- Documenti di deontologia e etica medica
- Bioetica
- Bioetica in sanità
- Etico bio-medica
- Etica medica
- Le ragioni della bioetica
- Fondamenti di bioetica
- L'etica per una medicina umana
- La quotidiana fatica di essere razionali in medicina
- Le stagioni dell'etica in medicina
- Stagioni dell'etica e modelli di qualità in medicina
- Stagioni dell'etica e modelli di qualità in medicina
- Stagioni dell'etica e modelli di qualità in medicina
- Die Medizinische anthropologie
- Verso una medicina della persona
- Bioetica global o la sabiduria para sobrevivir
- La liceità dell'atto medico: considerazioni etiche
- De la nature et de la personne en bioéthique
- Il valore della complessità e la metodologia clinica
- Quale etica per l'ebm?
- Cattivi pensieri sugli errori in medicina
- Il medico: servo di tre padroni?
- Il medico servo di tre padroni
- Ethical foundations for a culture of safety
- Etica e malattie rare
- Interessi plurali, interessi in conflitto nella pratica clinica
- Conflitto di interessi
- Commento a "Problemi etici nel trapianto renale da vivente"
- La bioetica: una via per la crescita della coscienza
- L'incertezza medica incontra la bioetica
- Il giudizio morale è fuori dall'emotività
- Legge, deontologia ed etica
- Implicazioni etiche dell'obiezione di coscienza nella professione medica
- La boxe: un problema di etica medica?
- L'etica in medicina
- Cancro e persona umana: considerazioni etiche
- Tecnologie riproduttive ed educazione al giudizio etico
- La professione del medico in un contesto nuovo
- Istruzioni per boicottare la bioetica
- L'etica nella vita del medico
- Quale etica per la medicina?
- Bioetica: problematiche emergenti e prospettive
- L'etica all'ombra del «tao»
- Obtaining Consent from the Family: A Horizon for Clinical Ethics
- La bioetica clinica
- Le regole del gioco
- Verso la medicina delle scelte
- La qualità nel Servizio Sanitario
- Domande a Sandro Spinsanti
- Bioetica clinica per operatori sanitari
- Etica e terapia
- La decisione in medicina come problema etico
- La liceità dell'atto medico: considerazioni etiche
- Scienza e coscienza come responsabilità morale
- Troppe domande ancora senza risposta
- Un diritto gentile
Diego Gracia
FONDAMENTI DI BIOETICA
Sviluppo storico e metodo
Ed. San Paolo, Cinisello Balsamo 1993
pp. 5-12
5
PREFAZIONE ALL’EDIZIONE ITALIANA
Per la bioetica, tempo di «trattati»
La bioetica è una disciplina anomala sotto diversi punti di vista. Il suo sviluppo sembra fatto apposta per scompigliare le idee precostituite sul sapere, sulla sua suddivisione in discipline, sulla loro collocazione accademica. Intanto, il termine stesso che la denota ― coniato da Van Rensslaer Potter nel 1970 — è stato adottato quasi casualmente per designare la riflessione sistematica nata a ridosso dei problemi creati dal progresso della biologia e della medicina; il contenuto della disciplina, inoltre, si è andato sviluppando in un senso diverso da quello proposto dal creatore del neologismo 1. Warren Reich, uno dei protagonisti indiscussi della nascita della bioetica, grazie alla Encyclopedia of Bioethics da lui curata, racconta come la scelta del termine «bioetica», invece di «etica medica», sia stata quasi casuale al momento della progettazione dell’opera 2. A sua volta, è stata l'Encyclopedia, apparsa in quattro volumi nel 1978, a consacrare in modo definitivo il termine. Per un caso forse più unico che raro, un’enciclopedia è nata prima della disciplina di cui si presume che raccolga in modo organico un corpo di conoscenze già assodate in ambito accademico.
Gli anni ruggenti della bioetica — in pratica, i suoi primi venti anni di vita ― sono stati nutriti più di cronaca che di dibattiti universitari. problemi di cui si occupa hanno trovato una prepotente collocazione nei media, abili nel sollevare un costante turbinio di emozioni e di opinioni
6
circa fecondazione artificiale ed eutanasia, trapianti di organi e ingegneria genetica, sperimentazione sugli esseri umani e sugli animali e misure repressive di controllo sociale nei confronti di malati di Aids. In mancanza di un supporto istituzionale fornito da un insegnamento universitario, nell’esuberante periodo carismatico della bioetica, questa disciplina è stata rappresentata da cultori generosi, ma molto spesso improvvisati. Studiosi provenienti dalla medicina o dalla filosofia, dal diritto o dalla teologia, si sono autodesignati «bioetici»: una fioritura estemporanea, correlabile sia alla richiesta di bioetica sul palcoscenico dei mass media, sia alla mancanza di referenti accademici.
