- Documenti di deontologia e etica medica
- Bioetica
- Bioetica in sanità
- Etico bio-medica
- Etica medica
- Le ragioni della bioetica
- Fondamenti di bioetica
- L'etica per una medicina umana
- La quotidiana fatica di essere razionali in medicina
- Le stagioni dell'etica in medicina
- Stagioni dell'etica e modelli di qualità in medicina
- Stagioni dell'etica e modelli di qualità in medicina
- Stagioni dell'etica e modelli di qualità in medicina
- Die Medizinische anthropologie
- Verso una medicina della persona
- Bioetica global o la sabiduria para sobrevivir
- La liceità dell'atto medico: considerazioni etiche
- De la nature et de la personne en bioéthique
- Il valore della complessità e la metodologia clinica
- Quale etica per l'ebm?
- Cattivi pensieri sugli errori in medicina
- Il medico: servo di tre padroni?
- Il medico servo di tre padroni
- Ethical foundations for a culture of safety
- Etica e malattie rare
- Interessi plurali, interessi in conflitto nella pratica clinica
- Conflitto di interessi
- Commento a "Problemi etici nel trapianto renale da vivente"
- La bioetica: una via per la crescita della coscienza
- L'incertezza medica incontra la bioetica
- Il giudizio morale è fuori dall'emotività
- Legge, deontologia ed etica
- Implicazioni etiche dell'obiezione di coscienza nella professione medica
- La boxe: un problema di etica medica?
- L'etica in medicina
- Cancro e persona umana: considerazioni etiche
- Tecnologie riproduttive ed educazione al giudizio etico
- La professione del medico in un contesto nuovo
- Istruzioni per boicottare la bioetica
- L'etica nella vita del medico
- Quale etica per la medicina?
- Bioetica: problematiche emergenti e prospettive
- L'etica all'ombra del «tao»
- Obtaining Consent from the Family: A Horizon for Clinical Ethics
- La bioetica clinica
- Le regole del gioco
- Verso la medicina delle scelte
- La qualità nel Servizio Sanitario
- Domande a Sandro Spinsanti
- Bioetica clinica per operatori sanitari
- Etica e terapia
- La decisione in medicina come problema etico
- La liceità dell'atto medico: considerazioni etiche
- Scienza e coscienza come responsabilità morale
- Troppe domande ancora senza risposta
- Un diritto gentile
Sandro Spinsanti
Etica e terapia
in Toscana Medica
anno VII, n. 9/10, settembre-ottobre 1989, pp. 10-12
10
ETICA E TERAPIA
Il bene del malato, la sua autonomia di giudizio, la giustizia nei suoi confronti debbono sempre ispirare l'agire del medico.
L'accanimento terapeutico, considerato spesso descrittivamente nella comune accezione, è in realtà un importante concetto valutativo che contiene un’accusa nemmeno tanto velata rivolta alla classe medica. Siamo di fronte ad un principio estremamente ambiguo, inattendibile per quanto riguarda l’analisi del comportamento, carente di qualsiasi riferimento giuridico, suscettibile di trasformarsi, in certi casi, da azione riprovevole in atto eroico. Il termine stesso “accanimento terapeutico” non nasce dalla pratica medica, ma dalla pubblica opinione, è espressione di un umore e quasi un grido di protesta; si presenta quindi come concetto utile per spiare uno stato di reale malessere, quasi come rottura di un patto implicito, di un’alleanza profonda di un sincero affidamento.
L’analisi di questo malessere è un compito che il medico si deve sobbarcare, pur essendo autorizzato a respingere a priori l’accusa di fare dello scientismo e della sperimentazione gratuita.
Pensiamo a due scenari diversi, per capire la relatività di quello che, essendo prassi quotidiana, ci viene facile concepire come ovvio ed unico comportamento.
Pensiamo dapprima alla medicina greca, quella di Ippocrate, Platone, Aristotele. L’atteggiamento di questa concezione medica di fronte al malato che non guarisce è espressa con aperte parole nell’opera di Platone: l’obbligo morale prevedeva che il medico dell’antica Grecia semplicemente abbandonasse il paziente che andava verso la morte, il medico era solamente un servitore della natura e se la natura destinava una persona a morte, egli doveva entrare in sintonia con questo dettame, favorire con serenità il normale corso degli eventi e non opporsi in nessun modo.
