La riproduzione assistita dalla tecnologia

Sandro Spinsanti

LA RIPRODUZIONE ASSISTITA DALLA TECNOLOGIA: UN ORIENTAMENTO ETICO

in Attualità e prospettive nella terapia della sterilità femminile

Atti del Convegno dell'Università degli Studi di Perugia, Facoltà di Medicina e Chirurgia

Perugia, 1-2 marzo 1985

pp. 51-59

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Nel nostro incontro è stata opportunamente adottata la scelta metodologica di concentrare la riflessione esclusivamente sulla FIV-ET, isolandola dal complesso delle pratiche che, con ricorso a tecnologie bio-mediche più o meno sofisticate, permettono oggi di generare bambini in modo vistosamente difforme dal procedimento vigente nel mondo biologico della riproduzione sessuata. Il discernimento tra le diverse pratiche non è certo irrilevante, ai fini del giudizio etico da portare su di esso. Tutta via l'etica, in quanto disciplina filosofica che si propone un giudizio sul valore morale delle azioni umane, non può evitare un preliminare confronto con il fatto più ampio dell'intervento umano in un ambito che finora procedeva unicamente nel modo determinato dalle "leggi della Natura".

È bene o è male, dal punto di vista morale, ricorrere alle nuove tecnologie bio-mediche per ottenere esiti di riproduzione così lontani dalle modalità naturali? Qualunque sia l'orientamento ideologico della persona a cui si rivolga la domanda, non si faticherà molto ad ottenere una risposta, positiva o negativa. L'interpellazione delle nuove pratiche è forte, e difficilmente si rinuncia a inquadrare un fenomeno così vistoso nel proprio uni verso di valori. Non vi è certo penuria di giudizi etici a proposito della tecnologia a servizio della riproduzione. Quando questi problemi, attraverso la cassa di risonanza dei mass media, sono arrivati all'opinione pubblica ― magari tramite il giornalista in funzione di moralista ― si è assistito a un moltiplicarsi

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di giudizi etici, provenienti da diverse istanze: "sì", "no", "sì"... "ma"... Tuttavia è opportuno ricordare che un giudizio etico non è la stessa cosa di un ragionamento etico; e che la conquista di una visione etica matura e saldamente stabilita è particolarmente difficile in questo campo. Succede frequentemente che, dietro l'apparenza di un giudizio etico, si debba riscontrare in realtà nient'altro che una presa di posizione emotiva, sorretta dalla propria Weltanschauung. Sono i diversi modelli antropologici che veicolano implicitamente dei giudizi etici. Non sarà superflua qualche esemplificazione.

Ai due poli estremi possiamo trovare, da una parte una "fede" nella scienza, considerata come l'unica risposta efficace a tutte le miserie umane; una fede che sconfina volentieri nell'entusiasmo acritico. Ogni nuova realizzazione viene salutata come un "miracolo della medicina", che fa indietreggiare ulteriormente la barriera dell'impossibile. Una tale fede implicita è rintracciabile anche sotto la patina di freddezza con cui amano presentarsi gli scienziati. All'altro estremo troviamo la diffidenza astiosa verso l'intrusione degli uomini di scienza nell'ambito del "naturale". Per rafforzare l'intoccabilità della natura e dei suoi processi, la si riveste talvolta del carattere di sacralità, corredandola con la "volontà di Dio creatore". Tanto le posizioni più violente di rifiuto, quanto quelle di accettazione incondizionata di ogni nuova tecnologia, lasciano trasparire in filigrana una "mistica" implicita: quella della natura e della biologia come limite che non si può valicare senza peccare di "hybris", da una parte, la mistica del Grande Progresso illimitato, di cui parla Erich Fromm, dall'altra.

Un diverso atteggiamento di fondo si rispecchia anche nella funzione che si attribuisce alle regole morali applicate alle tecnologie riproduttive. Da esse ci si può aspettare che fungano da diga contro l'irrompere dell'arbitrio e l'agire irresponsabile; oppure che diano esse stesse impulsi positivi alla ricerca e alla sperimentazione, promuovendo l'opera di umanizzazione implicita nella scienza stessa. La "facies" dell'etica cambia sostanzialmente, quando si attribuisca alle regole morali una finalità di contenimento, oppure di promozione dell'opera dello scienziato. Nel primo caso tenderà a prevalere un'impostazione casistica che vorrà entrare nei dettagli per porre freno con precisi dettati comportamentali ai veri o presunti straripamenti della scienza; nel secondo, l'accento cadrà di preferenza sui valori

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da promuovere, lasciando all'uomo di scienza l’autonomia e la responsabilità per le sue scelte comportamentali.

