La professione del medico in un contesto nuovo

Book Cover: La professione del medico in un contesto nuovo
Parte di Bioetica sistematica series:

Sandro Spinsanti

LA POFESSIONE DEL MEDICO IN UN CONTESTO NUOVO

in Prospettive Sociali e Sanitarie

anno XXIV, n. 3, 15 febbraio 1994, pp. 1-3

3

Un’esperienza di formazione nella Usl 12 di Ancona

Cosa sta cambiando nella medicina degli ultimi vent’anni? Quali sono le “regole del gioco” che un medico, oggi, deve imparare a gestire? E come affrontare i conflitti generati dalla nuova medicina e migliorare la qualità dell'assistenza sanitaria nei nostri servizi?

Innanzitutto si modifica l'equilibrio del rapporto medico-paziente. Da una prospettiva centrata sul medico, fino ad ora ritenuto l'unico in grado di conoscere effettivamente il bene e il male per il paziente e di prendere decisioni su cosa fare per il bene e cosa per evitare il male, si rivaluta il paziente come soggetto di diritti, luogo di competenze, attore nelle decisioni di costruzione della propria salute.

Dal paternalismo medico, antico e “assoluto” nelle sue decisioni, al processo lento, conflittuale, necessario, del “consenso informato”.

Ma questo è solo un aspetto della rivoluzione in atto nella medicina. Il medico, oggi, è chiamato ad ampliare la sua visione di intervento e, quindi, di competenza, è chiamato a fare i conti con aspetti di ordine sociale ed economico, a chiedersi, ad esempio, come gestire le risorse seguendo criteri di economicità e di giustizia. Così anche, al medico di oggi, viene chiesto un coinvolgimento attivo nelle scelte che riguardano l'organizzazione del servizio alla salute. L'immagine del medico, la sua professionalità, appaiono quindi più ampie, più sfaccettate: ci si aspetta da questa figura professionale non solo una competenza specifica, scientifica, ma anche un equipaggiamento di cultura e di esperienza che non ha mai fatto parte dei programmi formativi del medico. Nel contributo che presentiamo qui di seguito Sandro Spinsanti, che da anni si occupa di bioetica e di “medical humanities” ci propone una esperienza di formazione rivolta ai medici della “nuova medicina”.

“Umanizzazione dei servizi sociali e sanitari”

è una rubrica promossa dall’Irs,

coordinata da Emanuele Ranci Ortigosa e Anna Rotondo

con la collaborazione di Paola Ielasi

Un’ampia ricerca ― “Il futuro della sanità in Europa” ― che ha coinvolto 3000 esperti di dieci Paesi, ha identificato due sfide comuni a tutti i sistemi sanitari: migliorare la qualità dei servizi offerti e contenere i costi.

Se questo è l’imperativo che predominerà nello scenario della sanità in Europa nel prossimo quinquennio, rimane da determinare in quali modi concreti potremo avvicinarci all’obiettivo.

Per quanto riguarda più specificamente l’Italia, bisogna considerare anche l’appuntamento costituito dalla “riforma della riforma” sanitaria. Tra le maggiori innovazioni introdotte dal decreto 502 del dicembre 1992 si deve registrare la gestione della sanità pubblica con criteri aziendali.

La figura del “manager” sanitario evoca contraddittorie speranze e timori. Malgrado le resistenze, si deve registrare un atteggiamento diffuso di disponibilità al cambiamento. C’è un fiorire di iniziative di corsi, seminari, proposte formative. L’innovazione viene proposta con diverse etichette, che presuppongono varie metodologie e costrutti teorici di riferimento: economia sanitaria, managerialità, gruppi di VRQ (Verifica e Revisione di Qualità), gestione ottimale delle risorse, etica.

È difficile orientarsi a priori verso l’una o l’altra proposta, scartando le offerte improvvisate per privilegiare quelle che offrono migliori garanzie. La verifica dei risultati delle proposte innovative diventa, a questo punto, un criterio empirico affidabile per valutare quale, tra

2

i numerosi progetti in corso, sia effettivamente in grado di modificare la pratica della sanità pubblica, mediante il miglioramento della qualità dei servizi e il contenimento dei costi.

Da questa verifica empirica si può dire che esca molto bene il programma messo in atto dalla USL 12 di Ancona. Il progetto è stato avviato nella primavera 1993. All’insegna di un programma globale ― “Per una sanità anconitana migliore” ―, l’Amministratore straordinario della Usl ha invitato 25 primari e responsabili di servizi nei quattro ospedali cittadini a partecipare a un corso teorico-pratico di “Pitica ed economia in sanità”.

