
- Grazia e grinta
- Morte cerebrale, donazione e prelievo di organi
- La donazione d'organo: attualità e prospettive
- Per i trapianti di organo, un circuito di solidarietà
- Donazione di organi e tessuti
- Donazione di organi e tessuti: l'opinione dei medici di famiglia
- Trapianti ed equità nel ridisegno dello stato sociale
- Trapianti ed equità nel ridisegno dello stato sociale
- Trapianti ed equità nel ridisegno dello stato sociale
- Trapianto ed equità nel ridisegno dello stato sociale
Sandro Spinsanti
La donazione d’organo: attualità e prospettive
in Medicina Ospedaliera
volume 2, n. 4, ottobre/dicembre 1998, pp. 245-249
245
LA DONAZIONE D’ORGANO: ATTUALITÀ E PROSPETTIVE
I trapianti d’organo sono da annoverare tra i più importanti progressi scientifici di questo secolo e rappresentano la più innovativa pratica terapeutica della nuova medicina. Tuttavia, la sorprendente rapidità con la quale essi sono stati implementati nella routine clinica, pur riflettendo la continua evoluzione dei protocolli di ricerca in protocolli di cura, rispecchia forse una eccessiva celerità di cambiamento, tipica della nostra epoca.
Abbiamo già una proposta di suddividere tale capitolo in ere. Il suggerimento autorevole viene da Hors 1, segretario nazionale di France Transplant. Egli osserva che, se consideriamo il rapporto che i trapianti d’organo hanno con la società, si può rilevare uno svolgimento ciclico ricorrente, qualunque sia l’organo o il paese. In una prima fase ― che potremmo chiamare l’era dei pionieri ― l’immagine dei trapianti che si riflette attraverso i media e i sondaggi di opinione è esaltante; l’opinione pubblica risponde con la meraviglia per la padronanza della tecnica e dispensa lodi ai medici che si dedicano ai trapianti. Dal punto di vista organizzativo, priorità assoluta va riservata ad una precoce e repentina diagnosi di morte cerebrale da effettuarsi continuativamente 24 ore su 24. In questo stadio le regole per la ripartizione degli organi sono rudimentali.
La fase successiva è l’era dei coordinatori. Una volta che il trapianto di organi viene proposto quale intervento terapeutico di routine, la preoccupazione verte su un'organizzazione efficace per realizzarlo su vasta scala. Là dove questa organizzazione ha successo, la pratica dei trapianti conosce uno sviluppo esponenziale. È quanto avviene negli anni ’80, fino ai primi anni ’90. Un ruolo centrale spetta al coordinatore: sia nell’informazione rivolta al grande pubblico e ai medici, sia nella verifica dei dispositivi di prelievo nei Centri autorizzati, sia infine nella preparazione di nuovi Centri. In questa fase dello sviluppo le legislazioni europee cominciano a dare risposte normative, pur divergendo nelle condizioni poste per autorizzare i prelievi e nel ruolo da attribuire alla famiglia e al consenso al trapianto.
La terza era ― sempre seguendo la periodizzazione proposta da Hors ― è quella del cittadino. L’atteggiamento del grande pubblico tende a modificarsi. Oltre ad un bisogno di sicurezza, che si traduce nella richiesta di conoscere i rischi di contrarre malattie infettive con il trapianto d’organo o di un tessuto, due altri bisogni si impongono in questa fase: quello della trasparenza e il bisogno di un’etica universale. La trasparenza è richiesta soprattutto nei criteri di allocazione degli organi. La disperazione dei malati posti in lunghe liste d’attesa ― anche più di 10 anni per avere il trapianto di un rene ― nutre il sospetto circa la scelta dei donatori. L’euforia filantropica propria dell’era dei pionieri cede il posto ad atteggiamenti di esplicita xenofobia: non si vogliono privilegiare i non residenti o, per quanto riguarda l’Italia, i cittadini di quelle regioni che si dimostrano totalmente insensibili al reperimento degli organi.
