L’incertezza medica incontra la bioetica

Book Cover: L'incertezza medica incontra la bioetica
Parte di Bioetica sistematica series:

Sandro Spinsanti

L’INCERTEZZA MEDICA INCONTRA LA BIOETICA

in La parola e la cura

autunno 2008, pp. 21-23

21

A fronte di questa incertezza, di senso comune, merita un'attenzione specifica l'incertezza che è stata l'oggetto delle scienze sociali a partire dalla metà del XX secolo. Il nome di riferimento in questo ambito è quello della sociologa americana Renée Fox.

Quante e quali forme assume l’incertezza per coloro che, a diverso titolo, come professionisti o come fruitori dei servizi, si incontrano sul palcoscenico della medicina? E come si correla questa incertezza con quell’orizzonte di interrogativi sociali ed etici che ha assunto il nome di bioetica? L’incertezza che consideriamo non è quella che, tradizionalmente, viene invocata quando si ha a che fare con le azioni dei medici (quella ― per intenderci ― che ha già trovato una prima formulazione arcaica nel detto ippocratico che riconosce la fallacia dell’esperienza; “La vita è breve, l’arte è lunga, l’occasione è fugace, l’esperienza è fallace, il giudizio è difficile”: è il primo dei celebri Aforismi attribuiti a Ippocrate). Gli esiti incerti dei trattamenti medici hanno consigliato prudenza, e non di rado hanno alimentato l’ironia nei confronti della prosopopea di certi medici.

A fronte di questa incertezza, di senso comune, merita un’attenzione specifica l’incertezza che è stata l’oggetto delle scienze sociali a partire dalla metà del XX secolo. Il nome di riferimento in questo ambito è quello della sociologa americana Renée Fox.

Con coerenza e passione essa si è dedicata a esplorare il ruolo che ha l’incertezza nella formazione dello studente di medicina, nella socializzazione del medico e nella condizione umana dei professionisti della salute; l’incertezza è il filo rosso che lega le sue ricerche, il suo insegnamento, i suoi scritti (Fox, 1957; 1959; 1974; 1988). L’insieme della sua opera ci permette di registrare i profondi cambiamenti che il problema della certezza in medicina ha subito nel giro di una generazione.

Discepola del sociologo Talcott Parsons, R. Fox ha cominciato a occuparsi, fin dagli anni Cinquanta, della socializzazione degli studenti in medicina. Il saggio che raccoglieva la sua ricerca recava il titolo emblematico di Training for Uncertainty (1957). La formazione del medico comprendeva, a suo avviso, un itinerario finalizzato a fornire la capacità di gestire l’incertezza. Questo lungo allenamento era centrato attorno a tre tipi fondamentali di incertezza. Il primo è quello che deriva da un dominio incompleto o imperfetto del sapere disponibile: nessuno può possedere tutte le qualificazioni e tutte le conoscenze del sapere medico. Il secondo tipo di incertezza dipende dai limiti propri della conoscenza medica attuale (esistono immensi problemi ai quali nessun medico, per quanto esperto, può dare ancora risposta, anche se è legittimo sperare che lo si possa fare in futuro). Una terza causa di incertezza è quella che consiste nella difficoltà di distinguere l’ignoranza o incapacità personale dai limiti specifici della conoscenza medica attuale; ovvero, in parole semplici, se l’eventuale

22

fallimento vada imputato al medico o alla scienza.

All’occhio dello studioso dei comportamenti sociali risulta agevole stabilire un rapporto tra l’incertezza del sapere medico e quella intrinseca dalla condizione umana, nella quale i fatti relativi alla salute, malattia, benessere, morte, sofferenza sono sempre problemi critici di significato. Ma il sociologo è in grado di descrivere anche i meccanismi attraverso i quali gli studenti di medicina in formazione riescono ad adattarsi all’incertezza 1. Al termine dell’“allenamento all’incertezza”, gli studenti diventavano capaci di accettare l’incertezza come inerente alla medicina, di distinguere i propri limiti da quelli della scienza, di affrontare l’incertezza con un certo candore e una positiva filosofia scettica. Una singolare condensazione di questo atteggiamento si può trovare nello humour tipico degli ambienti medici, miscuglio unico di ironia, empietà e autoderisione.

