indispensabili strutture tecniche come sedi, bacheche, ciclostili, macchine da scrivere, fondi per l’acquisto di giornali e quanto altro serva per rendere efficace la tutela dei diritti del malato.

5. Il diritto dei malati anziani ad essere assistiti anche dai propri parenti, ai quali deve essere riconosciuto non solo il diritto di accedere negli edifici ospedalieri e nelle corsie senza limitazioni di orario, ma anche il diritto, nel rispetto di indispensabili norme disciplinari e igieniche, a soccorrere con continuità i degenti anziani.

6. Il diritto del malato anziano alla parità e alla eguaglianza del trattamento assistenziale, e quindi i conseguenti diritti dell’anziano:

― alla conservazione del posto-letto;

― ad ottenere dal personale ospedaliero, soprattutto quando manca l’assistenza dei parenti, di essere aiutato, non in forza di una mera buona volontà, ma grazie a precise norme di legge e di regolamento, nell’attuazione di attività vitali per le quali sia venuta meno un’autonomia della persona, come il mangiare, le funzioni fisiologiche indispensabili, il provvedere alla pulizia personale, il tenere con ordine e dignità il proprio posto-letto;

― ad essere dotato di una sedia a rotelle, se immobilizzato, che gli consenta una libera mobilità all’interno delle strutture ospedaliere;

― all’eliminazione in loro favore — e con gli anziani a favore di tutti coloro che sono obbligati all’uso della sedia a rotelle ― delle cosiddette barriere architettoniche.

7. Il diritto del malato anziano a non essere ricoverato in ospedale su richiesta dei parenti quando ciò non sia necessario, o sia fatto al solo scopo di procurare un’assistenza normalmente dovuta a persone in tarda età, impegnando le forze politiche, il Governo, il Parlamento, la Regione, a prendere gli opportuni provvedimenti, anche finanziari, in modo che sia garantito a tutti i cittadini, mediante la costituzione di appositi servizi sociali, il diritto ad una vita che non sia mera sopravvivenza.

8. Il diritto del lavoratore malato a non essere ricoverato per

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accertamenti diagnostici, soprattutto quando il ricovero può causare danni economici all’interessato e alla sua famiglia.

9. Il diritto dei lavoratori al pieno possesso del tempo della loro vita che viene sprecato nella lunghezza talvolta ingiustificata del ricovero in ospedale. Tale diritto potrà realizzarsi anche mediante l’obbligo da parte dell’ente ospedaliero o del medico ospedaliero di fornire all’interessato, ogni volta che egli lo richieda, un programma di massima circa i tempi e i modi degli accertamenti diagnostici e delle attività terapeutiche; programma che dovrà essere inserito per iscritto nella cartella clinica.

10. Il diritto dei lavoratori e delle loro organizzazioni sindacali a controllare, mediante appositi organismi collegati con le unità sanitarie locali, il sistema di accettazione negli ospedali pubblici e nelle cliniche convenzionate, allo scopo di evitare forme di corruzione, favoritismi, clientelismo e forme di discriminazione ai danni dei meno abbienti.

11. Il diritto della donna degente a vedere riconosciuta interamente la propria soggettività culturale e fisica, e quindi il diritto della donna ad esercitare liberamente scelte di valori e comportamenti, nell’ambito delle leggi vigenti, senza subire intimidazioni e forme di sindacato o di discriminazione.

12. Il diritto delle donne a tutelare la propria dignità sociale mediante forme di controllo popolare legate alle strutture delle unità sanitarie locali, soprattutto allo scopo di imporre, con una nuova concezione della gravidanza e del parto — da considerarsi fatti fisiologici e non patologici —, un diverso trattamento basato sul rispetto della persona, sul rapporto paritario tra donne e operatori sanitari, sulla possibilità di esercitare diritti e quindi di non chiedere favori, sulla considerazione del pudore, su una concezione della ospitalità nelle strutture sanitarie non punitiva e carceraria e pertanto sulla possibilità di avere continui rapporti con i familiari, le organizzazioni politiche, i rappresentanti delle associazioni delle donne, i membri delle unità sanitarie locali.

13. Il diritto dei bambini degenti ad essere assistiti senza limitazioni di tempo dai parenti e, in particolare, dai genitori.

14. Il diritto a che tale assistenza si realizzi secondo forme

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istituzionalizzate, con regolamenti e provvedimenti legislativi, al fine di garantire, da una parte, ai parenti del bambino strutture indispensabili di servizio, come l’accesso alla mensa ospedaliera e la possibilità di utilizzare un letto e, dall’altra, la struttura sanitaria per tutto quanto concerne la disciplina e l’igiene.

15. Il diritto dei bambini a non essere ricoverati se non per gli atti indispensabili degli accertamenti diagnostici e dei procedimenti terapeutici.

16. Il diritto dei bambini degenti di soggiornare, in caso di ricovero prolungato, per uno o più giorni a settimana nella casa familiare senza perdere il posto-letto.

17. Il diritto dei bambini a non essere trattati con mezzi di contenzione di qualsiasi genere, impegnando a tal fine le amministrazioni competenti, anche mediante provvedimenti di urgenza, ad adeguare il personale sanitario all’esigenza di una umana e sana gestione di tutti i reparti di pediatria.

18. Il diritto dei bambini al gioco come attività essenziale che non può essere interrotta senza gravi danni per lo sviluppo psicologico ed emotivo del bambino, allestendo apposite sale e, in ogni caso, consentendo tale attività ovunque sia possibile.

19. Il diritto delle associazioni dei malati, delle associazioni sindacali dei lavoratori, delle associazioni delle donne, delle associazioni giovanili, dei Centri per i diritti del malato e dello stesso Tribunale per i diritti del Malato ad intervenire con poteri consultivi nella redazione di progetti per la riforma degli iter di preparazione professionale di medici e paramedici.

20. Il diritto del malato a dettare brevi osservazioni da inserire per iscritto nella cartella clinica sul suo stato di salute, su eventuali incompatibilità con la terapia in atto e quanto altro egli creda opportuno per informare ufficialmente l’ente ospedaliero e il personale sanitario delle sue condizioni, allo scopo di rendere possibile, in caso di errori diagnostici e terapeutici, l’accertamento di eventuali responsabilità.

21 Il diritto di ogni malato ad usufruire, durante la degenza, di lenzuola, federe, cuscini, coperte, posate, sedie a rotelle, forniti dall’amministrazione ospedaliera.

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22. Il diritto di ogni malato a ricevere, anche in considerazione dell’alto prezzo che viene pagato dalla pubblica amministrazione competente per una giornata di ricovero, cibo di buona qualità, caldo, secondo diete adeguate e variate.

23. Il diritto dei malati ad attuare la degenza in ambienti sottoposti a continua manutenzione, dove, cioè, siano riparati i letti rotti, i materassi, i gabinetti, le porte, le finestre, le luci, i campanelli e quanto altro si guasti durante la degenza.

24. Il diritto di tutti i malati ad usufruire di servizi igienici puliti e in proporzione adeguata al numero dei degenti, secondo gli standard dei paesi industrializzati e le indicazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e, quindi, anche con la presenza di accessori come specchi, carta igienica, campanelli, maniglie, vasche da bagno, docce.

25. Il diritto dei malati ad attuare la degenza in ambienti non infestati da scarafaggi, topi, formiche o altri animali, come pidocchi e pulci.

26. Il diritto dei malati a che, nell’attuazione di atti diagnostici e terapeutici, ci si attenga ad elementari norme igieniche che presuppongono la disponibilità di siringhe, termometri, aghi, in maniera adeguata al numero dei degenti.

27. Il diritto dei malati ad essere assistiti da personale specializzato e, soprattutto, da personale paramedico adeguatamente retribuito.

28. Oltre al generico diritto dei malati all’informazione, lo specifico e concreto diritto di ciascun malato affinché sia inserita nella cartella clinica una scheda dove siano illustrate in termini chiari e comprensibili, e con testo obbligatoriamente dattiloscritto, la diagnosi e la terapia in corso, nonché le previsioni circa la durata del ricovero e le eventuali possibilità di guarigione.

29. Il diritto dei malati all’uso di aree di socializzazione, come sale per incontri con visitatori, luoghi di svago, biblioteche, sale giochi, nonché alla possibilità di disporre, per iniziativa delle amministrazioni competenti, di giornali, libri, televisori e altri strumenti di informazione, di educazione culturale e di svago.

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30. Il diritto di ogni malato a vivere, anche durante la degenza, a contatto con parenti e amici per non meno di un quarto della giornata di veglia, in fasce orarie compatibili con l’orario di lavoro dei visitatori, soprattutto se appartenenti alla classe operaia, e comunque in tutte le ore della giornata nelle quali l’accesso dei visitatori non costituisca reale ed effettivo intralcio all’attività sanitaria.

31. Il diritto dei malati ad usare in luogo del pigiama un abbigliamento più funzionale all’esercizio di attività culturali, del gioco, della mobilità e di ogni altra attività compatibile con la condizione di salute del soggetto.

32. Il diritto dei malati a vivere le giornate di degenza secondo gli orari medi della vita civile.

33. Il diritto dei malati a partecipare, tramite propri rappresentanti e tramite le organizzazioni sindacali di appartenenza o attraverso lo stesso Tribunale per i Diritti del Malato, alle contrattazioni collettive tra Governo, amministrazioni regionali e locali e i sindacati dei lavoratori ospedalieri, esclusivamente allo scopo di consentire che siano tenute presenti le esigenze dei degenti derivanti dalla gestione dei servizi, dalla regolamentazione degli orari, dall’organizzazione delle prestazioni sanitarie.

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SEZIONE IV

CODICI DEONTOLOGICI

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CODICE ITALIANO DI DEONTOLOGIA MEDICA *

TITOLO I — DISPOSIZIONI GENERALI

Capo I — Oggetto e campo di applicazione del codice deontologico

Art. 1. La deontologia medica è l’insieme dei principi, delle regole e delle consuetudini che ogni medico deve osservare ed alle quali deve ispirarsi nell’esercizio della sua professione.

Art. 2. Le disposizioni del presente Codice si applicano ad ogni medico iscritto nell’Albo professionale.

Art. 3. L’inosservanza dei precetti, degli obblighi e dei divieti fissati nel presente Codice Deontologico configura l’abuso o la mancanza nell’esercizio della professione o il fatto disdicevole al decoro professionale contemplati nell’articolo 38 del D.P.R. 5 aprile 1950, n. 221, ed è punibile con le sanzioni disciplinari previste dall’art. 40 del citato provvedimento.

TITOLO II — DOVERI GENERALI DEL MEDICO

Capo I — Indipendenza e dignità della professione

Art. 4. Il medico non può, in nessun caso, rinunciare alla sua libertà e indipendenza professionale.

* IL Codice è stato approvato dalla Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici nel 1978. Sostituisce la stesura precedente, compilata nel 1956, sotto la guida del prof. Frugoni.

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Nell’esecuzione di qualunque atto medico egli deve costantemente ispirarsi alle conoscenze scientifiche ed alla propria coscienza nel rispetto della persona umana e dei diritti della collettività. Deve respingere ogni limitazione o imposizione o lusinga che possano comunque limitare l’efficacia e la correttezza del suo intervento.

Deve denunciare all’Ordine ogni tentativo di imporgli comportamenti non conformi al Codice Deontologico, da qualunque parte provengano, affidando all’Ordine stesso la tutela del proprio diritto a resistere a tali imposizioni.

Art. 5. Il medico è pertanto libero di indicare i mezzi di prevenzione e di indagine diagnostica più adeguati e di prescrivere i farmaci più idonei e più appropriati a seconda delle circostanze.

A parità di efficacia egli deve limitare le sue prescrizioni e i suoi atti a quelli rigorosamente necessari.

È suo dovere indicare i mezzi per raggiungere la più ampia disponibilità degli strumenti più efficaci di cura.

È colpa grave, pertanto, che egli soggiaccia, in questo campo, a imposizioni di natura politica, a suggestioni pubblicitarie o, peggio, a interessi di carattere economico.

Art. 6. Nel rispetto della libertà dei diritti sanciti dalla Costituzione, il comportamento del medico, anche al di fuori dell’esercizio della professione, deve essere cònsono al decoro e alla dignità della professione.

Art. 7. È proibito al medico che riveste cariche pubbliche di valersene a scopi professionali.

Capo II — Prestazioni d’urgenza

Art. 8. Il medico, indipendentemente dalla sua funzione o specializzazione, deve, in qualunque luogo o circostanza, prestare le cure di urgenza a persona in pericolo immediato per la quale non sia possibile assicurare tempestivamente altra assistenza.

Art. 9. In caso di calamità pubblica o di epidemia non può abbandonare i suoi ammalati e deve, salvo causa di forza maggiore, offrire la propria opera rispettando l’obbligo di rimanere a disposizione dell’Autorità competente.

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Capo III — Segreto professionale

Art. 10. Il medico deve serbare il segreto su tutto ciò che gli è stato confidato o che avrà potuto conoscere per ragioni del proprio stato.

La rivelazione, fatta a scopo di lucro, proprio o altrui, oppure con il fine specifico di arrecare nocumento, costituisce aggravante.

La rivelazione del segreto è consentita:

a) se imposta dalla legge per «giusta causa» (referti, denuncie obbligatorie ecc.);

b) se autorizzata dall’ammalato;

c) se richiesta dai genitori dei minorenni non emancipati, nell’interesse del minore.

Art. 11. Il medico deve vigilare che i suoi collaboratori siano a conoscenza dell’obbligo del segreto professionale e che vi si conformino.

Art. 12. Il medico deve vigilare alla conservazione, contro ogni indiscrezione, delle cartelle personali e dei documenti riguardanti i suoi ammalati dei quali è in possesso.

Quando utilizza, in pubblicazioni scientifiche, dati clinici e osservazioni relative ai singoli pazienti, deve fare in modo che non sia possibile la loro identificazione.

Analogamente, non deve diffondere notizie, attraverso la stampa o ogni altro mezzo di informazione, che consentano o possano consentire l’identificazione del paziente cui si riferiscono. Il riserbo nei confronti delle prestazioni professionali deve essere assoluto.

Art. 13. Il medico non testimonierà su ciò che a lui è stato confidato o è pervenuto a sua conoscenza per ragioni della sua professione.

Art. 14. Il medico potrà accedere alla compilazione e alla trasmissione di atti che contengano l’indicazione di dati riservati relativi ai singoli pazienti, sulla base di una trasmissione di ufficio del segreto professionale e nello stretto rispetto dei disposti di legge che regolamentano questo settore.

Art. 15. Il medico, richiesto di rilasciare un certificato, deve

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attestare soltanto ciò che ha direttamente constatato, in totale aderenza alla realtà dei fatti. Qualsiasi alterazione della verità, fatta a scopo di lucro, costituisce aggravante.

Capo IV — Trattamenti terapeutici

Art. 16. Il medico non deve fornire i medicinali necessari alla cura; potrà farlo, eventualmente, a titolo gratuito.

Art. 17. Il medico è tenuto a conoscere la composizione, le indicazioni, le controindicazioni e le interazioni dei prodotti che prescrive; la scelta deve essere sempre oculata, tenuto conto che egli adopera sostanze farmacologiche attive le quali, se non vengono correttamente usate, possono rappresentare causa di danno, oltre che di inutile dispendio. Nell’uso prolungato di un farmaco il medico deve inoltre valutare i danni che da tale uso possono derivare.

Art. 18. Il medico non deve prescrivere né usare prodotti farmaceutici di composizione o di preparazione segrete, né deve diffondere notizie di procedimenti diagnostici e di trattamenti terapeutici non sottoposti ad adeguata sperimentazione e a rigoroso controllo scientifico e altre notizie sanitarie atte a suscitare illusorie speranze o infondati timori. Egli deve attenersi scrupolosamente alle acquisizioni scientifiche comprovate. La inosservanza di quanto sopra, se commessa a scopo di lucro, costituisce aggravante.

Art. 19. I trattamenti che comportino una diminuzione della resistenza fisica e psichica del malato possono essere giustificati da un rigoroso accertamento delle necessità terapeutiche al solo fine di conseguire la guarigione o di rendere sollievo alla sofferenza.

Art. 20. Il medico che si trova di fronte a situazioni cliniche alle quali ritiene di non poter provvedere efficacemente con la propria competenza, deve proporre al paziente la collaborazione di altro medico qualificato, oppure di idoneo presidio sanitario.

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Capo V — Aggiornamento professionale

Art. 21. Il medico è tenuto a un aggiornamento continuo delle proprie conoscenze in campo diagnostico e terapeutico per garantire il diritto del paziente alla tutela della propria salute nel migliore dei modi consentito dalle acquisizioni scientifiche più recenti.

Tale impegno del medico, oltre che un suo preciso dovere, ne costituisce un diritto che deve essere assicurato dalle istituzioni sanitarie esistenti, nell’ambito di una formazione professionale permanente.

Capo VI — Tariffa professionale

Art. 22. La tariffa minima nazionale, fissata per legge, è garanzia della qualità della prestazione e pertanto, a tutela del cittadino, deve essere scrupolosamente osservata.

Il medico, tuttavia, può prestare la sua opera a titolo gratuito.

È prerogativa del Consiglio dell’Ordine dei Medici stabilire una tariffa massima a tutela della equità degli onorari.

TITOLO III — RAPPORTI CON IL PAZIENTE

Capo I — Regole generali di comportamento

Art. 23. Il medico che esercita nel proprio studio professionale ha il dovere di compiere personalmente le prestazioni mediche o di rendere edotto il paziente della sua eventuale sostituzione. È vietata ogni forma di appalto o sub-appalto della propria clientela.

Art. 24. Il medico non deve farsi sostituire da personale non medico in mansioni di sua competenza; la violazione di tale dovere costituisce grave mancanza.

Quando sia necessaria la collaborazione di altri medici, ovvero di personale sanitario ausiliario, il medico curante ha il diritto di pretendere che essi siano di sua fiducia.

Art. 25. Il medico che accetta di assumere in cura un infermo

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impegna, oltre all’osservanza dei doveri enunciati nei principi deontologici fondamentali, a fornire, tutte le volte che il caso particolare lo richieda, la documentazione clinica agli aventi diritto ed al collega che eventualmente subentri come curante. Il medico che eserciti la sua attività in località in cui non risieda abitualmente è tenuto a garantire al paziente la continuità di un’assistenza qualificata.

Art. 26. Il medico, pur tenendo conto delle condizioni economiche del malato, deve essere libero nelle sue prescrizioni e indipendente da qualsiasi considerazione che non derivi dall’interesse del malato.

Art. 27. Ogni forma di terapia segreta è vietata.

Art. 28. Qualora il medico venga richiesto di interventi sanitari che contrastino con il suo convincimento clinico o che discordino con la sua coscienza, come nel caso di sterilizzazione, aborto o interventi di plastica, egli può rifiutare la propria opera, pur nel rispetto della volontà del paziente.

Art. 29. Il medico non può abbandonare il malato perché ritenuto inguaribile, ma deve continuare ad assisterlo anche al solo fine di lenire la sofferenza fisica e psichica, di aiutarlo e confortarlo.

Art. 30. Una prognosi grave o infausta può essere tenuta nascosta al malato, ma non alla famiglia.

In ogni caso la volontà del paziente, liberamente espressa, deve rappresentare per il medico un elemento al quale egli ispirerà il suo comportamento.

Art. 31. Il medico non può rifiutarsi di rilasciare direttamente al cliente certificati comprovanti la malattia. Egli non deve redigere certificazioni che non siano il risultato di constatazioni dirette. Il rilascio di certificati di compiacenza è grave infrazione disciplinare.

Art. 32. Il medico che, abusando della sua posizione professionale, si comporti in modo scorretto, commette grave infrazione disciplinare, indipendentemente dalle eventuali responsabilità civili e penali nelle quali egli può essere incorso.

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Capo II — Libera scelta del medico e del luogo di cura

Art. 33. La libera scelta del medico curante da parte del malato deve essere rispettata. Parimenti, all’infuori dei casi d’urgenza, di forza maggiore o di quelli previsti dalla legge, il medico ha il diritto di rifiutare le proprie prestazioni.

Art. 34. Il medico deve curare qualsiasi malato con uguale impegno anche in caso di scarsa collaborazione da parte dell’infermo.

Art. 35. Qualora il medico abbia avuto prova di sfiducia da parte del malato o della sua famiglia (se si tratta di minore o di incapace), può rinunciare all’incarico purché ne dia avviso o ne sia possibile la sostituzione.

Art. 36. In caso di chiamata urgente, se intervengono più medici, il primo di essi deve prestare la sua opera, salvo diversa disposizione del malato o della famiglia.

Se più tardi interviene il curante, ha diritto a collaborare alla visita già iniziata.

Art. 37. Il medico chiamato per soccorso d’urgenza da un paziente in cura da altro medico non può pretendere né accettare che il malato affidi a lui la continuazione della cura.

Art. 38. Il medico può soltanto consigliare, ma non imporre al malato di servirsi di determinati presidi, istituti o luoghi di cura, stabilimenti balneari o termali.

Capo III — Consenso del paziente

Art. 39. Il medico non deve intraprendere alcun atto medico che comporti un rischio per il paziente senza il consenso valido del malato o delle persone da cui questo è rappresentato se minorenne o incapace, salvo lo stato di necessità e sempre che il paziente non sia in grado di dare un valido consenso. Qualora il consenso venga rifiutato e l’intervento sia ritenuto indispensabile, il medico può sollecitare un consulto; in caso di rifiuto, deve richiedere il rilascio di una dichiarazione liberatoria da parte dell’interessato o dei suoi familiari.

Art. 40. In nessun caso il medico, anche se richiesto dal paziente

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o dai suoi familiari, deve attuare mezzi atti ad abbreviare la vita di un malato.

Tuttavia, nel caso di malattie a prognosi sicuramente infausta a breve scadenza e ad onta delle cure, il medico può limitare la propria opera all’assistenza morale ed alla prescrizione ed esecuzione della terapia atta a risparmiare al malato inutili sofferenze.

La decisione di porre termine all’uso di mezzi di sopravvivenza artificiale nei casi di coma irreversibile, tenuto conto del parere dei familiari, sarà assunta in funzione delle conoscenze mediche del momento.

Art. 41. Il medico deve impegnarsi a tutelare il fanciullo ammalato, specialmente quando ritiene che l’ambiente familiare o non, nel quale il fanciullo vive, non sia sufficientemente sollecito della sua salute.

Capo IV — Sperimentazione clinica

Art. 42. La sperimentazione clinica di nuovi farmaci e di nuove tecniche terapeutiche è indispensabile; non può tuttavia essere attuata se non dopo una sperimentazione la più ampia e scrupolosa sull’animale.

Art. 43. La sperimentazione sull’uomo — che deve essere ispirata a un alto senso di responsabilità da parte del medico e che si deve svolgere nel rispetto assoluto dei diritti della persona ― è sempre subordinata al consenso dell’avente diritto. Il consenso deve essere espresso liberamente e possibilmente per iscritto, con piena consapevolezza e dopo che il soggetto sia stato informato dal medico sulla natura, sulle finalità della sperimentazione e sui rischi ad essa inerenti.

La sperimentazione sull’uomo sano è ammissibile solo se il soggetto è maggiorenne, in condizioni di dare liberamente e coscientemente il proprio consenso; pertanto è da escludere in ogni caso il prigioniero comune, politico o di guerra. In caso di soggetto incapace, il consenso deve essere espresso dal rappresentante legale.

Art. 44. La prova dei nuovi trattamenti ed in particolare il metodo del «doppio cieco» non possono deliberatamente privare

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il malato di una terapia ritenuta efficace; i dati scientifici e la preventiva sperimentazione sull’animale devono consentire l’ipotesi di una ragionevole possibilità di successo.

Ogni sperimentazione di un trattamento medico o chirurgico deve essere circondata da garanzie di ordine morale, eventualmente proponibili all’attenzione del Consiglio Direttivodell'Ordine, da garanzie scientifiche controllate in sedi di adeguata e specifica competenza indipendenti dallo sperimentatore.

In caso di affezioni inguaribili allo stato attuale delle conoscenze mediche e nello stadio terminale di queste affezioni, il tentativo di nuove terapie e di nuove tecniche chirurgiche deve giustificarsi con ragionevoli speranze di essere utile e tener conto soprattutto del benessere morale e fisico del malato. Non deve in nessun caso imporgli ulteriori sofferenze.

I protocolli di ogni sperimentazione sull’uomo, con particolare riguardo alle modalità di ricerca, ai metodi usati ed alle reazioni del soggetto, debbono essere resi pubblici indipendentemente dai risultati della ricerca.

Art. 45. La sperimentazione sull’uomo, a scopo terapeutico o no, non può essere compensata in alcun modo, considerando che lo stimolo della ricerca nasce soltanto dal desiderio di aumentare le cognizioni scientifiche e di contribuire al bene sociale. Il medico o il gruppo di medici praticanti la sperimentazione deve essere assolutamente indipendente sotto il profilo economico da qualsiasi organismo avente interessi commerciali a promuovere un nuovo trattamento o una nuova apparecchiatura tecnica.

Capo V — Interruzione della gravidanza

Art. 46. L’interruzione della gravidanza è regolamentata con legge dello Stato. Ogni atto mirante all’interruzione della gravidanza, all’infuori dei casi previsti dalla legge, costituisce gravissima infrazione deontologica, specialmente se compiuto a scopo di lucro.

Art. 47. Il medico, che per le proprie convinzioni ritiene in ogni caso illecita l’interruzione di gravidanza, può rifiutarsi di praticarla, lasciando ad altro collega l’assistenza alla gestante.

Circa l’opportunità di procurare o meno l’interruzione della

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gravidanza, il medico non è tenuto ad esprimere giudizi su circostanze che esulano dalla necessità primaria della salute psicofisica della donna.

