- Comunicare e informare: quale empowerment per il cittadino?
- Il consenso informato: del buono e del cattivo uso
- Consenso informato tra comunicazione e informazione
- Comunicazione, consenso, responsabilità
- Informazione e consenso: un cambiamento culturale in atto
- Informare i cittadini: come e perchè
- La formazione del consenso con la famiglia
- Decisioni in medicina
- Etica dell'informazione
- Direttive anticipate
Sandro Spinsanti
INFORMARE I CITTADINI: COME E PERCHÉ
in Teme
anno 42, n. 9, settembre 2004, pp. 19-27
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Dall'etica medica alla bioetica
Il superamento dell'etica medica
Il consenso informato presuppone un cambiamento rilevante in quelle concezioni di fondo ― per lo più non esplicite ― che abbiamo presenti quando portiamo un giudizio su una pratica medica, definendola buona o cattiva. Sinteticamente possiamo dire che è avvenuto un cambiamento nell'etica sottostante alla medicina, intesa come quel sistema di regole che determinano in che modo devono comportarsi i diversi protagonisti del sistema delle cure: i medici, i malati, le varie professioni sanitarie, i familiari del malato, la società nel suo insieme.
Tradizionalmente l'insieme dei comportamenti attesi rispondeva allo schema qui riportato di Etica Medica.
Il modello ha caratteristiche di grande antichità e di forte tenuta nel tempo. La sua antichità è indiscussa, in quanto in Occidente risale almeno a Ippocrate. Ma anche la sua forza è notevole: non esiste in tutta la tradizione occidentale un modello culturale che abbia resistito tanto a lungo. L’Occidente ha cambiato una quantità di cose nell'organizzazione sociale ― l'economia, la famiglia, la religione, il diritto, la politica ― dall'antichità greco-romana a oggi. La medicina stessa si è profondamente modificata nel corso del tempo, sia nei modelli teorici che nel modo di fornire aiuto ai malati. Tra il medico seguace di Galeno ― che interpreta le malattie secondo la teoria degli umori ― il medico scienziato dell'Ottocento ― che ricorre al metodo della scienza sperimentale per spiegare come funziona l'organismo sano o malato ― e il medico della nostra epoca ― che è capace di ricondurre le malattie a un difetto del corredo genetico, così da prevederne l'insorgenza con anni di anticipo ― le differenze sono enormi. La stessa cosa si può dire sul versante dell'arsenale terapeutico, che è passato dal ricorso a salassi, ai vaccini e oggi all'ingegneria genetica. La diversità tra questi mezzi terapeutici, quanto a efficacia ed efficienza, è incolmabile.
Per l'etica, invece, non è avvenuto così. Le convinzioni su ciò che è bene o male fare in medicina, sui comportamenti giusti o ingiusti nei confronti del malato sono rimaste relativamente stabili per secoli. Praticamente si tratta di una tradizione ininterrotta che in Occidente è durata per più di 25 secoli, dalla medicina greca fino ai nostri giorni: in tutto questo tempo non abbiamo
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EPOCA PRE-MODERNA
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ETICA MEDICA
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La buona medicina
L'ideale medico
Il buon paziente
Il buon rapporto
Il buon infermiere
Chi prende ledecisioni
Principio-guida |
“Quale trattamento porta maggior beneficio al paziente?"
Paternalismo benevolo
Obbediente (compliance)
Alleanza terapeutica (il dottore con il suo paziente)
"Paramedico" Esecutore delle decisioni mediche Supporto emotivo
Il medico, in "scienza e coscienza"
Beneficità |
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mai sentito il bisogno di modificare il concetto, condiviso dai medici e dai pazienti, di quelle pratiche di cura della salute a cui attribuire un valore morale positivo.
