- Comunicare e informare: quale empowerment per il cittadino?
- Il consenso informato: del buono e del cattivo uso
- Consenso informato tra comunicazione e informazione
- Comunicazione, consenso, responsabilità
- Informazione e consenso: un cambiamento culturale in atto
- Informare i cittadini: come e perchè
- La formazione del consenso con la famiglia
- Decisioni in medicina
- Etica dell'informazione
- Direttive anticipate
Sandro Spinsanti
INTERVENTO
in Comunicazione, consenso, responsabilità nel rapporto Medico-Paziente
Atti Convegno dell'Associazione medici cattolici italiani, sezione di Torino
Torino, 28 novembre 1992
pp. 9-12
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Prima ancora che la società si preoccupasse di stabilire norme e regole entro le quali l’attività terapeutica può essere considerata lecita, la professione medica si è data cura di riflettere su ciò che legittima dall'interno l’intervento sul corpo malato, a partire dal senso e dalle finalità intrinseche dell’atto medico.
Questo approccio è propriamente deontologico, in quanto si fonda sulle regole consensualmente stabilite dai professionisti: tuttavia ha legami profondi con l’etica, ovvero con i valori condivisi da una determinata società.
Tradizionalmente l’ethos ippocratico ha fatto derivare la liceità dell’atto medico dal bene che esso intende procurare al paziente.
Nel giuramento di Ippocrate questa giustificazione si esprime nella cosiddetta "clausola terapeutica", dove emerge l’orientamento al "bene del paziente" come giustificazione dell’atto medico.
Gli elementi costitutivi del rapporto medico-paziente sono: l’asimmetria dei rapporti, la subalternità del malato, il ruolo pilota della scienza, il controllo fornito della coscienza e dal senso di responsabilità del medico (di qui la formuletta compendiosa: "in scienza e coscienza", solitamente utilizzata per tagliar corto nei lunghi discorsi sulle dimensioni etiche della pratica della medicina).
Di fronte a questa concezione così lineare della medicina, che è giunta fino a noi attraverso i secoli sostanzialmente immutata, ci dobbiamo domandare: è ancora valida salvo qualche piccola azione di cosmesi, per darle un volto più attuale, oppure dobbiamo elaborare un nuovo paradigma? È questo l'interrogativo di fondo che deve affrontare oggi l’etica dell’atto medico.
L’epoca moderna è quella che inizia, per definizione, con l’illuminismo, che è "l’uscita da ogni minorità non dovuta".
Questo cambiamento è rimasto sempre al di fuori della medicina: ma quando l’atto medico diventa "moderno", comporta l’uscita da quella "minorità non dovuta".
La modernità porta a un rovesciamento di prospettiva: il primato non spetta all’orientamento a fare il bene dell’altro (principio di beneficità), ma al rispetto della sua caratteristica di soggetto autonomo (principio di autonomia).
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Questo, in sostanza, è il contenuto del principio del consenso informato introdotto in medicina.
Spesso si tende a vedere le pratiche del consenso informato sotto l’aspetto medico-legale, come procedure rivolte unicamente a proteggere il medico dalle possibili conseguenze di ordine giudiziario dei suoi atti.
Nella pratica del consenso informato, in realtà, il senso profondamente etico deriva dall’accettazione dell’autonomia dell'Individuo, in quanto soggetto capace di determinare i propri fini. Ne consegue che questa medicina moderna diventa molto sensibile ai valori del paziente. E questo è tanto più vero, forte e dirompente nello stato attuale del progresso medico.
Oggi la medicina dispone di un arsenale terapeutico molto vario e aperto sui diversi esiti. È proprio là dove esiste una pluralità di scelte che i valori del paziente diventano rilevanti, (v. Manuale di Bioetica di Tristam Engelhardt).