Le lezioni dei tre giorni del corso gravitavano attorno ai punti focali costituiti dall’etica (“Problemi di giustizia in sanità nell’orizzonte della bioetica”; “Micro e macro allocazioni di riserva”; “Decisioni cliniche e contenimento dei costi”), dall’economia (“Efficienza, efficacia e rendimento dei servizi sanitari”, “Analisi ‘cost-benefit e costi-risultati’ nell’azienda sanità”) e dal management (“Le competenze manageriali in sanità”, “La gestione delle risorse”, “La progettazione per obiettivi e la verifica dei progetti”). Le innovazioni erano trasparenti in tutta l’impostazione del corso.

Quelle culturali, anzitutto. Il corso ha inteso focalizzare l’attenzione dei clinici su aspetti della loro cultura medica che non derivano dal sapere medico-scientifico, rna da altri ambiti disciplinari afferenti a quel vasto complesso di conoscenze che vanno sotto il nome di medical humanities. Tra queste, l’etica e l’economia sono le più gravide di conseguenze per l’organizzazione concreta della sanità.

Detto in altre parole: chi si preoccupa oggi di fare “buona medicina”, non può limitarsi a considerare le ultime acquisizioni della ricerca e della clinica, mediante la consultazione accurata delle pubblicazioni scientifiche registrate da “Medline” o “Index Medicus”. Oltre a questo, deve anche considerare l’impatto che sulle scelte cliniche ha il riferimento ai valori condivisi e tener presente le limitazioni che derivano dal contenimento dei costi.

Per quanto diversi come saperi normativi, etica ed economia guardano nella stessa direzione e agiscono in sinergia nel promuovere una pratica della medicina commisurata ai bisogni umani, così come si presentano in concreti contesti. Bisogna essere consapevoli che questo approccio si discosta fortemente dall’impostazione tradizionale del ruolo medico, secondo la quale il sanitario nelle sue scelte cliniche deve lasciarsi guidare unicamente dalla considerazione del bene del malato.

L’etica ha rinforzato la voluta estraneità del medico dall’economia. Viene investita di valore positivo solo la decisione medica che valuta il beneficio terapeutico del inalato, indipendentemente dalla capacità di questi di pagare la prestazione.

L’idea del diritto delle cure mediche per tutti, e non solo degli abbienti, è considerata una acquisizione irrinunciabile della nostra civiltà. La socializzazione delle cure sanitarie ha allontanato ancora di più il medico dall’orizzonte di gestione delle risorse secondo criteri di equità e di giustizia. L’ideale a cui il rapporto medico-paziente è andato sempre più ispirandosi è quello che traspariva nell’affermazione del medico di Bismark: “Quando io curo un malato, siamo io e lui da soli su un’isola deserta”. Un ideale, in altre parole, di assoluta estraneità a considerazioni di ordine sociale ed economico, che vengono lasciate ad altri agenti sociali.

L’inclusione dell’etica e dell’economia nella decisione clinica, quali elementi essenziali che definiscono una “buona medicina”, sollecita il medico ad affrontare problematiche che riteneva aliene alla sua professione. L’impatto sul profilo del professionista può essere dirompente.

L’altro aspetto innovativo del corso promosso per le figure di vertice della sanità anconitana è la considerazione dell’aspetto organizzativo, o manageriale, quale componente della professionalità medica.

Dopo la stagione che ha visto la presenza invadente ― e spesso incompetente ― dei politici nella gestione della sanità, il pendolo torna a oscillare verso un coinvolgimento diretto del corpo sanitario nelle scelte che riguardano l’allocazione delle risorse e l’organizzazione del servizio alla salute.

Il cambiamento non si ispira alla nostalgia per un’epoca in cui il medico, come “capitano della nave”, guidava la rotta in modo assolutistico. La società complessa non rende più possibile un modello di tal genere, anche se ispirato al paternalismo più illuminato. Non si tratta, quindi, di auspicare la regressione verso un modello di medico onnisciente, ma piuttosto di promuovere la crescita professionale integrando il sapere e il saper fare del medico in ambito terapeutico con competenze organizzative.

Il cambiamento della cultura medica che ciò implica non è di poco conto. La “produttività” ― termine bandito dall’orizzonte delle preoccupazioni del medico perché considerato contrario al rispetto dovuto al malato ― dovrà entrare nel linguaggio quotidiano del medico.