I luoghi tradizionali dell’insegnamento superiore ― le università ― sono ancora per lo più chiusi alla bioetica (o cominciano appena a dibattere le competenze delle rispettive discipline, in un trasparente disegno di «recupero» della bioetica). In questa situazione, che è sostanzialmente comune a tutti i paesi europei, spicca l’alto profilo di quanto ha intrapreso Diego Gracia Guillén: pubblicare un primo, vasto, organico trattato di bioetica.
Si tratta di un ponderoso volume dedicato alla storia e al metodo della bioetica, un’opera unitaria, tenuta insieme da un robusto piano architettonico. Storia e metodo costituiscono, congiuntamente, il riuscito tentativo di dare una fondazione al pensiero bioetico contemporaneo. Di fronte al moltiplicarsi di problemi legati al progresso della biologia e della medicina e al tentativo di offrire soluzioni pragmatiche, Diego Gracia risponde con uno sforzo di riflessione sistematica che obbedisce alla strategia del «reculer pour mieux sauter». Per trovare risposta ai problemi posti dal presente — e verosimilmente ancor più dal futuro — si rivolge al passato, prossimo e remoto. La bioetica appare così non come un arbusto dalla precaria esistenza, ma come un albero che affonda le radici nella storia culturale dell’Occidente: negli sviluppi storici della pratica medica e in quelli teoretici del pensiero filosofico.
Un manuale di così ampio impianto ha un aspetto di sfida. Presuppone molto più che una volontà di seria informazione: richiede l’impegno necessario per un vero e proprio studio 3. Ancora una volta, la bioetica
7
sembra giocare d’anticipo: ancor prima che nelle università sia istituita questa disciplina, con un adeguato disegno curricolare, produce lo strumento necessario per tale lavoro. Non solo per una scommessa sugli sviluppi futuri, ma quasi per una coerente esigenza interna. Alla fase carismatica sta facendo seguito, infatti, quella istituzionale. Un sistematico approfondimento della disciplina, qual è quello che ci viene offerto dal vasto trattato di Diego Gracia, è la faccia della bioetica rivolta al proprio interno, in uno degli sforzi di concettualizzazione di più ampio respiro che siano stati finora tentati. Al tempo stesso, questa robusta innervatura disciplinare fornita dal trattato è il presupposto per un’altra tappa fondamentale dello sviluppo della bioetica.
La bioetica non può più a lungo rimanere un «optional» nella formazione di medici, biologi, operatori e amministratori della sanità. Ed è più che mai necessario provvedere alla formazione dei formatori, disegnando un serio profilo, contenutistico e metodologico, di quel particolare professionista che sarà autorizzato a chiamarsi «bioetico» (se anche questo neologismo, trasposto dall’inglese bioethicist, è destinato a imporsi) e al quale sarà riconosciuta la competenza per questa particolare utilizzazione della disciplina. A ciò provvede il trattato di bioetica redatto da Diego Gracia.
L’Autore e la sua formazione
In bioetica la presentazione del profilo personale e del background culturale dello studioso è più che un tributo pagato al narcisismo degli Autori. Per comprendere questa disciplina in formazione è molto importante tener presente attraverso quale cammino si è arrivati a essa, qual è il bagaglio che si porta sulle spalle e l’eredità che in essa viene trasferita 4. Uno dei motivi della vitalità della bioetica è la poliedricità degli apporti in essa convergenti.
La presentazione della personalità di Diego Gracia al più alto livello di ufficialità è quella fatta da Pedro Laín Entralgo in occasione della cerimonia con cui, il 3 aprile 1990, lo studioso è stato accolto nella «Reai Academia Nacional de Medicina» 5.
L’illustre storico della medicina ricostruisce l’itinerario della carriera accademica di Diego Gracia, che lo ha portato successivamente a essere collaboratore del Consiglio Superiore di Ricerche Scientifiche, professore
8
associato e cattedratico di Storia della medicina presso l’università Complutense di Madrid, discepolo e successore, quindi, dello stesso Laín Entralgo. Insieme a Laín, Diego Gracia ha dato un contributo decisivo alla fioritura dell’umanesimo medico spagnolo contemporaneo.