Capo VI — Obblighi verso i pazienti reclusi

Art. 48. Il medico che operi in istituti in cui il paziente sia soggetto a vincoli di legge, ospedali psichiatrici, case di pena o altro, ha l’obbligo di rispettare sempre l’interesse del malato, l’integrità della sua persona e le norme del codice deontologico. Il sanitario ha l’obbligo di impedire, nei limiti del possibile, o di denunciare ogni atto lesivo per la personalità e la salute fisica e psichica dei pazienti a lui affidati.

Art. 49. Il medico non deve in nessun caso dare il proprio consenso, compiere o partecipare ad atti di tortura o ad altre forme di trattamento crudele, disumano e degradante, quali che siano la colpa commessa, l’imputazione, le credenze della vittima, e ciò in qualsiasi circostanza ed in particolare in caso di guerra e di conflitto civile.

Art. 50. Ai fini del precedente articolo la tortura può essere definita come l’insieme delle sofferenze fisiche e psichiche inflitte deliberatamente e sistematicamente da una o più persone, per iniziativa propria o per ordine di un’autorità, al fine di estorcere delle informazioni, una confessione o la collaborazione della vittima.

Art. 51. Il medico deve rifiutarsi di mettere a disposizione locali, strumenti, sostanze o le proprie conoscenze scientifiche per facilitare l’impiego della tortura.

Deve altresì rifiutarsi di essere presente quando la vittima è minacciata o sottoposta alla tortura.

Art. 52. Quando un prigioniero rifiuta di nutrirsi, il medico, il quale giudichi che egli è in condizione di rendersi coscientemente conto delle conseguenze del proprio rifiuto, non deve assumere l’iniziativa né partecipare a manovre coattive di nutrizione artificiale. Il giudizio del medico circa la capacità del prigioniero di rendersi coscientemente conto delle conseguenze del rifiuto di nutrirsi deve essere confermato da un secondo medico.

I due medici devono inoltre illustrare al prigioniero le conseguenze

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che la decisione di non nutrirsi potrebbero avere per la sua salute.

Capo VII — Onorari professionali

Art. 53. In materia di onorari deve valere, nell’esercizio professionale privato, il principio generale della intesa diretta tra medico e malato. Se preventivamente richiesto, il medico è tenuto a far conoscere il suo onorario. L’onorario deve sempre essere ispirato ad equità, anche in caso di preventivo accordo. Gli onorari devono comunque rispettare le tariffe minime nazionali e quelle massime stabilite dagli Ordini e i criteri fissati per l’applicazione di quelle massime.

Art. 54. Fermo restando il divieto di richiedere onorari minori della tariffa minima stabilita, il medico è libero di prestare gratuitamente la sua opera, purché la forma ed i modi di tale comportamento non costituiscano artificio per un’illecita concorrenza.

Art. 55. Il medico può chiedere che le sue prestazioni siano compensate volta per volta. Nelle prestazioni di carattere continuativo può inviare la parcella periodicamente o al termine della cura.

Dopo un consulto il consulente può chiedere la liquidazione immediata del suo onorario.

Sono vietati i patti di compenso subordinato alla riuscita delle cure.

Art. 56. Il medico che si rechi, per chiamata, al domicilio del malato ha diritto all’onorario, anche se, per cause sopravvenute e da lui indipendenti, non presti alcuna assistenza.

Art. 57. La suddivisione degli onorari tra medico curante, consulenti e specialisti, o istituti, case di cura, laboratori, ecc. è illecita. Al medico curante che, a richiesta del paziente, assiste a un intervento è dovuto un onorario separato.

Il medico che si avvale dell’opera di altri collaboratori medici e non medici deve documentarne il costo separatamente dalla propria parcella nel richiedere il rimborso.

Art. 58. È vietato qualunque accordo che configuri procacciamento di clientela.

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Capo VIII — Pubblicità medica **

Art. 59. Nel rispetto delle disposizioni di legge a tutela del pubblico cui è destinata, la pubblicità deve essere contenuta entro i limiti del decoro professionale e ispirata a criteri di serietà scientifica e a fini esclusivi di tutela della salute; deve essere sempre preventivamente autorizzata dall’Ordine dei Medici.

Ogni messaggio pubblicitario deve contenere gli estremi dell’autorizzazione.

La Federazione degli Ordini disciplina, con apposito regolamento, i termini e i requisiti per le autorizzazioni.

Art. 60. I medici che svolgono attività pubblicistica continuativa od occasionale attraverso giornali, emittenti radiotelevisive, ovvero tengono conferenze a scopo di educazione sanitaria, di informazione e di divulgazione devono osservare le norme di discrezione, dignità e prudenza cònsone alla deontologia professionale; devono inoltre impegnarsi con il massimo scrupolo affinché da tale attività non derivi direttamente o indirettamente pubblicità per sé o per altri medici e per i presidi sanitari nei quali operano.

Art. 61. Gli eventuali articoli di stampa e gli interventi radio-televisivi direttamente o indirettamente laudatori, provocati, consentiti o non rettificati dal medico interessato, possono dar luogo all’apertura di procedimento disciplinare nei riguardi del medesimo, ove l'Ordine ne ravvisi il carattere pubblicitario.

TITOLO IV — RAPPORTI CON I COLLEGHI

Capo I — Solidarietà tra medici

Art. 62. I rapporti tra i medici devono essere improntati alla massima correttezza: il rispetto verso i medici anziani, la cui esperienza di vita e professionale deve rappresentare esempio

** Gli articoli 59-60-61, che disciplinano la pubblicità sanitaria, sono stati modificati con delibera del Comitato Centrale della FNOM in data 27.1.1984.

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e guida per i giovani, ispirerà i rapporti tra le generazioni dei medici.

Art. 63. Il contrasto delle opinioni non deve mai far venire meno i principi di una collegiale correttezza e della civile discussione.

Art. 64. I contrasti professionali debbono essere risolti con comprensione, lealtà e correttezza. In caso di mancato accordo la composizione deve essere affidata al Consiglio dell'Ordine.

Art. 65. Il medico sottoposto ad ingiusti attacchi deve poter contare sulla solidarietà dei colleghi.

Art. 66. Il medico deve assistere gratuitamente nelle malattie i colleghi e i familiari a carico, salvo il diritto all’equo rimborso delle spese.

Art. 67. Il medico invitato a prestare la sua opera al domicilio del malato deve accertare se questi non sia assistito da altro collega; in caso affermativo si limiterà alle prestazioni richieste da una eventuale urgenza, rilasciandone relazione scritta.

Se il paziente o i familiari insisteranno per ottenere ulteriori prestazioni, queste dovranno essere effettuate in collaborazione con il medico curante o con la sua autorizzazione.

Nel proprio ambulatorio il medico può ricevere qualunque ammalato ed esprimergli il proprio parere clinico; se viene consultato da un paziente all’insaputa del medico presso il quale è in cura, egli deve, salvo esplicita opposizione del malato, prendere contatto con il collega e renderlo edotto delle sue conclusioni.

Se il malato o la famiglia intendono affidare al nuovo medico la continuazione della cura, questi può accondiscendere solamente quando il malato o la famiglia stessa diano assicurazione di aver regolato, a tutti gli effetti, ogni precedente rapporto con il primo medico.

Art. 68. In ogni intervento presso un malato in cura ad altro medico, fatto salvo quanto previsto dall’articolo precedente, il sanitario, ove ritenga necessario il ricovero, deve richiedere l’intervento del curante: in caso d’urgenza deve dargli sollecita comunicazione dell’avvenuto ricovero. Qualora sia necessario rimuovere apparecchi, il medico curante deve essere preavvertito.

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Art. 69. Non è consentito sottrarre clientela ad altro collega, né comunque incrementare la propria attività professionale quando ciò configuri i termini di una illecita o deplorevole concorrenza.

Art. 70. Un medico non deve aprire uno studio professionale nello stesso immobile dove eserciti un collega della stessa disciplina senza prima avergliene data comunicazione.

È opportuno, per buona norma deontologica, che il medico che intenda iniziare la propria attività nel quartiere di una città o in un piccolo comune, prenda contatto con i colleghi ivi operanti, al fine di instaurare corretti rapporti collegiali.

Art. 71. Lo specialista chiamato per ragioni di sua specifica competenza può visitare il malato in assenza del medico curante. In tal caso dovrà informare quest’ultimo dei risultati della visita.

Qualora si rendano necessarie ulteriori prestazioni, soprattutto nel caso di interventi chirurgici non aventi carattere d’urgenza, lo specialista deve consultarsi con il medico curante.

Capo II — Consulenza

Art. 72. Il medico curante deve proporre il consulto con altro collega allorché le circostanze lo esigano nell’interesse del malato.

Art. 73. Qualora il medico sia richiesto dal paziente o dai suoi familiari, il medico ha il diritto di esprimere il proprio gradimento. In assenza di questo, ove il paziente o i familiari insistano per la persona del consulente indicato, il medico curante può astenersi dal partecipare al consulto, fornendo comunque al consulente una relazione scritta e tutta la documentazione relativa al caso.

Art. 74. Qualora il medico curante rifiuti di continuare l’assistenza, il consulente può subentrargli, dopo essersi accertato del rifiuto.

Art. 75. Il consulente designato prende con il medico curante gli opportuni accordi sui tempi e sui modi per la visita al paziente.

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Qualora eventuali contrattempi dovessero ritardarne o impedirne l’attuazione, essi devono essere risolti in spirito di completa collegialità.

I giudizi espressi in sede di consulenza devono ispirarsi a rigorosi criteri clinici, nel pieno rispetto della personalità sia del consulente che del curante.

Art. 76. Al medico curante spetta parimenti il giudizio su eventuali nuove indicazioni o complicanze della malattia e il loro relativo trattamento terapeutico.

Una divergenza di opinioni fra consulente e curante può indurre quest’ultimo a richiedere altro consulto, cui ha comunque diritto. Qualora la richiesta non sia accolta, il curante può rinunciare al suo incarico professionale.

Art. 77. Il medico curante che invia il suo paziente nell’ambulatorio dello specialista o consulente deve fornirlo di adeguata relazione clinica.

Lo specialista o consulente che visita il paziente in assenza del curante deve fornire relazione scritta e indirizzo terapeutico.

Art. 78. È affidato al medico curante il compito di seguire l’indirizzo terapeutico concordato con il consulente.

Art. 79. Il medico chiamato a visitare un infermo in qualità di consulente può rifiutare la sua prestazione, fatti salvi i casi di urgenza.

Art. 80. Nel corso della malattia, il consulente non deve ritornare, se non richiesto dal curante, a visitare l’infermo e si deve astenere da qualsiasi intromissione, anche indiretta, sulla cura del malato.

Art. 81. Il consulente che visita nel proprio ambulatorio il malato accompagnato dal medico curante o da questi presentato, non può assumere poi direttamente la cura; qualunque provvedimento terapeutico deve essere portato a conoscenza del medico curante.

Art. 82. I compensi per le visite effettuate dal curante in sede di consulenza sono regolati dalle tariffe previste dal D.P.R. 28 dicembre 1965, n. 1763.

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Capo III — Supplenza ed altri rapporti tra medici

Art. 83. Il medico che supplisce nell’assistenza della clientela un collega deve cessare la supplenza al ritorno di quest’ultimo, al quale è tenuto a fornire le informazioni cliniche relative ai malati assistiti.

Art. 84. Il medico che visita i propri congiunti in cura ad altro collega avrà premura di avvertire quest’ultimo, evitando comunque, in sua assenza, di esprimere apprezzamenti o riserve.

Art. 85. Il medico può visitare i propri pazienti ricoverati in reparti clinico-ospedalieri o in case di cura dopo il preventivo accordo con il sanitario responsabile del reparto o della casa di cura.

Art. 86. I giudizi clinici e le decisioni terapeutiche comunque presi durante la degenza in reparti clinico-ospedalieri ed in case di cura non devono essere pronunciati in modo tale da ledere la personalità del curante e la legittimità dei pareri espressi prima del ricovero.

La stessa condotta deve mantenere il medico che assume l’assistenza del malato dopo la sua dimissione.

Capo IV — Funzioni medico-legali

Art. 87. Il sanitario che in funzione medico-legale, o comunque di controllo, visita un malato, deve far conoscere al soggetto con quale qualifica e con quali funzioni egli lo sottopone a visita. In assenza del curante il medico di controllo non deve entrare nel merito delle diagnosi e della terapia, anche qualora venga richiesto; può, nell’interesse dell’infermo, prendere contatto direttamente con il medico curante. Quando ritenga necessario il ricovero, deve richiedere l’intervento del curante; in caso d’urgenza, deve dargli sollecita comunicazione dell’avvenuto ricovero. Qualora sia necessario rimuovere apparecchi, il medico curante deve essere preavvertito.

Capo V — Comunicazione al Consiglio dell'Ordine

Art. 88. Qualora il medico si trovi a constatare gravi ed inequivocabili casi di negligenza, imperizia o scorretta condotta

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professionale, astenendosi dal pronunciare apprezzamenti di sorta e fatto salvo ogni intervento immediato, nel solo ed esclusivo interesse del malato, deve darne comunicazione al Consiglio Direttivo dell’Ordine.

TITOLO V — RAPPORTI CON I TERZI

Capo I — Rapporti con le altre categorie sanitarie

Art. 89. Il medico, nell’esercizio della professione e nell’interesse dei pazienti, deve attenersi al principio del reciproco rispetto e della salvaguardia delle specifiche competenze nei confronti di tutte le altre categorie sanitarie e deve comunque segnalare all’Ordine dei Medici eventuali infrazioni.

Art. 90. Il medico non deve esercitare in ambulatori annessi a farmacie, né in ambienti inadatti al decoro professionale o che possano comportare accaparramento di clientela.

Art. 91. È vietata al medico qualsiasi forma di accordo o di rapporto con industrie farmaceutiche o produttrici di specialità dietetiche, cosmetiche e affini o con altre categorie, sanitarie o no, da cui possano comunque derivare illeciti vantaggi economici.

Capo II — Partecipazione ad attività economiche. Denuncia dell’abusivismo

Art. 92. Il medico non deve concedere il proprio nome a scopo di pubblicità, né deve partecipare ad imprese industriali, commerciali o di altra natura che possano limitare la sua indipendenza professionale.

Art. 93. È vietato al medico di favorire in qualsiasi modo chi esercita abusivamente un’attività sanitaria, ivi compresa l’ipnosi-terapia. È suo preciso dovere denunciare eventuali abusi all’Ordine professionale o all’Autorità competente.

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TITOLO VI — RAPPORTI CON GLI ENTI PUBBLICI E PRIVATI

Capo I — Obblighi deontologici del medico funzionano

Art. 94. Il medico che presta la propria opera a rapporto di impiego nell’ambito di strutture sanitarie pubbliche o private deve osservare le norme del Codice Deontologico. Qualora si verificasse un contrasto tra le norme deontologiche e quelle impartite dall’Ente pubblico o privato dal quale dipende, egli deve chiedere l’intervento dell’Ordine Provinciale dei Medici al cui Albo è iscritto, onde siano salvaguardati i diritti propri e delle persone assistite.

In attesa della composizione della vertenza egli deve assicurare il servizio che gli compete, salvo i casi di grave violazione dei diritti e dei valori umani delle persone a lui affidate e della dignità, libertà e indipendenza della sua prestazione professionale.

Art. 95. Il medico, al quale da parte di Ente pubblico o privato vengano imposte prestazioni professionali in contrasto con quanto stabilito dal Codice Deontologico o in contrasto con gli scopi della sua professione, è tenuto a rifiutare la propria opera.

Art. 96. Il medico funzionario che deve svolgere attività clinica di controllo nei confronti di pazienti o colleghi, deve assolvere a tali compiti nell’ambito delle sue precise competenze e dei suoi doveri d’ufficio, senza interferire in qualsiasi modo nel rapporto fra medico curante e paziente e rispettando, secondo le norme del Codice Deontologico, le decisioni diagnostico-terapeutiche dei colleghi curanti.

Art. 97. Il medico deve esigere che le sue prestazioni si compiano nei termini di tempo idonei ad espletare convenientemente il suo compito.

Il medico, d’altra parte, deve sottrarsi al cumulo degli incarichi e delle prestazioni, quando questo possa tornare di pregiudizio al malato, l’interesse del quale deve essere preminente.

Art. 98. Il medico che presta la propria opera professionale nell’ambito dell’assistenza sociale di malattia o dei servizi sanitari nazionali è tenuto all’osservanza del Codice Deontologico. Il rispetto degli obblighi deontologici e la tutela dell’autonomia,

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della libertà, della dignità e del decoro professionale, debbono infatti essere garantiti nelle convenzioni che disciplinano i rapporti tra i medici e tali servizi dall’intervento e dalla approvazione della Federazione Nazionale degli Ordini e dagli Ordini provinciali dei Medici.

Capo II — Comunicazione di notizie cliniche e dati medici a organismi pubblici e privati

Art. 99. Il medico può rivelare, ai medici fiduciari delle Compagnie di Assicurazione o ad altri medici che esercitano funzione di carattere medico-legale, le notizie cliniche in suo possesso solo quando ne sia richiesto dal cliente o abbia ottenuto per iscritto un valido consenso dallo stesso.

Art. 100. Non costituisce violazione del segreto professionale la trasmissione di dati medici per motivi inerenti l’organizzazione ed il controllo dei servizi assistenziali e sanitari, purché tale comunicazione avvenga nell’ambito dei servizi medesimi, secondo la prassi prevista nell’interesse del paziente, che ne richiede espressamente o ne autorizza implicitamente la trasmissione.

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CODICE FRANCESE DI DEONTOLOGIA *

Il Primo Ministro, vista la relazione del Ministro della Giustizia e del Ministro della Sanità e della Famiglia; visto il Codice della Sanità Pubblica, ed in particolare l’art. L. 366; visto il decreto n. 77-636 del 14 giugno 1977 emanato per l’applicazione ai medici della legge n. 66-879 del 29 novembre 1966 relativa alle società civili professionali; vista la delibera del Consiglio nazionale dell’Ordine dei medici in data 14 settembre 1978; consultato il Consiglio di Stato, decreta:

Art. 1. Le disposizioni del presente codice, ed in particolare quelle che richiamano le regole morali, sono obbligatorie per i medici iscritti all’albo dell’Ordine, per i medici che esercitano l’attività professionale nelle condizioni previste dall’art. 356-1 del Codice della Pubblica Sanità o da una convenzione internazionale, nonché per gli studenti di medicina che effettuano una sostituzione o che assistono un medico in uno dei casi previsti all’art. 65 del presente codice.

TITOLO I — DOVERI GENERALI DEI MEDICI

Art. 2. Il medico, a servizio dell’individuo e della sanità pubblica, esercita una missione nel rispetto della vita e della persona umana.

Art. 3. È dovere del medico prestare la propria opera, concordemente

* Il Codice, pubblicato nel JournOff. il 30.6.1979, sostituisce quello precedente del 1955. La traduzione è ripresa dalla Rivista Italiana di Medicina Legale, 1980/1.

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all’azione intrapresa dalle autorità competenti, per assicurare la protezione della salute.

Art. 4. Un medico che si trovi in presenza di un malato o di un ferito in pericolo, o che sia informato che un malato od un ferito sono in pericolo, deve portar loro assistenza o assicurarsi che essi ricevano le cure necessarie.

Art. 5. Il medico deve curare tutti i malati con la stessa diligenza e coscienza, quali che siano le loro condizioni, la loro nazionalità, la loro religione, la loro reputazione e/o i sentimenti che essi gli ispirano.

Art. 6. Il medico deve rispettare il diritto di ogni persona a scegliere liberamente il proprio medico e deve facilitargli l’esercizio di tale diritto.

Art. 7. La volontà del malato deve essere sempre rispettata in tutti i modi possibili. Quando il malato non è in condizioni di esprimere la propria volontà, devono essere avvertiti ed informati i parenti, salvo i casi di urgenza o di impossibilità.

Art. 8. Un medico, al quale si richieda di visitare una persona privata della libertà o di prestarle cure, non può, né direttamente né indirettamente e nemmeno con la sua sola presenza, favorire o avallare un attentato alla integrità fisica o morale dell’ammalato o alla sua dignità. Se il medico constata che questa persona ha subito sevizie o maltrattamenti deve, d’accordo con l’interessato, informarne l’autorità giudiziaria.

Art. 9. Il medico è libero di effettuare le prescrizioni che riterrà necessarie nelle singole discipline. In misura compatibile con l’efficacia delle cure, senza trascurare il proprio dovere di assistenza morale, il medico deve limitare le proprie prescrizioni e gli atti professionali a ciò che è necessario.

Art. 10. In nessun caso il medico può rinunciare alla propria indipendenza professionale.

Art. 11. Il segreto professionale, nell’interesse del malato e nei casi previsti dalla legge, è obbligatorio per tutti i medici.

Il segreto copre quanto è venuto a conoscenza del medico nell’esercizio della sua professione: non solo quanto gli è stato confidato, ma anche quanto egli ha visto, sentito o intuito.

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Art. 12. Il medico deve aver cura che le persone che lo assistono nel suo lavoro siano al corrente dei propri obblighi in materia di segreto professionale e che vi si conformino.

Art. 13. Il medico deve vigilare in modo da proteggere da ogni indiscrezione le proprie schede cliniche ed i documenti che, a suo giudizio, interessano i malati. Se egli si serve delle proprie osservazioni cliniche per pubblicazioni scientifiche, dovrà fare in modo che non sia possibile l’identificazione del malato.

Art. 14. Ogni medico è responsabile dei propri atti professionali. Un medico che usa uno pseudonimo per attività che sono in relazione alla professione, è tenuto a dichiararlo al Consiglio compartimentale dell’Ordine.

Art. 15. Il medico deve disporre, nel luogo in cui esercita professionalmente, di una installazione adeguata e di mezzi tecnici sufficienti. In nessun caso il medico deve esercitare la professione in condizioni che possono compromettere la qualità delle cure e degli atti medici.

Art. 16. I medici hanno il dovere di aggiornare e di perfezionare le loro conoscenze tecniche.

Art. 17. Ogni medico è abilitato a praticare tutti gli atti necessari per la diagnosi, la prevenzione e la terapia ma non deve, salvo circostanze eccezionali, intraprendere o continuare cure, né formulare prescrizioni, nei campi che esulano dalla sua competenza o dalle sue possibilità.

Art. 18. Il medico deve evitare di far correre al malato un rischio ingiustificato, nel corso delle sue ricerche, degli interventi praticati e delle terapie prescritte.

Art. 19. L’impiego sul malato di una nuova terapia non può essere preso in considerazione che dopo studi preliminari adeguati, sotto stretta sorveglianza e solo se questa terapia può avere un interesse diretto per la persona.

Art. 20. Il medico deve adoperarsi per alleviare le sofferenze del malato e non ha il diritto di provocarne deliberatamente la morte.

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solo nei casi e nelle condizioni previsti dalla legge ed è comunque sempre libero di rifiutarsi.

Art. 22. Nessuna mutilazione può essere praticata senza un valido motivo medico e, salvo urgenza o impossibilità, solo dopo averne informato gli interessati ed ottenuto il loro consenso.

Il prelievo di organi non può essere praticato che nei casi e nelle condizioni previsti dalla legge.

Art. 23. La medicina non deve essere praticata a scopo di lucro. Al medico è vietato ogni mezzo diretto od indiretto di pubblicità.

Sono ugualmente vietate le manifestazioni a fine speculativo aventi per oggetto la medicina e che non abbiano un fine esclusivamente scientifico od educativo.

Art. 24. Sono vietati:

― tutti gli atti che possono procurare al malato un vantaggio materiale ingiustificato o illecito;

― tutti i rimborsi in denaro o in natura fatti a un malato;

― tutte le intermediazioni;

― l’accettazione di una provvigione per un atto medico qualsiasi ed in particolare per esami, prescrizioni di medicinali e di apparecchi di protesi, invio in luoghi o case di cura.

Art. 25. Tranne i casi previsti dall’art. 73, è vietata ogni spartizione di onorari tra medici, ed in particolare tra medico curante e medico consulente, medico curante e chirurgo o specialista, sotto qualsiasi forma essa avvenga.

Art. 26. È vietata ogni cointeressenza tra medici e farmacisti, ausiliari sanitari ed ogni altra persona. È vietato al medico eseguire visite o consulti in locali commerciali ed in ogni locale dove siano messi in vendita farmaci, prodotti o apparecchi sanitari, come pure nelle adiacenze di detti locali.

Art. 27. È vietato al medico di esercitare un’altra professione che gli consenta di ricavare un profitto indiretto per le prescrizioni che effettua o per i consigli che egli dà come medico.

Art. 28. È vietato ai medici, salvo deroghe concesse nelle condizioni previste dalla legge, di distribuire, a fini di lucro, rimedi, apparecchi o un qualsiasi prodotto presentato come avente

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un qualche interesse per la salute. È del pari vietato porre in circolazione medicamenti non autorizzati.

Art. 29. È vietato ai medici che adempiono ad un mandato elettorale o ad una funzione amministrativa di farne uso per accrescere la propria clientela.

Art. 30. I medici non possono proporre ai malati o ai familiari di questi, come utile o non pericoloso, un rimedio od un procedimento illusorio o non sufficientemente provato. Ogni pratica di ciarlataneria è vietata.

Art. 31. Il medico non deve divulgare negli ambienti medici un procedimento nuovo di diagnosi o di terapia che non sia stato sufficientemente sperimentato e senza accompagnare la propria comunicazione con le dovute riserve.

Comunque, non deve assolutamente divulgarli presso il pubblico non medico.

Art. 32. Ai medici è vietato fornire qualsiasi agevolazione a coloro che esercitano illegalmente la medicina.

Art. 33. Ogni medico deve astenersi, anche prima di iniziare l’esercizio della professione, da qualsiasi atto che possa ledere la dignità professionale.

Un medico non può esercitare un’altra attività all’infuori di quelle il cui cumulo sia compatibile con la dignità professionale e che non sia esclusa dalle norme in vigore.