Un altro punto caldo del dibattito è diventato quello dell’etica sottostante alla pratica dei trapianti. Mentre le associazioni dei donatori continuano a proporre l’ideale di un dono gratuito, anonimo e liberamente consentito, la società deve affrontare il pratico diffondersi di un mercantilismo che si affianca al modello della gratuità: gli organi vengono venduti e comprati, in transazioni che superano i confini nazionali e coinvolgono donatori viventi spinti dalla miseria a vendere un organo per sopravvivere. Nello stesso tempo si fanno sentire voci di protesta di cittadini che giudicano la pratica dei trapianti inaccettabile da un punto di vista sia antropologico (dissenso sul criterio cerebrale di riconoscimento della morte), che etico. Si veda in Italia, in tal senso, la "Lega contro la predazione degli organi".
246
Nel nostro Paese l’era del cittadino è particolarmente turbolenta. Ciò spiega in buona parte la difficoltà a raggiungere un consenso sulle modifiche da apportare alla legge del 1975, benché ritenuta unanimemente superata. La revisione della legge ha avuto un iter travagliato ed è giunta in porto solo dopo 5 lustri, nel 1999. L’opinione pubblica sembra aver abbandonato l’entusiasmo degli inizi ed esprime sempre maggiori riserve circa i trapianti. L’inversione di segno nell’opinione pubblica è stata influenzata soprattutto dalle notizie relative a comportamenti censurabili dal punto di vista morale: commercio di organi, prelievi non autorizzati; addirittura si parla di omicidi perpetrati per avere "pezzi d’uomo di ricambio".
Quante di queste notizie sono fondate e attendibili? Quanto va, invece, addebitato alla fiorente fabbrica delle "leggende metropolitane", quelle storie false ma verosimili che si diffondono a macchia d’olio tra la popolazione, senza possibilità di esercitare su di esse un controllo? Coloro che per mestiere devono fornire le informazioni, nei giornali o alla televisione, molto spesso non sono di aiuto per rispondere a queste domande. I trapianti hanno cattiva stampa, nel duplice significato dell’espressione: se ne parla male, se ne parla in modo incompetente. Giornalisti e conduttori televisivi non si impegnano a riportare il discorso sulla terra ferma dei fatti e della ragione. Rimestano nelle emozioni, aggiungendo tocchi di colore. Si diffonde così presso il pubblico ― che in Italia non ha mai brillato per il grado di informazione scientifica ― un’immagine grossolana delle pratiche dei trapianti. Il coma viene confuso con la morte cerebrale. Si accredita la fantasia di pratiche di prelievo di organi fatte artigianalmente nelle camere mortuarie, quando invece proprio la tecnologia richiesta impedisce ' la clandestinità.
Cresce così la diffidenza verso ogni forma di trapianto. I medici che li eseguono sentono aumentare il malessere attorno a sé, quasi fossero dediti ad un’attività riprovevole. Non li circonda più l’aureola dei tempi dei pionieri. La disponibilità a donare organi decresce. Siamo già in Europa, il Paese con minor numero di donazioni, seguiti solo dalla Grecia. Il futuro è ancor più nero, in quanto non si avverte un’inversione di tendenza e i paesi europei ai quali eravamo soliti rivolgerci per i trapianti hanno dichiarato che non sono più disponibili a fornirci organi, in assenza di un impegno da parte nostra a favore delle donazioni. Dovremmo, dunque, dichiarare conclusa l’epoca dei trapianti?
Non si tratta semplicemente di mettersi alla ricerca dei responsabili dell’"impasse", puntando il dito sull’uno o sull’altro. Le cause del malessere che accompagna la medicina dei trapianti sono molteplici e differenziate, spesso non evidenti al primo sguardo. Possiamo rendercene conto analizzando il quadro legislativo che regola i trapianti d’organo. Nella lunga e intricata "telenovela" della legge italiana sui trapianti d’organo possiamo isolare un episodio, di per sé marginale, ma che offre l’opportunità di alcune riflessioni sui problemi di fondo che ostacolano il diffondersi dell’auspicata "cultura delle donazioni". Ancor più, la riflessione sul trapianto degli organi ― e sulla loro donazione, che ne è il presupposto ― ci permette di cogliere alcuni importanti elementi del funzionamento di ogni comunità umana.