La sua produzione scientifica segue tre principali filoni: la storia, la filosofia e la teoria della medicina. Come storico della medicina, Diego Gracia si è interessato dei principali capitoli della storia della medicina: da quella che si praticava nell’antichità a quella corrente nelle odierne università. Un particolare interesse ha dedicato ad alcuni aspetti della medicina greca (soprattutto alla tradizione che ha come suo punto di riferimento il «Giuramento» ippocratico) e alla medicina medievale (con un peculiare interesse per l’etica medica praticata nel cristianesimo del Medioevo). La capacità che la storia della medicina ha dimostrato nella produzione di Diego Gracia di non inaridirsi in pura erudizione o in archeologia del sapere, ma di offrire invece quel tronco robusto su cui si innestano le problematiche più attuali della bioetica, è simmetrica alla vitalità che la storia della medicina sta rivelando in Germania. Anche a Freiburg (Eduard Seidler), a Lübeck (Dietrich von Engelhardt), ad Heidelberg (H. Schipperges) la storia della medicina si è dimostrata una scienza-ponte che, applicando le conoscenze maturate dalle discipline naturali all’uomo, visto come realtà «naturale» e «culturale» allo stesso tempo, è stata capace di aprirsi alle stimolazioni della bioetica 6.
L’attività dello storico trapassa spontaneamente e quasi si confonde con quella rivolta a mettere in evidenza la teoria della medicina che sottende la pratica terapeutica. Fin dalla sua tesi di dottorato (Persona y enfermedad. Una contribución a la historia y a la teoría de la Antropologia médica, Madrid 1973), Diego Gracia ha appuntato i suoi interessi ai rapporti essenziali che legano la medicina e l’antropologia, intesa come scienza dell’uomo in quanto uomo. Lo studio e la pratica della medicina — a suo avviso, una esperienza che crea come una specie di seconda natura e imprime un carattere alla percezione e all’azione 7 — si rivelano come un osservatorio privilegiato per dare il rilievo appropriato alla malattia, guarigione e morte del malato: non come fatti di ordine semplicemente fisico-chimico, bensì di ordine umano.
La formazione di medico, specializzato in psichiatria, spiega la focalizzazione di Gracia sulla bioetica clinica e il suo relativo disinteresse per quelle dimensioni della bioetica che si originano dalla ricerca biologica, dalla genetica, dai dinamismi ecologici degli organismi viventi. Allo stesso
9
tempo, però, conferisce alla sua bioetica quel tono inconfondibile che deriva da un profondo radicamento nella pratica della medicina.
Un terzo interesse intellettuale di Diego Gracia è la filosofia. Si è occupato di filosofia non in modo dilettantistico, ma con serio impegno, nato dalla frequentazione di Xavier Zubiri (1898-1983), uno dei filosofi spagnoli più importanti del nostro secolo. Di Zubiri D. Gracia si può considerare discepolo in senso totale: collaboratore; direttore del Seminario di filosofia della Sociedad de Estudios y Publicaciones, che si occupa della edizione critica degli scritti postumi del Maestro; interprete del suo pensiero (il suo volume Voluntad de verdad. Para leer a Zubiri costituisce la migliore introduzione al filosofo: ne riassume, sistematizza e commenta le principali tesi, soprattutto riproducendo fedelmente l’idea che Zubiri aveva della filosofia) 8.
Il lettore si renderà personalmente conto di quale posto occupi Zubiri, con il suo pensiero oscillante tra esistenzialismo, fenomenologia e neoscolasticismo, soprattutto nella sezione dedicata al metodo della bioetica.
Storia della medicina, antropologia medica e sapere filosofico confluiscono in questo trattato dedicato ai fondamenti della bioetica. L’approccio settoriale agli interrogativi strettamente etici nella sua opera si amplia, fino a fondersi in una vera e propria «filosofia della medicina». La bioetica diventa il punto di fusione di motivi diversi, che Gracia riconduce a unità, senza sacrificarne nessuno.