TITOLO II — DOVERI VERSO I MALATI

Art. 34. Dal momento in cui ha aderito ad una richiesta di prestazione, il medico si impegna ad assicurare personalmente al proprio malato cure coscienziose ed a fare ricorso, se è necessario, all’aiuto di terzi competenti.

Art. 35. Il medico non deve mai venir meno ad un comportamento corretto e attento nei riguardi dell’ammalato e ne deve rispettare la dignità.

Art. 36. Il medico deve sempre formulare la propria diagnosi

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con la massima cura, dedicandovi il tempo necessario, avvalendosi, in ogni modo possibile, dei metodi scientifici più adatti e, se necessario, avvalendosi di colleghi più preparati.

Art. 37. Il medico deve formulare le proprie prescrizioni con tutta la chiarezza necessaria,' deve accertarsi che queste siano chiaramente comprese dal malato e dai suoi familiari e deve fare in modo di ottenere la corretta esecuzione del trattamento terapeutico.

Art. 38. Il medico, chiamato a prestare le proprie cure in una famiglia o in una collettività, deve preoccuparsi di ottenere il rispetto delle norme di igiene e profilassi. Deve segnalare ai malati ed alle loro famiglie la loro responsabilità a questo riguardo, nei confronti di se stessi e del loro vicinato.

Art. 39. All’infuori dei casi urgenti e di quelli in cui mancherebbe ai suoi doveri umanitari e agli obblighi di assistenza, il medico ha sempre il diritto di rifiutare le proprie cure per ragioni professionali o personali.

Il medico può astenersi dalla propria prestazione, a condizione che ciò non possa nuocere al proprio malato e dopo essersi assicurato che questi sarà curato, fornendo allo scopo ogni chiarimento utile. Comunque, quali che siano le circostanze, al malato dovrà essere assicurata la continuità delle cure.

Art. 40. Il medico non può abbandonare i propri malati in caso di pericolo pubblico, salvo che per ordine formale impartito dalle autorità competenti ed in ottemperanza alle norme di legge.

Art. 41. È dovere di ogni medico, salvo esenzioni accordate dal Consiglio compartimentale, tenuto conto dell’età e dello stato di salute ed eventualmente della specializzazione, di partecipare ai servizi di guardia diurna e notturna.

Art. 42. Per ragioni legittime, che il medico valuterà in coscienza, una diagnosi o una prognosi gravi possono essere taciute al malato.

Una prognosi di morte non deve essere rivelata se non con la più grande cautela; in genere la famiglia deve essere avvertita salvo che il malato non abbia posto divieto o indicato i terzi ai quali la prognosi dovrà essere comunicata.

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Art. 43. Un medico, chiamato a prestare le proprie cure ad un minorenne o ad un maggiorenne incapace, deve avvertire i genitori od il rappresentante legale ed ottenerne il consenso. In caso urgente, o se queste persone non possono essere raggiunte, il medico deve prestare le cure necessarie.

Se l’incapace può esprimere un parere, il medico deve tenerne conto nella misura del possibile.

Art. 44. Il medico deve essere il difensore del bambino ammalato, se giudica che l’interesse della salute di questo non è ben compreso o rispettato dai familiari.

Art. 45. Se un medico ritiene che un minorenne, presso il quale sia stato chiamato, è vittima di sevizie o di privazioni, deve mettere in opera i mezzi più adeguati per proteggerlo, agendo con prudenza ma senza esitare, se necessario, ad avvertire le autorità competenti se si tratta di un minore di quindici anni.

Art. 46. Il medico non deve farsi coinvolgere nelle questioni economiche della famiglia dei suoi assistiti.

Art. 47. L’esercizio della medicina comporta normalmente la compilazione da parte del medico, e conformemente alle constatazioni tecniche che egli è in grado di effettuare, di certificati, attestati e documenti la cui presentazione è prescritta dai testi legislativi e dai regolamenti. Ogni certificato, attestato o documento rilasciato da un medico deve essere redatto in lingua francese, deve permettere l’identificazione del firmatario e deve portare la firma autografa del medico.

È consentito dare al malato una traduzione nella lingua di quest’ultimo.

Art. 48. Il medico deve adoperarsi in modo da facilitare al proprio malato l’ottenimento delle prestazioni sociali cui ha diritto, senza cedere ad alcuna richiesta abusiva.

Sono vietate le frodi, gli abusi di onorario, le indicazioni inesatte degli onorari percepiti e degli atti effettuati.

Art. 49. È vietato il rilascio di un rapporto tendenzioso o di un certificato di compiacenza.

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TITOLO III — RAPPORTI TRA MEDICI E CON GLI APPARTENENTI AD ALTRE PROFESSIONI SANITARIE

Art. 50. I medici sono tenuti alla reciproca solidarietà morale. Un medico che sia in dissenso con un collega deve cercare di riconciliarsi con lui, se occorre per mezzo del Presidente del Consiglio compartimentale che fungerà da intermediario. È vietato calunniare un collega o farsi portavoce di proposte che gli possano nuocere nell’esercizio della professione. È prova di buona colleganza il prendere la difesa di un collega ingiustamente calunniato.

Art. 51. È vietato sottrarre la clientela ad un altro medico e compiere tentativi in questo senso.

Art. 52. Il medico chiamato presso un malato che è curato da un collega deve rispettare le norme seguenti:

― se il malato intende rinunciare alle cure del primo medico, egli presta le cure richieste;

― se il malato ha semplicemente voluto chiedergli un parere ma non intende cambiare medico, proporrà un consulto in comune; se il malato rifiuta, egli dà il proprio consiglio ed eventualmente presta le cure urgenti necessarie e, d’accordo con il malato, ne informa il medico curante;

― se il malato ha chiamato, per l’assenza del proprio medico abituale, un altro medico, questi deve assicurare le cure durante l’assenza del primo, sospenderle al ritorno del collega e dare a quest’ultimo, d’accordo con l’ammalato, tutte le informazioni utili.

In caso di rifiuto da parte dell’ammalato, deve informarlo delle conseguenze che questo rifiuto può comportare.

Art. 53. Nel proprio ambulatorio il medico può ricevere ogni malato, abbia questi o meno il proprio medico curante.

Se viene consultato nel proprio ambulatorio da un malato venuto all’insaputa del proprio medico curante, il medico deve, d’accordo con il malato, tentare di mettersi in contatto con il collega per scambiare le informazioni e metterlo al corrente delle proprie osservazioni e conclusioni.

Art. 54. È vietato a tutti i medici abbassare gli onorari, in

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particolare nella pratica dei trattamenti a forfait, per fini di concorrenza. Essi sono liberi di prestare le proprie cure gratuitamente.

Art. 55. Il medico deve proporre un consulto con un collega ogni qualvolta le circostanze lo esigano e deve accettare un consulto richiesto da un malato o dai familiari di questi. Nei due casi, il medico proporrà il consulente che riterrà più qualificato ma dovrà tenere conto dei desideri del malato ed accettare, in linea di massima e salvo l’esistenza di motivi gravi, di incontrare in consulto ogni medico iscritto all’Albo dell’Ordine od autorizzato ad esercitare in virtù dell’art. L. 356-1 del Codice della Sanità Pubblica. Ha altresì l’obbligo di occuparsi delle modalità organizzative del consulto.

Se il medico ritiene di non poter fornire il proprio consenso alla scelta espressa dal malato o dai familiari, ha facoltà di ritirarsi senza dare spiegazioni del proprio rifiuto.

Alla fine di un consulto tra due o più medici, le conclusioni, redatte in comune, devono essere messe per iscritto e firmate dal medico curante e controfirmate dal consulente o dai consulenti. Quando l’esito del consulto non viene redatto per iscritto, si suppone che il medico curante condivida pienamente il punto di vista del medico consulente.

Art. 56. Quando, nel corso di un consulto tra medici, l’opinione del medico consulente e del medico curante differiscono completamente, il malato deve esserne informato. Il medico curante è libero di sospendere le proprie cure se l’opinione del consulente è accolta dal malato o dalla famiglia di questo.

Art. 57. Un medico che sia stato chiamato a consulto non deve, di propria iniziativa, ritornare presso il malato, in assenza del medico curante o senza la sua approvazione, nel corso della malattia che ha dato luogo al consulto.

Art. 58. Un medico chiamato a consulto o che abbia ricevuto un malato inviato per un consulto da un collega, non deve, salvo che il paziente esprima parere contrario, continuare le cure richieste dallo stato del paziente se queste cure sono di competenza del medico curante.

Art. 59. Quando più medici collaborano nell’esame o nel trattamento

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di uno stesso malato, ognuno di essi assume le proprie responsabilità personali relative alle pratiche eseguite individualmente.

Ci si regola così, ad esempio, nell’équipe formata dal chirurgo, gli anestesisti e altri collaboratori da lui scelti.

Il o i collaboratori scelti dal chirurgo lavorano sotto il controllo di quest’ultimo; i loro onorari possono essere inclusi nelle parcelle presentate dal chirurgo, in particolare per l’applicazione delle norme di assistenza malattie.

Art. 60. Un medico non può farsi sostituire nell’esercizio della propria professione se non temporaneamente e solo da un collega iscritto all’Albo dell’Ordine o da uno studente che risponda ai requisiti previsti dall’art. L. 359 del Codice della Sanità Pubblica.

Il medico che si fa sostituire deve informare senza ritardo il Consiglio dell’Ordine da cui dipende, indicando il nome e la qualifica del sostituto e la data e la durata della sostituzione.

Art. 61. Concluso il proprio compito e dopo aver assicurato la continuità delle cure, il sostituto deve ritirarsi abbandonando tutte le prestazioni temporaneamente e provvisoriamente da lui svolte.

Art. 62. Nell’interesse dei malati, i medici hanno il dovere di mantenere buoni rapporti con gli appartenenti alle altre professioni sanitarie rispettandone l’autonomia professionale.

TITOLO IV — NORME SPECIALI RIGUARDANTI ALCUNI TIPI DI ESERCIZIO PROFESSIONALE

Esercizio professionale con clientela privata

Art. 63. Un medico non deve avere, in linea di principio, più di uno studio od ambulatorio. La costituzione o la conduzione di uno studio od ambulatorio secondario, sotto qualsiasi forma, non sono consentite senza l’autorizzazione del Consiglio compartimentale.

Questa autorizzazione non può essere rifiutata dal Consiglio

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compartimentale o dai Consigli compartimentali interessati se in una determinata sede la mancanza di un medico con la stessa specializzazione del medico residente è pregiudizievole per gli ammalati.

L’autorizzazione è fornita a titolo personale e non è cedibile. Limitata a tre anni, e rinnovabile previa presentazione di una nuova domanda, essa può essere revocata in qualsiasi momento. Essa viene ritirata quando l’insediamento nel luogo di un medico della stessa specialità è tale da soddisfare le necessità dei malati.

In nessun caso, un medico può avere più di uno studio od ambulatorio secondario.

Le disposizioni del presente articolo non sono di ostacolo all’applicazione, da parte delle società civili professionali di medici e dei loro membri, dell’art. 50 del decreto n. 77-636 del 14 giugno 1977.

Art. 64. È proibito l’esercizio della medicina senza un recapito fisso.

Art. 65. È proibito ad un medico assumere alle proprie dipendenze, nell’esercizio della professione, un altro medico o uno studente in medicina. Tuttavia un medico può essere coadiuvato in circostanze eccezionali quale ad esempio una notevole densità di popolazione.

In questa eventualità, se l’assistente è un laureato in medicina, l’autorizzazione sarà oggetto di una decisione specifica del Consiglio compartimentale dell’Ordine; se si tratta di uno studente in medicina l’autorizzazione verrà fornita dal prefetto, nelle condizioni previste dalla legge.

Le condizioni del presente articolo non sono di ostacolo al compimento di periodi di formazione professionale per studenti in medicina presso medici in attività.

Art. 66. È vietato ai medici far gestire da un collega il proprio studio od ambulatorio.

Art. 67. Le sole indicazioni che un medico è autorizzato a citare sui ricettari o nell’annuario professionale sono:

1) nome, cognome ed indirizzo, numero di telefono, orario di consultazione;

2) se il medico esercita in società, il nome dei medici associati;

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3) la propria posizione amministrativa nei riguardi degli enti di assistenza di malattia;

4) la qualifica che gli è stata riconosciuta alle condizioni stabilite dall’Ordine nazionale dei medici con l’approvazione del Ministro della sanità;

5) i titoli e le qualifiche riconosciute dal Consiglio nazionale dell’Ordine;

6) i titoli onorifici riconosciuti dalla Repubblica francese.

Le decisioni per l’applicazione del punto 5) possono essere demandate al Ministro della Sanità.

Art. 68. Le uniche indicazioni che un medico è autorizzato a far figurare sulla targa del proprio studio od ambulatorio sono il nome, cognome, posizione amministrativa nei riguardi degli enti di assistenza di malattia, titoli e qualifiche riconosciuti in conformità all’articolo precedente, giorni e ore delle consultazioni.

Queste indicazioni devono essere presentate con discrezione ed in conformità agli usi consentiti dalla professione.

Quando il medico non è in possesso del diploma francese di dottore in medicina, è tenuto, in tutti quei casi in cui egli voglia avvalersi del proprio titolo e della propria qualifica di medico, a far figurare il luogo e l’istituto universitario dove ha ottenuto la qualifica, nonché il titolo o il certificato che gli permettono di esercitare la professione.

Art. 69. Un medico non può installarsi nell’immobile ove esercita un collega della stessa specialità, senza previo accordo con quest’ultimo o senza l’autorizzazione del Consiglio compartimentale. Questa autorizzazione può essere rifiutata solo nell’interesse degli ammalati o se possono sorgere equivoci nel pubblico.

Art. 70. Gli onorari del medico devono essere determinati con tatto e misura, tenendo conto della regolamentazione in vigore, della natura delle cure prestate e di circostanze particolari.

Il versamento degli onorari sarà effettuato sia dal malato, sia da una amministrazione o da un ente a ciò abilitati.

Un medico non ha il diritto di rifiutare spiegazioni riguardanti la nota degli onorari o il costo di un trattamento terapeutico e non può imporre ai malati condizioni particolari di pagamento.

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Il pagamento forfettario basato sulla efficacia di un trattamento è proibito in qualsiasi modo o circostanza.

Quando più esperti collaborano ad un esame o ad una terapia, le loro note di onorari devono essere personali e distinte.

Art. 71. Ogni associazione o società di medici deve essere costituita con un contratto scritto che rispetti l’autonomia professionale di ciascuno di essi.

I contratti devono essere comunicati, conformemente all’art. L. 462 e seguenti del Codice della Sanità Pubblica, al Consiglio compartimentale dell’Ordine che verificherà la loro conformità ai principi del presente Codice, come pure, ove se ne ravvisi il caso, alle clausole fondamentali dei «contratti tipo» stabiliti dal Consiglio nazionale.

Ogni convenzione o contratto di società che abbia per oggetto un accordo professionale tra uno o più medici da una parte e uno o più membri di altre professioni sanitarie dall’altra, deve essere comunicato al Consiglio compartimentale dell’Ordine dei medici. Questo organismo lo trasmette con il proprio parere al Consiglio nazionale che decide se il contratto è compatibile con le leggi in vigore, con il Codice di deontologia ed, in particolare, con l’autonomia professionale dei medici.

I progetti di convenzione o di contratto predisposti ai fini dell’applicazione del presente articolo possono essere comunicati al Consiglio compartimentale dell’Ordine che deve far conoscere le proprie osservazioni in merito entro il termine di un mese.

Il medico deve firmare e spedire al Consiglio compartimentale una dichiarazione, con la quale afferma sul proprio onore che non ha apportato alcuna modifica al contratto presentato all’esame del Consiglio.

Art. 72. Negli studi o ambulatori gestiti in gruppo da più professionisti associati, quale che sia il loro assetto giuridico, l’esercizio della medicina deve restare personale ed ogni professionista salvaguarderà la propria autonomia professionale.

Deve essere rispettata la libera scelta del medico da parte dell’ammalato.

Senza pregiudizio per le disposizioni particolari riguardanti le società civili professionali, quando più medici esercitano in luoghi diversi, ognuno di essi deve, tranne che per i casi urgenti

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e per le guardie, essere disponibile per le visite solamente nel proprio studio.

Ogni documento, ordinanza, certificato, ecc., deve portare il nome del professionista da cui è stato redatto, ed essere firmato dallo stesso.

Art. 73. Nelle associazioni di medici e negli studi gestiti in gruppo, gli onorari possono essere accomunati solo quando tutti i medici associati praticano la medicina generale o sono tutti specialisti della stessa disciplina o esercitano essendosi costituiti in società civile professionale.

Art. 74. Un medico il quale, durante i propri studi o dopo, ha sostituito uno dei propri colleghi per un periodo superiore a tre mesi, non può, per un periodo di due anni, installarsi in uno studio o ambulatorio che possa entrare in concorrenza diretta con il medico che ha sostituito ed, eventualmente, con i medici che esercitano in società con quest’ultimo, a meno che non vi sia fra gli interessati un accordo che dovrà essere notificato al Consiglio compartimentale.

Se quest’accordo non può essere raggiunto, il caso può essere sottoposto al Consiglio compartimentale che deciderà in merito.

Esercizio della medicina da parte di medici dipendenti

Art. 75. Il fatto che un medico dipenda, nell’esercizio della professione, per contratto o per statuto, da una amministrazione o da una collettività o da qualsiasi altro ente pubblico o privato, non sottrae nulla ai suoi doveri professionali ed in particolare agli obblighi relativi al segreto professionale ed all’indipendenza delle proprie decisioni.

In nessuna circostanza il medico può accettare limitazioni alla propria autonomia professionale, imposte dall’ente o dall’organismo che l’ha assunto. Egli deve sempre agire nell’interesse della salute delle persone che esamina e nell’interesse della loro sicurezza in seno agli enti o collettività di cui è responsabile.

Art. 76. La remunerazione di un medico può essere fissata forfettariamente, sia a mese sia a «presenza», se la natura delle funzioni esercitate o il carattere della collettività in cui il medico

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esercita, lo giustificano, oppure, in circostanze particolari quali la medicina di gruppo di taluni centri specializzati, sotto il controllo del Consiglio compartimentale dell’Ordine. Analogamente si procede, ad esempio, negli stabilimenti di cura che non abbiano fine di lucro, o nella medicina preventiva.

Il medico non può accettare una remunerazione basata su norme di produttività o di rendimento orario che costituirebbero una limitazione o la perdita della sua autonomia professionale.

Il Consiglio dell’Ordine controlla che le disposizioni del contratto rispettino i principi previsti dalla legge e dal presente codice.

Art. 77. L’esercizio abituale ed in qualsiasi forma della medicina in seno ad una collettività, un ente od una istituzione regolata da norme di diritto privato, deve, in ogni caso, essere oggetto di un contratto scritto.

Le bozze di contratto possono essere comunicate al Consiglio compartimentale che deve far conoscere le proprie osservazioni in merito entro un mese dalla presentazione.

Ogni convenzione o rinnovo di convenzione con uno degli organismi previsti nel primo paragrafo, in funzione dell’esercizio della medicina, deve essere comunicato al Consiglio compartimentale interessato. Questo verificherà la conformità alle norme del presente codice e, quando è il caso, alle clausole dei contratti-tipo stabiliti sia per accordo tra il Consiglio nazionale e le collettività od istituzioni interessate, sia conformemente alle disposizioni legislative o di regolamento.

Il medico deve firmare e consegnare al Consiglio compartimentale ima dichiarazione in cui afferma, sul proprio onore, che non ha apportato alcuna modifica al contratto sottoposto all’esame del Consiglio.

Le disposizioni del presente articolo non possono essere applicate ai medici che siano impiegati dell’amministrazione pubblica.

Art. 78. I medici sono tenuti a comunicare al Consiglio nazionale dell’Ordine, attraverso il Consiglio compartimentale, i contratti stipulati tra essi ed una amministrazione pubblica o una collettività amministrativa. Le osservazioni che il Consiglio nazionale dovrà formulare saranno da questo indirizzate al ministro da cui dipende l’amministrazione interessata.

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Art. 79. I medici, che esercitano in una struttura pubblica o privata di cura o di prevenzione, non possono approfittare delle proprie funzioni per accrescere la propria clientela personale.

Esercizio della medicina di controllo

Art. 80. Un medico incaricato di una funzione di controllo deve far presente alle persone da esaminare che egli agisce solamente in qualità di medico di controllo, deve essere molto prudente nelle sue proposte, astenersi da rivelazioni o interpretazioni ed essere assolutamente obbiettivo nelle proprie conclusioni.

Art. 81. Il medico incaricato di una funzione di controllo è tenuto al segreto nei confronti dell’amministrazione o dell’ente che lo ha incaricato ed al quale deve fornire solo le proprie conclusioni sul piano amministrativo senza indicare le ragioni di ordine medico che le motivano.

Le osservazioni di carattere medico contenute nei rapporti redatti dal medico di controllo non possono essere comunicate a persone estranee al servizio medico né ad altra amministrazione.

Art. 82. Il medico incaricato del controllo non deve occuparsi della terapia. Se, in occasione di una visita di controllo, non è d’accordo con il medico curante sulla diagnosi o sulla prognosi o se ritiene che un elemento importante ed utile alla condotta terapeutica sia sfuggito al proprio collega, dovrà segnalarlo personalmente a questo. Se in caso di difficoltà su questo punto, può far presente la questione al Presidente del Consiglio compartimentale dell’Ordine.

Art. 83. Nessun medico può essere, se non in caso di urgenza, medico curante ed al tempo stesso medico di controllo di uno stesso malato.

Questo divieto si estende ai membri conviventi della famiglia del malato e, se il medico opera presso una collettività, ai membri di questa.

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Esercizio della medicina legale

Art. 84. Il medico in veste di perito deve, prima di intraprendere qualsiasi atto peritale, informare del proprio compito la persona da esaminare.

Art. 85. Il medico non può essere al tempo stesso medico curante e medico perito per uno stesso malato.

In caso di perizia giudiziaria e negli altri casi, salvo accordo delle parti, un medico non può accettare un incarico peritale in cui siano coinvolti gli interessi di uno dei suoi clienti, di uno dei suoi amici, di uno dei suoi parenti, di un gruppo che si avvale della sua opera. Ciò vale anche quando sono coinvolti suoi interessi personali.

Art. 86. All’atto dell’assunzione dell’incarico, il medico in veste di perito o il medico investito di funzioni di controllo devono rifiutarsi, se ritengono che i quesiti posti esulino dalla preparazione propriamente medica.

Nella sua relazione, il medico perito deve rivelare solo gli elementi necessari per la soluzione della questione per la quale è stato nominato. Al di fuori di tali limiti, il medico perito deve tacere su quanto ha appreso durante il proprio incarico.

TITOLO V — DISPOSIZIONI DIVERSE

Art. 87. Nel caso che siano interrogati in procedimenti disciplinari, i medici sono tenuti, in misura compatibile con il segreto professionale, a rivelare i fatti venuti a loro conoscenza che siano utili al procedimento istruito.

Art. 88. Ogni dichiarazione volontariamente inesatta, fatta da un medico al Consiglio dell’Ordine, può dar luogo ad un procedimento disciplinare.

Art. 89. Ogni medico, al momento della propria iscrizione all’Albo deve affermare davanti al Consiglio compartimentale dell’Ordine, che è a conoscenza del presente codice ed impegnarsi a voce e per iscritto a rispettarlo.

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Art. 90. Il medico che abbandona l’esercizio professionale deve avvisare il Consiglio dipartimentale che prende atto della decisione e ne informa il Consiglio nazionale.

Art. 91. Tutte le decisioni prese dall’Ordine dei medici in ottemperanza al presente codice devono essere motivate.

Le decisioni prese dai Consigli compartimentali possono essere modificate o annullate dal Consiglio nazionale, sia d’ufficio, sia su richiesta dell’interessato; la richiesta deve essere presentata entro il termine di due mesi dalla notifica della decisione.

Art. 92. Il decreto n. 55-1951 del 28 novembre 1955, e modificato dal decreto n. 77-638 del 21 giugno 1977, è abrogato.

Art. 93. Il Ministro della Giustizia ed il Ministro della Sanità e della famiglia sono incaricati, ciascuno per la parte che lo riguarda, dell’esecuzione del presente decreto, che verrà pubblicato sul Bollettino Ufficiale della Repubblica Francese.

Redatto a Parigi, il 28 giugno 1979.

Firmato, per il Primo Ministro Raymond Barre: il Ministro della Sanità e della Famiglia, Simone Veil; il Ministro della Giustizia, Alain Peyrefitte.

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CODICE ISLAMICO DI ETICA MEDICA *

1. La definizione della professione del medico — Quella del «terapeuta» è una professione nobile. Dio l’ha onorata facendo compiere miracoli di guarigione a Gesù, figlio di Maria. Abramo, nell’enumerare i doni che Dio offriva, disse: «E se io mi ammalo, Lui mi cura».

Anche la scienza medica, come tutti i campi del sapere, fa parte della sapienza di Dio «che ha insegnato all’uomo ciò che l’uomo non ha mai saputo». Lo studio della medicina porta alla scoperta della mano di Dio nel mondo da Lui creato... «e, naturalmente, in Voi stessi». L’esercizio della professione medica rappresenta la pietà di Dio nei confronti dei suoi sudditi. L’essere medico, quindi, è anzitutto un atto di bontà e di carità, e poi un modo per guadagnarsi da vivere.