Ci possiamo riferire a quest'epoca come alla stagione pre-moderna dell'etica in medicina. Sinteticamente la denominiamo etica medica. L'aggettivo è giustificato. L'etica a cui ci riferiamo, infatti, è sostanzialmente l'etica "del medico". È il medico che la determina e la professione medica che se ne fa garante. In questa etica sono prescritti comportamenti per i malati, per i familiari, per le professioni che collaborano con il medico; tutti svolgono, tuttavia, funzioni subordinate e sono chiamati a modellarsi sulle richieste che provengono dai medici, i quali hanno un ruolo decisivo nello stabilire che cosa sia buona medicina, sia in senso clinico che in senso etico. La qualifica di "paramedici" data a coloro che esercitano professioni sanitarie non mediche rispecchia bene questa situazione di centralità del medico. Anche l’etica dei non medici in questa stagione è un'etica "paramedica".
La domanda fondamentale a cui risponde la medicina di qualità dell'epoca pre-moderna è: "Quale trattamento porta maggior beneficio al paziente?". Troviamo questa preoccupazione già nel giuramento di Ippocrate, nella cosiddetta clausola terapeutica:
Prescriverò agli infermi la dieta opportuna che loro convenga per quanto mi sarà permesso dalle mie cognizioni e li difenderò da ogni cosa ingiusta e dannosa.
Tutta l'azione del medico è diretta a procurare un beneficio al paziente, in quanto mira a risolvere i problemi posti dalla patologia. Le risorse che il medico utilizzerà sono ovviamente quelle che la scienza del tempo gli mette a disposizione: per il medico dell'antichità era la "dieta" (cioè il regime terapeutico che tendeva a ristabilire nella vita del malato l'equilibrio turbato); per il medico dei nostri giorni i trattamenti appropriati potranno essere gli antibiotici o i trapianti di organo. Qualunque sia la scienza di riferimento, il modello rimane tuttavia lo stesso: il medico si impegna a fare il bene del paziente.
I principi fondamentali di questa etica, riconducibili all'imperativo di procurare un beneficio alla salute del paziente, presuppongono un modello ideale del medico fondamentalmente paternalista: il medico è colui che sa qual è il bene del paziente e vuole realizzarlo, mettendovi tutto il suo impegno e tutta la dedizione. È la scienza in continuo progresso che lo guida nel percorso della terapia, mentre la coscienza gli impedisce di trarre profitto dalla debolezza del paziente (per esempio, strumentalizzandolo ai fini di ingiusto lucro o di fama). Questa duplice guida è riassunta da una formuletta, molto amata e citata dai medici, quando rivendicano a se stessi l'obbligo di prendere le decisioni "in scienza e coscienza". Nel linguaggio della bioetica americana, si parla a questo proposito di una medicina ispirata al principio di “beneficità" (in inglese si parla di beneficence).
Il malato contribuisce alla buona medicina impegnandosi a essere docile e osservante delle prescrizioni, in un rapporto di affidamento fiduciale. Egli non ha, di per sé, nulla da dire in merito all'atto terapeutico, che rimane affidato a quanto il medico stabilisce per il suo bene. Tutto quello che il malato ha da fare, è di diventare "paziente", in tutti i significati del termine (anche in senso morale, in quanto la pazienza è la principale virtù che è chiamato a esercitare). Il buon paziente è
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paziente "osservante". A lui si richiede di entrare nel trattamento mediante la compliance. Come affermava l'illustre spagnolo Gregorio Marañon, che ha rappresentato nella prima metà del XX secolo il permanere dell'ideale ippocratico: "Il malato che non sa essere paziente diminuisce le sue possibilità di guarire. Obbedire al medico è incominciare a guarire".