La proposta di una bioetica «mediterranea»
Il valore del trattato di bioetica che ci offre Diego Gracia deriva dal fatto di non ridursi a una semplice compilazione dello scibile relativo alla bioetica, magari esaustiva nell’informazione ma invertebrata. Esso offre, invece, insieme a un’informazione precisa e attendibile, sempre aderente alle fonti, anche una originale proposta, nella quale è invitata a rispecchiarsi
10
in particolare la bioetica europea. Con linguaggio aulico, così ha formulato Pedro Laín Entralgo l’apporto di Diego Gracia alla bioetica: «Ho letto tempo fa che i conquistatori dell’Irlanda giunsero in breve tempo ad essere Hibernis ipsis hiberniores, “più irlandesi degli stessi irlandesi”. Con il ricordo di questa frase, io ho spesso ripetuto a coloro che si sono avvicinati a me con qualche ambizione intellettuale che il nostro dovere di spagnoli consiste nell’essere europensibus ipsis europensiores, “più europei di quelli che ritengono se stessi europei genuini”. Rispetto all’abituale nazionalismo intellettuale di tanti francesi, tedeschi e inglesi, noi spagnoli dobbiamo estendere l’area della nostra informazione a tutto l’ambito europeo. A partire da Cajal e da Menéndez Pidal, così si sono mossi i nostri migliori. Ma oggi non basta. Oggi, con la crescente e travolgente importanza scientifica dei nordamericani, questa formula deve essere ampliata: noi spagnoli dobbiamo essere occidentalibus ipsis occidentaliores, “più occidentali degli stessi occidentali”. Non per diventare orientali avendo superato l’Occidente, come dice del Portogallo un ingegnoso sonetto di Eugenio d’Ors, bensì per muoverci con pieno diritto nell’avanguardia del mondo occidentale. E quanto ha fatto Diego Gracia con i suoi Fondamenti di Bioetica» 9.
Questo alto riconoscimento ha il merito di aver centrato i punti nevralgici dell’apporto di Diego Gracia al movimento internazionale della bioetica. Esso presuppone l’attenta registrazione di una crisi di crescenza che sta attraversando la bioetica (in modo del tutto fisiologico rispetto ai suoi vent’anni di esistenza, si potrebbe osservare!). Soprattutto negli Stati Uniti, si sta svolgendo una spregiudicata rimessa in discussione del paradigma dominante sotteso alla pratica della bioetica, in particolare quello che fa uso del riferimento ai tre fondamentali «princìpi» di beneficità, autonomia e giustizia 10. Contemporaneamente vengono proposti paradigmi alternativi come quello centrato sulle virtù (Alasdair MacIntyre), o sull’esperienza (Warren Reich), o sulla riscoperta della tradizione classica della casistica (Mark Siegler).
È in questo contesto che diventa particolarmente rilevante la proposta sistematica di Diego Gracia. Questa non si limita a dar voce all’insoddisfazione nei confronti della bioetica di impronta nordamericana che serpeggia nel mondo latino, ma si propone di attingere nella grande tradizione dell’umanesimo medico, della filosofia morale e della filosofia
11
politica europee gli elementi più vitali per apportare alla bioetica anglosassone il correttivo di cui ha bisogno.
Soprattutto nel suo saggio Primum non nocere, che Gracia ha esposto agli accademici di Spagna in occasione della sua accoglienza nella «Real Academia Nacional de Medicina», ha elaborato la critica più costruttiva della bioetica sbilanciata unilateralmente sul versante del principio di autonomia, proponendo la tradizione che si ispira al principio di «non-maleficità» come fondamento dell’etica medica. Bisogna tener conto che nella cultura occidentale ha avuto luogo un lento spostamento storico dal medico al paziente. Durante molti secoli si ritenne che il medico conosceva oggettivamente che cosa fosse bene e che cosa male per il paziente, e che pertanto era l’unico in grado di prendere decisioni in tal senso. Al medico spettava fare il bene ed evitare il male, anche contro la volontà del paziente. La beneficità e la non-maleficità, due facce della stessa medaglia, venivano a coincidere con il punto di vista del medico.
Il cambiamento subentrato nell’epoca moderna, sotto la spinta del pensiero liberale, consiste in una interpretazione autonomista del principio di «non-maleficità», nel senso dei diritti civili e politici. Se ogni essere umano è soggetto di alcuni diritti primari e inviolabili, tra i quali il diritto all’autonomia e all’autodeterminazione, allora anche il malato ha qualcosa da dire circa ciò che è male per lui, considerando la sua situazione vitale. Anche qui beneficità e non-maleficità si identificano; solo che il punto di vista è diverso: ciò che determina il bene e il male è la prospettiva del paziente, non quella del medico.
«L’autonomismo a oltranza porta a paradossi tanto insopportabili quanto quelli dell’antico paternalismo» 11: questa convinzione induce Diego Gracia a proporre una via diversa, che proceda mediante una netta differenziazione tra non-maleficità e beneficità. Questi due princìpi non solo non si identificano, ma non si trovano neppure allo stesso livello. Quello di beneficità è sempre relativo all’autonomia, e quindi dipende dal sistema di valori proprio di ogni persona. Il principio di non-maleficità è invece assoluto, ed è previo al principio di autonomia, sia a quella del medico che a quella del malato.