Ma tutti possono godere della misericordia di Dio: i buoni ed i cattivi, i virtuosi ed i viziosi, gli amici ed i nemici, proprio come tutti godono dei raggi del sole, del sollievo che dà la brezza, della freschezza dell’acqua e dell’abbondanza delle messi. E la professione del medico deve essere esercitata proprio seguendo questi principi, percorrendo il sentiero della misericordia divina che non è mai avversa all’uomo, né punitiva; il medico

* Nel gennaio 1981 si è tenuta nel Kuwait la Conferenza Internazionale sulla medicina islamica che, oltre ai temi relativi allo sviluppo delle ricerche scientifiche in campo medico, ha dedicato ampio studio ai problemi di etica medica. Al termine dei lavori è stata approvata la «Dichiarazione del Kuwait» che pone precise norme di carattere etico nell’esercizio della medicina da parte di tutti i medici del mondo islamico. In questa «Dichiarazione», al di là degli specifici riferimenti legati alla religione islamica, si ritrovano affermati in tutto il loro valore quei principi a cui, in ogni tempo, si è sempre uniformato l’esercizio professionale del medico. L’Istituto Italiano di Medicina Sociale (Roma) ha preso l’iniziativa di curare la traduzione di detta Dichiarazione, rilevandone il testo dalla rivista «Medical Times», del luglio 1981. La traduzione è qui riportata per gentile concessione del prof. Lorio Reale, direttore dello stesso Istituto.

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non dovrà mai considerare come proprio scopo soltanto la giustizia, bensì la misericordia, in qualsiasi momento ed in qualsiasi circostanza.

In questo senso, quella del medico è una professione unica al mondo. Il medico non dovrà mai cedere alle pressioni sociali motivate da antagonismi e da ostilità, siano esse di carattere personale, politico o militare. Gli statisti saggi si adopereranno a garantire l’integrità della professione medica e a proteggere la sua posizione al di là di qualsiasi tipo di pregiudizio e di antagonismo.

Il fatto di potersi avvalere dei servizi di un medico rappresenta un sacro dovere che incombe sulla comunità, «Fardh Kifaja»; tale dovere viene soddisfatto, per conto della comunità, da alcuni cittadini che intraprendono lo studio della medicina. Lo stato ha il dovere di affidare la soluzione dei problemi della nazione a medici specializzati nei diversi settori, secondo le diverse esigenze. Per la religione islamica questo è un obbligo che chi governa deve assolvere in nome della nazione.

Se non fosse possibile trovare sul luogo medici esperti, sarà necessario richiamarli da altri paesi. Lo stato ha il dovere di provvedere a tale necessità.

Lo stato deve inoltre selezionare, fra i giovani della nazione, delle persone, dotate di requisiti particolari, da avviare alla professione medica. Da ciò deriva dunque la necessità di fondare importanti scuole, università, cliniche, ospedali ed istituzioni dotate di attrezzature e personale adeguato, tali da rispondere all’obiettivo prefisso.

La «medicina» è una esigenza sacra della società. Per la religione, qualunque cosa sia necessaria a soddisfare tale «esigenza», diventa automaticamente un «dovere». Sarà dunque necessario fare alcune eccezioni a certi principi generali del diritto, per rendere possibile un’adeguata formazione del medico. Sarà possibile, per esempio, fare un attento esame del corpo umano, su persone vive o morte, senza che in alcun modo venga compromesso il rispetto che si addice al corpo, in vita ed in morte, e sempre in un clima di reverenza e nella consapevolezza della presenza di Dio.

Il principio di conservazione della vita implica anche il massimo rispetto della dignità dell’uomo, dei suoi sentimenti, della sua sensibilità, dei suoi pensieri e delle sue più intime parti del

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corpo. Il medico che visita un malato deve prestargli la massima attenzione, deve preoccuparsi per lui e deve farlo sentire al sicuro e a proprio agio. Il medico gode del privilegio di essere esonerato da alcune norme di carattere generale, ma a tale esenzione corrispondono soltanto maggiori responsabilità e maggiori oneri che egli dovrà assumersi nella piena consapevolezza di ciò che questi comportano e nella perfetta osservanza delle leggi divine, il che vuol dire che... «bisogna adorare il Signore come se Egli fosse presente... ed anche se voi non Lo vedete, Lui vi vede».

«Al-Ghazali considerava la professione del medico come “Fardh Kifaja”, un obbligo verso la società, che alcuni dei suoi membri devono necessariamente assumersi. Questo è un principio ovvio, poiché la necessità di tutelare la salute della comunità è una esigenza primaria e non secondaria.

Se la salute di un uomo viene gravemente compromessa, egli non troverà quasi più nulla di bello nella vita. Per guarire una persona malata è possibile visitarla nelle parti del corpo più intime e nascoste; ciò deriva da una legge della giurisprudenza secondo la quale “per necessità si possono superare alcuni divieti”... e corrisponde al principio contenuto nel Corano per cui si può essere “costretti a fare qualcosa ma senza cattiva intenzione”. Sin dagli esordi della religione islamica, alcuni gruppi di “infermiere” si univano all’esercito del Profeta che andava a combattere, e si occupavano delle vittime e dei feriti, curandoli in qualsiasi parte del corpo essi fossero stati colpiti. Ciò non dava luogo ad alcuna discussione, né vi erano divergenze di opinione in proposito.

La possibilità di ricorrere a medici esperti non musulmani per la cura di malati islamici dovrà essere presa in considerazione soltanto dopo aver valutato le condizioni del paziente, e dopo aver accertato la superiorità del medico straniero. Sin dall’inizio, lo stato musulmano ricorreva a medici cristiani provenienti da Jundishapur e li ricompensava con molta generosità. A questo proposito è opportuno ricordare che durante l’Egira il Profeta ebbe come guida Abdullah Ibn Uraikit, che non era un musulmano, ma che era stato prescelto per la sua onestà e per la buona conoscenza della strada».

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2. I caratteri distintivi della personalità del medico — Il medico deve appartenere a quel gruppo di persone che credono in Dio, che osservano le sue leggi, che sono consapevoli della sua grandezza, che obbediscono ai suoi ordini, che non infrangono i suoi divieti e che lo venerano in pubblico ed in privato.

Il medico deve essere una persona saggia e capace di dare consigli con tatto. Deve incoraggiare, non deprimere, deve essere sorridente, non accigliato, deve essere disposto all’amore, non all’odio, deve essere tollerante, non nervoso. Non deve mai cedere al rancore, né deve essere mai privo di clemenza. Deve essere uno strumento della misericordia di Dio, e non della giustizia di Dio; deve perdonare e non punire, deve dare protezione e non abbandonare chi di lui ha bisogno.

Deve essere calmo al punto di non inquietarsi mai, neppure quando ha ragione... deve moderare la voce affinché non sia mai troppo forte, né rumorosa... deve essere pulito ed ordinato e non trasandato e sciatto... deve dare fiducia ed ispirare rispetto... deve avere buone maniere con i poveri e con i ricchi, con i semplici e con i potenti... deve sapersi controllare perfettamente... e non deve mai compromettere la sua dignità pur rimanendo calmo ed indulgente.

Il medico deve essere pienamente consapevole che la «vita» appartiene a Dio... che soltanto lui la può dare, come soltanto lui la può togliere... e che la «morte» è la conclusione di una vita e l’inizio di un’altra. La morte è una realtà... ed è la fine di tutto, ma non di Dio. Il medico, nell’esercizio della sua professione, è un soldato per la «vita», che la difende e la conserva nel migliore dei modi, impegnandosi per ciò con tutta la sua abilità.

Il medico deve essere il primo a dare il buon esempio, avendo cura della propria salute. Non sarebbe opportuno che egli non osservasse gli «obblighi» ed i «divieti» che invece impone ai suoi pazienti. Il medico deve essere pronto ad accettare il progresso della scienza, poiché soltanto dando prova della sua convinzione riuscirà a farsi ascoltare dai suoi pazienti... Nel Corano Dio si rivolge a noi dicendo: «E non distruggerti con le tue stesse mani»... Dice il Profeta: «Tu hai un dovere verso il tuo corpo»... e anche la famosa massima afferma: «L’Islamismo non ammette nessun male, né che venga fatto del male».

Il medico deve essere sempre sincero ogni volta che parla,

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scrive o dà testimonianza. Non deve lasciarsi vincere dai dettami dell’interesse, delle ideologie, dell’amicizia o dell’autorità, che lo spingono ad affermare o a testimoniare qualcosa che lui sa essere falsa. Nella religione islamica, la testimonianza rappresenta per il medico una grande responsabilità. Un giorno il Profeta chiese ai suoi compagni: «Volete che vi dica quali sono i peccati più gravi?». Alla loro risposta affermativa egli rispose: «Pretendere di essere pari a Dio, essere irrispettosi verso i propri genitori... », e, dopo una breve pausa, ripeté più volte: «Ed in realtà uno dei peccati più gravi è quello di mettere in giro voci false e dare falsa testimonianza».

Il medico deve conoscere i principi generali della giurisprudenza, i riti del culto e le leggi fondamentali del Fiqh, in modo tale da poter consigliare i pazienti che, affidando a lui la propria salute e la cura del corpo, vogliono anche sapere quali regole di culto devono osservare. Gli uomini e le donne che sentono determinati sintomi o disturbi, o che passano attraverso particolari condizioni fisiologiche, come la gravidanza, vorranno sapere dal medico quali regole religiose devono osservare in quel periodo: quali preghiere devono dire, se devono digiunare, fare pellegrinaggi, programmare il numero dei figli ecc.

Sebbene «per necessità si possano superare alcuni divieti», ciononostante, il medico musulmano dovrà cercare in tutti i modi di evitare il ricorso a medicine o terapie — siano esse chirurgiche, mediche o comportamentali — vietate dalla religione islamica.

Il medico agisce come un catalizzatore mediante il quale Dio, il Creatore, si adopera a conservare la vita e la salute. È semplicemente uno strumento che Dio usa per alleviare le sofferenze degli uomini. Concepito in tal modo, il medico deve essere sempre riconoscente al Signore e deve sempre cercare l’aiuto di Dio. Deve essere umile, privo di arroganza e di orgoglio... non deve mai vantarsi o cercare di autoglorificarsi mediante discorsi, scritti o pubblicità diretta o indiretta.

Il medico deve cercare in tutti i modi di tenersi sempre al corrente dei progressi scientifici e di tutte le novità. La sua scrupolosità o autocompiacenza, la sua preparazione o la sua intolleranza influiscono direttamente sulla salute e sul benessere dei suoi pazienti. La responsabilità che egli ha nei confronti degli altri uomini limita la sua libertà di godere liberamente del proprio

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tempo. Così come i poveri ed i bisognosi acquisiscono un diritto sul denaro dei ricchi, nello stesso modo il medico deve dedicare una parte del suo tempo allo studio della medicina e deve tenersi aggiornato sui progressi della scienza.

Il medico deve anche sapere che l’impegno nello studio ha un duplice valore per l’Islam. Oltre alla diretta applicazione delle nuove nozioni acquisite sul malato, la ricerca della conoscenza è in se stessa una cosa sacra. Secondo l’insegnamento del Corano, infatti: «E ti chiedo... mio Signore... aiutami a conoscere e ad imparare»... e: «Fra i suoi fedeli... quelli che più sanno, più lo temono»... ed ancora: «Iddio innalzerà i ranghi di coloro che credono e di coloro che hanno voluto imparare».

3. Il rapporto fra colleghi — Per il medico, i suoi colleghi sono come dei fratelli... e dei compagni che dividono con lui la missione più nobile del mondo, la quale risponde direttamente al comandamento di Dio nel Corano: «E aiutatevi l’un l’altro nell’amore e nella carità, ma non aiutatevi nel peccato e nel rancore».

La classe medica è globalmente responsabile della salute della nazione... e tutti i medici, con le loro diverse specializzazioni, devono collaborare tra loro sia nella prevenzione che nella cura delle malattie, nella terapia, nel settore pubblico e in quello privato... e sempre nel pieno rispetto delle regole e della morale proprie della loro professione.

I medici, come entità professionale della nazione, sono collettivamente responsabili di tutte quelle azioni (preparazione di progetti, applicazione di regolamenti, sviluppo delle tradizioni ecc.) che si rendano necessarie per poter compiere il proprio dovere nel migliore dei modi, sia singolarmente, che in gruppo.

Il medico deve portare rispetto a tutti i colleghi appartenenti alla sua stessa associazione, siano essi presenti o assenti. Deve offrire loro il suo consiglio e/o il suo aiuto ogni qual volta gli venga richiesto. Il medico non deve «distruggere» i propri colleghi parlandone male alle spalle... né deve cercare di trovare in loro dei difetti, né deve macchiare la loro reputazione, o rendere pubbliche le loro manchevolezze. Non dovrà mai danneggiare in alcun modo un suo fratello. Questo tuttavia non significa che il medico è esentato dal dover dire tutta la verità quando è testimone in giudizio, o quando con la sua parola possa

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prevenire un crimine: per ciò deve attenersi completamente a quanto stabilito dalla legge.

Il rapporto fra colleghi deve essere quello di collaborazione e non di concorrenza... ed i medici si dovranno aiutare l’un l’altro nel massimo della buona fede e nell’interesse della salute del paziente.

Se un malato viene curato da più di un dottore, le informazioni mediche del caso non devono essere tenute nascoste agli altri colleghi.

Dette informazioni devono essere trasmesse in modo assolutamente chiaro e non ambiguo... sia oralmente che per iscritto, curando anche la calligrafia.

Dette informazioni sono da considerarsi riservate e possono essere trasmesse soltanto ed esclusivamente ad altri medici in caso di necessità.

In caso di dubbio, il medico ha il dovere (ed il paziente il diritto) di ricorrere ad un consulto, oppure il caso dovrà essere sottoposto ad uno specialista. Anche questo principio si ispira ad una massima del Corano: «Se tu non lo sai, chiedi l’aiuto di chi possiede il Messaggio». Lo specialista potrà intraprendere qualsiasi iniziativa ritenga necessaria..., ma dovrà tenere informato il medico che si è rivolto a lui circa gli sviluppi presenti e futuri del caso.

È dovere del medico trasmettere ai giovani colleghi i frutti delle sue esperienze, delle sue conoscenze e del suo acume... Il medico anziano si dovrà preoccupare dell’istruzione e della formazione dei giovani poiché... «è maledetto colui che nasconde la conoscenza», e perché questo è un diritto dei suoi colleghi, un diritto del malato, ed in generale un dovere che incombe sulla professione medica, di generazione in generazione.

«A questo proposito è opportuno ricordare la massima del Profeta: “Quando muore uno dei figli di Adamo, questi viene completamente tagliato fuori dal mondo, per tutto, tranne che per tre cose: per il bene che ha fatto e che continua ad esistere, per le cose che lui ha insegnato e che vengono applicate con profitto, e per la sua virtuosa progenie che prega il Signore per lui”».

I medici devono anche collaborare l’uno con l’altro e devono sempre essere solidali con i propri colleghi offrendogli aiuto immediato in caso di malattia, loro o di un familiare, ed in caso di difficoltà, bisogno, invalidità o morte.

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Al giorno d’oggi il medico non è quasi più il «vagabondo solitario» di una volta... Le cure mediche, infatti, sono ormai generalmente fornite da équipes mediche in cui, accanto all’ambulatorio medico, è previsto anche il laboratorio, la fisioterapia, l’assistenza sociale ed altri servizi. Il medico deve incoraggiare lo spirito di gruppo e la reciproca collaborazione in modo tale che l’équipe possa ottenere i migliori risultati nella cura del malato.

I principi espressi in questo codice devono essere rispettati anche da tutte quelle persone, di ogni classe, che operano in qualsiasi settore sanitario.

4. Il rapporto medico-paziente — La professione del medico è nata in funzione delle esigenze del malato, e non viceversa. La salute dell’uomo è la mèta, e le cure mediche sono il mezzo per raggiungere tale mèta... il «malato» è il padrone ed il «medico» è al suo servizio. Come dice il Profeta: «Il viaggiatore più debole è il principe della carovana»... poiché è lui che bisogna considerare per decidere la velocità del viaggio. Ogni regola di cammino, ogni programma, ogni orario ed ogni sosta, tutto dovrà essere visto in funzione della sua salute, che verrà considerata come fattore di assoluta priorità in qualsiasi decisione..., diventando secondarie tutte le altre considerazioni.

Detta priorità in tutte le decisioni è garantita al paziente proprio perché è malato, e soltanto finché starà male... Non importa chi egli sia, né che cosa rappresenti. Il malato, chiunque sia, è simbolicamente in cima al tempio della sua malattia, e la sua importanza sociale, la sua autorità, le sue relazioni personali perdono ogni valore. Il modo in cui un medico tratta i suoi diversi pazienti è lo specchio migliore della sua integrità personale.

La benevolenza, la gentilezza, la tolleranza e la pazienza del medico devono estendersi anche ai parenti e agli amici del malato, e a tutti quelli che si preoccupano e soffrono per lui..., ma naturalmente senza infrangere le regole del «segreto professionale».

La salute è una necessità fondamentale dell’uomo, e non deve essere considerata un lusso; di conseguenza quella del medico è una professione senza uguali, tanto che non è ammesso che il medico si rifiuti di curare un cliente, anche se questi non potrà

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mai permettersi di pagargli l’onorario. La legislazione sanitaria deve assicurare l’assistenza medica a tutti coloro che ne hanno bisogno, mediante l’applicazione di opportune leggi e regolamenti.

Nell’esercizio della libera professione, il medico ha diritto ad un suo onorario... ed i suoi guadagni sono legittimi... e la sua coscienza sarà il suo censore... nella consapevolezza che lo sguardo di Dio è sempre presente.

Tuttavia, nel caso in cui sia una persona bisognosa a rivolgersi alle cure del medico, quando la sua vita è in pericolo, o per altra necessità, il dottore ha il dovere di prendere in considerazione le difficoltà del paziente, di essere gentile con lui, e di evitare di farsi pagare la somma dovutagli — oppure non farsi pagare affatto —, poiché ciò sarebbe un altro peso che andrebbe a gravare sul paziente, oltre alla malattia. Quando si dona qualcosa ai poveri, è come se la si donasse a Dio... e la carità non è fatta soltanto di beni materiali, ma anche della propria sapienza e delle proprie capacità. La professione del medico è essenzialmente una vocazione ad aiutare l’uomo che si trova in difficoltà, e non quella di sfruttare il suo stato di necessità.

Il medico, nel pieno diritto di guadagnarsi da vivere come si addice al suo stato, e di ottenere dal suo lavoro la giusta remunerazione..., dovrà sempre rispettare ed onorare i sacri principi della sua professione, e non dovrà mai cadere in attività di propaganda, né ricevere o richiedere commissioni per le sue prestazioni, o macchiarsi di altri simili misfatti.

5. Il segreto professionale — Tutti i fedeli sono tenuti a mantenere i segreti che altri gli hanno confidato... ma i medici, più di qualsiasi altra persona, devono rispettare questa legge poiché a loro la gente svela più volentieri i propri segreti ed i propri sentimenti, fiduciosa dell’antico principio del segreto professionale, valido per il medico sin dagli albori della storia. Il Profeta (la pace sia con Lui) ha definito l’ipocrita con tre caratteristiche fondamentali: «Mente quando parla, non mantiene le promesse fatte e tradisce chi in lui si è confidato». Il medico deve tenere per sé tutto ciò che ha visto, udito o dedotto nell’esercizio della sua professione. Secondo lo spirito islamico, la legge stessa deve garantire il diritto del malato al rispetto dei segreti da lui confidati al medico. Infrangere tale legge sarà di

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grave danno per l’esercizio della professione medica, oltre a precludere a molte categorie di ricorrere all’aiuto del medico.

6. I doveri del medico in tempo di guerra — Sin dalle prime battaglie dell’Islam è stato decretato che i feriti ed i prigionieri ricevessero protezione proprio a causa delle loro ferite e del loro stato di prigionia. I fedeli sono elogiati nel Corano perché: «Offrivano il cibo — e tutti sanno quanto costasse loro — ai bisognosi, agli orfani ed ai prigionieri» dicendo: «Noi vi diamo da mangiare perché sappiamo che Dio lo vuole, e da voi non vogliamo alcuna ricompensa né gratitudine». Il Profeta (la pace sia con Lui) disse ai suoi compagni: «Affido i prigionieri alla vostra carità»... e loro..., prima ancora di pensare a se stessi, provvedevano a sfamare i prigionieri con il cibo migliore che avevano. È interessante notare che questo accadeva tredici secoli prima della Convenzione di Ginevra e della nascita della Croce Rossa.

Il medico, quali che siano i suoi sentimenti personali ed in qualunque luogo si trovi, dovrà innanzi tutto conformarsi al suo unico e solo dovere: quello di proteggere la vita e di curare i malati ed i feriti.

Quale che sia il comportamento del nemico, il medico musulmano non dovrà mai cambiare il suo atteggiamento nei confronti del malato... poiché ogni persona deve sempre attenersi al proprio codice di comportamento. Dio lo ha detto chiaramente nel Corano: «Che le azioni sbagliate degli altri non ti facciano mai diventare un ingiusto».

I medici musulmani, come membri della famiglia medica internazionale, devono sempre prestare il loro aiuto in qualsiasi parte del mondo si trovino, con l’intento di proteggere e di sostenere il nobile corso della professione medica... poiché sarà una benedizione per l’intera società se il ruolo umanitario della professione medica viene rispettato da ambedue le parti nel fronte di battaglia.

I medici non dovranno permettere che le conoscenze tecniche e scientifiche proprie della loro professione vengano utilizzate a detrimento dell’uomo, o per la sua distruzione, provocandogli lesioni fisiche o danni morali o psicologici, o di qualsiasi altro genere... a prescindere da ogni considerazione di carattere politico o militare.

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Le prestazioni del medico devono avere come unico e solo scopo quello di curare e di guarire i malati, siano essi amici o nemici, a livello personale o nazionale.

7. Il principio sacro della vita umana — «A tale proposito è stato decretato che per i figli di Israele chiunque uccide un essere umano, a meno che questi non sia colpevole di omicidio volontario o di corruzione, sarà come se avesse ucciso tutto il genere umano, e, nello stesso modo, chiunque salva la vita di un uomo, sarà come se avesse salvato tutto il genere umano». 5-32.

La vita umana è sacra... e non deve essere tolta volontariamente, se non nei casi previsti dalla legislazione islamica, nessuno dei quali ha a che fare con l’esercizio della professione medica.

Il medico non dovrà mai permettersi di togliere la vita, anche se lo facesse soltanto per pietà. Ciò è vietato perché non fa parte dei principi di legge che giustificano l’uccisione di una persona umana. A tale proposito, sarà d’esempio la storia del Profeta: «Nei tempi antichi, c’era un uomo affetto da un male che non riusciva più a sopportare. Si tagliò i polsi con un coltello e cominciò a sanguinare finché non morì. A Dio non piacque questa cosa e disse: Il mio suddito ha affrettato la sua fine... ed io gli nego il Paradiso».

«Molte persone che cercano la morte, con il suicidio, si basano soltanto sulla concezione esteriore della vita secondo la quale, alla fine della nostra esistenza terrena, c’è soltanto il vuoto. Se questo modo di pensare fosse giusto, sarebbe ragionevole che quasi tutti gli uomini di questa terra si suicidassero e si liberassero così di tutte le difficoltà della vita... perché in realtà è molto raro trovare una vita senza dolori o senza difficoltà. Non è giustificato neppure il suicidio commesso in seguito a malattia dolorosa e senza speranza, perché non esiste dolore umano che non possa essere sconfitto dalle cure mediche o da un trattamento neurochirurgico. Un’altra categoria di persone è rappresentata da coloro che scelgono la morte come soluzione per ovviare a tutte le pene presumibilmente derivanti da una deformità. Se tutto ciò fosse permesso, fra breve ci troveremmo a giustificare l’uccisione di tutti i vecchi e di tutte le persone improduttive della società, adducendo come pretesto la necessità di combattere

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le conseguenze dell’aumento di popolazione rispetto alle risorse disponibili».

Il principio sacro della vita umana comprende tutti gli stadi della vita, inclusa la vita intrauterina dell’embrione e del feto. Questa non dovrà in alcun modo essere compromessa dal medico, se non in quei casi di assoluta necessità sanitaria riconosciuti dalla giurisprudenza islamica.

«Ciò corrisponde perfettamente ai principi della moderna scienza medica che ha recentemente creato una nuova specializzazione detta medicina fetale... la quale si occupa della diagnosi e della cura dei disturbi del feto nell’utero, sperimentando la formazione di una placenta artificiale a sostegno dei feti abortiti prima di acquistare capacità vitale.

La moderna politica di permissivismo nei confronti dell’aborto non è accettata dalla religione islamica, che conferisce al feto numerosi diritti. L’aborto in Islam ha importanti risvolti economici. Il feto ha il diritto all’eredità e se è abortito vivo e poi muore, l’eredità passa agli eredi legali. Se una donna incinta è condannata a morte, l’esecuzione capitale viene rimandata fino a quando non avrà partorito e per tutto il periodo dell’allattamento... anche nel caso di figli illegittimi. I diritti fondamentali del feto, dunque, sono più che evidenti».

Il medico ha il dovere di difendere la vita; tuttavia egli deve saper riconoscere e rispettare il limite oltre il quale non vale più la pena di lottare. Se è scientificamente sicuro che una persona non potrà continuare a vivere, è inutile che si sforzi di mantenerla viva in uno stato vegetativo mediante eroici tentativi di rianimazione, o ricorrendo al congelamento o ad altri metodi artificiali. Il medico ha il dovere di far continuare la vita e non di allungare la morte. In ogni caso egli non dovrà mai ricorrere a quelle misure che interrompono volontariamente la vita di un suo paziente.

Un’altra delle pesanti responsabilità che il medico deve assumersi, infine, è quella di dichiarare morta una persona. Egli deve essere perfettamente certo della sua dichiarazione e deve firmarla soltanto quando è pienamente convinto e sicuro di ciò che afferma. In caso di dubbio, sia pur lieve, il medico dovrà richiedere il consiglio di un collega, o ricorrere all’uso dei moderni apparecchi scientifici.

Il medico dovrà adoperarsi con tutto il suo impegno per garantire

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ad un malato incurabile, nel breve periodo che gli rimane da vivere, tutte le cure e tutte le attenzioni di cui ha bisogno, per dargli sostegno morale e per alleviargli il dolore e la sofferenza.

