Donazione di organi e tessuti: l’opinione dei medici di famiglia

Sandro Spinsanti

DONAZIONE DI ORGANI E TESSUTI

in La donazione di organi e tessuti: l'opinione dei medici di famiglia

Atti della Tavola Rotonda promossa dalla Fondazione Banca degli Occhi del Veneto ONLUS

Abbazia di Praglia, 25 maggio 2002

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Aggiungo alle considerazioni precedenti qualche commento da un osservatorio molto più ampio e coinvolgente che comprende la transizione culturale che stanno vivendo i rapporti tra chi eroga servizi sanitari, medici, altri operatori, e i cittadini-pazienti. Questa transizione è un grande processo di passaggio e di cambiamento non sempre pacifico ed evidente. La donazione degli organi è un indicatore di quello che sta avvenendo. Un tempo avevamo come punto di riferimento un comportamento tradizionale: le decisioni, per tutto quello che riguardava la salute, erano prese dal medico a beneficio del malato, stabilendo così un potere assoluto del medico sul paziente. Ho trovato una bellissima formulazione di questo principio in un medico, Rodrigo De Castro, del 1600, che ha scritto un trattato intitolato medicus-politicus: "Il medico ha il potere di governare il corpo umano così come il sovrano governa lo Stato e Dio governa il mondo".

Questo modello ― chiamiamolo "principio di paternalismo medico", ovvero "guidato dal principio del bene del paziente" ― è durato 2.500 anni quindi non era del tutto sbagliato. Qualcosa di positivo doveva pur averlo. Ad un certo punto, però, è entrato in crisi! Questo modello paternalistico si ripropone ancora oggi quando noi diciamo che una decisione è presa per il bene del paziente, ma non è più giustificata se non c'è una partecipazione attiva di quest'ultimo.

Ma la cultura sta cambiando. Una ricerca fatta dal CENSIS sul rapporto tra il medico di medicina generale e il paziente mostra che la maggioranza del campione,

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cioè il 62, richiede un'informazione approfondita, non superficiale perché il malato vuole decidere in collaborazione con il medico. E questo campione, che è maggioritario, si sovrappone al campione della ricerca SWG. Ricordiamo però che esiste un 21% che vuole la decisione autonoma ed esiste un altro 15%, che preferisce invece mantenere il modello tradizionale: "Vado dal medico e decide lui, io non voglio sapere niente".

Il modello di consenso informato, che si sta diffondendo nei nostri ospedali, risponde veramente ai desideri del 62% della popolazione, oppure è in fondo il modello della vecchia medicina?

Il problema critico è quanta informazione viene data. Occupando la quasi totalità del mio tempo professionale a fare formazione ai medici, da nord a sud, ho l'impressione che la maggior parte dei medici ragionino ancora riferendosi al modello tradizionale: "Decido io per il bene del paziente".

Il problema diventa drammatico quando non abbiamo di fronte una persona che possa decidere autonomamente quali e quanti trattamenti desidera ricevere, per esempio i pazienti in coma permanente. E naturalmente quando il paziente è deceduto e dobbiamo decidere che cosa fare dei suoi organi, se prelevarli o no per un trapianto.

Il fatto è che non possiamo né vogliamo lasciare in mano ad altri le decisioni, quando non siamo più in grado di prenderle. Con la legge sulla privacy abbiamo addirittura sanzionato che il medico non può dare un'informazione, anche al familiare più vicino, se il paziente preventivamente non l'ha autorizzato. Questi sono gli orientamenti che troviamo anche nel Codice Deontologico dei Medici del 1998. Dal punto di vista pratico, però, sappiamo che la cultura comune non accetta questa autonomia: la famiglia è ancora tutrice delle informazioni e soprattutto vuole gestirle. Ebbene, credo che dobbiamo andare sempre di più verso situazioni in cui sistematicamente viene chiesto ai cittadini di fare delle scelte in anticipo su situazioni in cui non avranno la possibilità di decidere. Le "decisioni anticipate" dovranno diventare una pratica. In questa prospettiva la donazione degli organi ci appare come un capitolo in un insieme più grande e organico di situazioni, nelle quali viene detto al cittadino: "È bene che decida tu; anzi, è bene che tu decida insieme al medico in vista di situazioni in cui non sarai in grado di fare delle scelte. La tua volontà sarà tenuta

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in considerazione". È un cambiamento culturale molto importante. Che cosa rema contro? La qualità e quantità dell'informazione. Mi piace sentir dire che si fa informazione sistematica, ma io sono molto preoccupato dell'informazione che non passa attraverso i canali razionali e formali, ma viene trasmessa attraverso la "fiction" o lo spettacolo.

Faccio un esempio concreto: il coma vegetativo permanente. Mi domando quanto danno, con le migliori buone intenzioni, ha fatto il film di Almodovar "Parla con lei", nel dare informazioni ai familiari che hanno un proprio caro in coma, su che cos'è il coma e com'è la sorte dopo di esso. Perché presentare una persona che sta quattro anni in coma vegetativo permanente e poi farla rialzare e farla diventare una ballerina è un messaggio fuorviante. Tale catastrofe informativa rischia di annullare una quantità di informazioni, invece, reali e scientifiche. Per quanto sia importante l'informazione scientifica, non dimentichiamo dell'impatto che ha un'informazione che cavalca canali che non possiamo controllare.

Un'ultima considerazione. Se la transizione dal principio paternalistico al principio di autonomia è caratteristica della cultura contemporanea, c'è un altro principio molto importante che è il principio dell'equità. Mi domando: che cosa avverrà in Italia quando 21 regioni avranno 21 passi di marcia diversi? Che cosa succederà quando le divaricazioni tra le performance tra le regioni, anche in ambito di disponibilità di organi, saranno così forti? Veramente ci sarà una generosità diffusa, per cui le regioni meno fortunate o meno capaci o meno volenterose potranno accedere al pool comune? Oppure succederà, come è successo tre anni fa, in cui di fronte all'esodo dei malati italiani verso Belgio e Francia, questi paesi hanno detto: "Cari italiani, basta! Noi preleviamo gli organi e voi venite a fare i trapianti qua: fateli un po' a casa vostra!". Non potrà succedere una cosa simile in Italia? Lo vedo come un pericolo. Credo che una minaccia al principio dell'universalità e solidarietà possa venire proprio dai diversi ritmi di marcia che assumeranno le differenti realtà regionali nei confronti dei compiti di informazione e organizzazione che la pratica dei trapianti di organo presuppone.