Pensate adesso ad un altro scenario, fra 100, 200 anni, con i discendenti di una umanità, la nostra, che, sgomenta, già oggi sta prendendo sempre maggiore coscienza dei limiti dello sviluppo, dell’aumento delle persone anziane, del conseguente invecchiamento della popolazione, dell’impossibilità di trovare cure adeguate per tutti. Per il momento abbiamo solamente dei prodromi, dei segni di cosa avverrà in un futuro nemmeno tanto lontano: in certi ospedali vige una sorta di “codice di non rianimazione”, i pazienti che escono da certi parametri non devono essere rianimati. In Svezia vengono emesse legislazioni che escludono dai trapianti o dalle terapie intensive gli ultra-sessantenni, un medico americano afferma testualmente:“la sola misura di ridurre i costi è di privare certe persone di cure mediche o di negare l’assistenza per certe malattie”.
Di fronte a questi scenari, del passato e del futuro, siamo portati a protestare. Diciamo che la medicina, non può e non deve abbandonare mai il malato.
Che cosa è dunque avvenuto tra la nostra concezione medica e quella dell’antica Grecia, che cosa si è solidificato nei principi deontologici ai quali oggi ci rifacciamo? Sicuramente si è verificato un cambiamento nell’attribuzione dei valori alla persona umana e nei nostri rapporti con la natura, per cui il dominio e la lotta ad oltranza con essa sono diventati un fine umano di grande valore etico e la tecnologia è stata messa al servizio di questa volontà. Sono inoltre avvenute anche delle trasformazioni antropologiche di grandissima importanza, come la eliminazione dell’idea di una vita necessariamente finita, di un uomo destinato a morire, la rimozione della morte non soltanto dal discorso, ma anche dall’universo dei fini: la medicina viene utilizzata per questa lotta ad oltranza contro la morte ed il nulla.
Qui necessariamente si inserisce il discorso sulla tanto nominata “eutanasia”. A questo proposito non si può negare che uno dei più grossi contributi al discorso etico sarebbe forse proprio l’abolizione di questa parola dal vocabolario: non si può parlare di eutanasia e cercare di descrivere molte situazioni che non hanno niente a che vedere l’una con l’altra. Il riconoscimento della morte, non ha niente a che fare con la cosiddetta eutanasia attiva o con l’interruzione di un tentativo di cura e nemmeno con la cosiddetta “deconnessione”, cioè la somministrazione di quel tanto di farmaci in grado di provocare un obnubilamento della coscienza e, forse anche un abbreviamento della vita.
11
È indubbio che di fronte al malato terminale noi assumiamo sempre lo stesso atteggiamento di fondo, cioè ricorriamo a tecniche correttive artificiali che in altre situazioni sono risultate più o meno efficaci. In queste situazioni l’etica laica, come quella religiosa, non può offrire indicazioni o dogmi.
Si presenta allora il problema di non fare né troppo, né troppo poco, di non arrestarsi prima di quanto sia giusto, legittimo ed auspicabile, ma di non fermarsi nemmeno dopo, quando ormai sia troppo tardi. Non siamo di fronte ad una regola etica, ma più semplicemente ad un problema di saggezza. I medici devono riprendere in mano i termini del discorso; quando sentiamo questa tentazione, vorrei chiamarla così, di ricorrere alla legge pensando che poi, una volta stabilita, avremo le soluzioni dei nostri problemi, noi stiamo scavalcando quel momento essenziale che è il momento veramente etico, cioè la libertà decisionale del medico.
Il problema è complicato dal fatto che i criteri tradizionali proposti dall’etica come guida verso una giusta azione, sono oggi diventati più sfumati e confusi.
Il criterio tradizionale di ogni etica medica, quello del bene del malato, si è attualmente caricato di nuove problematiche. Quello che infatti è il bene per il malato, cioè il prolungamento della vita, può diventare talvolta un male, inteso nel senso di qualità della vita. Per questo molte persone ricorrono ai testamenti di vita, alle associazioni per la degna morte, spaventate dall’incubo di andare a finire in un binario morto dove non si finisce mai di morire, dove non si è più né vivi né morti, dove la medicina diventa necessariamente fredda ed impersonale, dove non si ha più beneficio alcuno, ma soltanto una qualità impoverita della vita.
Il volere prolungare a tutti costi la vita entra spesso in collisione con un altro concetto fondamentale dell’etica, oggi portato in primissimo piano: il principio della autonomia. È il paziente stesso che decide la quantità e la qualità della vita che vuole, che determina quale e quanta medicina assumere ed in che condizioni. A questa peraltro irrinunciabile autonomia segue una rottura, talvolta drammatica, tra quello che il medico intende fare per il bene del paziente e quello che il paziente stesso pretende per se. Spesso pero da parte del malato non c’è una vera volontà di morte, quanto piuttosto l’esigenza di una autonomia decisionale su quale e quanta vita condurre.