Il fondamento ultimo del principio che impedisce di fare del male all’altro è la giustizia, che ci obbliga a trattare tutti gli esseri umani con uguale considerazione e rispetto. In altre parole: se gli atti di beneficità devono tener conto della volontà e del punto di vista relativo del paziente, quelli che proibiscono di nuocere si fondano sul carattere assoluto delle esigenze della giustizia. L’obiettivo del rapporto medico-paziente non è solo «non nuocere» (non-maleficità), e non solo non discriminare le persone (giustizia), ma anche fare tutto il bene possibile. Esso si traduce,
12
quindi, in una negoziazione tra l’autonomia del paziente e la beneficità del medico, alla ricerca dell’ottimo possibile in ciascuna situazione concreta. È questa la prospettiva innovativa per la bioetica contemporanea, e ancor più per quella del futuro, che Diego Gracia deriva da una lettura evolutiva della grande tradizione dell’etica medica.
Nella stessa direzione muove la sua proposta di una elaborazione di un’«etica minima» come compito principale della bioetica. Questo sarebbe, in particolare, il contributo della bioetica continentale europea. Resa edotta dalle proprie tragiche esperienze connesse con l’assolutismo e la negazione dei fondamentali diritti umani, la riflessione filosofica si è messa alla ricerca di ciò che Th.W. Adorno ha chiamato Minima Moralia, ovvero di quel livello minimo di moralità al di sotto del quale regna l’immoralità, anche se venisse accettato da tutti. I principi di «non- maleficità» e di «giustizia» identificano precisamente questa etica minima; mentre il binomio autonomia-beneficità (in pratica, quella polarità della vita che gravita intorno alla ricerca della felicità) determinerebbe l’«etica dei massimi».
A completare dialetticamente questa sensibilità «europea», Diego Gracia prospetta la necessità di una «bioetica mediterranea», protesa, più che a difendere il livello del minimo etico, a ricercare le soluzioni ottimali ai problemi che ci prospetta la vita. La direzione verso la quale siamo invitati a muoverci è quella dell’acquisizione di abitudini, di qualità di carattere; ovvero, della virtù. «Si deve convenire che la morale popolare dei nostri paesi continua a essere basata sull’idea di virtù, forse più che in altre latitudini. Lo si avverte molto bene nel campo medico sanitario. I nostri pazienti non sono tanto preoccupati come quelli anglosassoni del rispetto per la loro autonomia e della scrupolosa informazione sulla loro malattia; a loro interessa piuttosto incontrare un medico nel quale possano aver fiducia. La virtù della fiducia è per essi più importante del diritto all’informazione» 12.
Dovere e virtù, etica del minimo ed etica dei massimi, promozione dei valori e attenzione alle procedure: tutto questo è incluso nella bioetica che Diego Gracia ci propone nel suo trattato. Non sottolineatura unilaterale, ma neppure sincretismo: piuttosto, organica complessità, che nasce dalla convinzione che le decisioni etiche sono corrette solo se si tiene conto di tutti i punti di vista, e non solamente di alcuni. Proprio di un trattato di questo genere la bioetica aveva bisogno, per gli anni che cominciano dopo i suoi primi venti.
Note
1 Si veda B. Chiarelli ed. E. Gadler, Nota storica. Van Rensselaer Potter e la nascita della bioetica, in Problemi di bioetica, 5 (1989), pp. 61-63. Con il suo libro Bioethics. Bridge to the future, ed. Prentice-Hall, Englewood Cliffs, N.Y. 1971, Potter denunciava come innaturale e pericolosa la suddivisione tra l’ambito scientifico e quello umanistico del sapere e perorava un «ponte» tra queste due culture. I valori etici, a suo avviso, non devono essere separati dai fatti biologici; la bioetica, quale nuova scienza, dovrebbe insegnare a usare le conoscenze, soprattutto quelle biologiche, per la sopravvivenza. Si tratta, in particolare, delle conoscenze ecologiche, genetiche e fisiologiche, che dovrebbero essere abbinate ai valori umani, guida per l’azione.