In questo modello il buon rapporto è l'alleanza terapeutica tra colui che si dedica all’opera della guarigione e chi riceve questo servizio. Il termine "alleanza" fa parte della tradizione religiosa. Il rapporto medico-paziente ha, di fatto, una connotazione fortemente religiosa in senso ampio, in quanto, allo stesso modo dell'alleanza che è il pilastro centrale della religione ebraico-cristiana (l’alleanza è berith in ebraico, diatheke nella Bibbia in greco e testamentum nella Vulgata latina), mette in relazione due fondamentali diseguaglianze. Nell’alleanza religiosa si tratta del legame che si instaura tra la divinità, in quanto fonte della potenza che produce la salvezza, e la situazione di necessità propria del popolo che ha bisogno di redenzione. L’unione dei due mediante l’alleanza salva dalla condizione di bisogno (schiavitù, peccato, ecc.). Analogamente, la guarigione in medicina, nel modello tradizionale, si ottiene mediante l'unione tra la scienza-coscienza del medico (che include il suo sapere, la filantropia, la volontà di fare il bene del paziente) e la volontà del paziente di mantenersi dentro questo rapporto di alleanza. Questo modello continua ancora a strutturare i nostri comportamenti sociali, sia come medici che come pazienti. Soltanto quando si diventa "moderni" il modello entra in crisi.
L'osservanza della prescrizione medica è la condizione essenziale perché l'alleanza possa esplicare i suoi effetti benefici, e quindi procurare la guarigione. Il contraente dell'alleanza, che è il malato, si deve affidare e accettare le condizioni che gli vengono poste per la guarigione; il medico, che concede l'alleanza, lo guida verso il suo proprio bene. Dai collaboratori del medico, in quanto "paramedici", ci si attende che collaborino anche a indurre i malati a essere "osservanti". L'informazione fornita al paziente non entra come un elemento costitutivo della buona medicina secondo il modello pre-moderno. Tutt'al più può essere utile, strumentalmente, per ottenere una maggiore collaborazione da parte del paziente (compliance); ma non si può in alcun modo parlare di un diritto del paziente a essere informato, né di un corrispettivo dovere del medico di informare.
La modernizzazione dell'etica, ovvero la bioetica
Quando comincia l'epoca moderna? I manuali di filosofia e di storia generalmente fanno iniziare la modernità con l'Illuminismo, nel XVIII secolo. Ci dicono che nella cultura dell'Occidente è avvenuto un cambiamento profondo, una di quelle fratture che hanno ripercussioni generalizzate su tutta la struttura dell'esistenza. L'Illuminismo ha progressivamente modificato l’insieme della vita politica e sociale; solo in un ambito non è entrato: in medicina.
Nei rapporti sociali che si stringono attorno a chi somministra e a chi riceve le cure sanitarie, l’epoca moderna non è incominciata fino a pochissimo tempo fa. Soltanto da una ventina di anni sono diventati visibili i segni di una frattura che indica la "modernizzazione" della medicina.
Di conseguenza, cambiano tutti i parametri che costituiscono il modello di buona medicina caratteristico dell’epoca pre-moderna. Indichiamo la transizione come il passaggio dall’epoca dell'"etica medica" a
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quella della "bioetica" (vedi schema).
Lo schema al quale ci stiamo riferendo, che prevede i comportamenti adeguati di tutte le parti in gioco, ci aiuta a mettere delle parole chiave attorno a questi cambiamenti.
Lo scopo generale della medicina non è più soltanto quello di portare il maggior beneficio al paziente: perché un trattamento medico abbia un carattere di qualità, ci dobbiamo anche domandare se tratta il malato come persona adulta moralmente autonoma, rispettandolo nei suoi valori e promuovendo la sua partecipazione attiva alle decisioni che lo riguardano. Nell'epoca moderna, infatti, il malato va fondamentalmente considerato come una persona capace di autodeterminare le proprie scelte.