Il medico deve rispettare il diritto del malato a sapere quale sia la sua malattia, ma nel rispondere al paziente dovrà esprimersi in modo tale da non sconvolgerlo, considerando ogni malato un caso a parte. Il medico, infatti, ha il dovere di studiare a fondo la psicologia del paziente e dovrà sempre trovare le parole adatte a qualsiasi circostanza: in alcuni casi sarà necessario evitare l’uso di parole forti che potrebbero spaventare, in altri bisognerà coniare nomi ed espressioni nuove, o ricorrere a descrizioni ed esempi.

In ogni caso il medico dovrà essere capace di mantenere viva la speranza nel malato e di dargli tranquillità e serenità d’animo.

8. La responsabilità professionale del medico — L’esercizio della professione medica è legale soltanto se svolta da persone opportunamente qualificate, che hanno ricevuto una preparazione adeguata e che si attengono ai principi stabiliti dalla legge. A tale proposito è opportuno ricordare quanto afferma il Profeta: «Chiunque cura la gente senza avere la conoscenza della medicina, è colpevole».

Avendo la possibilità di ricorrere al consiglio di medici specializzati, i casi dubbi dovranno essere sottoposti all’attenzione dello specialista. «Ognuno di noi è più adatto a fare ciò per cui è stato preparato».

Nella cura di un malato, il medico deve usare al massimo tutte le sue capacità. Se lo fa, senza trascurare nulla e prendendo tutte le misure e tutte le precauzioni che avrebbero preso i suoi colleghi, egli non sarà né da biasimare né da punire, anche se i risultati ottenuti non saranno soddisfacenti.

Il medico è colui che agisce per il bene del paziente prendendosi cura del suo corpo. Quando il malato accetta di essere curato da un medico, accetta qualsiasi cura che egli gli prescriverà, e qualsiasi cosa egli riterrà giusto fare per lui.

Se la guarigione del paziente comporta un intervento chirurgico, sarà opportuno, per proteggere il medico da qualsiasi possibile evenienza, che il malato metta per iscritto la sua accettazione dell’intervento. Anche nel caso in cui il paziente si rifiuta

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di seguire la cura prescritta dal medico, occorre che ci sia una documentazione scritta con la firma dello stesso malato, o, in caso di sua impossibilità, con la firma di alcuni testimoni che attestino il suo rifiuto.

Quando la paura è l’ostacolo che impedisce al paziente di dare il suo consenso, il medico ha il dovere di aiutare il malato a prendere la sua decisione, somministrandogli qualche medicina, un tranquillante per esempio, che gli tolga lo stato di paura o di ansia, ma lo lasci cosciente e libero di scegliere in modo tale da poter prendere la propria decisione con calma e tranquillità. Il modo migliore di ottenere ciò è che il medico sia molto deciso e che faccia valere la sua personalità con gentilezza e pazienza, e che parli con il malato nel modo giusto.

In situazioni in cui si richieda l’intervento chirurgico d’urgenza, o in cui si deve agire immediatamente per salvare la vita, il medico deve prendere da solo le decisioni necessarie; secondo la regola islamica, infatti, «per necessità si possono superare alcuni divieti». La posizione del medico, in questo caso, sarà sempre tutelata, a prescindere dal risultato ottenuto, purché egli abbia agito secondo la metodologia medica generalmente applicata al caso, e senza commettere errori. Il «male» che avrebbe fatto non salvando il malato, sarebbe maggiore del «bene» fatto per averlo lasciato liberamente decidere da solo, favorendo così la sua distruzione. La legge islamica afferma che evitare il «male» hg priorità sul fare il «bene».

Dice il Profeta: «Aiuta tuo fratello quando ha ragione e quando ha torto». Concordi nell’accettare il fatto di aiutare un fratello quando ha ragione, ma sorpresi di doverlo aiutare quando egli ha torto, il Profeta rispose ai suoi compagni: «Impeditegli di sbagliare... poiché questo è l’aiuto di cui ha bisogno».

«In conclusione, i principi sacri fondamentali che proteggono il medico nell’esercizio della sua professione sono:

1) il riconoscimento della qualifica;

2) l’accettazione del medico da parte del malato;

3) la buona fede del medico e il suo unico scopo di curare il malato;

4) la mancanza di colpe ingiustificate secondo quanto previsto dalla normativa medica».

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9. Il medico e la società — Il medico è membro della società sotto tutti i punti di vista, agisce sempre in suo nome, con essa collabora e si preoccupa per lei. Dice il Profeta: «Colui che non si preoccupa dei problemi dei musulmani, non può essere considerato uno di loro».

La missione del medico non si limita a curare le malattie, ma comprende anche il dovere di prendere tutte le misure necessarie a prevenirle, in conformità con il comandamento del Corano: «Non distruggerti con le tue stesse mani». Una politica di «prevenzione» viene suggerita chiaramente dal Profeta: «Quando una località è colpita dalla pestilenza, non avvicinatevi a quel luogo... ma se già ci siete dentro, allora non venitene fuori».

medici dovranno considerare come proprio dovere la lotta contro quelle abitudini che danneggiano la salute, quali il fumo, l’alcool, la sporcizia ecc. Oltre l’educazione di massa e la pubblicità, sarà necessario che i medici esercitino una costante pressione sul potere legislativo affinché vengano formulate quelle leggi necessarie a combattere questo problema. A questo si deve aggiungere anche la lotta contro l’inquinamento ambientale e la prevenzione del medesimo.

La profilassi naturale per combattere le malattie veneree e le altre complicazioni derivanti dal permessivismo sessuale è quella di rivalutare l’importanza dei valori umani quali la castità, la purezza, l’autocontrollo, evitando così di fare del male a se stessi e agli altri, consciamente o inconsciamente.

«In certi Paesi “sviluppati”, la diffusione della gonorrea e della sifilide ha quasi raggiunto dimensioni epidemiche, tanto da indurre le autorità sanitarie a richiedere la dichiarazione dello stato di emergenza nazionale. Ciononostante tutti i medici, con lo stesso tono, continuano ad asserire che va bene, che non è una vergogna, che è normale, ma l’essenziale è che si ricorra in tempo al consiglio del medico quando si ha il sospetto di aver preso la malattia. La radio, la televisione, i giornali e nessun’altra fonte di informazione ha mai osato parlare della castità come una delle soluzioni alternative per debellare questa malattia.

A differenza di ciò che accade per la lotta contro l’inquinamento, contro il fumo, contro la saccarina, contro il grasso e contro tante altre cose, il permessivismo sessuale è l’unico campo precluso al medico in cui egli non può permettersi di essere moralista... ma deve soltanto limitarsi a curare!».

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I medici musulmani dovrebbero conoscere molto bene i principi della religione islamica e usarli come guida nella propria professione. Dovrebbero anche studiare da vicino dati, fatti, cifre e proiezioni relative a vari parametri attualmente esistenti nei Paesi islamici. Basandosi su ciò, dovranno decidere se accettare o rifiutare le esperienze fatte da altri paesi, e le conclusioni alle quali sono giunti. La politica di adeguarsi, accettando decisioni prese da altri, senza fare un esame critico, deve essere eliminata.

La società deve garantire al medico il diritto di essere rispettato nella sua professione, di poter vivere agiatamente, di avere un giusto guadagno e di poter mantenere la sua dignità.

Il medico deve dimostrare di essere degno di questi diritti... altrimenti potrà esser soggetto a punizione.

«In tutte le società esistono delle persone che per ingratitudine, ignoranza o desiderio di mettersi in mostra, tentano di macchiare l’immagine che la gente si è fatta della professione medica. La conseguenza di tale malvagità si riflette soprattutto sul povero malato che non può fare a meno di affidarsi al medico per essere curato o operato. Sarà allora per lui una tortura mentale essersi fatta una cattiva opinione dei medici, a causa di fattori esterni. La stampa, in particolare, dovrebbe considerare questo risvolto della denigrazione della professione medica ed evitare di trasmettere informazioni errate, distorte o non controllate. Le autorità sanitarie non dovranno avere remora nell’intraprendere azioni legali contro queste pubblicazioni false, non soltanto per la difesa contingente del medico in questione, ma anche, e soprattutto, per la salvezza futura della nazione. I medici non saranno liberi di esercitare la loro professione nel migliore dei modi, se minacciati di essere fraintesi. Naturalmente, se un medico è riconosciuto colpevole per essersi comportato in modo illegale o sconveniente, gli altri medici dovranno essere ancora più duri con lui... per mantenere alta la buona reputazione della loro professione».

10. Il medico e la ricerca bio-tecnologica — In Islam per la ricerca scientifica non c’è alcuna limitazione da parte dello stato, si tratti di ricerca accademica, per scoprire la mano di Dio nel mondo, oppure di ricerca applicata per la soluzione di un problema pratico.

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In nome della libertà di ricerca scientifica l’uomo non può essere sottoposto al rischio di subire danni o lesioni permanenti del corpo, senza tenere in considerazione le sue effettive necessità terapeutiche, defraudando o sfruttando il suo stato di necessità.

La libertà di ricerca scientifica non giustifica il fatto che l’uomo possa compiere azioni crudeli sugli animali e possa sottoporli a torture. Sarà necessario fissare delle disposizioni speciali per garantire un adeguato trattamento degli animali durante gli esperimenti scientifici.

I metodi di ricerca e le applicazioni delle relative scoperte scientifiche non devono spingere l’uomo al peccato commettendo azioni proibite dalla religione islamica, quali la fornicazione, l’incesto, la trasformazione o corruzione dell’essenza stessa della personalità umana, togliendo all’uomo la facoltà di scegliere liberamente e di assumersi le proprie responsabilità.

I medici hanno il diritto — ed il dovere — di partecipare attivamente alla formulazione e all’approvazione di quei decreti religiosi relativi all’accettabilità e legalità o meno dei risultati, mai precedentemente raggiunti in campo biologico, dalle ricerche scientifiche presenti e future. Il decreto dovrà essere formulato con il comune consenso dei musulmani esperti in campo legale ed in campo biologico, che si riuniscono per discutere insieme il problema in questione. Le opinioni unilaterali degli esperti in un sol campo risentono sempre della mancanza di comprensione dei problemi specifici del settore che non è di loro competenza, sia esso tecnico o giuridico.

La regola a cui attenersi nei casi non ancora previsti dalla legge è la massima islamica: «Ovunque si trovi il benessere, sono rispettate le leggi di Dio».

La cura di ogni singolo malato è una responsabilità collettiva della società, che deve garantire in tutti i modi la tutela delle necessità sanitarie, senza che nessuno ne debba soffrire. Ciò si verifica nei casi di donazione dei liquidi del corpo, per esempio del sangue, o degli organi, per esempio il trapianto del rene in un paziente affetto da malattia renale incurabile che colpisce tutti e due i reni. Anche questo è un «Fardh Kifaja», un obbligo che il donatore assolve per conto della società. A prescindere dalle difficoltà tecniche che i medici devono affrontare, su di loro ricade anche l’onere di dover educare la gente e di spiegare

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loro l’importanza di questo tipo di collaborazione. I medici dovranno anche provvedere alla stesura di un regolamento tecnico, organizzativo e procedurale al riguardo, ed alla definizione delle priorità da seguire.

La donazione di un organo non deve mai essere fatta per costrizione, influenze familiari, pressioni sociali o di altro tipo, o per risolvere una difficoltà finanziaria.

La donazione può essere fatta soltanto quando il donatore non corre alcun pericolo per la sua salute.

La responsabilità di formulare delle leggi, dei regolamenti e delle norme relative alla donazione di organi è affidata soprattutto ai medici, i quali devono prevedere come organizzare la donazione degli organi fatta da persone vive, o subito dopo la morte, nel qual caso sarà necessaria una dichiarazione nel testamento del donatore o il consenso dei familiari. I medici devono anche considerare la possibilità di istituire banche degli organi e dei tessuti che possono essere conservati. Bisognerà stabilire una mutua collaborazione con le banche straniere degli organi e dei tessuti, per aiutarsi reciprocamente in caso di necessità.

«Umar Ibnul-Khattab, secondo Califfo, ha decretato che se un uomo di un certo paese muore di fame per non essere stato in grado di procurarsi qualcosa da mangiare, la comunità deve pagare una certa somma di denaro (diah) per riscattare la sua morte, proprio come se fosse direttamente colpevole del suo assassinio». La storia di quest’uomo è perfettamente paragonabile a quella delle persone che muoiono perché non è stato possibile trovare sangue per una trasfusione, o un rene per un trapianto.

A questo proposito è opportuno ricordare due racconti narrati dal Profeta. Il primo dice: «I fedeli, uniti dal reciproco amore e dalla reciproca compassione, sono come un solo corpo... se una parte del corpo è colpita da una malattia, tutte le altre parti del corpo saranno mobilitate a venire in suo soccorso». La seconda storia dice: «I fedeli sono come i mattoni di una stessa casa... si sorreggono a vicenda».

Nel Corano Dio ha descritto i fedeli nel seguente modo: «Danno sempre priorità agli altri, anche se essi stessi si trovano in uno stato di necessità». Questo è qualcosa di più che donare un rene, poiché il donatore può fare a meno di un rene e vivere

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normalmente con l’altro che gli rimane... dato che prima della donazione è stato sottoposto ai dovuti accertamenti scientifici.

Se è vero che i vivi possono donare un organo del proprio corpo, anche i morti, a maggior ragione, lo potranno fare; e non ci sarà nessun pericolo per il cadavere se gli vengono asportati i reni, il cuore, gli occhi o le arterie, che saranno utilizzati da una persona viva. Questo è in realtà un grande gesto di carità... e risponde perfettamente alla volontà di Dio.

Infatti egli dice: «Chiunque salva una vita umana, è come se avesse salvato l’intera umanità».

Si rende tuttavia necessaria una parola di ammonizione. La donazione deve essere sempre volontaria, deve essere una libera scelta... perché chi costringe una persona a donare un proprio organo è colpevole della violazione di due diritti fondamentali della legge islamica: il diritto di libertà ed il diritto di proprietà.

Nella società formata da fedeli, si dovrà poter disporre di numerose donazioni che rappresentano il frutto della fede e dell’amore di Dio e dei suoi sudditi. Le altre società non dovranno essere migliori di noi in questa nobile offerta.

11. La formazione del medico — La formazione tecnica del medico richiede una preparazione molto particolare, ma rappresenta soltanto uno dei tanti elementi necessari all’esercizio della professione: il medico deve credere in Dio che è Uno ed Onnipotente, il solo capace di creare e di dare la vita, la conoscenza, la morte, in questo mondo e nell’altro.

Nel programmare la formazione di un medico, uno degli obiettivi principali da seguire è quello di farlo diventare l’esempio vivente di tutto ciò che Dio ama, di liberarlo da tutto ciò che a Dio non piace, e di sviluppare in lui un grandissimo amore per Dio, per la gente e per la conoscenza.

I docenti medici hanno il dovere di dare il buon esempio ai propri studenti, di insegnare loro le tecniche migliori, di seguirli continuamente nei loro studi, e di preoccuparsi sempre per loro, anche dopo le lezioni e dopo la laurea.

La formazione del medico abbraccia tutti i campi della conoscenza, senza pregiudizi né avversioni per nessuno di essi. Tuttavia deve essere protetta e salvaguardata dal pericolo incombente di incorrere nell’ateismo e nell’infedeltà.

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L’insegnamento della medicina non deve essere passivo, né autoritario. Deve avere come scopo quello di sollecitare l’attività della mente, di incoraggiare lo spirito di osservazione, di promuovere l’analisi ed il ragionamento; deve mirare alla formazione di idee proprie negli,studenti e far nascere in loro nuovi interrogativi. Il Corano biasima chi dice: «E siccome i nostri padri hanno fatto così, anche noi seguiamo i loro passi»...: un atteggiamento, questo, che porta soltanto al torpore mentale e all’arresto di qualsiasi sviluppo.

La «fede» è l’unico rimedio, l’unica medicina, vince qualsiasi fatica e porta alla guarigione. Il medico, durante il corso di formazione, deve imparare a sostenere l’importanza della «fede» e a far capire al malato che questa è l’unica benedizione eterna.

Fra le materie oggetto di studio di un corso di medicina deve essere compreso l’insegnamento di alcune nozioni di giurisprudenza e di alcuni principi religiosi connessi in qualsiasi modo ai problemi sanitari, o che influenzano direttamente l’esercizio della professione medica.

Gli studenti di medicina, durante il loro corso di preparazione, devono imparare quale è stato il contributo medico scientifico della civiltà islamica, quali fattori hanno portato alla sua nascita, quali alla sua scomparsa, e quali sono i mezzi per farla rivivere.

Gli studenti di medicina durante il loro corso di formazione devono imparare che la medicina è una cosa sacra... sia perché avvicina di più alla fede mediante la contemplazione delle cose create da Dio, sia perché è diretta ad aiutare gli uomini che soffrono.

Il programma di studio della Facoltà di medicina deve comprendere l’insegnamento di questo «Codice islamico di etica medica».

12. Il giuramento del medico — Giuro su Dio... Onnipotente:

Di rispettare Dio nell’esercizio della mia professione.

Di proteggere la vita umana in tutti gli stadi ed in tutte le circostanze, facendo tutto il possibile per salvarla dalla morte, dalla malattia, dal dolore e dalla sofferenza...

Di rispettare la dignità degli uomini, di proteggere la loro intimità e di non divulgare i loro segreti...

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Di essere sempre uno strumento della misericordia di Dio, di fornire le mie prestazioni mediche alle persone vicine e lontane, ai virtuosi e ai peccatori, agli amici e ai nemici...

Di lottare per la ricerca della conoscenza e di usarla per il bene di tutta l’umanità, e non contro di essa...

Di condividere i miei insegnamenti, e di insegnare a quelli più giovani di me, di essere come un fratello verso tutti coloro che esercitano la professione medica, uniti nella misericordia e nella carità...

Di vivere la mia fede in pubblico e in privato, evitando tutto ciò che mi rende indegno agli occhi di Dio, del Suo Apostolo e di tutti i fedeli.

E che Dio mi sia testimone in questo giuramento.

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CODICE ETICO DELL’ASSOCIAZIONE DELLE INFERMIERE AMERICANE *

1. L’infermiera lavora rispettando la dignità e l’unicità di ogni cliente, senza limitazioni causate da condizioni socio-economiche, da caratteristiche individuali e dalla natura delle infermità.

1.1. Libera scelta dei clienti — I clienti devono essere coinvolti, ogni qualvolta ciò sia possibile, in tutte le decisioni che riguardano la loro assistenza medica. Ciascun cliente ha il diritto morale di decidere ciò che gli sarà fatto, di essere informato sufficientemente per poter pronunciare giudizi consapevoli, di essere avvertito dei possibili effetti della terapia e di accettare, rifiutare o sospendere un trattamento. Anche i minorenni ed altre persone non legalmente capaci hanno questi diritti, che devono essere completamente soddisfatti. La legge in questo campo può essere differente da stato a stato: ogni infermiera ha l’obbligo di essere bene informata al riguardo e di proteggere e sostenere i diritti morali e legali di tutti i clienti, tenuto conto delle leggi dello stato e di quelle federali. L’infermiera deve tener presente che in alcune situazioni il diritto di un individuo all’autodeterminazione della sua assistenza medica può essere temporaneamente alterato per il benessere comune. Poiché sono implicati molti fattori, ogni caso va considerato a sé, ma bisogna sempre cercare di mettere il cliente in condizioni di decidere da solo, mentre vengono tutelati i suoi diritti.

* Questo Codice, che risale al 1976, è la versione riveduta e corretta di quello adottato dall’Associazione delle Infermiere Americane (A.N.A.) nel 1950. Il Codice dimostra attenzione sia ai problemi professionali, sia a quelli sociali. Mette in rilievo le implicazioni etiche della trasformazione dei ruoli professionali, nella complessa realtà dell’attuale assistenza sanitaria.

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1.2. Condizioni socio-economiche dei clienti — La domanda di assistenza infermieristica è universale, senza differenze nazionali, etniche, religiose, culturali, politiche ed economiche, come universale è l’offerta di assistenza per questo fondamentale bisogno. L’assistenza infermieristica deve essere fornita per necessità umane, senza tener conto dell’ambiente, circostanze od altri indici delle condizioni socio-economiche di un individuo.

1.3. Caratteristiche individuali dei clienti — L’età, il sesso, la razza, il colore, il carattere o altre caratteristiche individuali, come le differenze di ambiente, abitudini, tendenze ed opinioni, influenzano l’assistenza infermieristica solo come fattori che l’infermiera deve comprendere, considerare e rispettare per adattare l’assistenza ai bisogni di ciascun paziente e mantenere il rispetto per lui e la dignità che ciascuno possiede. Considerazioni sul sistema di valori e lo stile di vita di ogni cliente devono essere inclusi nella programmazione dell’assistenza sanitaria.

1.4. Natura delle infermità — Il rispetto dell’infermiera per l’integrità e la dignità dell’essere umano non è influenzato dalla natura dell’infermità. Si riflette nella cura data alla persona invalida come a quella sana, al paziente con malattia permanente come a quello con una sindrome acuta, al paziente appena ricoverato come a quello terminale o morente. Si estende a tutti coloro che hanno bisogno di prestazioni infermieristiche per la promozione e il ripristino della salute, la prevenzione della malattia e l’alleviamento delle sofferenze. L’attenzione dell’infermiera alla dignità umana e la prestazione di assistenza di qualità non è limitata da tendenze od opinioni personali. Se l’infermiera non vuole personalmente fornire assistenza in un caso particolare, per la natura dell’infermità o le procedure che devono essere usate, è giustificata se rifiuta di partecipare. Un tale rifiuto deve essere fatto conoscere in anticipo e in tempo perché si possa provvedere in altro modo all’assistenza del cliente. Se l’infermiera deve, volente o nolente, fornire assistenza in un caso d’emergenza, deve farlo nel modo migliore possibile. In questo caso l’infermiera può rifiutare assistenza solo dopo essersi assicurata che questa sia comunque fornita al cliente. Se il cliente chiede notizie o consigli su ciò che riguarda la sua assistenza (come è previsto dalla legge), ma contro le opinioni personali

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dell’infermiera, ella può rifiutarsi di svolgere questo compito, purché informi il cliente di chi può fornirgli ciò che desidera.

1.5. Condizioni per l’assistenza medica — L’infermiera aderisce al principio dell’assistenza non discriminante né pregiudiziale, in qualunque ambiente o situazione di lavoro, e si sforza di farlo accettare da altri. L’atteggiamento dell’infermiera di rispetto verso i clienti, fornendo loro ciò di cui hanno bisogno, non deve essere influenzato dall’ambiente di lavoro, ma rimanere il medesimo sia se l’assistenza è erogata in un ospedale, per trattamenti intensivi, oppure in ambulatori infermieristici, centri per alcolisti e drogati, prigioni, casa del paziente o altro ambiente.

1.6. Trattamento del morente — Mentre cambiano le concezioni sulla morte e i modi di affrontarla, rimangono invariati i valori umani fondamentali. I problemi etici e le responsabilità di decisione sono però aumentati per i pazienti, per le famiglie e il personale sanitario. L’infermiera si sforza di proteggere questi valori mentre lavora col cliente e con altre persone per raggiungere le decisioni migliori, tenuto conto delle circostanze, dei diritti e dei desideri del cliente e dei livelli ottimali di assistenza. Questi devono permettere al cliente di vivere col maggior comfort, dignità e libertà dall’ansia e dalla sofferenza possibili. L’assistenza fornita da un’infermiera può influenzare molto il modo in cui l’esperienza terminale è vissuta, e la pace e la dignità con cui il malato si avvicina alla morte.

2. L’infermiera tutela il diritto del cliente all’intimità proteggendo scrupolosamente informazioni di natura confidenziale.

2.1. Rivelazioni nelle équipes mediche — Nella pratica infermieristica i dati riguardanti lo stato di salute dei clienti sono generalmente accessibili, comunicati e registrati. Infatti la qualità dell’assistenza sanitaria richiede che tali informazioni sul malato siano disponibili a tutti i membri dell’équipe che lo cura. Quando l’infermiera, guadagnatasi la confidenza del cliente, viene a conoscere fatti rilevanti od essenziali per il suo trattamento, deve decidere se comunicare ciò che sa ad altre persone, basandosi sul proprio giudizio professionale. Solo le informazioni attinenti il trattamento e il benessere di un cliente vanno

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fornite, e solo a coloro che sono coinvolti nell’assistenza di lui. I diritti, il benessere e la sicurezza del paziente devono essere i criteri pregiudiziali per giungere alla decisione.

2.2. Rivelazioni per migliorare la qualità dell’assistenza — Informazioni sul paziente, richieste per documentare l’esattezza, la necessità e la qualità delle cure per controlli, pagamenti o meccanismi di assicurazione della qualità dei servizi, devono essere fornite solo per polizze, mandati legali o protocolli. Queste linee di principio vogliono garantire la riservatezza delle informazioni dei clienti.

2.3. Rivelazioni a persone non coinvolte nell'assistenza del cliente — Il diritto alla riservatezza è un diritto inalienabile di ogni persona, e l’infermiera ha l’obbligo di tutelare ogni informazione riservata del cliente, acquisita in qualsiasi modo. Il rapporto infermiera-cliente è basato sulla fiducia. Questo rapporto può cessare, e il benessere e la reputazione del cliente possono essere messi in pericolo da sconsiderate rivelazioni dell’infermiera. Poiché il concetto di riservatezza ha implicazioni sia legali che etiche, una inopportuna violazione di essa può anche esporre l’infermiera alla perseguibilità legale.