2 Cfr. C. Viafora (a cura), Vent’anni di bioetica, Fondazione Lanza-Gregoriana Libr. Ed., Padova 1990, p. 130.
3 Con molto humour, introducendo un proprio volume di antropologia medica dedicato ai clinici, Pedro Lafn Entralgo annotava: «Quando ero giovane, La Presse Médicale pubblicava frequentemente la presentazione di qualche preparato farmaceutico: una pagina divisa in tre colonne; la prima, interamente stampata, sotto il titolo “Per i medici che hanno molto tempo”; la seconda, stampata solo nella metà superiore e intitolata “Per i medici che hanno poco tempo”; la terza con solo tre o quattro righe a caratteri grandi e intitolata così: “Per i medici che non hanno affatto tempo”». Lo scrittore continua dicendo che il suo libro si rivolge alla seconda categoria, e magari anche alla prima, non invece alla terza: «A quelli che non hanno affatto tempo, agli intossicati schiavi del loro lavoro, bisognosi solo di conoscenze tecniche immediatamente utilizzabili, sarebbe inutile rivolgersi» (P. Laín Entralgo, Antropologia medica, tr. it., Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo 1988, pp. 21s). Il trattato di bioetica che ora ci propone Diego Gracia domanda ancor più che un lettore con molto tempo: si rivolge a chi è disposto ad affrontare lo studio sistematico della disciplina.
4 Ha valore esemplare in tal senso il volume Vent’anni di bioetica, già citato. In esso sono raccolti, in forma narrativa, i ritratti di alcuni dei principali protagonisti dello sviluppo della bioetica, tra i quali appunto quello di Diego Gracia (pp. 252-267).
5 Il discorso di Laín Entralgo è contenuto nel volumetto Primum non nocere. El principio de no-maleficencia corno fundamento de la ética médica, Real Academia de Medicina, Madrid 1990, che riproduce il discorso ufficiale di Diego Gracia (pp. 97-103).
6 La particolare sensibilità storica dimostrata dalla bioetica fiorita nell’area linguistica tedesca è sottolineata da Alberto Bondolfi in Vent’anni di bioetica, op. cit., pp. 331s.
7 D. Gracia, Voluntad de verdad. Para leer a Zubiri, Ed. Labor Universitaria, Barcelona 1986, p. IX.
8 Questa citazione di Zubiri, tratta da Naturaleza, Historia, Dios, vale meglio di ogni altra a cogliere che cosa il filosofo intendeva per filosofia: «La filosofia non è qualcosa di dato, su cui si possa allungare la mano per servirsene a piacimento. In ognuno la filosofia è cosa che deve essere costruita mediante uno sforzo personale. Non che ognuno debba cominciare da zero e inventare un sistema proprio. Al contrario. In quanto si tratta di un sapere radicale e ultimo, la filosofia si innesta, più che qualsiasi altro sapere, su una tradizione. Ciò che è necessario è che, anche ammettendo filosofie già fatte, questa acquisizione sia il risultato di uno sforzo personale, di una autentica vita intellettuale. Tutto il resto è un brillante “apprendimento” da un libro o una splendida confezione di lezioni “magistrali”. Si possono, infatti, scrivere tonnellate di carta e passare una lunga vita in una cattedra di filosofia, senza aver sfiorato, neppure da lontano, il più tenue vestigio di vita filosofica. Al contrario, si può essere assolutamente carenti di “originalità” e possedere, nel più profondo di se stesso, l’intimo e silenzioso movimento del filosofare» (cit. in Voluntad de verdad, p. X). Sono preziose osservazioni per cogliere il «movimento del filosofare» nelle tante pagine che D. Gracia dedica, in questo trattato di bioetica, a ripercorrere il pensiero dei più grandi filosofi della tradizione occidentale.
9 P. Laín Entralgo, in Primum non nocere, op. cit., p. 101.
10 Un’esaustiva panoramica della critica filosofica alla bioetica è fornita dal n. 15 (1990) di The Journal of Medicine and Philosophy; in particolare, per quanto riguarda la bioetica centrata sul riferimento ai princìpi, si veda K.D. Clouser - E.B. Gert, A critique of Principlism, pp. 219-236; Stephen Toulmin, The tiranny of Principles, in The Hastings Center Report (die. 1981), pp. 31-39. La presentazione «classica» della bioetica basata sul riferimento ai princìpi è quella di T.L. Beauchamp e J.F. Childress, Principles of Biomedical Ethics, Oxford University Press, New York 1979.
11 D. Gracia Guillén, Primum non nocere, op. cit., p. 90.
12 D. Gracia Guillén, in Vent’anni di bioetica, op. cit., p. 289.