Dei giudizi etici impliciti si nascondono, oltre che nelle concezioni antropologiche ― la qualità umana dell'uomo, il suo rapporto con la natura, la funzione delle norme etiche per l'individuo e per la comunità ― anche nei termini con cui le nuove pratiche vengono designate. La semantica è un veicolo privilegiato di giudizi etici che si sottraggono al confronto di argomentazioni razionali. Tra tutti i termini con cui gli interventi biomedici nella riproduzione vengono designati, "manipolazione" è quello più carico di connotazioni etiche negative. Anche se la manipolazione, intesa come cambiamento pianificato della natura, può avere un significato accettabile o anche buono, nell'uso linguistico che ne fanno alcuni la manipolazione, come osserva Bernhard Häring, è "una parola nuova per dire peccato". Se si chiamano manipolazioni questi interventi bio-medici, li si colora a priori di un sospetto di illiceità morale.

Al contrario, la designazione di "terapie dell'infertilità" copre tali metodiche col mantello di Esculapio, facendo ricadere su di esse l’aura di accettabilità morale riservata a tutto ciò che è finalizzato alla guarigione. La formalità terapeutica per mette di considerare in una luce diversa taluni aspetti pratici dei procedimenti bio-medici. Così, ad esempio, le riserve dei moralisti cattolici sulla modalità di raccolta dello sperma tendono a estinguersi quando l'atto masturbatorio è considerato all'interno di un progetto terapeutico globale. Le pratiche finalizzate alla procreazione artificiale, sottolineano con vigore i medi ci e i biologi che vi sono coinvolti, non sono arbitrarie manipolazioni della natura, bensì interventi terapeutici. Spesso i protagonisti rispondono con irritazione a coloro che condannano moralmente tali pratiche, agitando fantasmi di totalitarismo tecnologico. Per quanto stravaganti possano apparire al senso comune, gli interventi bio-medici vogliono essere essenzialmente una risposta all'infertilità. Questa prospettiva getta un'altra luce sull'insieme delle procedure in questione. Bisogna tentare anzitutto di immaginare la portata di una sofferenza legata all'assenza di un bambino, quando è ardentemente desiderato. Per rimediare a questa tragica incapacità di generare, ci sono uomini e donne disposte a tutto. E questa non è solo una caratteristica dei nostri contemporanei. Viene spontaneo ricordare quanto la Bibbia ci racconta delle mogli dei patriarchi. Sara, sterile, ordina

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ad Abramo di unirsi alla propria schiava Agar per darle un figlio: "Vedi, il Signore mi ha impedito di dare alla luce dei figli; va', ti prego, dalla mia serva, forse potrò avere prole da lei" (Gen. 16, 1). Dopo due generazioni, la stessa strategia è ripetuta da Rachele. Il dramma intimo della sterilità è per lei ancora più drammatico: "Dammi dei figli ― dice a Giacobbe ― altrimenti ne morirò". E anche lei propone al marito: "Ecco la mia serva Bilha: entra da lei, essa partorirà sulle mie ginocchia e io pure avrò figli per mezzo di lei (Gen. 30, 1-3). La sofferenza spirituale per l'impossibilità di avere dei figli è dunque la stessa, oggi come ieri. Con in più, per gli uomini o le donne del nostro tempo, il rifiuto della frustrazione dei propri desideri e l'abolizione della parola "rassegnazione" dal vocabolario.

Quando i medici rivendicano per gli interventi di procreazione artificiale la qualifica di "terapie dell'infertilità", implicitamente richiedono una valutazione etica positiva del loro operato, quella stessa valutazione che accompagna ogni azione finalizzata alla salute e al benessere. Ma il beneficio della "terapia" può essere esteso a tutto l'arsenale oggi disponibile di tecnologie riproduttive? In alcuni casi si tratta chiaramente della realizzazione di un desiderio arbitrario, quando non addirittura di un capriccio (donne che vogliono un figlio senza avere un rapporto sessuale con un uomo; oppure si illudono di generare un genio facendosi inseminare con i gameti di un premio Nobel...; per non parlare di chi fa ricorso a "uteri in affitto" per futili motivi, e non per l'impossibilità biologica della gestazione). Anche il fatto di considerare la sterilità una "malattia", e il rimedio all'infertilità un'opera terapeutica, solleva alcuni problemi dal punto di vista antropologico. Se la medicina si proponesse di rispondere a tutti i desideri e le convenienze della popolazione, le conseguenze sarebbero di enorme portata, tanto sul piano della politica sanitaria, quanto su quello della deontologia medica. Una medicina sociale dovrebbe rendere accessibili a tutti le costose pratiche della procreazione artificiale. Nella concezione liberale della sanità, invece, il medico, trasformato in prestatore di servizi, si troverebbe inevitabilmente preso nell'ingranaggio commerciale che regola la domanda e l'offerta, perdendo la facoltà di discernere tra le richieste, come richiede una corretta deontologia professionale.