L'autonomia della persona è un pilastro fondamentale della modernità. Così lo ha espresso Immanuel Kant nel famoso saggio Risposta alla domanda: che cos'è l'Illuminismo? (1784) L'Illuminismo comincia quando si decide di uscire dallo stato di minorità dovuta all'uomo stesso, intendendo per minorità "l'incapacità di servirsi del proprio intelletto senza la guida di un altro". Il primo paragrafo dello scritto, che sintetizza il programma di vita dell'uomo moderno, termina con l'esortazione: "Sapere aude": abbi il coraggio di servirti
STAGIONI DELL'ETICA IN MEDICINA
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EPOCA PRE-MODERNA
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EPOCA MODERNA
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ETICA MEDICA
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BIOETICA |
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La buona medicina |
Quale trattamento porta maggior beneficio al paziente? |
Quale trattamento rispetta il malato nei suoi valori e nell’autonomia delle sue scelte?
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L’ideale medico
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Paternalismo benevolo
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Autorità democraticamente condivisa |
Il buon paziente
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Obbediente (compliance) |
Partecipante (consenso informato) |
Il buon rapporto |
Alleanza terapeutica (il dottore con il suo paziente)
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Contratto di prestazione d'opera (partnership professionista-utente) |
Chi prende le decisioni |
Il medico, in "scienza e coscienza" |
Il medico e il malato insieme: decisione consensuale
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Principio guida
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Beneficità |
Autonomia |
dell'intelletto come guida. L'epoca moderna comincia in medicina quando il programma generale dell'emancipazione si estende anche a quella "minorità non dovuta" che vige tra il medico e il paziente.
Il malato dell'epoca moderna è quello che ha la capacità e il coraggio di non farsi trattare come una persona eterodeterminata, ma assume il peso e la responsabilità delle decisioni che lo riguardano. Ciò mette in crisi il modello secondo cui, nella medicina tradizionale, il malato è per definizione uno che non può determinare da solo i fini e i mezzi per conseguirli. Riconosciamo l'influenza di concezioni antiche, come quelle che ha espresso Aristotele quando ha affermato che il malato, proprio per la sua condizione, non è capace di dare giudizi razionali, in quanto è turbato dalle passioni, come ad esempio la paura per la propria vita; nello stato di malattia deve quindi subentrare la struttura paternalistica di contenimento: qualcun altro prende le decisioni per il bene del malato, dal momento che questi non lo può fare. La decisione medica è vista come un processo del logos, che contrasta il pathos. Dire che la medicina entra nell'epoca moderna significa prima di tutto rimettere in discussione questo paradigma profondo, che presuppone una fondamentale diseguaglianza tra le persone autonome e quelle che non lo sono (le scelte di queste ultime essendo determinate dalle prime). La condizione di malato non fa di noi delle persone prive di autonomia, e quindi del diritto/dovere di prendere le decisioni che ci riguardano.
Quando la medicina si modernizza i valori del malato, intesi come quadro di riferimento che guida l'autonomia delle sue scelte, diventano un momento fondamentale di un'attività sanitaria eticamente giustificabile. La potente ed efficace medicina che la scienza, abbinata alla tecnologia,
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ci mette oggi a disposizione non assomiglia in niente alla medicina del passato, povera di risposte terapeutiche. L'arsenale medico è potente e vario, e ci pone frequentemente di fronte ad alternative create dai valori soggettivi. A seconda del concetto personale di buona vita ― ovvero dei valori che vogliamo realizzare, della qualità che vogliamo dare alla nostra esistenza ― un intervento medico può essere appropriato o no.
Perché si abbia buona medicina non ci si può limitare a rispondere alla domanda: "Questo intervento porta oggettivamente un beneficio al paziente?". Non basta stabilire ― per esempio ― che l'atto medico ha la potenzialità di prolungare la vita del paziente. Se quanto il medico intraprende va contro i suoi valori e le sue decisioni, non possiamo giustificare eticamente l'intervento, anche se è rivolto a tutelare il bene della salute o della vita stessa. L'autodeterminazione del paziente, in quanto articolazione fondamentale dei suoi diritti (per capire la differenza del paradigma, basti pensare che nel modello tradizionale si parla solo di doveri del medico e non di diritti del paziente) diventa un criterio di qualità. L'intervento sanitario non può essere più deciso unilateralmente dal medico in base al suo sapere professionale, ma deve essere individuato insieme al paziente, spesso con un faticoso processo di contrattazione.