L’episodio a cui ci riferiamo riguarda la Legge 311 relativa ai trapianti di cornea. Si tratta di un testo breve ― riducibile a quattro articoli, di neppure quaranta righe in tutto ― scorporato dalla legge generale sui trapianti. Il motivo addotto per lo scorporo è stato quello della relativa aproblematicità dei trapianti di cornea, trattandosi di un tessuto e non di un organo, tanto meno di un organo vitale.
La legge è stata approvata il 12 agosto 1993 (già la data merita un’attenta considerazione: il periodo intorno a ferragosto non è certo l’epoca dell’anno in cui gli spiriti sono più vigili, pronti a cogliere la portata di un intervento legislativo...). In accordo con l’intenzione della legge, che era quella di facilitare i trapianti di cornea, la facoltà di eseguire i trapianti veniva estesa anche a strutture private non autorizzate o convenzionate. La pericolosità di questa innovazione sarebbe risultata solo pochi mesi dopo, quando scoppiò lo scandalo per denunce di prelievi abusivi di cornee, provenienti dall’estero, a Roma e in altre città italiane. Si può facilmente immaginare quale forma di "deregulation" potesse nascere dalla rinuncia delle strutture pubbliche a controllare tutto il processo dell’espianto e trapianto.
Ma gli aspetti più innovativi della legge sono quelli che riguardano il consenso come condizione per il prelievo della cornea. Se il defunto ha manifestato in vita il rifiuto della donazione, la legge impedisce di procedere al prelievo. Se invece ha manifestato la volontà di donarla, è necessario l’assenso del coniuge, oppure dei figli maggiorenni o, in assenza di questi, dei genitori. La famiglia, insomma, deve autorizzare esplicitamente il prelievo presso il proprio congiunto che in vita ha espresso
247
la volontà di donare il tessuto corneale. La norma si presentava come un'innovazione sostanziale rispetto alla Legge 844 del 1975, che prevedeva l’opposizione dei parenti, fino al secondo grado, attribuendo loro la facoltà di annullare la volontà del defunto espressa in vita.
La richiesta di consenso da parte della famiglia per il prelievo della cornea riflette in sostanza un’ambivalenza legislativa. La norma, infatti, sancisce come definitiva solo la scelta del defunto di opporsi al prelievo degli organi (opposizione che deve essere precedentemente espressa per iscritto), mentre in caso di assenso alla donazione, il diritto al prelievo si perfeziona solo con il consenso dei familiari. Alla volontà del defunto, concepita come imperativo cui orientarsi, si sostituisce la famiglia, alla quale viene implicitamente riconosciuto un vero e proprio "diritto di proprietà" sul cadavere. Le perplessità non sono soltanto dirette verso le tentazioni mercantilistiche, che così possono attecchire più facilmente sulla pratica dei trapianti (la famiglia potrebbe essere più incline a vendere quella proprietà, piuttosto che a donarla); più grave ancora è l’ostacolo costituito dalla richiesta di consenso dei parenti rispetto al diffondersi della cultura della disponibilità del cadavere, quale forma di moderna solidarietà.
Non sappiamo se siano state perplessità concettuali di questo genere o problemi di ordine pratico che hanno indotto il Ministro della Sanità, ad appena un anno dalla legge, ad annunciare un nuovo disegno di legge, approvato dal Consiglio dei Ministri nel settembre 1994. Nella nuova regolamentazione il prelievo e innesto delle cornee non saranno più sottoposti al consenso dei parenti. Verranno ritenuti vincolanti il consenso espresso o il diniego del donatore, indipendentemente dalla famiglia. Il nuovo si presenta, dunque, come un ritorno all’antico.
Leggere in questo processo altalenante solo l’inconsistenza e l’improvvisazione dei nostri legislatori è riduttivo. In filigrana possiamo intravedere anche problemi di maggiore spessore, soprattutto di natura antropologica, posti da una pratica che rivendica per gli organi che passano da un soggetto umano all’altro il carattere di dono.
