Tecnologie riproduttive ed educazione al giudizio etico

Book Cover: Tecnologie riproduttive ed educazione al giudizio etico
Parte di Bioetica sistematica series:

Sandro Spinsanti

TECNOLOGIE RIPRODUTTIVE ED EDUCAZIONE AL GIUDIZIO ETICO

in Nuova secondaria

anno IV, n. 9, 15 maggio 1987, pp. 22-24

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È stato detto e ridetto: l’introduzione della tecnologia biomedica a servizio della riproduzione umana è un fatto nuovo nella storia dell'umanità. Sta avvenendo sotto i nostri occhi; a ritmo incalzante, sempre nuovi traguardi vengono raggiunti e superati. L’ultima clamorosa conquista è l’acquisizione della capacità di determinare il sesso del nascituro, mediante opportuna selezione dei gameti paterni. Ogni nuova conquista fa sorgere immancabilmente cori di voci osannanti o critiche, problematiche o dogmatiche, rassicuranti o inquietanti. E ogni volta, puntualmente, si ripropone l’identica polarizzazione tra coloro che invocano un autorevole orientamento etico e coloro che diffidano di un magistero, religioso o laico, che si imponga alla coscienza.

È il tempo delle incertezze, e la stessa comunità cristiana non è immune dall’aria che spira nella nostra epoca. Il travaglio della ricerca ci aiuta a ricordare opportunamente alcune verità che non solo i laici, ma i credenti stessi tendono a dimenticare: che anche chi pensa e agisce nell’ambito di una religione rivelata è chiamato a condividere le incertezze connesse con l’interpretazione del messaggio e la sua traduzione in esigenze etiche commisurate alle sfide del tempo; che il primato appartiene alla coscienza, rispetto alle regole morali; che la coscienza va formata ed educata a riconoscere la chiamata che Dio rivolge e il comportamento morale che si impone.

Ora, proprio l’ambito di novità che si apre all’agire umano relativamente alla riproduzione con l’ausilio delle tecnologie bio-mediche può rivelarsi una chance per la formazione di un giudizio etico, specialmente presso i giovani. E ciò proprio grazie alla novità, alle incertezze e alla problematicità di questo settore. Su altri comportamenti grava il peso di una tradizione, che si è già confrontata con essi e ha eventualmente espresso un suo giudizio, di accettazione e di condanna. La formazione morale è troppo spesso interpretata come la trasmissione di tali giudizi, ai quali i giovani sono invitati a uniformarsi, modellando il proprio comportamento di conseguenza. Ai nostri giorni, inoltre, bisogna registrare una collusione perversa tra questo tipo di formalismo morale e il linguaggio telematico, che costituisce l’ambiente culturale nel quale

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siamo immersi. Questo linguaggio è quello dello 0-1, del  e del no, che esclude il forse. È universalmente deprecato che oggi vengano formate persone che sanno usare le macchine, ma che non sanno pensare. Questa carenza è fatale in campo etico, perché la semplice osservanza delle regole morali, considerate come regole di procedimento, non basta a creare il comportamento moralmente buono.

 L’educatore che ha a cuore di sviluppare la capacità di passare da un giudizio a un ragionamento etico che lo fonda potrà accogliere le opportunità che gli vengono offerte da un dibattito che affronti tematicamente la valutazione etica delle tecnologie riproduttive: è bene o è male, dal punto di vista morale, ricorrere alle risorse che la tecnologia mette a servizio della medicina per ottenere esiti di riproduzione così nuovi e così lontani dalle modalità naturali? Un primo passò consisterà nell’analizzare se, dietro l’apparenza .di un giudizio etico, non si debba in realtà riscontrare nient’altro che una presa di posizione emotiva, sorretta dalla propria Weltanschauung. Per lo più i diversi modelli antropologici veicolano indirettamente dei giudizi etici, che possono essere esplicitati e resi consapevoli.