2.4. Testimonianze in tribunale — L’infermiera può essere obbligata a fornire in tribunale informazioni confidenziali su un cliente. Ciò va fatto solo dopo autorizzazione od obbligo legale. Il privilegio di confidare tali informazioni è un diritto legale del paziente, e solo lui o un suo rappresentante possono abdicare ad esso. Le norme che riguardano i privilegi e le loro eccezioni variano in ogni stato, e l’infermiera può richiedere un parere legale prima di testimoniare in tribunale, per essere informata dei propri diritti e delle responsabilità professionali.

2.5. Accesso alle informazioni sul paziente — Se, durante l’erogazione dell’assistenza, c’è bisogno di conoscere i dati di una persona non tutelati da un’infermiera, come quelli della madre di un neonato, deve essere prima avvisata la persona e ottenuto il suo permesso, se ciò è possibile. Sebbene i dati appartengano alla struttura che li ha raccolti, ogni individuo ha diritto di controllo sulle informazioni fornite da lui, dalla sua famiglia o da altri sul suo conto. Allo stesso modo, i professionisti hanno diritto di controllo sulle informazioni fornite durante l’assistenza.

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Se l’infermiera desidera usare i dati di un cliente, che possono essere ritenuti confidenziali, a scopi di ricerca o comunque non clinici, deve prima ottenere il consenso di lui. Dal punto di vista etico e legale questa procedura garantisce il diritto del paziente alla riservatezza e lo protegge da ogni violazione, mentre rende l’infermiera non perseguibile dalla legge per tale comportamento.

3. L’infermiera deve agire per tutelare il cliente e il pubblico quando l’assistenza sanitaria è fornita in modo incompetente, non etico o illegale da qualunque persona.

3.1. Ruolo di tutela — Il primo dovere di un’infermiera è di assistere e tutelare il proprio cliente. Svolgendo questo ruolo di tutela, l’infermiera deve prendere tutte le misure appropriate nei casi di esercizio incompetente, non etico o illegale della medicina da parte di chi, come membro dell’équipe medica o dell’organizzazione di assistenza, oppure non direttamente coinvolto, danneggi o pregiudichi gli interessi del paziente.

Per svolgere concretamente questo ruolo l’infermiera deve conoscere le leggi dello stato e le norme dell’organizzazione per cui lavora, riguardanti le procedure e le denunce per attività incompetente, non etica e illegale.

3.2. Azione iniziale — Quando l’infermiera viene a conoscenza di comportamenti scorretti o discutibili nell’erogazione dell’assistenza, deve riferirne alle persone competenti, e richiamare la loro attenzione sui possibili svantaggi che potrebbero arrecare al cliente. Quando è la stessa organizzazione sanitaria con il suo funzionamento che minaccia il benessere del cliente, un’azione analoga va svolta nei riguardi del responsabile dell’amministrazione. Se ciò è necessario, l’infermiera riferirà ad autorità più alte nell’ambito dell’istituzione, organizzazione o struttura per cui lavora.

Dovrebbe esistere una procedura stabilita per denunciare e trattare tutti i comportamenti che. possono danneggiare il paziente nell’ambiente di lavoro, in modo tale che una denuncia sia accolta ufficialmente e non ci siano rappresaglie. L’infermiera deve essere informata dell’esistenza di questa procedura, e pronta ad eseguirla se necessario. Quando sorgono questioni su comportamenti singoli nell’esercizio della professione, bisogna sporgere

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denuncia scritta alle autorità competenti su quanto osservato. Le sezioni locali delle associazioni professionali devono essere preparate a fornire assistenza e sostegno in queste procedure di denuncia.

3.3. Conseguenza della denuncia — Quando a una denuncia non segue nessun provvedimento o cambiamento, per cui il benessere e l’assistenza del paziente sono ancora in pericolo, vanno presi ulteriori provvedimenti: ad es. riferire ad altre autorità competenti, come gli appositi comitati di ciascuna organizzazione professionale, oppure gli organismi legali che si occupano delle abilitazioni alle categorie professionali mediche. Alcune situazioni possono giustificare il coinvolgimento di tutte queste strutture. La denuncia deve essere concreta e obiettiva.

3.4. Controlli — Oltre a svolgere un ruolo di tutela, l’infermiera deve partecipare a tutte le attività o procedure che servono a tutelare il cliente, come le commissioni di controllo — il cui fine è il miglioramento dell’assistenza — formate da colleghi dello stesso ambiente di lavoro. Questo metodo di controllo è basato su criteri oggettivi, contempla la possibilità di accogliere denunce e raccomandare agli amministratori la correzione di deficienze ed errori, facilita il miglioramento dell’assistenza e promuove la salute, il benessere e la sicurezza dei clienti.

4. L’infermiera si assume la responsabilità e deve render conto delle sue azioni e decisioni professionali.

4.1. Accettazione delle responsabilità — Coloro che la ricevono, hanno diritto a una assistenza di alta qualità. L’abilitazione alla professione è il meccanismo legale per assicurare al pubblico la competenza dell’infermiera professionale. Oltre a ciò, la società ha accordato alla professione infermieristica il diritto di auto-regolamentarsi.

La regolazione e il controllo dell’esercizio della professione sono reciproci tra le infermiere e comportano che ciascuna sia responsabile delle azioni compiute e ne debba rendere conto.

4.2. Responsabilità — Il termine «responsabilità» indica il fine di funzioni e doveri associati al ruolo assunto dall’infermiera: non appena l’infermiera assume dette funzioni, esse diventano

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parte delle sue responsabilità e delle aspettative del pubblico nei suoi confronti. Raccolta di dati sullo stato di salute del cliente e loro sistemazione, messa a punto di un piano di assistenza che miri a fini precisi, valutazione dell’utilità delle cure fornite per il raggiungimento dei risultati previsti, adattamento e revisione continua dell’assistenza: assumendosi queste responsabilità l’infermiera si assume l’obbligo di rispondere del proprio operato per quanto riguarda il loro adempimento.

4.3. Difesa del proprio operato — Un’infermiera deve rendere conto del proprio operato a se stessa, al cliente, al datore di lavoro e alla professione. Tale responsabilità non comporta solo obblighi professionali o etici, ma anche legali: un’infermiera può essere indiziata di reato per decisioni e azioni compiute nel suo lavoro. Né le prescrizioni di un medico, né le istruzioni del datore di lavoro scagionano l’infermiera dall’accusa di comportamento non etico o non legale. Il concetto di responsabilità per un’infermiera comprende quindi anche la valutazione dell’efficienza delle prestazioni contemplate tra i doveri della professione.

4.4. Valutazione delle prestazioni — Autovalutazione — L’infermiera deve valutare la propria competenza, capacità di prendere decisioni e mentalità professionale. Si deve impegnare in attività che migliorino l’attuale esercizio della sua professione. L’autovalutazione comporta la responsabilità di un continuo miglioramento delle proprie prestazioni.

Valutazione da parte altrui — La valutazione delle prestazioni di una persona da parte di un suo collega è segno di professionalità, ed è principalmente attraverso questo meccanismo che la professione rende conto del proprio operato alla società. L’infermiera deve desiderare che i colleghi controllino il suo lavoro. Norme per valutare l’esattezza, l’efficienza e l’efficacia delle prestazioni infermieristiche sono: documenti rivisti e aggiornati riguardanti la pratica infermieristica, le norme dell’Associazione delle Infermiere Americane e altri meccanismi di controllo della qualità. Ogni infermiera deve partecipare alla elaborazione di criteri oggettivi per una valutazione valida e concreta delle responsabilità e prestazioni.

5. L’infermiera deve mantenere la competenza per quanto riguarda la propria professione.

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5.1. Responsabilità personali di competenza — L’assistenza infermieristica si occupa del benessere degli esseri umani, dal momento che prestazioni inadeguate o incompetenti possono danneggiare il cliente. Ogni infermiera ha quindi la responsabilità e il dovere di mantenere la competenza durante tutta la propria carriera professionale. In questo modo l’infermiera si mantiene responsabile verso il cliente.

5.2. Determinazione della competenza nell’esercizio della professione infermieristica — «Competenza» è un termine relativo: infatti la competenza di un individuo in un campo può essere diminuita o intaccata dal trascorrere del tempo e dall’insorgere di nuove conoscenze. Perciò per il benessere del cliente e il suo sviluppo professionale, l’infermiera deve tener conto delle nuove tecniche e conoscenze non appena possono essere utilizzate nell’assistenza, in particolare infermieristica.

Si stanno elaborando tecniche di determinazione della competenza, come criteri per il controllo da parte di colleghi, criteri per determinare il rendimento professionale e applicazione delle norme dell’Associazione delle Infermiere Americane sulla preparazione scolastica.

5.3. Formazione permanente per la competenza permanente — Le conoscenze infermieristiche, come nelle altre professioni mediche, sono rapidamente superate per i continui progressi tecnologici e le scoperte scientifiche, che cambiano teorie e modelli nell’erogazione dell’assistenza sanitaria e rendono più complesse le responsabilità di un’infermiera. Questa perciò deve essere conscia del bisogno di un continuo aggiornamento e ampliamento delle conoscenze su cui è basato l’esercizio della professione, mantenendo attuali le sue capacità. L’infermiera deve soddisfare il suo bisogno d’imparare utilizzando fonti appropriate, e deve essere in grado di imparare da sola.

Una tale formazione permanente è necessaria per mantenere la competenza individuale.

5.4. Responsabilità di essere competenti nei confronti della professione — Tutte le infermiere, sia che esercitino la professione, sia che insegnino, facciano ricerche o abbiano un incarico amministrativo, devono fornire prestazioni di buon livello e perciò essere a conoscenza di tutto ciò che può riguardare la loro professione.

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Eventuali progressi nella teoria e nella pratica ottenuti da un’infermiera devono essere comunicati ai suoi colleghi.

Poiché le competenze individuali variano in relazione alla preparazione scolastica, all’esperienza, al tipo e numero di clienti, se è necessario le infermiere devono consigliare al cliente un consulto con altre infermiere più esperte e di riconosciuto valore, con infermiere specializzate e con specialisti clinici.

6. L’infermiera prende decisioni solo quando è sufficientemente informata per farlo; e usa la propria competenza e qualifica come criteri per cercare consulti, accettare responsabilità e delegare attività ad altri.

6.1. Cambiamenti di funzioni — La complessità sempre maggiore dell’assistenza sanitaria e il cambiamento dei modelli della sua erogazione, il potere sempre minore che l’uomo da solo ha sulla salute, il riconoscimento che i ruoli si evolvono continuamente: per tutti questi motivi ci si aspetta o si richiede alle infermiere di espletare funzioni che sono compito dei medici. A loro volta le infermiere affidano alcune loro funzioni a personale ausiliario variamente preparato. In questo graduale passaggio di funzioni, mutando il ruolo di ogni professione, l’infermiera nel chiedere consulti, accettare responsabilità e assegnarne ad altri deve assicurarsi che i clienti ricevano sempre un’assistenza di qualità.

6.2. Norme di comportamento valide per tutti — Le norme che riguardano la professione infermieristica sono generalmente espresse con un linguaggio chiaro e comune, per fornire la necessaria libertà d’interpretazione della legge, cosicché i futuri sviluppi, le nuove conoscenze e il cambiamento dei ruoli non richiederanno continue revisioni della legge.

L’infermiera non deve compiere azioni illegali, né delegare ad altri attività proibite da altre categorie professionali sanitarie.

Il riconoscimento da parte delle infermiere del bisogno di una definizione più precisa dei ruoli e della responsabilità, tuttavia, è sfociata in tentativi di elaborazione di un regolamento che unifichi le norme di comportamento di tutte le categorie che lavorano nel campo dell’assistenza sanitaria, specificando contemporaneamente le funzioni proprie di ogni categoria, come quella delle infermiere. Tale regolamento farebbe testo in caso di

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controversie, quando le responsabilità non siano già state definite per mezzo di uno statuto legale.

6.3. Consulti — L’erogazione di assistenza a clienti, sia sani che malati, è un processo complesso che richiede un vasto campo di conoscenze e di capacità. Il lavoro di un’équipe interdisciplinare, che condivida le responsabilità, è il modo più funzionale per fornire un’assistenza completa. Le infermiere che hanno ruoli definiti, oppure nuovi e in evoluzione, devono conoscere le proprie competenze individuali. Quando le necessità dei clienti superano le loro qualifiche e competenze, le infermiere devono chiedere un consulto a una infermiera più esperta o ad altre persone qualificate. Le infermiere devono usare discrezione prima di intervenire in questioni diagnostiche o terapeutiche che esulano dal loro campo professionale. Tale discrezione deve essere basata su educazione, esperienza, parametri legali, linee di condotta e indirizzi professionali.

6.4. Accettazione di responsabilità e attività delegate — L’infermiera deve sempre rispettare i regolamenti che riguardano la sua professione prima di accettare responsabilità o delegare attività; ma anche dopo averlo fatto deve valutare con attenzione le proprie capacità prima di intraprendere qualsiasi azione. Per decidere deve richiamarsi tanto alle proprie conoscenze e alla propria adesione alle norme di condotta, quanto alle leggi che regolano la professione medica e infermieristica e alla propria coscienza professionale.

6.5. Accettazione di responsabilità — Se l’infermiera non si sente competente o adeguatamente preparata per svolgere una specifica funzione, ha il diritto e la responsabilità di rifiutarsi di eseguirla.

In tale modo sono tutelati sia l’infermiera che il cliente.

L’infermiera non deve accettare la delega di responsabilità che non riguardano capacità o competenze della sua professione, o che danneggiano l’erogazione dell’assistenza necessaria ai clienti. Poiché l’infermiera è responsabile dell’assistenza al cliente in tutto il suo campo, deve valutare le capacità di altre persone quando affida loro l’esecuzione di compiti che riguardano la porzione di assistenza di cui essa è responsabile. Non deve delegare a un collega funzioni che quella persona non è qualificata a svolgere.

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7. L’infermiera partecipa ad attività che contribuiscono all’ampliamento delle conoscenze della propria professione.

7.1. L’infermiera e la ricerca — Ogni professione deve impegnarsi in ricerche sistematiche per determinare, verificare e allargare continuamente le conoscenze su cui è basato l’esercizio della propria pratica. Un sistema organizzato di conoscenze fornisce sia i modelli, sia gli indirizzi per la professione, per le sue attività e per chi la esercita. L’accumulo delle conoscenze promuove il progresso nell’erogazione dell’assistenza, e con esso il benessere dei clienti.

Una mentalità volta alla ricerca è indispensabile perché una professione adempia i propri obblighi verso la società. Ogni infermiera può svolgere un ruolo in questo campo: come ricercatore o come partecipante alla ricerca o come fruitore dei risultati di essa.

7.2. Norme sulla partecipazione alla ricerca — Prima di partecipare alla ricerca l’infermiera ha l’obbligo:

I. di accertarsi che il progetto di studio sia stato approvato dalla competente autorità;

II. di ottenere informazioni sullo scopo e la natura della ricerca;

III. di determinare se la ricerca è compatibile con gli scopi della professione.

Una ricerca che coinvolge soggetti umani deve essere condotta da persone esperte o sotto il loro controllo. L’infermiera che partecipa alla ricerca in qualunque modo deve essere informata sui diritti propri e del cliente e sulle responsabilità, come è stabilito nelle «Norme sui diritti umani nella ricerca clinica o di altro genere per le infermiere» dell’Associazione delle Infermiere Americane.

7.3. Protezione dei diritti umani nella ricerca — I diritti umani individuali riconosciuti dalla società e dalla professione infermieristica sono stati discussi e delineati (nel suddetto opuscolo dell’Associazione delle Infermiere Americane) e sono:

il diritto alla libertà dai rischi metodologici di lesione,

il diritto all’intimità e alla dignità connessa a questi diritti,

la possibilità di ogni individuo di decidere per proprio conto di partecipare,

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il diritto ad essere informato continuamente,

la possibilità di ritirarsi senza conseguenze.

È dovere sia del ricercatore sia dell’infermiera che partecipa alla ricerca proteggere la vita, la salute e l’intimità dei soggetti umani dai rischi imprevisti e da quelli calcolati. L’integrità del soggetto, la sua intimità, i suoi diritti devono essere tutelati, in modo particolare se egli non è in grado di proteggersi da solo, per incapacità o perché è in rapporto di dipendenza dal ricercatore. La ricerca va cessata se il suo proseguimento può essere pericoloso per il soggetto.

7.4. Diritti e responsabilità nella ricerca — Le infermiere che assistono clienti i quali sono soggetti di ricerca devono sapere in anticipo come la ricerca può influenzare il trattamento del cliente, e le loro responsabilità etiche e legali verso di lui.

In questa, come in altri casi problematici, l’infermiera ha il diritto di non partecipare o di ritirarsi dalla ricerca (secondo il punto 1.4. del presente documento [indicazioni più dettagliate sui diritti e le responsabilità delle infermiere nelle attività di ricerca si trovano nell’opuscolo dell’Associazione delle Infermiere Americane citato al punto 7.2. di questo documento]).

8. L’infermiera partecipa agli sforzi della professione per migliorare e aumentare i livelli di qualità dei servizi forniti.

8.1. Responsabilità verso il pubblico — La professione infermieristica ha la responsabilità di ammettere al suo interno solo coloro che hanno dimostrato di possedere i requisiti e le competenze necessarie per l’esercizio della professione.

Sono requisiti necessari, ad esempio: un’adatta prestazione di capacità professionale, un riconoscimento accademico, interesse umanitario per gli altri, accettazione di responsabilità riguardo al proprio operato e desiderio di migliorare l’esercizio della professione.

Le infermiere che devono valutare le attitudini di uno studente, devono assicurarsi che l’obbligo della professione verso il pubblico, di ammettere al suo interno solo persone degne, sia ottemperato.

La professione infermieristica esiste per fornire assistenza a coloro che ne hanno bisogno. Le norme esistenti costituiscono modelli con cui valutare la qualità dell’assistenza fornita.

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L’infermiera ha la responsabilità di mantenere e migliorare le proprie prestazioni a livello ottimale.

8.2. Responsabilità verso la professione — L’esercizio della professione infermieristica è fondato sulla comprensione e l’applicazione delle sue norme, le quali sottintendono un insieme di conoscenze che sono alla base della professione stessa. L’Associazione delle Infermiere Americane ha stabilito norme per regolare l’esercizio della professione, le prestazioni particolari e la preparazione delle infermiere.

Ogni infermiera ha la responsabilità di applicare queste norme nel suo lavoro di tutti i giorni, partecipando agli sforzi della professione per migliorarne il suo status a livello locale, statale e nazionale.

8.3. Responsabilità verso gli studenti — Il futuro della professione infermieristica riposa su coloro che desiderano farne parte; vanno perciò mantenuti ad ottimi livelli l’esercizio della professione e la preparazione nelle scuole apposite.

Ciò comporta una responsabilità particolare per tutte quelle infermiere che lavorano nel campo dell’insegnamento.

9. L’infermiera partecipa agli sforzi della professione di stabilire e mantenere condizioni di lavoro che permettano un alto livello dell’assistenza infermieristica.

9.1. L’infermiera deve interessarsi ai problemi riguardanti il benessere economico e generale della professione. Bisogna fare discriminazioni nella selezione di personale ben preparato per assicurarsi che coloro che sono impiegati lavorino al livello ottimale.

Fornire un buon livello di assistenza è responsabilità di ogni infermiera e di tutta la professione. L’autonomia professionale e l’autoregolazione nel controllo delle condizioni di lavoro sono necessarie per migliorarle, come è sostenuto dalle organizzazioni delle infermiere.

9.2 Azione comune — La determinazione e il controllo della qualità dell’assistenza fornita sono più funzionali se eseguiti da un gruppo di persone.

Lo stesso vale per la rappresentanza delle associazioni professionali nei negoziati con i datori di lavoro, per raggiungere

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condizioni in cui si possano migliorare i livelli di esercizio della professione, ed essi siano commisurati alle qualifiche, alle funzioni e alle responsabilità delle infermiere.

I «Programmi sul benessere economico e generale dell’Associazione delle Infermiere Americane» sono il mezzo adatto con cui un’infermiera può lavorare in modo costruttivo, etico e con dignità professionale. Questo programma racchiude l’impegno al principio della contrattazione collettiva, promuove il diritto e la responsabilità di ogni infermiera di partecipare alla determinazione delle condizioni di lavoro che permettano un esercizio della professione ad alti livelli.

9.3. Azione individuale — Un’infermiera può accordarsi con singoli od organizzazioni per fornire assistenza sanitaria, purché l’accordo sia conforme alle norme dell’Associazione delle Infermiere Americane e alle leggi di ogni stato, e non permetta o costringa ad attività che violino questo codice.

10. L’infermiera partecipa agli sforzi espletati dalla professione per proteggere il pubblico da travisamenti e malintesi e per mantenere l’integrità della reputazione professionale.

10.1. Pubblicità — Un’infermiera può pubblicare avvisi che indicano la disponibilità delle sue prestazioni in modo dignitoso come:

― un biglietto da visita che indichi nome, titoli, indirizzo, numero di telefono con altri dati pertinenti;

― nome, titoli e una breve biografia in elenchi e pubblicazioni professionali di buona fama. Possono essere pubblicati i seguenti dati: nome, indirizzo, telefono, specialità o abbreviazioni, data e luogo di nascita, scuole frequentate con i voti di promozione, gradi o altre distinzioni scolastiche, funzioni esercitate, riconoscimenti pubblici o professionali, posizione nell’insegnamento, pubblicazioni, iscrizioni e partecipazioni a società professionali, abilitazioni, nomi e indirizzi di referenze.

Un’infermiera non usa alcuna forma di comunicazione pubblica o professionale per fare affermazioni autoelogiative o false, ingannevoli, travisanti, parziali o incomplete.

10.2. Uso di titoli e simboli — Il diritto di usare il titolo «Infermiera riconosciuta» è garantito da ogni stato mediante un

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esame di abilitazione come tutela per il pubblico. L’uso di questo titolo comporta la responsabilità di agire nel pubblico interesse. L’infermiera può usare questo titolo e i simboli dei gradi ottenuti, sia scolastici che di altro genere, e anche i simboli onorifici della sua professione, purché in modo legale e appropriato. Il titolo e gli altri simboli non devono essere usati ad esclusivo vantaggio dell’infermiera o di quelli che possono cercare di sfruttarli per altri scopi.

10.3. Sostegno di prodotti o servizi commerciali — L’infermiera non dà o promette appoggio a pubblicità, promozioni o vendite di prodotti o servizi commerciali, perché la sua opinione o giudizio potrebbero essere ritenuti come quelli della professione.

Poiché l’infermiera deve anche occuparsi di educazione sanitaria, informando i suoi clienti su tutto ciò che può riguardare la loro salute, non è etico utilizzare la conoscenza di specifici prodotti o servizi per pubblicizzarli in tali situazioni. Tuttavia l’infermiera deve discutere per far provare una certa parte di tali prodotti o servizi ai clienti, in modo che possano scegliere in modo consapevole.

10.4. Protezione del cliente da prodotti dannosi — L’infermiera deve avvisare i clienti del pericolo costituito dall’uso di certi prodotti. Questo è un adempimento degli obblighi professionali, se è fatto nell’interesse del cliente.

10.5. Denunce di violazioni — Non solo l’infermiera deve aderire ai principi suddetti, ma deve anche vigilare su qualunque tentativo di violazione di essi da parte di altre persone. L’infermiera deve denunciare con prontezza, usando le appropriate procedure, qualunque pubblicità o commercio che coinvolga un’infermiera, o ne sottintenda il coinvolgimento o l’appoggio. L’infermiera colpevole di tale comportamento non etico rinnega le responsabilità professionali per il proprio guadagno e mette in pericolo la confidenza e la fiducia del pubblico verso la sua professione, atteggiamenti che sono stati creati da generazioni di infermiere le quali hanno lavorato insieme nell’interesse della collettività.

11. L’infermiera collabora con membri delle professioni mediche e con altri cittadini per promuovere gli sforzi locali e nazionali

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aventi lo scopo di venire incontro ai bisogni sanitari dei cittadini.

11.1. Diritto a un ’assistenza di buon livello — La qualità dell’assistenza è un diritto di tutti i cittadini: la sua disponibilità e accessibilità per tutti richiedono però una programmazione collegiale tra responsabili della sanità e cittadini, a livello sia locale che nazionale. Curare le prestazioni infermieristiche è uno degli elementi necessari per ottenere un’assistenza sanitaria di buon livello, e le infermiere devono cercare di venire incontro alle aspettative dei cittadini.

11.2. Responsabilità verso i fruitori dell'assistenza — L’infermiera è un membro del più grande gruppo di operatori sanitari: perciò la filosofia e le mete della sua professione esercitano una notevole influenza sui fruitori della sua assistenza. Per assicurarsi che le opinioni delle infermiere sull’assistenza sanitaria e sul loro lavoro siano prese in considerazione, bisogna che esse partecipino alle decisioni politiche che le interessano.

11.3. Rapporti con altre professioni — La complessità dell’amministrazione dell’assistenza sanitaria richiede interdisciplinarità per il suo funzionamento, come pure una forte coesione di tutti i lavoratori nel campo della salute. L’infermiera deve cercare di promuovere la collaborazione necessaria per assicurare un’assistenza di qualità ad ogni individuo.

11.4. Rapporti con la professione medica — Il rapporto interdipendente tra le professioni medica e infermieristica richiede collaborazione per le necessità del cliente. Il ruolo in continua trasformazione dell’infermiera nel sistema di assistenza richiede di lavorare in collaborazione, di determinare i rapporti di lavoro, di differenziare le aree di competenza delle due professioni.

11.5. Conflitto di interessi — Infermiere che forniscono assistenza pubblica e che hanno interessi finanziari o di diverso genere in ambulatori o altri servizi devono evitare il conflitto di interessi, rifiutando di dare il voto decisivo nelle delibere che riguardano le necessità dell’assistenza sanitaria pubblica nel loro campo di interessi.