Nel dono si riflettono alcuni tratti di quella complessa rete di rapporti che costituisce la società. E quanto osservò l’antropologo culturale e sociologo Marcel Mauss in un celebre scritto apparso nel 1923 2. Il contributo di Mauss ha una forma che sembra quasi definitiva, tanto che pochi studiosi hanno ripreso l’argomento. C’è da segnalare, all'inizio degli anni ’70, la riflessione di Titmus 3, riferita soprattutto al dono del sangue. Più di recente ha rivisitato il tema del dono il sociologo francese Jacques Godbout 4, in un’opera imponente. A suo avviso, il dono è una categoria che ci permette di capire il funzionamento non solo delle società arcaiche, ma anche di quella contemporanea. Il punto di partenza di questa riflessione è fornito dalle conclusioni di Mauss, secondo il quale nelle società arcaiche il dono ha la funzione di "fatto sociale totale": esso mette in moto la totalità delle società e delle sue istituzioni. Il dono è espressione dello scambio sodale e costituisce la precondizione perché una società sia possibile.
La fenomenologia delle nostre società è ovviamente diversa. La solidarietà allargata si esprime in altre forme rispetto a quelle riscontrabili nei raggruppamenti sociali arcaici; le moderne democrazie, ad esempio, hanno risposto ai bisogni di salute, sicurezza e assistenza attraverso la creazione del "welfare state". Tuttavia il dono ― inteso in senso ampio, non solo come regalo, ma includendo anche ogni bene e servizio ― continua a rimanere centrale anche nell’organizzazione della società attuale.
La principale differenza tra il dono arcaico e quello che esprime il principio della ridistribuzione universalistica dei beni nelle nostre società, è che il nostro è un dono senza destinatario. Lo stato sociale non distribuisce i beni nel modo in cui essi circolano nelle società primarie (di cui la famiglia è l’istituzione centrale). La solidarietà moderna accentua la separatezza, l’indipendenza degli attori sociali. Nella ridistribuzione dei beni promossa dallo Stato, gli individui sono svincolati dal sistema di interdipendenza che vige nelle reti che nascono dai legami primari: la solidarietà che lega i cittadini nello stato sociale è diversa da quella che vige all’interno di una tribù o di una famiglia; essa presuppone tra loro un’"estraneità" analoga a quella che regola i rapporti tra sconosciuti.
Tenendo presente lo scenario dello stato sociale, che costituisce una novità nell’organizzazione della convivenza, possiamo affermare che la circolazione dei beni e servizi contribuisce al legame tra gli individui nella società in tre modi diversi e inconfondibili 5. C’è la modalità del sistema reciprocità-dono, che vediamo realizzato nelle società arcaiche e permane sempre attuale nella famiglia. Esso si fonda sul principio che il dono crea il debito in colui che lo riceve; beni e servizi nella loro circolazione legano le persone direttamente le une alle altre. All’estremo opposto troviamo il mercato, in cui i beni
248
circolano indipendentemente dal legame tra le persone: la transazione si conclude con lo scambio tra merci e denaro, senza alcuno strascico di rapporti interpersonali. In posizione intermedia si situa la modalità di circolazione dei beni che ha lo "Stato come promotore". In questa dimensione i soggetti, liberati dai legami interpersonali diretti, sono trattati secondo il principio dell’uguaglianza e ricevono in base ai loro bisogni, senza tuttavia che si crei il debito e l’obbligo della riconoscenza che si ha quando il dono ha un destinatario diretto.
Mercato, Stato e sfera della reciprocità sono retti da principi diversi, non riconducibili l’uno all’altro e non interscambiabili. Proprio la situazione del bene costituito dagli organi per i trapianti può illustrare le tre diverse modalità. In condizione di mercato, l'organo è considerato un bene oggetto di transazione economica: colui che offre e colui che acquista sono in contatto solo in vista del passaggio della merce dall’uno all’altro. Onorato il contratto, non c’è debito e non c’è riconoscenza. Nel caso invece di una donazione d’organo all’interno della famiglia (rene da vivente, trapianto di midollo...), il legame rinforza quello esistente, con il risultato di portare l’interdipendenza a punte parossistiche (complicate talvolta da ricatti morali, colpevolizzazioni del familiare renitente al dono, senso esasperato di debito in colui che accetta il sacrificio o il rischio di familiare donante...).