Di fronte a questa medicina notiamo due atteggiamenti fondamentali. Uno è quello dell’ostilità aprioristica. In Italia l’ostilità è molto diffusa ― non lo dico in senso accusatorio, ma analitico ― soprattutto nel mondo medico. I medici per lo più preferiscono rimanere all'interno del paternalismo, magari riproposto in forme più blande. Hanno molti motivi per considerare la malattia come una situazione in cui in fondo l’autonomia personale viene sospesa, in quanto l’adulto ritorna in uno stato di dipendenza. La dipendenza viene talvolta cercata esplicitamente: il malato si mette nelle mani del sanitario, con la speranza che questi, in conformità all’ethos ippocratico, si sia impegnato a sviluppare un sapere massimo e oltre alla scienza si sia formato anche una coscienza che gli impedisca di prevaricare, traendo vantaggio dalla situazione del paziente. In questa strutturazione del rapporto di fondo è il medico che, spesso in collusione con i familiari e magari da questi sollecitato, decide quali informazioni dare al paziente e sceglie per lui il trattamento più indicato.
L’altro atteggiamento estremo nei confronti del paradigma "moderno" della medicina è l’accettazione acritica e incondizionata. Questa resa totale al modello autonomista si traduce in pratica in un’informazione indifferenziata, data in qualsiasi modo, senza alcuna considerazione dell’emotività del paziente. Oppure nel ricorso puramente strumentale
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ai "protocolli di consenso informato": un mezzo per mettere in chiaro, nero su bianco, che il paziente è stato informato, a tutela del sanitario. Oppure nelle deleghe deresponsabilizzanti ai Comitati di etica.
È possibile assumere, rispetto a questo cambiamento di paradigma in medicina, un atteggiamento che non sia né di rifiuto aprioristico, né di accettazione acritica?
L’informazione e l’acquisizione del consenso saranno sempre meno un "optional" e sempre più un obbligo non solo giuridico e deontologico ma etico, quindi una condizione perché si possa parlare di buona medicina.
Certo, è possibile immaginare uno scenario infausto di sviluppo della modernità, in cui per esempio questo diritto alla libertà decisionale si tramuti in un diritto di essere lasciato solo, senza alcun sostegno, e in cui il consenso informato venga utilizzato come un espediente per rifilare al malato la responsabilità di decisioni che invece andrebbero condivise.
Tra le due strade della riproposta del paternalismo medico e della resa incondizionata al principio di autonomia nella sua versione più individualista, con i possibili risvolti di isolamento, solitudine e in fondo di rottura dell’alleanza terapeutica, sentiamo il bisogno di una via media, che implica la capacità di stare veramente al centro, abbracciando gli estremi.
Ciò che impedisce di abbracciare una delle due alternative non è solo una scelta teorica, ma la consapevolezza che adottare l’uno o l’altro modello in maniera esclusiva comporta un prezzo molto alto di sofferenze.
Da una parte la sofferenza dei malati di dipendere come bambini eterodeterminati, di essere espropriati di diritti che nessun codice potrà mai convalidare.
Dall’altra, le sofferenze legate al modello autonomista a oltranza: quella dei malati, abbandonati spesso alle loro angosce, e quelle dei medici, degradati a puri esecutori di desideri e di preferenze, in una medicina ridotta a un supermercato.
Mi permetto, in conclusione, di citare un modello che a mio avviso merita un’attenta considerazione: l’approccio all’etica medica di Edmund Pellegrino e David Thomasma ― ("Per il bene del paziente. Tradizione e innovazione nell’etica medica" ― ed. Paoline 1992).
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È un serio tentativo di trovare una via media che concili benificità e autonomia, vedendole come due dimensioni essenziali dell’atto medico.
Il punto focale rimane il bene del paziente, che deve essere garantito. La considerazione esclusivamente autonomista lascia il paziente nella sua vulnerabilità e umanità ferita (non per niente è "in-firmus", cioè non solido); l’autonomia spesso non è presente come un dato obiettivo, ma come una meta.
Alla via intermedia Pellegrino e Thomasma attribuiscono il nome programmatico di "beneficità nella fiducia".
Non ci può essere una buona medicina che non domandi anche una crescita etica del paziente, affinché entri in modo costruttivo nel rapporto di "beneficità nella fiducia".
Per questo la nuova etica che deve regnare in medicina non può essere elaborata unilateralmente dalla professione medica.
Il buon medico e il buon paziente hanno dei mutui obblighi all'interno del rapporto terapeutico: questa crescita comune è essenziale per identificare la via media che mette insieme autonomia e beneficità.