Anche l’etica, intesa come rispetto per la soggettività del paziente e come attenzione per la qualità del servizio prestato e per la soddisfazione del paziente, deve avere nella pratica quotidiana della medicina uno spazio non marginale. E di tale etica i medici devono essere i soggetti attivi: non darla semplicemente in appalto a filosofi, teologi, bioeticisti e altri esperti, per limitarsi al consumo di prescrizioni comportamentali elaborate da altri.

La conquista di un ruolo attivo nell’elaborazione di una riflessione etica, nella gestione delle risorse e nella promozione della qualità si rivela anche come la via regia

3

per la rimotivazione dei professionisti. Anche il medico più disincentivato, reso amaro da fluttuazioni nella sanità che sembrano aver sempre più esautorato il ruolo della professione, può ritrovare un antico entusiasmo attraverso la rivitalizzazione del suo ruolo.

L'avvertenza che bisogna avere ò quella di non offrire ricette o formule rigide da applicare. Questo è invece un pericolo in cui l’etica e l’economia ― saperi prescritti ― possono facilmente cadere. In questo modo vengono mollificate le capacità pianificatrici degli individui.

Ai Primari e figure apicali che hanno partecipato al corso è stato evitato di essere ridotti a scolari che devono semplicemente applicare quanto altri hanno pensato per loro. Durante il corso intensivo erano stati invitati a individuare delle aree critiche e ad elaborare progetti specifici per superare le problematiche esistenti e migliorare l’efficienza e la qualità dell’assistenza. I progetti dovevano soddisfare alcune condizioni: essere di rapida attuazione; a costi economici bassi o nulli (in pratica, si trattava di lavorare utilizzando le risorse esistenti); coinvolgere sanitari di diverse aree, per creare obiettivi condivisa e promuovere una cultura omogenea.

Di questi progetti i medici stessi hanno avuto la gestione completa: dall’individuazione dei problemi nelle diverse aree critiche della realtà sanitaria locale, nonché ai tempi c ai modi di realizzazione.

Sono stati formulati sci possibili progetti e si sono costituiti altrettanti gruppi di lavoro. A scadenza periodica hanno avuto luogo incontri di verifica e di affinamento dei progetti, sia nei contenuti che nel metodo; una volta al mese i singoli gruppi hanno discusso lo stato di avanzamento del progetto, le difficoltà incontrate e i cambiamenti necessari con gli esperti che seguivano lo sviluppo del programma fin dalla proposta teorica fornita con il corso intensivo.

La presentazione ai colleghi dei progetti elaborati dai gruppi di lavoro, atre mesi dall’avvio del programma, ha costituito il banco di prova dei Primari che hanno accettato la sfida del rinnovamento.

I sei progetti riguardavano: la riduzione dei tempi di attesa degli esami durante il ricovero; il migliore utilizzo della struttura ospedaliera (agendo sull’appropriatezza del ricovero e sulla piena utilizzazione delle giornate di degenza); incremento dell’autotrasfusione, in un progetto più globale di buon uso del sangue; riorganizzazione del Day Hospital, sulla base delle indicazioni legislative; razionalizzazione dell’uso degli antibiotici in chirurgia; promozione di informazione e comunicazione sistematiche tra le varie figure professionali appartenenti allo stesso sistema locale di sanità e tra i professionisti e i cittadini (costruzione di un manuale per operatori interni della Usl 12, di un opuscolo di reparto da consegnare all’utente che usufruisce di prestazioni ambulatoriali e di una guida per chi si ricovera in ospedale).

Dopo tre mesi di elaborazione, i progetti sono stati presentati, in una giornata di confronto pubblico, ai colleghi medici e altre figure di vertice della Sanità anconitana.

I risultati sono stati così incoraggianti che il gruppo originario ha deciso di continuare a lavorare con la modalità della progettazione per obiettivi, ampliando e differenziando i progetti già avviati. Inoltre ― a dimostrazione che l’entusiasmo nato dalla riscoperta delle potenzialità della professione è contagioso ― una cinquantina di altre figure apicali si sono iscritte al corso. Il quale è stato ripetuto, nella sua duplice scansione teorica e pratica, per raddoppiare il numero dei Primari, aiuti e direttori di servizi che aderiscono al nuovo modello gestionale.

Il successo del modello appare legato a condizioni che non possono essere scorporate dall’insieme. Emergono in grande rilievo: l’autorevolezza delle proposte, evidenziate dal diretto investimento istituzionale (il coinvolgimento del vertice della Usl, nella figura del suo amministratore, appare decisivo); l’assegnazione di un reale potere di interlocutori (i primari considerati non come funzionari di una amministrazione impersonale, ma come soggetti sommamente responsabilizzabili); l’omogeneità dell’intervento, che avviene su una realtà dai confini delimitabili, come una Usl.