La donazione di organi come pratica inserita nella cura della salute offerta dallo Stato, pur nelle diverse organizzazioni del servizio sanitario, garantisce il criterio universalistico di accesso alle risorse, senza tuttavia creare dei legami. Il destinatario di un organo donato, infatti, abitualmente non sa da dove proviene il dono, né è tenuto a contraccambiare, come sempre avviene quando si crea un senso di debito. La stessa organizzazione di strutture che gestiscono il dono degli organi mira ad evitare le personalizzazioni del dono stesso e ad impedire che questa pratica graviti entro il sistema reciprocità-dono, che è proprio dei legami interpersonali.
Malgrado la persistenza del dono nelle forme di convivenza sociale moderne e post-moderne in cui si concretizza il bisogno primario insuperabile di legami basati sull’interdipendenza, per noi oggi ha un valore centrale il meccanismo di solidarietà allargata nelle istituzioni gestite dallo Stato. Solo questa modalità di dono può garantire, nella moderna società complessa, i modelli minimi di uguaglianza e correggere le disparità più stridenti legate al censo e ai privilegi. È necessario continuare a coltivare forme di reciprocità, modernizzando le loro espressioni (il volontariato e le associazioni di mutuo aiuto sono, da questo punto di vista, eccellenti realizzazioni che attualizzano i sistemi di reciprocità-dono). Tuttavia, la reciprocità non può sostituire quel sistema universalistico di distribuzione di beni e servizi che offre oggi lo Stato mediante la sua organizzazione pubblica del servizio sanitario.
Questa prospettiva ci offre una diversa chiave di lettura di quell’episodio legislativo relativo ai trapianti di cornea. L’oscillazione tra possibile opposizione della famiglia ed esplicito consenso di questa al prelievo delle cornee può essere vista anche come un’esitazione tra diverse modalità di circolazione dei beni e concezioni alternative del ruolo della famiglia. Concedere alla famiglia di mantenere il controllo sul cadavere del congiunto significa privilegiare un disegno dei rapporti sociali in cui la reciprocità e il dono, vigenti nelle società arcaiche, prevalgono sulle forme moderne di ridistribuzione dei beni che fanno perno sullo Stato.
Ci si può chiedere se la resistenza massiccia al diffondersi di una cultura del dono di organi che registriamo in Italia non sia riconducibile ad una fondamentale diffidenza nei confronti dello Stato, a beneficio di quelle modalità di circolazione dei beni che privilegiano la reciprocità, come appunto avviene nella famiglia. L'ostilità alla donazione potrebbe così essere interpretata come un segno ulteriore di quel ritardo nella maturazione di un senso civico dello Stato, che caratterizza la cultura italiana.
Un’ultima considerazione, infine, merita la proposta di sostenere il passaggio verso la concezione solidaristica che presuppone lo stato sociale ricorrendo a forme di incentivazione. Una di queste può essere costituita dalla creazione di un particolare "circuito della solidarietà", nel quale condividere onori e vantaggi. Ciò presuppone, in pratica, la possibilità per coloro che non sono disponibili a ricevere e donare gli organi di escludersi dal circuito. Questa possibilità negativa diventa sempre più urgente nella società multietnica e pluriculturale nella quale viviamo. Nello stesso tessuto sociale convivono degli "stranieri morali", vale a dire persone che non condividono le stesse convinzioni e non si orientano secondo gli stessi ideali di "buona vita". Per alcuni ricevere e dare organi è un tabù o una via impraticabile dal punto di vista morale. Una società pluralistica deve trovare il modo di rispettare queste scelte.
249
In senso positivo, la richiesta di essere inclusi nel circuito della solidarietà, per quanto riguarda la circolazione di quel bene raro che sono organi e tessuti del corpo umano, comporta la scelta di rendersi disponibili al prelievo, come condizione per poter beneficiare del dono di altri. Lo strumento del circuito privilegiato per la donazione e il trapianto si situa a metà strada tra lo strumento pedagogico dell’incentivazione e la misura amministrativa per ottimizzare l’uso di risorse scarse.