Superato il paternalismo benevolo, l'ideale medico in questo modello diventa un'autorità democraticamente condivisa; il buon paziente è un paziente partecipante alla decisione. Il cardine di questa strutturazione concettuale è il consenso informato, nel senso proposto dal Comitato nazionale per la bioetica: in quanto si traduce in una maggiore partecipazione alle decisioni che lo riguardano. L'idea di qualità dell'atto medico si arricchisce di una nuova componente: è buono l'intervento sanitario non solo se è rivolto a fare il bene del paziente, ma deve rispettare anche una correttezza formale, vale a dire le procedure volte a far partecipare il paziente alle scelte diagnostiche e terapeutiche.
Nella prospettiva della modernità il paziente non ha solo il diritto di essere curato bene, ma anche dei nuovi doveri. E non solo l'antico dovere di esercitare la pazienza ed essere obbediente. La sua posizione non è esclusivamente di privilegio, ma anche di scomoda responsabilità, in quanto deve partecipare al processo decisionale. Non possiamo escludere che talvolta il paziente potrebbe preferire piuttosto di delegare la decisione e di demandarla al medico ("Faccia quello che è necessario: il dottore è lei, non io!"). Il paziente partecipante nelle scelte ha il compito di essere un "buon paziente". Per diventarlo non basta che si limiti a non far storie, non porre troppe domande, essere docile e seguire le prescrizioni mediche; il buon paziente ha anche un compito etico: deve accettare il coinvolgimento nelle scelte che lo riguardano, condividendo l'orizzonte di incertezza che è proprio delle decisioni cliniche. Il buon rapporto è una partnership, che si instaura tra professionista e utente. Il termine "utente" può suscitare delle associazioni che sembrano fuori luogo in sanità. Per ricondurlo entro l'ambito appropriato, basta pensare al senso etimologico della parola. L'utente è colui che "usa" la competenza del medico; in quanto utente, ha il dovere di usarla bene, responsabilmente, per fare insieme al professionista le scelte appropriate.
La buona relazione terapeutica, dunque, ai nostri giorni include il concetto di partecipazione attiva del paziente. Il termine bioetica, che usiamo per designare questo modello di qualità dell'atto medico, è un neologismo,
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adatto a un modello di qualità in medicina veramente inedito. È la buona medicina appropriata per la stagione dell'etica in medicina che abbiamo chiamato "moderna" (non nel senso di maggiore attualità, ma con riferimento alla modificazione culturale promossa dall'introduzione dei diritti della persona nei rapporti sociali, ovvero dalla rivoluzione liberale).
Sentiamo il bisogno di cambiare etichetta anche perché non ci troviamo più nell'ambito dell'etica medica, cioè del medico, concentrata sul medico, elaborata dalla professione medica a beneficio anche del malato. La bioetica implica uno spostamento dell'accento, per cui la qualità non è più determinata in maniera unica ed esclusiva dal sapere e dal potere del medico, ma viene stabilita in modo dialogico, insieme al paziente, il quale deve partecipare alle decisioni con i suoi valori, nell'ambito del consenso sociale. Quindi nella bioetica entra la società, l'etica civile, l'accordo ottenuto trasversalmente alle diverse comunità morali di appartenenza, includendo anche gli "stranieri morali". Questo modello di qualità, che nella nostra cultura non abbiamo nemmeno ben cominciato ad articolare, si diffonde con estrema difficoltà. Lo contrasta una profonda resistenza, sia da parte del mondo medico, sia da parte dei cittadini. Si avverte che è necessario accrescere le conoscenze e mobilitare tutte le energie concettuali e morali, al fine di entrare in questo modello Tanto i professionisti della sanità quanto i pazienti sono obbligati a cambiare modelli di riferimento che hanno una lunghissima tradizione.
