Etica dell’informazione

Sandro Spinsanti

ETICA DELL'INFORMAZIONE

in Attive

anno XXXII, n. 1, maggio 2015, p. 18

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Una storia che risale a un secolo fa, eppure attualissima. Presa dal teatro, ma modellata su ciò che succede nelle corsie d’ospedale e al capezzale dei malati. Si tratta di una pièce teatrale di uno dei grandi drammaturghi del XX secolo: l’austriaco Arthur Schnizler. È stata messa in scena per la prima volta a Vienna nel 1912, ma ha talmente scandalizzato le autorità del benpensante impero austro-ungarico che ne hanno proibito la rappresentazione. In Italia è andata in scena per la prima volta nel 2005, al Piccolo Teatro di Milano, con la regia di Luca Ronconi. Stiamo parlando del dramma Il Professor Bernhardi. Primario in un grande ospedale di Vienna, il dottor Bernhardi si trova di fronte un caso delicato: una giovane donna sta morendo per setticemia, in seguito a un procurato aborto. Il cappellano, chiamato dalle infermiere, si dispone ad andare a impartirle l'estrema unzione. Ma il Prof. Bernhardi si oppone. La paziente, infatti, ha un miglioramento soggettivo e si illude che stia guarendo; il medico non le vuole togliere l’illusione. Si instaura un duro confronto. Mentre stanno discutendo che cosa sia giusto fare, la ragazza muore, disperata, dopo aver appreso della presenza e delle intenzioni del prete. Nello scandalo dell’epoca era presente una non irrilevante componente religiosa. Il Prof. Bernhardi del dramma, infatti, è ebreo; la sua ostilità all’intervento pastorale è stata vista in chiave anticattolica. Ma c’era di più in ballo: ce ne accorgiamo ripercorrendo la vicenda a un secolo di distanza. Il comportamento del medico si ispira a una laica pietas che stava prendendo il posto di ciò che la religione riteneva doveroso, dando la priorità alla salvezza dell’anima. Mentre la religione tende a svelare il momento della morte (l’Apparecchio alla morte, redatto da S. Alfonso Maria de’ Liguori, era una pratica devozionale tutta centrata sulla consapevolezza del momento supremo), la nuova etica favorisce invece la negazione, il nascondimento. Il corpo professionale medico si è sintonizzato sul cambiamento culturale e ne è diventato il principale protagonista. Invece di accettare il cambio di scena quando il contrasto della morte non era più possibile ― sintetizzato nella frase fatidica: “Non c’è più niente da fare: chiamate il prete” ― il medico si è sempre più ritenuto investito di un compito di tutela. Sul modello del Prof. Bernhardi, appunto. Attenuare le diagnosi, nascondere le prognosi infauste, mentire al paziente (ma informare i congiunti) è diventato sempre più spesso il comportamento a cui i professionisti sanitari si sono attenuti.

Poi venne la bioetica. Il movimento culturale che privilegia l’autonomia della persona, in tutte le fasi della malattia, si dissocia dall’approvazione della bugia pietosa. Promuove il diritto dell’individuo a essere protagonista consapevole ― a condizione che lo voglia! ― di tutto il percorso di malattia e di cura. Compreso il faccia a faccia con la propria morte. Questo delicato cambiamento culturale è quello che stiamo vivendo. Professionisti sanitari da una parte e cittadini dall’altra (nonché familiari, non più autorizzati a interporsi come cuscinetto, gestendo le informazioni in modo paternalistico). È un percorso contrastato, perché rischia di buttare a mare le buone ragioni di una pietas protettiva. Diffidiamo delle scorciatoie. Una ricetta sempre applicabile è: parliamo spesso e apertamente con le persone di riferimento di ciò che vorremmo quando sarà il nostro turno di ricevere notizie sgradevoli sulla parabola della nostra vita.