
- Bioetica in sanità
- Il processo di cambiamento nella sanità italiana
- La qualità nei servizi sociali e sanitari
- Spersonalizzazione e ripersonalizzazione
- Sanità pubblica in una società multietnica
- Efficienza e qualità come risposta alla crisi dello stato sociale
- Etica ed economia nella «azienda» sanità
- Problemi di giustizia nella sanità
- La prevenzione: ruolo dell'individuo e della società
- Quaderni di sanità pubblica
- Medicina, etica, economia
- Umanizzazione delle cure e responsabilità organizzativa
Sandro Spinsanti
EFFICIENZA E QUALITÀ COME RISPOSTA ALLA CRISI DELLO STATO SOCIALE
in Attività 1995, Collegio dei Primari Ospedalieri di Careggi
Careggi 1996
pp. 13-14
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Lo scenario della sanità che in Italia è stata avviata con il disegno di riordino del Servizio sanitario nazionale (D.L. 502/1992 e 517/1993) è efficacemente descritto da una frase del Piano sanitario nazionale per il triennio 1994-1996, là dove vengono presentati gli obiettivi del Piano stesso: “Non esiste più il sogno utopistico di uno Stato che si proponga di rispondere a tutti i bisogni di salute dei cittadini; in sanità sarà sempre più pesante la divaricazione tra domanda e offerta, perché la società invecchia ed è sempre più affetta da malattie degenerative. Questi cambiamenti di scenario impongono la dura necessità di fare delle scelte, sia a livello macro sia a livello microeconomico, al fine di riuscire a massimizzare i benefici ottenibili dalle risorse disponibili”.
Per molti, anche coloro che sono stati investiti nei più alti ruoli nella guida della sanità, questo nucleo duro del cambiamento ― la necessità di contenere i costi di un servizio sanitario che rischia di sfuggire a ogni controllo ― ha caratterizzato l’essenza della nuova sanità. L’aziendalizzazione è stata intesa esclusivamente come un impegno a realizzare un pareggio di bilancio. Non è questo il senso del cambiamento come è inteso dal Piano sanitario nazionale. Subito dopo la frase relativa all’orizzonte delle risorse limitate, infatti, leggiamo un invito a trascendere il solo piano economico in sanità:
“La necessità di ripensare a fondo il profilo stesso di un programma sanitario per il paese si presenta come una straordinaria opportunità per ridefinire il progetto di civiltà, che è l’obiettivo di una politica della salute. Per anni si è pensato che la promozione della salute richiedesse solo nuovi investimenti in tecnologie, strutture e personale sanitario, nella fiducia di ottenere solo da tale impegno un migliore livello di salute. L’inversione di rotta cui il momento attuale costringe punta a un miglioramento che si sviluppa sotto il segno della qualità, più della quantità. La pressione della scarsità delle risorse orienta a immaginare un servizio alla salute che accetti in senso positivo la sfida dell’autolimitazione”.
La duplice indicazione del Piano sanitario nazionale ― la restrizione dell’offerta dei servizi sanitari causata dalla scarsità delle risorse e il passaggio dal paradigma della crescita quantitativa a quello della qualità dei servizi erogati ― si trova in perfetta sintonia con i risultati di un’ampia ricerca ― Il futuro della sanità in Europa ― che ha coinvolto 3000 esperti di una decina di paesi. Gli studiosi interrogati hanno identificato due sfide comuni a tutti i sistemi sanitari nei prossimi anni: migliorare la qualità dei servizi e contenere i costi. Se questo è lo scenario non solo del processo di innovazione avviato in Italia, ma della sanità europea in generale nel prossimo quinquennio,
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il compito che si impone in modo prioritario è quello di affrontare il rinnovamento necessario predisponendo la cultura che lo favorisce.