Una terza categoria generale, usata per designare questa vasta gamma di interventi bio-medici, e quella di "tecnologie riproduttive".

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Anche questa designazione veicola implicitamente un giudizio etico, e precisamente quello soggiacente alla nozione stessa di tecnologia. Nell'ambito culturale dell'Occidente, profondamente compenetrato dell'umanesimo greco della techne e della spiritualità biblica del "Dominate e soggiogate la terra", le azioni riconducibili alla tecnologia godono, a priori, di una considerazione positiva. In seno al cristianesimo ecclesiale, da questo punto di vista, non sono mai stati coltivati atteggiamenti sospettosi verso la scienza medica, come invece troviamo in alcuni gruppi settari quali i Testimoni di Geova. La nozione filosofico-teologica di "natura" quale criterio etico ("è buono ciò che è conforme alla natura e alla naturalità dell'atto") non ha escluso l'intervento correttivo sulla natura stessa. Oggi tuttavia la valenza etica positiva di ciò che è espressione di tecnologia si è incrinata. O piuttosto: siamo di ventati più consapevoli dell'ambivalenza della tecnologia, che può anche rivolgersi contro l'uomo. L'homo faber, maggiorato In homo technologicus, sente più fortemente che la tentazione a "giocare a fare Dio" è carica di minacce per l'umanità,. Preferiscono parlare di tecnologie riproduttive coloro che vogliono evitare designazioni condizionate da connotazioni rigide, a vantaggio di quel processo di discernimento critico che è costitutivo dell'etica.

Abbiamo esaminato finora come i giudizi etici sulla procreazione artificiale siano veicolati dai modelli culturali, e si riducano ad essere semplici legittimazioni di questi ultimi. Abbiamo fornito anche degli elementi per diventare consapevoli della pregnanza semantica dei termini che si usano, nonché delle valutazioni morali implicite che essi contengono. Ai medici e agli scienziati questo lavoro filosofico può forse venire a noia; ma tutto lascia credere che una buona filosofia sia il sale che impedisce alla tecnica di corrompersi. Un ripiego di comodo è quello di invocare per il medico un ruolo solo tecnico, che lo tenga lontano dai dilemmi morali. Il medico si esenta dal coinvolgimento nei problemi umani ed etici, col risultato che questi vengono gestiti da istanze separate dalla medicina, quali sono appunto la filosofia, o il diritto, o la teologia. La prassi viene allora a scontrarsi con l'etica nel suo aspetto più duro, cioè come normatività che cade quasi dall'alto. Se invece la prassi medica accetta di riflettere su sé stessa, producendo norme man mano che si rendono necessarie per salvaguardare i valori che il sanitario

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vuol promuovere, l'etica medica crescerà dal basso, invece di cadere dall'alto.

La valutazione etica della FIV-ET si presta esemplarmente a dare concretezza all'assunto teorico. Nei confronti di tale pratica si registrano due posizioni estreme. Da una parte c'è la tendenza a banalizzare la portata, evitando di vedere il suo spesso re etico. La FIV-ET viene semplicemente praticata su richiesta, dietro compenso economico, e l'organizzazione di banche dello sperma necessarie all'inseminazione eterologa condotta come un business. Al polo opposto si situano quei medici e quelle istituzioni sanitarie che la rifiutano sistematicamente e in ogni caso, per la buona ragione che la considerano come inconciliabile con la dottrina morale a cui si ispirano. Le "Direttive etiche e religiose per gli ospedali cattolici", pubblicate dai vescovi dagli Stati Uniti nel 1971 e intese ― come si afferma nel preambolo ― a "proibire quelle procedure che, secondo lo stato attuale delle conoscenze, sono riconosciute come chiaramente errate", escludono dagli ospedali cattolici sia la masturbazione per ottenere liquido seminale per esami clinici, sia l'inseminazione artificiale con lo sperma del marito. In questa impostazione del rapporto tra etica e prassi medica, un cambiamento è ipotizzabile solo quando in sede teologica si sia addivenuti a un ripensamento o a una modifica della dottrina. La medicina dovrebbe limitarsi a prenderne atto.