A due poli estremi possiamo trovare, da una parte una fede nella scienza, considerata come l’unica risposta efficace a tutte le miserie umane; una fede che sconfina volentieri nell’entusiasmo acritico. Ogni nuova realizzazione viene salutata come un «miracolo della medicina», che fa indietreggiare ulteriormente la barriera dell’impossibile. Una tale fede implicita è rintracciabile anche sotto la patina di freddezza con cui amano presentarsi gli scienziati.

All’altro estremo troviamo la diffidenza astiosa verso l’intrusione degli uomini di scienza nell’ambito della «natura». Per rafforzare l’intoccabilità della natura e dei suoi processi, la si riveste talvolta del carattere di sacralità, correlandola con la «volontà di Dio creatore». Tanto le posizioni più violente di rifiuto, quanto quelle di accettazione incondizionata di ogni nuova tecnologia, lasciano trasparire in filigrana una mistica implicita: quella della natura e della biologia come limite che non si può valicare senza peccare di hybris, da una parte; la mistica del Grande Progresso Illimitato, di cui parla Erich Fromm, dall’altra.

Un diverso atteggiamento di fondo si rispecchia anche nella funzione che si attribuisce alle regole morali applicate alle tecnologie riproduttive. Da esse ci si può aspettare che fungano da diga contro l’irrompere dell’arbitrio e l’agire irresponsabile; oppure che diano esse stesse impulsi positivi alla ricerca e alla sperimentazione, promuovendo l’opera di umanizzazione implicita nella scienza stessa. La facies dell’etica cambia sostanzialmente, quando si attribuisce alle regole morali una finalità di contenimento, oppure di promozione dell’opera dello scienziato. Nel primo caso tenderà a prevalere un’impostazione casistica che vorrà entrare nei dettagli per porre freno con precisi dettati comportamentali ai veri o presenti straripamenti della scienza; nel secondo, l’accento cadrà di preferenza sui valori da promuovere, lasciando all’uomo di scienza l’autonomia e la responsabilità per le sue scelte comportamentali.

Dei giudizi etici impliciti si nascondono, oltre che nelle concezioni antropologiche — la qualità umana dell’uomo, il suo rapporto con la natura, la funzione delle norme etiche per l’individuo e per la comunità — anche nei termini con cui le nuove pratiche vengono designate. La semantica è un veicolo privilegiato di giudizi etici che si sottraggono al confronto di argomentazioni razionali. Tra tutti i termini con cui gli interventi bio-medici nella riproduzione vengono designati, «manipolazione» è quello più carico di connotazioni etiche negative. Se si chiamano manipolazioni questi interventi bio-medici nel campo della riproduzione, li si colora a priori di un sospetto di illiceità morale.

Al contrario, la designazione di «terapie dell’infertilità» copre tali metodiche col mantello di Esculapio, facendo ricadere su di esse l’aura di accettabilità morale riservata a tutto ciò che è finalizzato alla guarigione. La formalità terapeutica permette di considerare in una luce diversa taluni aspetti pratici dei procedimenti biomédici. Così, ad esempio, le riserve dei moralisti cattolici sulla modalità di raccolta dello sperma tendono a estinguersi quando l’atto masturbatorio è considerato all’interno di un progetto terapeutico globale. Le pratiche finalizzate alla procreazione artificiale, sottolineano con vigore i medici e i biologici che vi sono coinvolti, non sono arbitrarie manipolazioni della natura, bensì interventi terapeutici sotto forma di «aiuto alla natura». Spesso i protagonisti rispondono con irritazione a coloro che condannano moralmente tali pratiche, agitando fantasmi di totalitarismo tecnologico. Per quanto stravaganti possano apparire al senso comune, gli interventi bio-medici vogliono essere essenzialmente una risposta all’infertilità.

Quando i medici rivendicano a queste procedure la qualifica di «terapia dell’infertilità», implicitamente richiedono una valutazione etica positiva del loro operato, quella stessa valutazione che accompagna ogni azione finalizzata alla salute e al benessere. In tal senso orienta anche la designazione di «procreazione assistita». Ma il beneficio della «terapia» può essere esteso a tutto l’arsenale oggi disponibile di tecnologie riproduttive? In alcuni casi si tratta chiaramente della realizzazione di un desiderio, quando non addirittura di un capriccio (donne che vogliono un figlio senza avere un rapporto sessuale con un uomo; oppure si illudono di generare un genio facendosi inseminare con i gameti di un premio Nobel...; per non parlare di chi fa ricorso a «uteri in affitto» per futili motivi, e non per ovviare all’impossibilità biologica della gestazione).