La crisi legata alla necessità di contenere la spesa sanitaria ― presa nella forbice costituita dall’aumento delle richieste e dei corsi, da una parte, e dalla necessità di ridurre l’indebitamento pubblico, dall’altra ― non deve tradursi solo in lotta agli sprechi, razionalizzazione delle risorse, tagli alle spese, scelte prioritarie. Se così fosse, avremmo perso l’occasione offerta dal momento culturale attuale di rivedere in profondità i comportamenti, tanto dei sanitari, quanto dei cittadini che ricorrono ai servizi offerti dalla medicina. Non si tratta solo di un problema amministrativo di risanamento della finanza pubblica: è necessario arrivare a “cambiare il modello di civiltà sanitaria”, secondo la felice espressione del Piano sanitario nazionale. Per questo non possiamo limitarci a offrire meno servizi o prestazioni. Bisogna fornire un “meno” che sia qualitativamente “di più”. Si tratta, quindi, di un problema di qualità, che si sposa all’efficienza con risposta globale nella crisi dello stato sociale.
Per chi si preoccupa oggi di fare “buona medicina” non è più sufficiente riferirsi alle ultime acquisizioni della ricerca e della clinica. Oltre a questo, deve anche considerare l’impatto che ha sulle scelte cliniche il riferimento ai valori condivisi e tener presente le limitazioni che derivano dal contenimento dei costi. In altre parole, non si può fare buona medicina trascurando i saperi che afferiscono alle medical humanities, in particolare l’etica e l’economia. Per quanto diversi come saperi normativi, etica ed economia guardano nella stessa direzione e agiscono in sinergia nel promuovere una pratica della medicina commisurata ai bisogni umani così come si presentano nel concreto contesto dell’attuale crisi di quella sanità che era stata pensata nella fase dello sviluppo dello Stato sociale.
Oltre all’economia e all’etica, un terzo vettore dell’innovazione è fornito dall’aspetto organizzativo o manageriale, quale componente della professionalità medica. Dopo la stagione che ha visto la presenza invadente ― e spesso incompetente ― dei politici nella gestione della sanità, il pendolo toma a oscillare verso un coinvolgimento diretto del corpo sanitario nelle scelte che riguardano l’allocazione delle risorse e l’organizzazione. Non per nostalgia di un’epoca in cui il medico, come “capitano della nave”, guidava la rotta in modo assolutistico. La società complessa non rende più possibile un modello di questo genere, anche se ispirato al paternalismo più illuminato. Non si tratta, quindi, di auspicare la regressione verso un modello di medico onnisciente, ma piuttosto di promuovere la crescita professionale integrando il sapere e il saper fare del medico in ambito terapeutico con competenze organizzative.
Il cambiamento della cultura medica che ciò implica non è di poco conto. La “produttività” ― termine bandito dall’orizzonte delle preoccupazioni dei sanitari, perché considerato contrario al rispetto dovuto al malato ― dovrà entrare nel linguaggio quotidiano di chi lavora in sanità. Anche l’etica, intesa come rispetto per la soggettività del paziente e come attenzione per la qualità del servizio prestato e per la soddisfazione del paziente, deve avere nella pratica quotidiana della medicina uno spazio non marginale. E di tale etica i sanitari devono essere i soggetti attivi: non darla semplicemente in appalto a filosofi, teologi, bioeticisti ed altri esperti, per limitarsi al consumo di prescrizioni comportamentali elaborate da altri.
La conquista di un ruolo attivo nell’elaborazione di una riflessione etica, nella gestione delle risorse e nella promozione della qualità si rivela anche come la via regia per la rimotivazione dei professionisti. Della svolta verso la “aziendalizzazione” della sanità non si deve sottovalutare un elemento fondamentale dell’organizzazione del lavoro richiesto dall’azienda: la condivisione di obiettivi comuni (in termini aziendalistici, si parla di “mission”), allineando tutte le forze in un piano strategico comune. Se si supera il senso di spaesamento creato da una terminologia che è stata finora estranea al mondo della sanità, si può scoprire che la sostanza di ciò che è richiesto dalla riforma in atto è perfettamente sintonica con quanto vivono coloro il cui lavoro consiste nel promuovere la salute.