È un passaggio epocale; spostandosi da un modello all'altro i valori si modificano, tanto che possiamo affermare che stiamo assistendo all'inaugurazione di una nuova epoca della qualità e dell'etica nella medicina. Per evitare facili equivoci e smantellare almeno alcune riserve ― quelle che nascono dal timore che si intenda abbandonare il modello dell'etica medica tradizionale ― è necessario sottolineare che i due modelli non sono diacronici, ma sincronici. In altre parole, non si susseguono nel tempo, sostituendo con il modello moderno i valori tradizionali, ma sono chiamati a convivere e a integrarsi.
“...sul piano propriamente etico, l'empowerment comporta il passaggio dal modello ideale dell’etica medica a quello della bioetica..."
Il modello dell'empowerment del cittadino
In medicina la "modernizzazione" introdotta dalla bioetica sta portando a una modifica di fondo dei rapporti tra coloro che erogano le cure e i cittadini che le ricevono. Con una parola che sintetizza tutto il processo, ci si riferisce al fenomeno nel suo insieme come a un empowerment del paziente. La parola inglese contiene la nozione di "potere" (power). L'aspetto più visibile è proprio quello di uno spostamento di potere tra le persone coinvolte nella relazione. Il potere a cui ci si riferisce non è quello di natura politica o, nei rapporti interpersonali, ciò che autorizza qualcuno a dare ordini, aspettandosi che altri obbediscano; il potere in questione è quello che entra in gioco quando qualcuno si prende cura di persone a lui affidate. Tutte le relazioni di cura e assistenza prevedono un potere, utilizzato in modo benefico a vantaggio di un altro: pensiamo al rapporto tra genitori e bambini, insegnanti e allievi,
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medici e malati, appunto. L'analisi di questo tipo di transazioni raggruppa rapporti di natura molto diversa nella categoria di "relazioni complementari". Queste presuppongono una differenza tra le persone coinvolte. Funzionano bene quando ognuno si attiene al suo ruolo e non pretende di fare la parte dell'altro. Dal punto di vista grafico, il modello che le rappresenta prevede due posizioni: una sovrastante (one up) e una di sottomissione (one down):
one up
________
one down
Diverse invece sono le "relazioni simmetriche", nelle quali i protagonisti hanno uguale potere e non si comportano secondo ruoli fissi. Ce li possiamo immaginare l'uno di fronte all'altro, faccia a faccia, senza poter dire chi comanda e chi obbedisce.
Il senso del processo di empowerment del paziente non è quello di mettere quest'ultimo in posizione one up e il medico in posizione one down, invertendo i rapporti di potere che siamo soliti associare con l'esercizio della medicina (dove il medico è considerato tanto più bravo quanto più esercita un'autorità indiscutibile e induce il paziente a essere "osservante" o compliant).
Non sarebbe un progresso se il medico diventasse l'esecutore nelle decisioni del paziente; anzi, ciò costituirebbe una minaccia per la salute, perché al paziente verrebbe a mancare il bagaglio di conoscenze proprie del sapere professionale del medico. L'empowerment è invece un cambiamento di rapporti complesso, che ha luogo su diversi piani. Lo schema che proponiamo prevede dei cambiamenti significativi su tre diversi piani: sul piano sociale (o della cultura), nel rapporto clinico tra professionisti sanitari e pazienti, nell'ambito dei valori condivisi o dell'etica.
EMPOWERMENT DEL CITTADINO NEL PROCESSO DI CURA
I. Dimensione culturale
● autogestione della salute vs "espropriazione della salute" (I. Illich), mediante "un processo che renda le persone capaci di aumentare il controllo sulla loro salute e migliorarla" (OMS: Carta di Ottawa);
● conoscenza dei propri diritti; rappresentanza attiva, anche organizzata ("rivoluzione liberale" in medicina);
● atteggiamento psicologico "adulto" verso medici, infermieri e altri professionisti sanitari;
● coinvolgimento dei cittadini nel miglioramento dei servizi, sollecitando suggerimenti, anche critici.