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PRINCIPI DI ETICA DELL’ASSOCIAZIONE DEI DENTISTI AMERICANI *

Sez. 1. ― Conoscenze oltre il livello minimo richiesto — Il diritto del dentista allo status professionale si basa sulle conoscenze, la capacità e l’esperienza con cui egli serve i suoi pazienti e la società. Ogni dentista ha l’obbligo di aggiornare continuamente le proprie conoscenze e capacità con un’educazione personale durante tutta la vita professionale.

Sez. 2. ― Servizio al pubblico — Il dovere primario del dentista di servire il pubblico è adempiuto col fornire il miglior tipo di prestazione di cui egli è capace e con l’evitare qualunque comportamento che getti discredito sulla professione di cui egli è membro. Nel servire il pubblico il dentista può con ragionevole discrezione scegliere i pazienti per l’esercizio della professione. Tuttavia non può rifiutarsi di accettare un paziente o negargli un servizio esclusivamente a causa della sua razza, religione, colore o nazionalità.

Sez. 3. ― Regolamento di una professione — Ogni professione riceve dalla società il diritto di autoregolamentarsi, di determinare e giudicare i propri membri. Questa autoregolazione si ottiene soprattutto per mezzo delle società professionali, e ogni dentista ha il doppio obbligo di farsi parte di una società professionale e di osservare le sue regole etiche.

Sez. 4. ― Promozione — Il dentista ha l’obbligo di fornire conoscenze ed esperienza alla società in quei campi in cui le sue qualifiche lo abilitano a parlare con competenza professionale.

* Approvati nel 1964, i Principi di Etica sono composti da 22 sezioni, più norme supplementari dell’Associazione dei Dentisti Americani.

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Il dentista dovrebbe essere nel suo ambiente sociale un promotore degli sforzi volti ad aumentare la salute della popolazione.

Sez. 5. ― Servizio d’emergenza — Il dentista ha l’obbligo, se consultato in situazioni di emergenza dal paziente di un altro dentista, di limitarsi nella cura alle cause che hanno portato all’emergenza, e di rimandare il paziente dal suo dentista, che deve essere informato delle condizioni trovate e delle cure fornite.

Sez. 6. ― Uso di personale ausiliario — Il dentista ha l’obbligo di proteggere la salute del proprio paziente non affidando a persona meno qualificata qualunque servizio od operazione che richiede la competenza professionale di un dentista. Il dentista ha l’ulteriore obbligo di organizzare e controllare il lavoro di tutto il personale ausiliario, per fornire il miglior servizio al paziente.

Sez. 7. ― Consulti — Il dentista ha l’obbligo di ricorrere ad un consulto ogni qual volta il ricorso a coloro che hanno speciali capacità, conoscenze ed esperienza, può salvaguardare o aumentare il benessere del paziente. Il consulente terrà per sé i dettagli di un consulto e non intraprenderà alcun trattamento senza il consenso del medico curante.

Sez. 8. ― Critiche giustificate e testimonianze per competenza — Il dentista ha l’obbligo di riferire all’apposito ufficio della società professionale di cui egli fa parte tutte le voci su presunti errori commessi nel trattamento, magari in modo continuativo, da un altro dentista. Accertata la fondatezza di queste voci, il benessere del paziente richiede che egli intraprenda un trattamento corretto. Il dentista può fornire una testimonianza per competenza quando essa è necessaria per un’interpretazione giusta e corretta nel corso di un’azione giudiziaria o amministrativa. Il dentista ha l’obbligo di non commentare in modo denigratorio, senza giustificazione, i servizi di un altro dentista.

Sez. 9. ― Sconti e riduzioni — Il dentista non può accettare o presentare onorari scontati o ridotti.

Sez. 10. ― Sostanze segrete e metodi esclusivi — Il dentista ha l’obbligo di non prescrivere, dispensare o promuovere l’uso di droghe o altre sostanze le cui formule complete non sono conosciute nella professione dentistica. Ha inoltre l’obbligo di non

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prescrivere o dispensare, eccetto che per limitati scopi di ricerca, qualunque agente terapeutico il cui valore non è suffragato dall’evidenza scientifica. Il dentista ha l’ulteriore obbligo di non considerare esclusiva qualunque sostanza, metodo o tecnica.

Sez. 11. ― Brevetti e marchi registrati — Il dentista ha l’obbligo di rendere disponibili i risultati del suo lavoro e le sue scoperte a tutti coloro cui siano utili per tutelare o migliorare la salute del pubblico. Brevetti e marchi registrati possono essere ottenuti dai dentisti, purché essi e il guadagno che ne deriva non siano usati per limitare la ricerca, l’esercizio della professione o i benefici che il materiale brevettato o registrato potrebbe arrecare.

Sez. 12. ― Pubblicità— La pubblicità va a svantaggio del dentista che la impiega e diminuisce il rispetto del pubblico per la professione dentistica. Il dentista ha l’obbligo di migliorare la sua reputazione esclusivamente con le prestazioni professionali ai suoi pazienti e alla società. L’uso della pubblicità, in qualunque forma, per attirare i pazienti, non è compatibile con questo obbligo.

Sez. 13. ― Biglietti, intestazioni e annunci ― Il dentista può convenientemente utilizzare attestazioni professionali, biglietti da visita e intestazioni, quando il loro stile ed enunciato sono consoni alla dignità della professione e alle consuetudini della società professionale di cui il dentista fa parte. Biglietti da visita possono essere inviati quando c’è un cambiamento di indirizzo o di qualunque altro carattere riguardante l’esercizio della professione, ma soltanto a colleghi, a membri di altre professioni mediche e ai pazienti registrati.

Sez. 14. ― Insegne nel luogo di lavoro — Il dentista può utilizzare le insegne nel luogo di lavoro, purché il loro stile ed enunciato siano cònsoni alla dignità della professione e alle consuetudini della sua società professionale.

Sez. 15. ― Uso di titoli e qualifiche professionali — Il dentista può usare i titoli o qualifiche di dottore, dentista, DDS o DMD insieme al suo nome su biglietti, intestazioni, insegne e annunci. Il dentista che possiede anche la qualifica di medico può usarla in aggiunta a quella di dentista e al suo nome su biglietti, intestazioni,

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insegne e annunci. Il dentista, abilitato da uno degli uffici nazionali come specialista e riconosciuto dall’Associazione dei Dentisti Americani, può usare il titolo «riconosciuto» vicino all’indicazione della sua specialità su biglietti, intestazioni e annunci, se tale uso è compatibile con le consuetudini della società professionale di cui il dentista fa parte. Il dentista non può usare il proprio titolo o qualifica per la promozione di qualunque iniziativa commerciale. L’uso del proprio nome per appoggiare farmaci, sostanze terapeutiche, strumenti o applicazioni deve essere in genere scoraggiato.

Sez. 16. ― Educazione sanitaria del pubblico — Il dentista può partecipare a programmi di educazione sanitaria del pubblico che coinvolgono mezzi come stampa, radio, televisione e conferenze, purché tali programmi non vadano contro la dignità e le consuetudini della società professionale di cui il dentista fa parte.

Sez. 17. ― Contratti riguardanti l’esercizio della professione — Il dentista può accordarsi con individui od organizzazioni per fornire cure, purché l’accordo non permetta o costringa a pratiche che violino questi «Principi di Etica».

Sez. 18. ― Restrizioni di esercizio della professione — Solo il dentista che limiti l’esercizio della professione a un’area esclusiva tra quelle approvate dall’Associazione dei Dentisti Americani, può dare notizia di ciò in biglietti, avvisi, intestazioni ed elenchi di annuari, rispettando le consuetudini della sua società professionale: purché al momento della pubblicazione egli sia in possesso dei requisiti e delle prerogative richieste dalla suddetta Associazione ai suoi membri che desiderano limitare l’esercizio della professione. Secondo le regole etiche stabilite, i dentisti non devono dichiarare o far pensare di possedere prerogative che non hanno, e l’uso di termini come «specialista in» negli annunci, in biglietti e intestazioni o elenchi di annuari deve essere scoraggiato. L’uso del termine «prestazioni limitate a» è preferibile.

Il dentista che usa la propria credibilità per proclamarsi specialista e far credere al pubblico che i servizi specialistici resi nel proprio gabinetto dentistico siano forniti da specialisti eticamente qualificati quando non è vero, può essere accusato di condotta non etica.

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Lo specialista ha il dovere di evitare che il pubblico possa pensare che i colleghi non specializzati che lavorano con lui siano eticamente qualificati ad annunciarsi come specialisti.

Sez. 19. ― Annuari — Il dentista può permettere la collocazione del proprio nome in un elenco, purché tutti i dentisti in simili circostanze ne abbiano ugualmente la possibilità e tale elenco sia cònsono nello stile e nel testo alle consuetudini della società professionale di cui egli fa parte.

Sez. 20. ― Denominazioni nell’esercizio della professione — Il nome sotto cui il dentista esercita la sua professione può influenzare la scelta del paziente. L’uso di un nome commerciale o di uno fittizio potrebbe ingannare il profano riguardo all’identità, alla responsabilità e allo status di coloro che praticano sotto di esso. Il dentista eserciterà la professione solo sotto il proprio vero nome, o sotto il nome del dentista che lo impiega nel suo studio, sotto il nome di una società composta solo dal nome di uno o più dentisti che esercitano nello stesso ufficio, oppure sotto il nome di una società composta dal nome di uno o più dentisti che lavorano per essa nello stesso ufficio.

L’uso del titolo di dentista non più associato all’esercizio della professione può essere continuato per non più di un anno.

L’uso dei nomi dei dentisti negli annuari è regolato dalla sezione 19.

Sez. 21. ― Denominazioni societarie — Il dentista può esercitare la professione sotto il nome di una società.

Sez. 22. ― Procedure in giudizio — I problemi che riguardano questioni etiche devono essere risolti a livello locale nell’ambito degli ampi limiti fissati da questi «Principi di Etica» e interpretando il codice etico della società professionale di cui si fa parte. Se non si riesce a prendere una decisione soddisfacente, la questione deve essere riproposta in appello alla società di cui si fa parte e al competente ufficio dell’Associazione dei Dentisti Americani, come prevedono le norme della stessa associazione.

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CODICE ETICO DELL’ASSOCIAZIONE DEI FARMACISTI AMERICANI *

Preambolo — Questi principi di comportamento professionale dei farmacisti sono stati stabiliti per guidarli nei loro rapporti con i pazienti con i colleghi, con le altre categorie professionali e con il pubblico.

Sez. 1. ― Il farmacista deve anteporre a ogni altra considerazione la salute e la sicurezza dei pazienti, e deve fornire a ognuno il meglio delle sue capacità, per l’importanza del suo ruolo nel campo della salute.

Sez. 2. ― Il farmacista non deve mai promuovere o distribuire farmaci o altri preparati medici che non siano di buona qualità, che non possiedano i requisiti richiesti dalla legge o che manchino di efficacia terapeutica per il paziente, né deve permettere che ciò avvenga.

Sez. 3. ― Il farmacista deve sforzarsi sempre di migliorare e ampliare le proprie conoscenze professionali, deve utilizzarle e metterle a disposizione, se gli è richiesto, secondo il proprio giudizio professionale.

Sez. 4. ― Il farmacista deve rispettare la legge, mantenere l’integrità e l’onore della professione e accettarne i principi etici. Non deve impegnarsi in alcuna attività che porti discredito alla professione, e deve denunciare senza timori o indulgenze casi di condotta illegale o non etica nell’esercizio della professione.

Sez. 5. ― Il farmacista deve sempre chiedere una remunerazione giusta e ragionevole per i suoi servizi. Non deve mai partecipare

* Adottato nel 1969.

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o accordarsi per farlo, a transazioni con altri professionisti, o comunque con altre persone, per condividere le remunerazioni, onde evitare lo sfruttamento economico o di altro genere delle sue prestazioni.

Sez. 6. ― Il farmacista deve rispettare la natura personale e confidenziale delle proprie registrazioni e non dovrebbe fornire informazioni ad alcuno senza precisa autorizzazione del paziente, eccetto nei casi in cui lo richiedano la legge o l’interesse del paziente.

Sez. 7. ― Il farmacista non deve accettare di esercitare una pratica professionale con clausole o condizioni che interferiscono o impediscono il corretto esercizio del giudizio e delle capacità richieste dalla professione, quando ciò causi un deterioramento della qualità del suo servizio o gli richieda di consentire a una condotta non etica.

Sez. 8. ― Il farmacista non deve incrementare l’esercizio della sua professione con mezzi pubblicitari o con metodi incompatibili con la tutela della sua reputazione professionale, ma mediante il servizio ai pazienti e alla società.

Sez. 9. ― Il farmacista deve far parte delle organizzazioni che si prefiggono il miglioramento della sua professione, contribuendo col suo tempo e col suo denaro al raggiungimento dello scopo che si prefiggono queste organizzazioni.

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PRINCIPI DI ETICA MEDICA

E LORO APPLICAZIONI ALLA PSICHIATRIA:

ASSOCIAZIONE DEGLI PSICHIATRI AMERICANI *

Sez. 1. ― L’obiettivo principale della professione medica è di servire l’umanità rispettando la dignità di ogni individuo. I medici devono guadagnarsi la fiducia del paziente affidato alle loro cure lavorando con il massimo dell’attenzione e dell’impegno.

Il paziente può riporre fiducia nel suo psichiatra, sapendo che i principi etici e le responsabilità della sua professione gli vietano di soddisfare le sue necessità sfruttando il paziente. Ciò è estremamente importante, tenuto conto della natura essenzialmente privata, personale ed emozionale dei rapporti stabiliti tra paziente e psichiatra.

La norma per cui il medico «deve condursi in modo appropriato nella sua professione e in tutte le occasioni della sua vita» è particolarmente importante nel caso dello psichiatra, poiché il paziente tende a modellare per identificazione il suo comportamento su quello di chi lo sta curando. Inoltre la necessaria intensità del rapporto terapeutico può far insorgere bisogni sessuali o di altro genere e fantasie da parte sia del paziente che dello psichiatra, mentre va indebolendosi la capacità di controllo.

Non è corretto avere rapporti sessuali con un paziente. Lo psichiatra deve accuratamente guardarsi dallo sfruttare informazioni fornite dal paziente e non deve usare quella specie di potere conquistato grazie alla situazione psicoterapeutica per influenzare il paziente in qualunque modo, a meno che non sia giustificato dagli scopi del trattamento. I medici generalmente

* Gli psichiatri americani hanno accettato come codice etico i «Principi di Etica Medica» dell’A.M.A. (Associazione dei Medici Americani). Nel 1973 l’Associazione degli Psichiatri Americani ha preparato delle note che integrano i «Principi», alla luce dei particolari problemi incontrati nell’esercizio della professione psichiatrica.

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ritengono che il rapporto medico/paziente è un fattore così importante nel trattamento del malato, che su tutte le altre considerazioni dovrebbe avere la precedenza il mantenimento di condizioni ottimali per lo sviluppo di una relazione «di lavoro» tra medico e paziente. Essere troppo cortesi può rendere inutile l’assistenza psichiatrica fornita a medici o alle loro famiglie* per l’imbarazzo causato dalla mancanza di un accordo sul dare/avere.

Sez. 2.― I medici devono continuamente aumentare le loro conoscenze e capacità e mettere a disposizione dei loro pazienti e dei colleghi i benefici della loro esperienza professionale.

Gli psichiatri sono responsabili della loro educazione e devono essere coscienti del fatto che la loro vita deve trascorrere nell’apprendimento continuo.

Sez. 3. Il medico deve utilizzare metodi di cura basati su fondamenti scientifici e non deve desiderare di associarsi nell’esercizio della professione con chiunque violi questo principio.

Sez. 4. ― La professione medica deve tutelare il pubblico e se stessa contro medici mancanti di dirittura morale o competenza professionale. I medici devono rispettare tutte le leggi, mantenendo la dignità e l’onore della professione, e accettare la regolamentazione auto-imposta. Devono denunciare senza esitazioni casi di condotta illegale o scorretta di individui membri della professione. Sembrerebbe evidente che uno psichiatra che va contro la legge non può eticamente essere abile ad esercitare la sua professione. Quando le attività illegali commesse riguardano l’esercizio della professione medica, questo è scontato. Tuttavia in alcuni casi attività illegali, come quelle riguardanti il diritto di protestare contro ingiustizie sociali, non possono ripercuotersi sulla reputazione dello psichiatra e sulla sua capacità di trattare in modo corretto ed etico i suoi pazienti.

Mentre nessun comitato o ufficio può assicurare che un’attività illegale non sia considerata non etica, è possibile che un individuo violi la legge senza essere colpevole di comportamento non etico professionalmente. I medici non perdono i loro diritti di cittadini entrando a far parte della loro professione.

Uno psichiatra che abitualmente esercita oltre la sua area di competenza professionale si comporta in modo scorretto. La determinazione della competenza professionale deve essere compiuta

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da colleghi con le stesse qualifiche dell’esaminato o da altri organismi competenti.

A parte vanno considerati quegli psichiatri che per malattia di mente mettono a repentaglio il benessere dei loro pazienti e la loro reputazione. In tali casi è permesso a un altro psichiatra di intervenire a loro favore.

Sez. 5. ― Il medico può scegliere i suoi pazienti. In caso di emergenza, tuttavia, deve dare il meglio di sé a chiunque lo richieda. Se ha cominciato a curare un paziente, non può abbandonarlo, e finché non ha terminato la cura può lasciare il malato solo dopo averlo avvisato.

Non deve cercare di attirare i pazienti. Uno psichiatra non deve appartenere a un partito politico che sostenga l’apartheid, la segregazione o non riconosca la dignità di qualunque paziente a causa della sua origine etnica, razza, sesso, religione, età o condizioni socio-economiche.

Sez. 6. ― Il medico non deve fornire le sue prestazioni sotto clausole o condizioni che interferiscano o rendano impossibile il libero e completo esercizio della sua professione, e perciò causino un peggioramento della qualità delle sue prestazioni.

L’esercizio della professione medica regolato da contratto indica che vi è un accordo tra medico o un gruppo di medici, come dirigenti o impiegati, e una società, o organizzazione, movimento politico o individuo, per cui le prestazioni mediche sono parzialmente o del tutto fornite a un gruppo o classe di individui con pagamenti sotto forma di onorario, di cottimo, o di quota fissa per paziente. Tale organizzazione non è di per sé scorretta; lo diventa se permette caratteristiche o condizioni di esercizio della professione che sono dichiarate non etiche in questi «Principi di Etica Medica», oppure se il contratto o qualunque delle sue clausole causano il peggioramento della qualità delle cure mediche fornite. Non è il contratto in sé che costituisce un problema, ma il fatto che il medico non sia libero da interferenze estranee nell’esercizio della sua professione: è questa libertà che, in ultima analisi, determina l’eticità della situazione e la possibilità che ha il medico di fornire una prestazione di buona qualità.

Nei rapporti tra psichiatri e psicologi abilitati, il medico non deve delegare allo psicologo o a qualunque persona non laureata

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in medicina questioni che richiedono l’esercizio del giudizio professionale di medico. Quando lo psichiatra assume il ruolo di collaboratore o supervisore di persone che lavorano nel suo campo, deve assicurarsi che sia fornita da parte loro un’assistenza corretta. È contrario agli interessi del paziente e alla sua terapia che lo psichiatra permetta di essere usato come copertura per il lavoro di altri.

Nell’esercizio della sua professione lo psichiatra consulta, associa, collabora o integra il suo lavoro con quello di molti altri professionisti, come psicologi, psicometristi, assistenti sociali, assistenti degli alcolisti, assistenti matrimoniali, infermiere ecc. Inoltre la moderna professione psichiatrica estende i suoi contatti a insegnanti, sorveglianti di detenuti giovani e adulti, procuratori, impiegati di enti assistenziali, volontari.

Nell’affidare pazienti per terapie, consulti o riabilitazione a persone che fanno parte delle suddette categorie, lo psichiatra deve assicurarsi che il professionista o para-professionista con cui egli lavora sia un membro riconosciuto della sua disciplina e sia competente a fornire la prestazione terapeutica richiesta. Lo psichiatra deve comportarsi allo stesso modo nei riguardi di membri della professione medica cui egli affida dei pazienti. Se ha ragione di dubitare della preparazione, capacità o dirittura morale di un suo collega, non deve affidargli nessun caso.

Lo psichiatra non deve nemmeno concedere l’approvazione della sua specialità e affidare pazienti a persone, gruppi o programmi di trattamento con cui egli non ha familiarità, specialmente se il loro lavoro è basato solo su teorie e non su conferme e risposte scientifiche.

Secondo i requisiti richiesti dalla legge e dalle norme professionali, è corretto che un medico sottoponga il suo lavoro al controllo di suoi colleghi e al parere definitivo del consiglio esecutivo dei medici, dell’amministrazione dell’ospedale o del suo ufficio amministrativo.

Sez. 7. ― Nell’esercizio della sua professione il medico deve limitare le fonti del suo reddito alle prestazioni fornite ai pazienti curati da lui o sotto il suo controllo. Il suo onorario deve essere commisurato ai servizi resi e alla possibilità che il cliente ha di pagare. Non deve nemmeno pagare o ricevere denaro per affidamento di pazienti.

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Farmaci, terapie o applicazioni devono essere dispensati o amministrati dal medico, che deve sempre tener presente il reale interesse del paziente. Lo psichiatra può anche ricevere redditi da incarichi amministrativi, d’insegnamento, ricerca, educazione e consulti. I servizi psichiatrici, come tutti i servizi medici, sono dispensati nell’ambito di un contratto tra il paziente e il medico curante. I termini di questo accordo, che sono impegnativi per il medico come per il paziente, devono essere chiaramente stabiliti. È corretto per lo psichiatra far pagare una penale per un appuntamento mancato quando ciò sia compreso nei termini del contratto con il paziente.

Sez. 8. ― Il medico deve chiedere consulti: se gli è richiesto, nei casi dubbi o difficili, quando appare chiaro che la qualità del servizio medico possa essere migliorata.

Lo psichiatra deve accettare la richiesta di un consulto da parte di un paziente, oppure della famiglia per un paziente incapace o minorenne. Lo psichiatra può consigliare possibili consulenti, ma il paziente o la famiglia devono avere libera possibilità di scelta. Se lo psichiatra disapprova le qualifiche professionali del consulente, o se c’è una differenza di opinioni tra loro, egli può, dopo aver avvisato il paziente, abbandonare il caso. Se questo disaccordo riguarda i membri di una medesima istituzione o struttura, le divergenze devono essere risolte dalla mediazione o arbitrato della più alta autorità professionale dell’istituzione o struttura per cui essi lavorano.

Sez. 9. ― Un medico non può rivelare le confidenze ricevute nell’esercizio della professione o le deficienze caratteriali che ha rilevato nei suoi pazienti, a meno che gli sia richiesto dalla legge o diventi necessario per proteggere il benessere dell’individuo o della società.

Su tutti i dati posseduti da uno psichiatra riguardo a un paziente, compresa anche la sua identificazione come paziente, deve essere mantenuto il più stretto riserbo. La confidenza è essenziale per il trattamento psichiatrico, che è basato sia su uno speciale tipo di terapia, come sul tradizionale rapporto etico medico/paziente.

L’accento posto oggi sulla rivendicazione dei diritti dei cittadini come pazienti e sui possibili danni causati dalla computerizzazione, duplicazione e dalle banche-dati rende la distribuzione

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di informazioni riservate un rischio crescente per il medico.

La natura privata e delicata delle informazioni con cui lo psichiatra ha a che fare lo obbliga ad essere prudente nella scelta delle informazioni da fornire ad altri riguardo un suo paziente. Il benessere del paziente deve essere continuamente tenuto in considerazione.

Lo psichiatra può rilasciare informazioni confidenziali solo con l’autorizzazione del paziente o per uno specifico obbligo legale. Il dovere continuo dello psichiatra di proteggere il paziente include anche il dovere di informarlo delle implicazioni che può avere il concedere informazioni riservate. Ciò può diventare un problema quando il paziente è sotto inchiesta federale o sta cercando di ottenere un incarico o è coinvolto in un’azione legale.

Gli stessi principi vanno applicati nella concessione di informazioni, riguardanti le terapie, alle sezioni mediche degli uffici governativi, organizzazioni commerciali, sindacati e compagnie di assicurazione.

Notizie ottenute in confidenza da pazienti esaminati nel servizio di medicina preventiva scolastica non devono essere divulgate senza un’esplicita autorizzazione dello studente.

Materiale clinico o di altro genere usato per l’insegnamento e le pubblicazioni deve essere utilizzato in modo corretto per preservare l’anonimato degli individui coinvolti.

La responsabilità etica di mantenere il riserbo è la stessa anche per quei consulti in cui il paziente non è presente e in cui il consulente non è un medico. In tali casi il medico deve avvertire la persona che consulta del suo obbligo di mantenere il riserbo. Dal punto di vista etico il medico può fornire solo le informazioni necessarie a una data situazione. Deve evitare offerte speculative.

Informazioni delicate — come quelle che riguardano l’orientamento o le fantasie sessuali di un individuo — di solito non è necessario fornirle. Agli psichiatri è spesso richiesto di esaminare individui per scopi di sicurezza, per determinare le attitudini a diverse professioni e le capacità legali. Lo psichiatra deve descrivere completamente la natura, lo scopo e la mancanza di riservatezza della sua consulenza all’esaminato prima di cominciarla.

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Gli psichiatri possono trovare a volte necessario, per proteggere il paziente o la società da un pericolo imminente, rivelare notizie riservate fornite dal paziente.

Lo psichiatra deve fare attenzione a includere, se è il caso, i genitori nel trattamento di un minore, di cui nello stesso tempo lo psichiatra deve assicurarsi la confidenza.

Quando un tribunale ordina allo psichiatra di rivelare confidenze fattegli da pazienti, egli può protestare o può far valere il suo diritto di dissentire, nei limiti permessi dalla legge.

Se lo psichiatra è in dubbio, deve dare la precedenza al diritto del paziente alla riservatezza su ciò che lo riguarda e a un trattamento non compromesso da complicazioni.