Se sia possibile abbinare la cultura del dono degli organi con forme incentivanti ― come appunto l’iscrizione in un circuito privilegiato ― è stato oggetto di recente di una vivace polemica, dopo la proposta del presidente della Camera dei Deputati Luciano Violante di riservare gli organi per il trapianto a coloro che sono disposti a donarli a loro volta. L’attacco violento ospitato da L’Avvenire, che ha etichettato Violante come un Robespierre liberticida, non ha ragione di esistere. L’ipotesi di Violante ― che, per la verità, è stata ventilata anche da studiosi di bioetica ― si presenta come il tentativo di conciliare il rispetto della libertà individuale con l’attivazione di meccanismi di responsabilizzazione. La creazione di due circuiti ― quello di coloro che si escludono sia dall’utilizzo degli organi che dal loro dono e il "circuito della solidarietà", che implica la disponibilità attiva e passiva a far propria questa pratica ― è un’idea quanto meno degna di essere discussa. Per vedere meglio i problemi che crea (dobbiamo considerare i circuiti rilevanti solo per gli individui o anche per le famiglie? Come collochiamo i bambini?), ma anche per esaminarne la praticabilità sociale.
Un punto emerge con chiarezza: se si vuol evitare di creare due classi di cittadini, è necessario che la scelta di appartenere all’uno o all’altro circuito sia pienamente informata e consapevole. Non possiamo evitare, perciò, di passare attraverso un dibattito che coinvolga tutta la società e giunga capillarmente ad ogni cittadino, permettendogli di decidere con piena consapevolezza a quale circuito iscriversi.
Riassunto
La nuova legge che norma l’intero settore dell’espianto e del trapianto di organi non rende superflua la riflessione sulla cultura che tale pratica sottende e sulle condizioni etiche necessarie per cambiare i comportamenti. L’esclusione della commercializzazione degli organi induce a individuare la persuasione al dono quale unica via percorribile per accrescere la disponibilità di organi.
Tuttavia, l’educazione non esclude forme lecite di pressione e di incentivazione. In tale contesto si colloca la proposta di un "circuito della solidarietà", al quale i cittadini possano, elettivamente, includersi ed escludersi (con la ricaduta che abbiano accesso agli organi coloro che si sono dichiarati disponibili alla donazione dei propri dopo la morte). Mentre in tal modo non sarebbe violentata la coscienza di coloro che, per motivi ideologici o per preferenze etiche, avversano i trapianti, si creerebbe una ideale rete di interscambio tra coloro che, essendo disposti a donare gli organi, si candidano a riceverne. Il "circuito della solidarietà" mira a indurre i cittadini a giocare un ruolo attivo nella promozione dei trapianti. Il sistema universalistico di erogazione di beni e servizi assicurato dallo Stato mediante la sua organizzazione pubblica del servizio sanitario si demarca sia dal "mercato" (in cui i beni circolano indipendentemente dal legame tra le persone), sia dal sistema reciprocità-dono (realizzato nelle società arcaiche e sempre attuale nelle relazioni di interscambio primario, come la famiglia). La ridistribuzione dei beni che fa perno sullo Stato può valere anche per gli organi da trapiantare, purché maturi il senso civico e di responsabilità nei cittadini.
Bibliografia
Hors J., Les trois temps de la transplantation d’organes. Journal International de Bioéthique 1995; 6, 103-5.
Mauss M., Saggio sul dono. Forma e motivo dello scambio nelle società arcaiche. In: Mauss M., ed. Teoria generale della magia e altri saggi, Torino, Einaudi, 1965.
Titmus R.M., The gift relationship. From human blood to social polic,. New York, Pantheon Books, 1971.
Godbout J.T., Lo spirito del dono, Torino, Bollati Boringhieri, 1993.
Di Nicola P., Equivalenza, uguaglianza, debito: tre forme di circolazione di beni e servizi nella società moderna, in L'Arco di Giano, 1994, 179-84.
1 Hors J., Les trois temps de la transplantation d’organes. Journal International de Bioéthique 1995; 6, 103-5.
2 Mauss M., Saggio sul dono. Forma e motivo dello scambio nelle società arcaiche. In: Mauss M., ed. Teoria generale della magia e altri saggi, Torino, Einaudi, 1965.
3 Titmus R.M., The gift relationship. From human blood to social polic,. New York, Pantheon Books, 1971.
4 Godbout J.T., Lo spirito del dono, Torino, Bollati Boringhieri, 1993.
5 Di Nicola P., Equivalenza, uguaglianza, debito: tre forme di circolazione di beni e servizi nella società moderna, in L'Arco di Giano, 1994, 179-84.