Anche il fatto di considerare la sterilità una «malattia» e il rimedio all’infertilità un’opera terapeutica, solleva alcuni problemi dal punto di vista antropologico. Se la medicina si proponesse di rispondere a tutti i desideri e le convenienze della popolazione, le conseguenze sarebbero di enorme portata, tanto sul piano della politica sanitaria, quanto su quello della deontologia medica. Una medicina sociale dovrebbe rendere accessibili a tutti le costose pratiche della procreazione artificiale. Nella concezione liberale della sanità, invece, il medico, trasformato in prestatore di servizi, si troverebbe inevitabilmente preso nell’ingranaggio commerciale che regola la domanda e l’offerta, perdendo la facoltà di discernere tra le richieste, come richiede una corretta deontologia professionale.

Una terza categoria generale, usata per riferirsi a questa vasta gamma di interventi bio-medici, è quella di «tecnologie riproduttive». Anche questa designazione veicola implicitamente un giudizio etico, e precisamente quello soggiacente alla nozione stessa di tecnologia. Nell’ambito culturale dell’Occidente, profondamente compenetrato dell’umanesimo greco della techne e della spiritualità biblica del «dominate è soggiogate la terra», le azioni riconducibili alla tecnologia godono, a priori, di una considerazione positiva. In seno al cristianesimo ecclesiale, da questo punto di vista, non sono mai stati coltivati atteggiamenti sospettosi verso la scienza medica, come invece troviamo in alcuni gruppi settari, quali i Testimoni di Geova. La nozione filosofico-teologica di «natura» quale criterio etico («è buono ciò che è conforme alla natura e alla naturalità dell’atto») non ha escluso l’intervento correttivo sulla natura stessa. Oggi, tuttavia, la valenza etica positiva di ciò che è espressione di tecnologia si è incrinata. O piuttosto: siamo diventati più consapevoli dell’ambivalenza della tecnologia, che può anche rivolgersi contro l’uomo. L’homo faber, maggiorato in homo technologicus, sente più fortemente che la tentazione a giocare a fare Dio è carica di minacce per l’umanità. Preferiscono parlare di tecnologie riproduttive coloro che vogliono evitare designazioni condizionate da connotazioni rigide, a vantaggio di quel processo di discernimento critico che è costitutivo dell’etica.

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L’esame dettagliato della terminologia ci aiuta a diventare consapevoli della pregnanza semantica dei termini che si usano, nonché delle valutazioni morali implicite che essi contengono. Ai medici e agli scienziati questo lavoro filosofico può forse venire a noia; ma tutto lascia credere che una buona filosofia sia il sale che impedisce alla tecnica di corrompersi. Un ripiego di comodo è quello di invocare per il medico un ruolo solo tecnico, che lo tenga lontano dai dilemmi morali. Il medico si esenta dal coinvolgimento nei problemi umani ed etici, col risultato che questi vengono gestiti da istanze separate dalla medicina, quali sono appunto la filosofia, o il diritto, o la teologia. La prassi viene allora a scontrarsi con l’etica nel suo aspetto più duro, cioè come normatività che cade quasi dall’alto. Se invece la prassi medica accetta di riflettere su se stessa, producendo norme man mano che si rendono necessarie per salvaguardare i valori che il sanitario vuol promuovere, l’etica medica crescerà dal basso, invece di cadere dall’alto.

Il cattolico che cercasse un orientamento etico nella dottrina della Chiesa ha delle indicazioni di principio e autorevoli prese di posizione delle chiese locali (conferenze episcopali australiana, inglese, canadese, francese), ma ancora nessun documento del magistero pontificio. (Come anticipato nell’introduzione di pag. 22, l’articolo è stato scritto prima della pubblicazione dell’«Istruzione su il rispetto della vita umana nascente e la dignità della procreazione», v. Materiali in inserto a pag. 41, n.d.r.). L’analisi della terminologia è solo apparentemente un ambito di riflessione pre-etico. In realtà può costituire un laboratorio ideale per avvicinarsi all’etica considerandola non nei suoi aspetti prescrittivi e formali, ma sostanziali: il campo dei valori in cui la decisione operativa è chiamata a confrontarsi criticamente col modello antropologico che si persegue.