Un altro elemento viene ulteriormente a complicare questo quadro già molto complesso: il principio della giustizia. Che cosa deve fare il medico che ha disposizione un solo respiratore e tre persone che chiedono di essere salvate? Che cosa dovremmo fare in futuro, quando avremo sempre mezzi necessariamente scarsi e tantissime persone in attesa fuori della porta? Questi tre principi: beneficialità, autonomia e giustizia sono gli orientamenti di cui l’etica produttivamente si serve per aiutare a prendere la giusta strada; sono spesso in rotta di collisione tra di loro, per cui una decisione di saggezza diventa ancora più complicata.
In ultima analisi i medici devono assolutamente tornare i protagonisti delle decisioni etiche, senza demandare ad altri, né politici, né bioetici di professione.
PRINCIPI DI ETICA MEDICA EUROPEA
Articolo 1
Compito del medico è la difesa della salute fisica e psichica dell’uomo e il sollievo dalla sofferenza nel rispetto della vita e della dignità della persona umana senza discriminazioni di età, di razza, di religione, di nazionalità, di condizione sociale, d’ideologia politica e di qualsiasi altra natura in tempo di pace come in tempo di guerra.
Impegno del medico
Articolo 2
Nell’esercizio della professione il medico s’impegna a dare priorità agli interessi della salute del malato. Il medico non può utilizzare le proprie conoscenze professionali che per migliorare e conservare la salute di coloro che si affidano a lui a loro richiesta; in nessun caso egli può agire a loro danno.
Articolo 3
Il medico non può imporre al paziente le proprie opinioni personali, filosofiche, morali e politiche nell’esercizio della sua professione.
Articolo 4
Salvo il caso d’urgenza, il medico illustrerà al malato gli effetti e le conseguenze prevedibili della terapia. Acquisirà il consenso del paziente, soprattutto quando gli atti proposti comportino un rischio serio.
Il medico non può sostituire la propria concezione della qualità della vita a quella del suo paziente.
12
OPINIONI A CONFRONTO
L’atteggiamento della società è profondamente mutato di fronte alle istanze connesse con il problema della morte. Se la antica medicina greca imponeva al medico di abbandonare il malato che non aveva più speranza di guarigione, per non ostacolare i voleri della Natura, la scienza medica cerca oggi con tutti i mezzi di opporsi al corso naturale dell'evento patologico, trascendendo da ogni concetto di ordine etico o filosofico.
Da questa lotta, fatta di sconfitte inevitabili ed insperati trionfi, sono derivati i concetti di eutanasia attiva e passiva, di accanimento terapeutico, di corretta assistenza al morente.
Nonostante la gravità dei problemi sollevati, la totale incertezza regna sovrana, in assenza di un qualsiasi riferimento giuridico o di una strada tracciata da etica e morale; il medico si trova cosi solo con la sua coscienza di fronte a scelte che talvolta sembrano insopportabili.
La confusione totale, è stato detto nel dibattito, nasce anche a livello, per così dire, tecnico; i termini “morte cerebrale”, “coma depassé”, “morte encefalica” sono sovente usati in modo improprio e fuorviante; come dice lo studioso di Bioetica, non si può usare sempre la stessa parola “eutanasia” per definire situazioni ben diverse tra loro. Le legislazioni che trattano di questa materia non aiutano certo a definire i contorni reali del problema e tutto risulta ancor più aggravato dalla mancanza talvolta angosciante di mezzi e strutture: pazienti in coda per accedere ai Centri di Terapia Intensiva e “turn over” spesso tragicamente garantito soltanto dalla legge di Natura.
L’accanimento terapeutico, tecnicismo spietato fine a se stesso o atto eroico in difesa ad oltranza della vita, a seconda dei punti di vista, è un aspetto di tutto quel mondo ideologico che ruota intorno al concetto di “morte”. Ma quale morte, viene da chiedersi? Quella biologica, quella sociale, cellulare o cerebrale? Ecco allora la chiusura del cerchio intorno ad un problema ancora tutto da chiarire.
I relatori che hanno partecipato a questo dibattito sono fondamentalmente arrivati alla medesima conclusione, partendo ognuno da punti di vista e premesse diverse.
La gestione del malato terminale, in senso lato, il ricorso o meno alle tecniche del cosiddetto accanimento terapeutico, sono problemi che investono inevitabilmente ogni aspetto del rapporto profondo medico-malato, intesa impossibile a ridursi entro i limiti fissati da qualsiasi legislazione.