Le ricerche successive di Renée Fox hanno messo in evidenza l’evoluzione dell’incertezza medica, la sociologia ha registrato una marcata differenza tra quella degli studenti di medicina degli anni Cinquanta e quella tipica dei nostri giorni. La nuova e più forte sensibilizzazione all’incertezza medica, i cui inizi si possono far risalire alla metà degli anni Settanta, presuppone l’affermarsi della nuova biomedicina e di quella riflessione critica, che con i nomi di filosofia della medicina e di bioetica, si è diffusa soprattutto nell’ambito culturale anglosassone. Il contesto sociale è cambiato, e quindi anche il profilo dell’incertezza. Questa non si situa più solo all’interno della scienza medica, ma piuttosto alla frontiera tra la medicina, la politica e l’etica.

Le problematiche bioetiche danno all’incertezza connotazioni molto più ampie. Un significato emblematico assume in questo senso la perplessità relativa alla ricerca con manipolazione del DNA.

Il presentimento che la capacità di manipolare i geni potrebbe alla fine provocare una catastrofe si abbina a dubbi circa i limiti delle regolamentazioni relative alla ricerca scientifica («Chi decide a chi competono le decisioni?»). Un discorso analogo si può fare circa gli effetti nocivi di prodotti chimici e di farmaci sull’ambiente e sulla salute umana (prodotti cancerogeni o mutageni). La stessa metodologia della ricerca (per esempio, la validità dei testi di sostanze cancerogene fatti sull’animale) crea problemi notevoli di incertezza. La pratica di prescrivere delle norme e di tormentarsi su questa prescrizione (cfr. il ricorso alle “moratorie” in vari ambiti: ingegneria genetica, trapianti sperimentali di organi ― xenotrapianti, ossia trapianti sull’uomo di organi animali geneticamente modificati ― ricerca sull’embrione, clonazione) lascia emergere una figura inedita di incertezza che potremmo chiamare “incertezza di secondo livello”, ovvero “incertezza dell’incertezza”.

La maggior parte dei problemi posti attualmente dall’incertezza e dal rischio non si può ridurre entro il quadro analitico di una sola disciplina o di una singola professione. Le incertezze associate ai progressi scientifici e tecnici più recenti (come il trapianto di organi, il depistaggio di malattie a base genetica e la consulenza genetica, la chemioterapia per il cancro) sono legate a metaquestioni che eccedono l’ambito dell’incertezza medica. Sia che si parli dei rischi potenziali paragonati ai vantaggi eventuali, delle conseguenze aleatorie che determinati interventi terapeutici possono comportare per la salute e la sopravvivenza, di predittività, oppure della qualità della vita, inevitabilmente incontriamo problemi fondamentali della società e della stessa condizione umana.

Dall’analisi dell’evoluzione dell’incertezza medica nel corso di un trentennio, Renée Fox è giunta alla conclusione che «esiste almeno una coscienza collettiva latente del fatto che le nostre istanze politiche, legislative e professionali attuali non possono inglobare completamente, né risolvere convenientemente il senso profondo delle nostre questioni morali e metafisiche riguardanti l’incertezza

23

relativa alla salute e alla medicina».

Questa lettura dello sviluppo del sapere medico e delle nuove dimensioni che ha assunto in esso l’incertezza ci predispone a un proficuo incontro con la bioetica. A condizione che questa si presenti non come il luogo dove vengono respinti dubbi e perplessità che gli operatori delle professioni sanitarie non vogliono o non sono in grado di trattare, ma piuttosto come un metodo per riappropriarsi della riflessione come una dimensione che accompagna necessariamente l’azione. La bioetica aiuta a confrontarci con l’incertezza, dopo averla liberata dalla rimozione istituzionale che ha subito nell’ambito della scienza positivistica. Essa colloca di nuovo i problemi della decisione medica entro il contesto appropriato, che è quello di un orizzonte che si apre sulle questioni metafisiche, accessibili non solo al sapere scientifico ma a quello che si nutre di medical humanities.