Soprattutto i problemi che sorgono nelle tecnologie applicate alla riproduzione si prestano a una verifica della concezione diffusa della morale. Questa viene spesso rappresentata come un corpo estraneo che non si amalgama col desiderio umano, ma lo frustra sistematicamente col divieto. Non possiamo escludere in modo assoluto che il discorso etico non abbia rappresentato talvolta un aspetto di questo genere; anzi, specialmente in ambito bio-medico, continua molto spesso a presentarlo.

Medici e scienziati mostrano una comprensibile allergia verso l’etica concepita come un sapere dogmatico precostituito, che viene elaborato in altra sede: la sede, appunto, dove le istituzioni totalitarie forgiano le loro credenze. Temono che la loro coscienza e il loro operato siano in qualche modo colonizzati da un’istanza esterna, unica accreditata a giudicare ciò che è bene e ciò che è male, morale o immorale, conforme o no alla natura umana. Ciò spiega, ad esempio, perché chi opera nel campo delle tecnologie riproduttive preferisca spesso fare appello all’aspetto tecnico piuttosto che a quello umano, e tenda a navigare lontano dagli insidiosi dibattiti sui principi etici, appellandosi al pragmatismo. Medici e biologi temono che l’etica sia il cavallo di Troia che può introdurre nella cittadella della scienza la violenza dell’ideologia.

Quando si invoca l’etica nell’ambito delle tecnologie riproduttive si alza in volo la paura che vengano dei «chierici» (ideologi e funzionari di partito, oppure teologi, progressisti o integristi che siano) a dire ai sanitari che cosa devono fare in questo o quel caso. Purtroppo l’etica e la morale sono sinonimi — soprattutto in Europa, terra di inveterati conflitti ideologici — di intolleranza. Evocano il tentativo di imporre agli altri la propria visione, di tracciare sentieri obbligati per la verità, di eliminare mediante la sopraffazione il pluralismo e le divergenze. Ancora una volta, quindi, osserviamo che il dibattito sugli aspetti etici della riproduzione assistita può essere opportunamente utilizzato come occasione privilegiata per fare della «meta-etica», verificando operativamente la natura del discorso etico e i compiti che gli si attribuiscono.

In particolare, l’etica è convocata nelle cliniche dove si combatte la sterilità e nei laboratori dove vengono messe a punto procedure di controllo della riproduzione col compito di operare un discernimento critico ed ermeneutico del desiderio di procreare. Dal punto di vista della morale religiosa, può essere considerato come esemplare il procedimento adottato da un documento dei vescovi francesi (Vita e morte su richiesta, novembre 1984). Invece di far cadere sulle pratiche di riproduzione assistita una sentenza sommaria di condanna o di assoluzione, il documento rivolge loro degli interrogativi e traccia le tappe della crescita antropologica e spirituale necessaria per sottrarsi alle insidie delle nuove tecnologie bio-mediche. Le confronta, più precisamente, con la duplice logica che le sottende: quella del sentimento e quella tecnica: l’una non accetta un principio regolatore del desiderio, l’altra tende a trasformare il dominio della natura in tecnocrazia. Spesso — affermano i vescovi francesi — la qualifica morale (cioè la vera portata umana di un comportamento) non appare subito chiaramente. Solo esaminando le ripercussioni sugli altri e le conseguenze a lungo termine se ne scopre la fondatezza o, al contrario, gli effetti perversi. È necessaria anche una grande libertà di spirito, perché non ci si libera facilmente della duplice logica del sentimento e della tecnica. Condotta in questo modo, ci sembra che la riflessione etica possa diventare uno strumento pedagogico di formazione della coscienza, e quindi un fattore di umanizzazione.