II. Dimensione clinica
● raccolta sistematica di informazioni sui trattamenti proposti (ricerca; diagnosi; terapia) e sulle alternative;
● promozione del "parere complementare" (second opinion);
● accesso consapevole alle prestazioni sanitarie, grazie alla conoscenza di benefici attesi, effetti collaterali, rischi, complicazioni;
● educazione all'autogestione delle patologie croniche;
● competenza nell'automedicazione semplice.
III. Dimensione etica
● l'autonomia come principio etico che bilancia il principio del "bene del paziente" stabilito unilateralmente dal medico;
● più ampia partecipazione del paziente alle decisioni che lo riguardano (decisioni consensuali);
● assumere la responsabilità per le scelte sanitarie e, più in generale, per la propria vita;
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● autodeterminazione personale (l'individuo, non la famiglia come referente delle informazioni e soggetto delle decisioni);
● promozione delle direttive anticipate: living will o indicazione di persona delegata a decidere; disposizioni per la donazione di organi.
Il modello dell'empowerment proposto rispecchia la definizione che troviamo nell'Enciclopedia della Gestione della Qualità in Sanità (a cura di P. Morosini e F. Perraro, Centro Scientifico ed., Torino 1999):
Termine entrato in uso e di difficile traduzione in italiano per indicare la tendenza a dare più potere, più coinvolgimento nelle decisioni ai pazienti, al di là del consenso informato.
"... l’informazione non è completa se non include anche le alternative, i benefici attesi, gli effetti collaterali, i rischi e le complicazioni dei trattamenti proposti…"
Nella dimensione culturale dell'empowerment individuiamo anzitutto l'adeguamento alla filosofia che ispira l'OMS, nota come "promozione della salute" (Health promotion). La carta di Ottawa (1986) l'ha descritta come "un processo che renda le persone capaci di aumentare il controllo sulla propria salute e di migliorarla". L'autogestione è il contrario di quella "espropriazione della salute" che il classico saggio di Ivan Illich ― Nemesi medica (1977) ― imputava alla medicina, quando diventa un'impresa totalitaria gestita dai professionisti sanitari, che pretendono di prendere le decisioni relative alla salute al posto del soggetto. La rivoluzione liberale, quando viene introdotta anche nell'ambito della medicina presuppone la prospettiva dei diritti nelle relazioni che si instaurano nell'ambito della cura.
Dato il perdurare dell'asimmetria nei rapporti di potere, si tende a dare rilievo ai rappresentanti dei pazienti (ad es. gruppi organizzati di pazienti, di ex pazienti o di familiari) o a istituzioni di tutela dei diritti (tribunale dei diritti del malato, gruppi consultivi misti). Iniziative di questo genere hanno contribuito in modo determinante a modificare l'atteggiamento psicologico di sudditanza che i malati in passato tendevano ad assumere, promuovendo un atteggiamento adulto.
Anche la prospettiva dell'"aziendalizzazione" ha in sé la potenzialità di modificare socialmente i rapporti tra chi eroga i servizi sanitari e chi li riceve. Nel concetto di "cliente" è implicita la considerazione della soddisfazione di colui che riceve i servizi, nonché il suo coinvolgimento attivo nella valutazione della qualità ― quanto meno della dimensione soggettiva, che può essere percepita dall'utente ― delle prestazioni erogate. La dimensione del mercato applicata alla società è indubbiamente pericolosa, in quanto può stravolgere l'ethos ippocratico nel quale tradizionalmente la medicina si è riconosciuta; tuttavia può anche potenzialmente arricchire lo spessore sociale di chi riceve servizi sanitari, attribuendogli un ruolo critico e di promozione attiva della qualità.