Questo, almeno, è il percorso che la bioetica ha seguito in molti paesi. Tra i quali non si può, purtroppo, includere l’Italia. Da noi la bioetica è diventata in misura crescente sinonimo di ideologie che, per definizione, non lasciano spazio alle incertezze. Alla bioetica è stato attribuito il ruolo di contestare il “relativismo”, identificato come la malattia che corrode dall’interno la nostra civiltà. Nel discorso pubblico bioetica e “principi non negoziabili” sono spesso considerati come sinonimi. Quando questo uso linguistico prevale, incertezza e bioetica non possono più coabitare: al contrario, la bioetica equivale a uno sfratto intimato all’incertezza. Non solo Renée Fox e il movimento internazionale della bioetica non si riconoscono in questa sicurezza artificialmente indotta, ma anche molti nostri concittadini vogliono voltare le spalle a questo vicolo cieco in cui è andata a cacciarsi la bioetica di casa nostra.

RIFERIMENTI BIBLOGRAFICI  

Fox R.C., Training for incertainty, in Merton R.K., Reader G. (a cura di), The student physician, Harvard University Press, Cambridge (Mass.), 1957, pp. 207-41.

Fox R.C., Experiment perilous: physicians and patiens facing the unknown, Free Press, Glencoe (III), 1959.

Fox R.C., The process of professional socialization: is there a “new” medical student? A comparative view of medical socialization in the 1950s and in the 1970s, in L.R. TancrediEthics of medical care, National Academy of Science, Washington, 1974.

Fox R.C., L'incertitude medicale, CIACO, Louvain-la-Neuve, 1988.

NOTE

1 “Sezionare un cadavere e partecipare a un’autopsia iniziavano gli studenti alla natura profonda del lavoro del medico, che si fonda principalmente sulla dualità della vita e della morte [...]. Praticamente tutti i medici procedono a esami e all’anamnesi, emettono una diagnosi e applicano una terapia. Questi aspetti quotidiani del loro lavoro li obbligano e li autorizzano ad auscultare, scrutare, toccare, manipolare, esplorare e penetrare il corpo dei loro pazienti, ad analizzare le loro urine, le loro feci, il loro sangue, il loro muco, così come a ogni altra sostanza o secrezione corporea, introducendosi così nella loro vita personale e nei loro sentimenti più intimi. Osservando regole rigorose di asepsi, vestiti di bianco inamidato o di verde astringente, penetrando gli orifici del corpo umano che sono fisiologicamente o simbolicamente associati alle sue più nobili e alle sue più basse funzioni, per estrarne certe sostanze quale il sangue umano, per esempio, considerato nella nostra cultura come allo stesso tempo impuro o sacrosanto. In patologia clinica, nel corso di diagnosi fisiche e nelle loro diverse funzioni cliniche, ho osservato come gli studenti di medicina imparano non solo a padroneggiare le tecniche che questi esami implicano, ma anche a controllare le loro reazioni emotive. Ciò che gli studenti ritenevano particolarmente “sconcertante” (per usare le loro parole) si ritrova nelle situazioni mediche in cui i problemi di incertezza e di significato sono legati: per esempio, quando assistevano a un’autopsia da cui non derivava nessuna spiegazione definitiva sulla causa della morte del paziente, o quando erano a contatto con un paziente che soffriva di un cancro doloroso e incurabile e che subiva i gravi effetti secondari della terapia”: R. Fox, The Evolution of Medical Uncertainty, Milbank Memorial Fund, New York 1980.