Lo psichiatra deve riservarsi il diritto di sollevare una questione sull’effettiva necessità delle rivelazioni. Nel caso che tale necessità sia dimostrata dal tribunale, lo psichiatra può rivendicare il diritto di rivelare solo le informazioni necessarie all’azione legale.

Sez. 10. ― Gli onorati ideali della professione medica sottintendono che le responsabilità del medico non concernono solo il singolo ma anche la società, per quanto può riguardare l’interesse e la partecipazione della professione in attività che hanno lo scopo di migliorare sia la salute che il benessere dell’individuo e della società.

Gli psichiatri devono incoraggiare la collaborazione di tutti coloro che sono interessati agli aspetti medici, psicologici, sociali e legali della salute e malattia mentale.

Gli psichiatri sono invitati a servire la società anche informando e fornendo consigli alle strutture esecutive, legislative e giudiziarie del governo.

Lo psichiatra deve chiarire se parla come individuo o come rappresentante di una organizzazione. Inoltre gli psichiatri devono evitare di rovinare la loro reputazione coinvolgendo quella della professione.

Gli psichiatri possono spiegare e mettere a disposizione del pubblico la loro esperienza sui vari problemi psico-sociali che riguardano la malattia e la salute mentale.

Gli psichiatri devono sempre essere consapevoli della diversità dei loro ruoli di cittadini impegnati e di esperti in medicina psicologica.

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A volte si richiede agli psichiatri di dare un’opinione su un individuo che è al centro della pubblica attenzione o che ha dato informazioni su di sé attraverso i mass media.

Non è corretto per uno psichiatra emettere una diagnosi senza aver effettuato un esame e senza l’autorizzazione per farlo.

Lo psichiatra non deve permettere che le sue diagnosi siano usate per incriminare involontariamente una persona, eccetto quando ciò sia chiaramente necessario per proteggere il paziente o gli altri dalle sue azioni.

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NORME ETICHE DELL’ASSOCIAZIONE DEGLI PSICOLOGI AMERICANI*

Lo psicologo crede nella dignità e nell’importanza dell’essere umano. Ha il compito di aumentare la conoscenza che l’uomo ha di se stesso e degli altri. Mentre persegue questo scopo deve proteggere il benessere di chi chiede i suoi servizi o di chiunque, uomo o animale, sia oggetto del suo studio.

Non usa la sua posizione professionale o le sue relazioni, né permette che le sue prestazioni siano usate da altri per scopi inconciliabili con questi valori.

Mentre richiede per sé libertà, ricerca e comunicazione, accetta le responsabilità che questa libertà gli comporta: di essere competente nel suo campo, di onestà scientifica nel riferire le sue ricerche, di considerare sempre gli interessi dei suoi colleghi e della società.

PRINCIPI

1. Responsabilità — Lo psicologo, che deve aumentare la conoscenza che l’uomo ha di se stesso, tiene in grande considerazione l’obiettività e l’integrità professionale e fornisce sempre le migliori prestazioni possibili.

a) Come scienziato, lo psicologo sa di essere più utile alla società se la sua ricerca riguarda un argomento di rilevante necessità, organizza la sua ricerca in modo tale da minimizzare la possibilità

* L’A.P.A. (Associazione degli Psicologi Americani) ha adottato questi 19 principi nel 1963, con successive modifiche e aggiunta di norme esplicative nel 1965 e 1972.

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che i risultati di essa siano fuorvianti e pubblica resoconti completi del suo lavoro, sempre corredati da dati esplicativi che possono modificare l’interpretazione dei risultati.

b) Come insegnante, lo psicologo ha l’obbligo di aiutare gli altri ad acquisire conoscenze e capacità e a mantenere alto il livello scientifico.

c) Come professionista, lo psicologo sa di avere una pesante responsabilità sociale, poiché il suo lavoro può coinvolgere la vita delle altre persone nella loro intimità.

2. Competenza — Il mantenimento di alti livelli di competenza professionale è una responsabilità di tutti gli psicologi, nell’interesse sia del pubblico che della loro professione.

3. Norme legali ed etiche — Lo psicologo deve rispettare, nell’esercizio della sua professione, i codici sociali e le aspettative morali dell’ambiente in cui lavora, riconoscendo che le violazioni, da parte sua, delle norme morali e legali comunemente accettate possono coinvolgere i suoi clienti, studenti o colleghi in spiacevoli conflitti personali e danneggiano la reputazione sua e della sua professione.

4. Qualificazioni scorrette — Lo psicologo evita dichiarazioni scorrette sulle proprie qualifiche, attività e scopi professionali e su quelli dell’organizzazione o istituzione per cui lavora.

5. Dichiarazioni pubbliche — Modestia, cautela scientifica e riguardo dovuto ai limiti delle conoscenze attuali contraddistinguono il comportamento degli psicologi che forniscono in qualsiasi maniera informazioni al pubblico.

6. Riservatezza — Tutelare informazioni riguardanti persone, ottenute durante l’insegnamento, la pratica o la ricerca, è un altro importante obbligo dello psicologo. Tali informazioni non devono essere comunicate ad altri se non sono rispettate alcune importanti condizioni.

a) Informazioni ricevute in confidenza devono essere rivelate solo dopo attenta considerazione e quando vi è un chiaro e immediato pericolo per un individuo o la società; nel caso, vanno rivelate solo a professionisti competenti o alle autorità pubbliche.

b) Informazioni ottenute in relazioni cliniche o consulti, o

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dati di valutazione di bambini, studenti, impiegati e altri, sono discussi solo a scopi professionali e solo con persone interessate al caso. Relazioni scritte e orali devono presentare solo dati che riguardano lo scopo della valutazione; si devono evitare indebite invasioni nell’intimità personale degli individui.

c) Materiali clinici o di altro tipo vanno usati nell’insegnamento e per le pubblicazioni solo quando l’identità delle persone coinvolte è adeguatamente mascherata.

d) La riservatezza delle comunicazioni professionali che riguardano persone deve essere tutelata. Solo quando l’interessato e le altre persone coinvolte dànno il loro esplicito permesso, può essere comunicata un’informazione riservata. Lo psicologo ha la responsabilità di informare il cliente dei limiti del suo obbligo di riservatezza.

e) Solo dopo esplicito permesso può essere pubblicata l’identità dei soggetti di una ricerca. Quando sono pubblicati senza permesso, lo psicologo si assume la responsabilità di mascherare adeguatamente le fonti.

f) Lo psicologo deve prendere misure per tutelare la riservatezza dei dati in suo possesso, curandone la loro registrazione e archiviazione.

7. Benessere del cliente — Lo psicologo rispetta l’integrità e protegge il benessere della persona o gruppo col quale sta lavorando.

a) Lo psicologo in un’industria, in una scuola e altre situazioni in cui possono sorgere conflitti di interesse tra diverse categorie, come tra imprenditori e lavoratori o tra il cliente e il datore del lavoro dello psicologo, stabilisce i limiti e il significato delle sue responsabilità e informa le parti interessate di questi suoi impegni.

b) Quando vi è conflitto tra professionisti, lo psicologo deve badare prima al benessere dei clienti coinvolti e solo in secondo luogo all’interesse del suo gruppo professionale.

c) Lo psicologo deve concludere un rapporto clinico o un consulto quando ritiene che il cliente non ne tragga alcun beneficio.

d) Lo psicologo che chiede a un individuo di fornire informazioni personali nel corso di un colloquio, test o valutazione, o che permette che tali informazioni gli siano fornite, deve accertarsi che la persona sia consapevole degli scopi del colloquio,

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del test o della valutazione cui sta partecipando, e dei modi in cui le sue informazioni possono essere usate.

e) Nel caso in cui il paziente passi da uno psicologo a un altro, le responsabilità che lo psicologo ha verso il benessere del paziente continuano finché non sono assunte dal professionista cui il paziente è affidato o finché il rapporto col paziente non è concluso in reciproco accordo. Nelle situazioni in cui sono indicati un affidamento, un consulto o altri cambiamenti delle condizioni del trattamento, e il cliente le rifiuta, lo psicologo deve valutare il danno che potrebbe derivarne al cliente, a se stesso e alla sua professione dalla continuazione del rapporto terapeutico.

f) Lo psicologo che richiede tests a scopi didattici, di classificazione o di ricerca, deve proteggere l’esaminato assicurandogli che i tests e i loro risultati saranno usati in modo professionalmente corretto.

g) Quando viene presentato a studenti il caso di un soggetto potenzialmente disturbante, deve essere discusso obiettivamente e si deve cercare di appianare tutte le difficoltà insorte.

h) Bisogna assicurare condizioni appropriate per il lavoro clinico, per proteggere sia il cliente che lo psicologo da danni concreti o presunti e la professione da critiche.

g) Nell’uso di farmaci permessi a scopi terapeutici, lo psicologo deve assicurarsi che il medico con cui collabora adotti appropriate misure di tutela del suo cliente.

8. Relazioni coi clienti — Lo psicologo informa il suo probabile cliente su tutto ciò che può influenzare la di lui decisione di usufruire delle sue prestazioni.

a) Possono ad esempio influenzare la decisione del cliente: la registrazione dei colloqui e il loro uso come materiale di supervisione e l’osservazione dei colloqui da parte di altre persone.

b) Quando il cliente non è in grado di valutare la situazione (se ad es. è un bambino), tutte le informazioni devono essere fornite alla persona che è responsabile per lui.

c) Lo psicologo non intraprende relazioni professionali con membri della propria famiglia, intimi amici, persone in stretti rapporti con lui o altri il cui benessere può essere messo in pericolo dalla particolare natura della situazione terapeutica.

9. Prestazioni impersonali — Le prestazioni dello psicologo

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a scopo di diagnosi, terapia o consiglio personale sono fornite solo nel contesto di una relazione professionale, e non mediante conferenze o dimostrazioni pubbliche, articoli su quotidiani e periodici, programmi radiofonici e televisivi, posta o mezzi consimili.

10. Pubblicità — Lo psicologo tiene conto delle norme professionali, più che di quelle commerciali, per far conoscere la sua disponibilità per prestazioni professionali.

11. Relazioni interprofessionali — Lo psicologo agisce con integrità verso i colleghi psicologi e di altre professioni.

12. Onorano — Le questioni economiche sono risolte con l’applicazione delle norme professionali, che tutelano gli interessi del cliente e del professionista.

13. Sicurezza dei tests — Tests psicologici e altri mezzi di valutazione, il valore dei quali dipende dal fatto che il soggetto si trovi in condizioni non artificiali, non sono riproducibili o descrivibili in pubblicazioni e in modi che possono invalidare le tecniche usate. L’accesso a tali mezzi di valutazione deve essere limitato alle persone interessate per scopi professionali, che a loro volta ne devono tutelare l’utilizzazione.

14. Interpretazione dei tests — I punteggi dei tests, come il materiale di essi, sono forniti solo a persone qualificate a interpretarli e a usarli in modo corretto.

15. Pubblicazione di tests — Tests psicologici sono forniti per pubblicazioni commerciali solo agli editori che garantiscano di presentarli in modo professionale e li distribuiscano solo a utenti qualificati.

16. Precauzioni nella ricerca — Lo psicologo si assume la responsabilità del benessere dei suoi soggetti di ricerca, sia uomini che animali. La decisione di intraprendere una ricerca deve essere basata su un giudizio ponderato dello psicologo su ciò che sia meglio per contribuire alla scienza psicologica e al benessere dell’umanità.

Lo psicologo responsabile cerca direzioni alternative verso cui indirizzare energie e risorse personali. Dopo aver deciso l’argomento, lo psicologo deve stabilire il programma della sua ricerca,

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che rispecchi la dignità e il benessere delle persone che vi partecipano. I principi che seguono esplicitano le responsabilità etiche del ricercatore verso i partecipanti durante tutto il corso della ricerca, ivi compresa anche quella di tutelare la riservatezza dei dati ottenuti.

a) Nel progettare uno studio il ricercatore ha la responsabilità di effettuare un’attenta valutazione della sua eticità, considerando questi principi per la ricerca su esseri umani. Se il risultato di questa valutazione, che tiene conto di valori umani e scientifici non è conforme a qualche principio etico, il ricercatore ha l’obbligo sempre più stretto di conciliare etica e ricerca e di tutelare maggiormente i diritti dei partecipanti a questa ricerca sull’uomo.

b) Ogni ricercatore ha la responsabilità di stabilire e mantenere un comportamento etico nella ricerca. È anche responsabile del trattamento usato verso i partecipanti alla ricerca da parte dei suoi collaboratori, assistenti, studenti e impiegati, i quali, comunque, hanno i medesimi obblighi.

c) Un corretto esercizio della professione richiede che il ricercatore psicologo informi i soggetti di una ricerca su tutto ciò che può influenzare la loro decisione di partecipare, e spieghi ogni altro aspetto della ricerca che essi desiderino conoscere. Se queste informazioni non vengono fornite, aumenta la responsabilità del ricercatore di proteggere il benessere e la dignità dei partecipanti alla ricerca.

d) Franchezza e onestà devono essere le caratteristiche del rapporto tra ricercatore e partecipante alla ricerca. Quando il metodo di ricerca prescelto richiede occultamenti o inganni, il ricercatore deve far conoscere ai partecipanti le ragioni di tali azioni e rinsaldare i rapporti con loro.

e) Una corretta metodologia di ricerca vuole che il ricercatore rispetti la libertà che ognuno ha di rifiutare la sua partecipazione a una ricerca o di ritirarla in qualunque momento. L’obbligo che ha il ricercatore di proteggere questa libertà va ottemperato soprattutto quando egli viene ad avere una posizione di potere rispetto ai partecipanti alla ricerca.

La decisione di limitare questa libertà di partecipazione aggrava le responsabilità del ricercatore di proteggere la dignità e il benessere dei partecipanti alla sua ricerca.

f) Un corretto metodo di ricerca prevede che si stabilisca un

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chiaro e onesto accordo tra il ricercatore e il partecipante alla ricerca, che determini le responsabilità di ciascuno. Il ricercatore ha l’obbligo di onorare ogni promessa e ogni mandato inclusi in quell’accordo.

g) Un ricercatore corretto protegge i partecipanti alla ricerca da ogni sofferenza, danno e pericolo sia fisici che mentali. Se il rischio di tali conseguenze esiste, il ricercatore ne deve informare i partecipanti, e assicurarsene il consenso prima di cominciare la ricerca, e deve prendere tutte le misure possibili per ridurre al minimo il disagio. Non può essere usato un metodo di ricerca che causi danni seri o permanenti ai partecipanti ad essa.

h) Dopo aver ottenuto i dati desiderati, un ricercatore corretto deve spiegare ai partecipanti-soggetti la completa natura dello studio compiuto e deve fugare tutti i malintesi che possono essere insorti. Se il valore scientifico o umano dei risulati ottenuti giustifica il fatto di posticipare o non fornire le informazioni suddette, il ricercatore deve assicurarsi che la partecipazione alla ricerca non abbia conseguenze dannose per nessuno dei partecipanti.

i) Se la partecipazione alla ricerca ha spiacevoli conseguenze per i soggetti di essa, il ricercatore ha la responsabilità di scoprire ed eliminare queste conseguenze, inclusi, se rilevanti, gli effetti a lungo termine.

j) Informazioni ottenute dai partecipanti alla ricerca nel corso di essa sono riservate. Se esiste la possibilità che altri possano venirne a conoscenza, la correttezza della ricerca richiede che ne vengano informati gli interessati, insieme alle misure previste per evitare ciò, come parte integrante delle procedure per ottenere il consenso informato di un individuo alla partecipazione a una ricerca.

k) Lo psicologo che usa animali nella ricerca deve aderire alle norme stabilite al riguardo dall’«Associazione degli Psicologi Americani».

l) Ricerche su soggetti umani svolte usando farmaci sperimentali (ad es. allucinogeni, psicotomimetici, psichedelici o simili) devono essere condotte solo in ambienti attrezzati, come cliniche, ospedali o istituti di ricerca, tutelando continuamente nel modo adatto i soggetti degli esperimenti.

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17. Attribuzione delle pubblicazioni — Le pubblicazioni vanno attribuite a coloro che vi hanno contribuito, in proporzione al loro contributo, e solo ad essi.

18. Responsabilità verso le organizzazioni — Lo psicologo rispetta i diritti e la reputazione dell’istituto od organizzazione per cui lavora.

19. Attività promozionali — Lo psicologo associato con lo sviluppo o la promozione di strumenti, libri o altri prodotti offerti in vendita, che riguardano la sua professione, deve assicurarsi che siano pubblicizzati in modo professionale e veritiero.

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INDICE

Presentazione (di Francesco Introna)

Introduzione:

Diritti e doveri in campo bio-medico (di Sandro Spinsanti)

Sezione I — Documenti dell’eredità storica

19 1. Giuramento di Ippocrate

21 2 Preghiera quotidiana del medico (Mosè Maimonide)

24 3. Giuramento di Asaph

27 4. Un codice islamico (Kholasah al Hekmah)

Sezione II — Codici etici e dichiarazioni

33 5. Dichiarazione di Ginevra (A.M.M. 1948)

34 6. Codice internazionale di etica medica (A.M.M., Londra 1949)

36 7. Giuramento del medico sovietico (1971)

37 8. Codice di Norimberga (1946)

39 9. Dichiarazione sulle ricerche biomediche (A.M.M., Helsinki 1962)

44 10. Dichiarazione sull’aborto terapeutico (A.M.M., Oslo 1970)

46 11. Dichiarazione sulla tortura e le altre pene o trattamenti crudeli,

disumani o avvilenti in relazione alla detenzione e alla carcerazione

(A.M.M., Tokyo 1975)

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48 12. Dichiarazione sull’impiego e sull’abuso delle sostanze psicotrope

(A.M.M., Tokyo 1975)

49 13. Dichiarazione sulla determinazione del momento della morte

(A.M.M., Sydney 1968)

51 14. Dichiarazione sulla fase finale della malattia (A.M.M., Venezia 1983)

53 15. Dichiarazione sull’eutanasia (Sacra Congregazione per la dottrina

della fede 1980)

63 16. Guida europea di etica e di comportamento professionale

dei medici (1982)

Sezione III — Diritti in campo biomedico

75 17. Dichiarazione sui diritti delle persone minorate (O.N.U. 1975)

78 18. Dichiarazione sui diritti delle persone ritardate mentali (O.N.U. 1971)

80 19 Raccomandazione relativa ai diritti dei malati e dei morenti

(Consiglio d’Europa 1976)

83 20. Legge sulla morte naturale (Stato della California 1976)

91 21. Questioni etiche relative ai malati gravi e ai morenti

(Pont. Consiglio «Cor unum» 1981)

111 22. Progetto di raccomandazione sull'inseminazione artificiale

degli esseri umani (Consiglio di Europa) 1979)

114 23. Carta dei diritti del paziente (American Hospital Association 1973)

117 24. Carta del malato in ospedale (C.E.E. 1979)

121 25. Carta dei 33 diritti del cittadino (Tribunale per Diritti del Malato,

Roma 1979)

Sezione IV — Codici deontologici

129 26. Codice italiano di deontologia medica (F.N.O.M. 1978)

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148 27. Codice francese di deontologia medica (1979)

166 28. Codice islamico di etica medica (1981)

187 29. Codice etico dell’Associazione delle Infermiere Americane (1976)

203 30. Principi di etica dell’Associazione dei Dentisti Americani (1964)

208 31. Codice etico dell’Associazione dei Farmacisti Americani (1969)

210 32. Principi di etica medica e loro applicazione alla psichiatria:

Associazione degli Psichiatri Americani (1973)

218 33. Norme etiche dell’Associazione degli Psicologi Americani (1972)

1 Nella tradizione biblica l’esposizione più completa del rapporto tra l’opera del medico e la dimensione di vita sapienziale del credente si trova nel libro del Siracide 38,1-14:

«Al medico rendi gli onori che gli sono dovuti

in considerazione dei suoi servigi:

anch’egli è stato creato dal Signore.

Dall’Altissimo viene infatti la guarigione,

come dono che si riceve dal re...

È il Signore che dà agli uomini la scienza

perché lo glorifichino nelle opere potenti...

Figlio, quando sei ammalato non irritarti,

ma prega il Signore, ed egli ti guarirà.

Ripudia le tue colpe, conserva monde le tue mani,

purifica il tuo cuore da ogni peccato...

Poi ricorri al medico: anche lui il Signore ha creato;

non lo fuggire, perché hai bisogno di lui.

Ci sono dei casi in cui la salute è nelle loro mani.

Anch’essi pregano il Signore, perché conceda loro

di dare conforto e guarigione ai loro pazienti».

2 Cfr. S. Spinsanti, «L’ethos ippocratico», in Medicina e Morale 22 (1982), pp. 144-159.

3 Cfr. gli atti del convegno organizzato dall’istituto Italiano di Medicina Sociale: L’etica medica, Roma 1983 e l’articolo di G. Berlinguer, «Alla ricerca di una nuova morale in medicina», in SE Scienza Esperienza, ottobre 1983.

4 Le ricerche più autorevoli sono quelle di L. Edelstein e H.E. Sigerist. Quest’ultimo, il fondatore della moderna storia della medicina, ha sviluppato nel modo più completo tutta la problematica ippocratica nella monumentale storia della medicina, progettata in otto volumi, ma che la morte gli impedì di portare a termine: A History of Medicine, vol. II: Early Greek, Hindu and Persian Medicine, New York 1961.

5 Sul valore e limiti di tali documenti si veda la prefazione a La salute e i diritti dell’uomo, Roma 1978, a cura dell’Organizzazione Mondiale della Sanità.

6 Cfr. G.J. Annas, «Patient’s Rights Movement», in Encyclopaedia of Bioethics, vol. III, pp. 1201-1206.

7 In Italia l’elaborazione del codice deontologico è di esclusiva competenza della Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici; in altri paesi, come in Francia, il codice formulato dagli organismi professionali ha anche valore di legge.

8 Per un’analisi più approfondita del concetto di deontologia professionale e delle sue correlazioni con l’etica, cfr. S. Spinsanti, Bioetica, Milano 1983, pp. 25-38.

9 Il prof. F. Introna sta raccogliendo nei fascicoli della Rivista Italiana di Medicina Legale la documentazione relativa ai diversi codici nazionali. Dobbiamo alla sua cortesia l’autorizzazione a riprodurre il codice francese [documento n. 27], già apparso nella rivista. La rivista ha pubblicato inoltre il codice deontologico spagnolo (1983/2), britannico, brasiliano e quello dell’Associazione medica indiana (1984/1).

10 Dall’autorevole Encyclopaedia of Bioethics, New York 1978, la bioetica è definita come «lo studio sistematico della condotta umana nell’ambito delle scienze della vita e della cura della salute, in quanto questa condotta è esaminata alla luce dei valori morali e dei principi» (vol. I, p. XIX).

11 Dichiarazione sull’aborto procurato, 18 novembre 1974 («AAS», 66 [1974], pp. 730-747).

12 Pio XII, Discorso ai Congressisti dell’Unione Internazionale delle Leghe Femminili Cattoliche, 11 settembre 1947 («AAS», 39 [1947], p. 483); Allocuzione all'Unione Cattolica Italiana delle Ostetriche, 29 ottobre 1951 («AAS», 43 [1951], pp. 835-854); Discorso ai membri dell’Ufficio Internazionale di Documentazione di Medicina Militare, 19 ottobre 1953 («AAS», 45 [1953], pp. 744-754); Discorso ai partecipanti al IX Congresso della Società Italiana di Anestestologia, 24 febbraio 1957 («AAS», 49 [1957], p. 146); cfr. anche Allocuzione sulla «Rianimazione», 24 novembre 1957 («AAS», 49 [1957], pp. 1027-1033).Paolo VI, Discorso ai membri del Comitato speciale delle Nazioni Unite per la questione della «Apartheid», 22 maggio 1974 («AAS», 66 [1974], p. 346). Giovanni Paolo II, Allocuzione ai Vescovi degli Stati Uniti, 5 ottobre 1979 («AAS», 71 [1971], p. 1225).

13 Si pensi, in particolare alla raccomandazione 779 (1976) relativa ai diritti dei malati e dei morenti, dell’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa nella sua XXVII sessione ordinaria. Cfr. «Sipeca», n. 1, marzo 1977, pp. 14-15 [cfr. anche sotto, in questo stesso volume, documento n. 19].

14 Si lasciano completamente da parte le questioni della pena di morte e della guerra, che richiederebbero considerazioni specifiche estranee all’argomento di questa Dichiarazione.

15 Pio XII, Discorso del 24 febbraio 1957 («AAS», 49 [1957], p. 147).

16 Ibid., p. 145; cfr. Allocuzione del 9 settembre 1958 («AAS», 50 [1958], p. 694).

17 Inventori di vaccini (Pasteur), di anestetici (Schieden, che si è fatto praticare su di sé la prima rachi-anestesia), Newton, che provava su di sé i prodotti che sperimentava gustandoli, Hutchinson, che sperimentava personalmente le proprietà della digitale, Hunter, Trousseau ecc. Forssmann ha fatto su se stesso il primo cateterismo cardiaco, inaugurando così l’era della chirurgia cardiaca.

18 Tuttavia si considera generalmente che la cartella clinica è proprietà del malato. Tutti i dati «oggettivi» della cartella, pertanto, devono essere consegnati, su sua richiesta, a lui stesso o a un medico curante. Ma i dati «soggettivi», note personali, osservazioni particolari che il medico redige per se stesso, sono di sua proprietà e non sono soggetti allo stesso obbligo di comunicazione.

19 Infatti la «verità al malato» deve comportare talvolta, nella sua rivelazione, alcune sfumature o una certa progressività di informazione, necessaria all’attenuazione di effetti psico-affettivi che potrebbero essergli pregiudizievoli.

20 H.P. Klotz, primo congresso internazionale di morale medica.

21 Georges Duhamel.