Sul piano clinico ― ovvero nei rapporti che si instaurano tra medici, infermieri e altri professionisti sanitari da una parte, e il paziente e i suoi familiari dall'altra ― l'empowerment diventa effettivo solo attraverso un processo informativo sistematico. Il paziente va informato se ciò che gli viene proposto si inquadra in un progetto di ricerca (il consenso alla sperimentazione è diverso da quello che ha per oggetto
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un trattamento standard), in un'indagine diagnostica (eventualmente, qual è l'ipotesi che guida la ricerca diagnostica) o in un trattamento terapeutico. L'informazione non è completa se non include anche le alternative, i benefici attesi, gli effetti collaterali, i rischi e le complicazioni dei trattamenti proposti.
Nel processo dell'informazione acquista oggi un peso nuovo il parere complementare (in inglese: second opinion), inteso come un diritto del paziente ad acquisire informazioni diverse presso altri professionisti (per esempio nel caso di un intervento chirurgico elettivo; oppure di ascoltare il parere di un internista, dopo aver raccolto quello di un chirurgo...). L'empowerment implica anche l'acquisizione delle conoscenze che permettono l'autogestione delle malattie croniche (le patologie dalle quali non si guarisce, qualunque cosa faccia il medico, sono oggi l'80%, rispetto a un 20% per le quali si può sperare la restitutio ad integrum). L'OMS ha raggruppato questo tipo di interventi che favoriscono il controllo del paziente sulla propria malattia sotto l'etichetta "educazione terapeutica". Da non dimenticare, infine, in questa prospettiva che la maggior parte dei problemi di salute sono piccoli disturbi, curabili con i farmaci di automedicazione. Lo sviluppo di una cultura di automedicazione ― fondata su un dialogo tra consumatore, farmacista e medico ― aiuta il consumatore a orientare le sue scelte di cura (secondo l'ANIFA, l'Associazione che raggruppa le industrie dei farmaci di automedicazione, il patrimonio dei farmaci che si rivolgono al pubblico senza l'obbligo della prescrizione medica ― pur essendo sottoposti agli stessi controlli previsti per i farmaci da prescrizione ― è ancora molto sottoutilizzato in Italia). Nell'ambito clinico l'empowerment può essere fatto equivalere, in sintesi, a un maggiore "senso di padronanza" della situazione.
Sul piano propriamente etico l'empowerment comporta il passaggio dal modello ideale dell'etica medica a quello della bioetica, che abbiamo descritto. Contro ogni semplificazione ― del tipo: "prima il potere era tutto del medico, ora è tutto del paziente"... ― sottolineiamo che l'orientamento della medicina a fare il bene del paziente rimane valido, ma si deve combinare con quanto del proprio bene può e deve definire il paziente stesso. Il paziente non può essere solo passivo: è chiamato a collaborare attivamente con il medico nella definizione degli obiettivi dell'intervento sanitario (compreso il privilegiare le azioni rivolte a salvare e prolungare la vita o quelle finalizzate a risparmiare inutili sofferenze). L'empowerment è fortemente correlato con la responsabilizzazione dell'individuo per le decisioni che lo riguardano.
Coerente con questa visione dei rapporti è il ruolo centrale che spetta al soggetto, anche nei confronti della sua famiglia. Per quanto i familiari possano essere ben intenzionati nei suoi confronti, nessuno meglio della persona stessa può interagire con i professionisti sanitari per giungere alla decisione che meglio salvaguardi tutti i valori in gioco. Nel caso, poi, che il soggetto sia attualmente incapace di esprimere la propria volontà, i familiari possono essere coinvolti in quanto fonte privilegiata per conoscere le preferenze della persona.
Tanto più se c'è stata un'esplicita autorizzazione previa a consultare un familiare o un congiunto in caso di propria incapacità.
Come nel caso dell'espressione di volontà per la donazione degli organi dopo la morte, l‘empowerment tende a valorizzare le preferenze individuali e a rispettarle anche al di fuori del contesto in cui hanno un valore giuridico.