Un'articolazione diversa tra etica e prassi medica troviamo invece nella rete dei centri CECOS (Centre d'étude et de conservation du sperme humain), in Francia. A tali centri si rivolgono donne potenzialmente feconde per avere le dosi di sperma necessario per l'inseminazione artificiale eterologa. Mentre alcune banche di sperma accettano indiscriminatamente qualsiasi indicazione ― specialmente le organizzazioni a dichiarato fine di lucro ― altre si riservano di discriminare tra le richieste. Pongono delle condizioni, che vengono a costituire una specie di filtro della richiesta. Il valore del filtro non è primariamente etico, bensì deontologico. Sono norme, in altri termini, che i sanitari si impegnano a seguire per decisione autonoma, in quanto le ritengono consone con il senso e la finalità della professione medica.

Le condizioni che pongono i centri CECOS per prendere in considerazione le richieste sono fra le più severe. Limitano l'applicazione del metodo a una sola indicazione: la sterilità maschile; quest'ultima per di più deve essere riconosciuta come irreversibile allo stato attuale delle possibilità terapeutiche. I CECOS

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rifiutano perciò anche l'indicazione del rischio genetico paterno, che pur è presa in considerazione da équipes molto esigenti. A più forte ragione rimangono escluse indicazioni sulle quali cade il sospetto di stravaganza o di morbosità.

La scelta di un donatore per una coppia tiene conto dei caratteri morfologici e dei gruppi sanguigni. Il principio non è tanto quello di cercare un'omologia con il marito, quanto di evitare l'introduzione di un carattere ereditario che non esiste in nessuno dei coniugi. In ciò ci si distanzia rigorosamente da coloro che ricorrono alle tecnologie riproduttive con finalità eugenetiche, o addirittura estetiche! Ma ciò che costituisce il nucleo centrale e caratterizzante dei centri CECOS sono i due principi seguenti: il dono dello sperma non può essere che gratuito; il dono avviene da coppia a coppia. La non retribuzione costituisce un'innovazione rispetto alla prassi attuale delle banche di sperma. La commercializzazione, che già suscita forti riserve quando si tratta del sangue o di organi del corpo, è del tutto inappropriata nel caso dello sperma. La gratuità è destinata a sottolineare il valore singolare di questo prodotto umano. Non si tratta di rinverdire concezioni mitologiche; basta la biologia a dirci che in esso, più essenzialmente che in qualsiasi organo, è inscritta la storia dell'individuo. Offrire lo sperma è un gesto che supera la portata di qualsiasi dono d'organo; significa ― letteralmente ― "dare la vita".

Se escludiamo il guadagno, quale può essere il motivo che spinge un uomo a una prestazione così anomala? Non ci si espone a dipendere da individui psichicamente contorti o malsani? Invece di abbassare lo standard della motivazione dei donatori, la deontologia dei CECOS lo innalza ulteriormente mediante il secondo principio. Esige che il dono dello sperma sia fatto da un uomo sposato, con il consenso della moglie; e che questa coppia abbia già dei figli. Diverse ragioni militano a favore di questa condizione, destinata a ridurre ulteriormente il numero dei donatori. Lo sperma non viene considerato come proprietà esclusiva dell'uomo, bensì come il bene comune della coppia. Domandare l'accordo della coppia per il dono vuol dire ottenere la garanzia per una riflessione comune e uno scambio all'interno della coppia, prima di una riflessione che non deve essere presa alla leggera; vuol dire avere la garanzia che il punto di vista considerato non sarà solo quello maschile. La condizione, poi, che la coppia donatrice debba avere già dei figli propri vuol garantire,

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pragmaticamente, la fecondità dello sperma e, idealmente, conferire all'atto della donazione una motivazione etica che lo depuri da ogni ambiguità. Idealmente, infatti, il dono dello sperma diventa il dono di una coppia che ha la felicità di avere dei figli ad una coppia privata di questa felicità. Il dono deriverebbe dalla generosità di una coppia appagata, cosciente della parte che hanno i figli nella loro felicità. Questa situazione può avere inoltre un riflesso psicologico importante per la coppia ricevente. La transazione da coppia a coppia, a un livello così elevato di motivazioni, attenua sostanzialmente il sottofondo di adulterio che si profila all'orizzonte dell'AID, come pure della FIV-ET eterologa.

Riferendo i criteri di selezione della domanda ai quali si attengono i CECOS, non intendiamo proporre un modello universalmente valido di soluzione dei problemi etici che pone l'intervento della tecnologia medica nei processi riproduttivi. Se c'è un'esemplarità, questa consiste nel fatto di proporre un avvicinamento all'etica passando per la deontologia. La deontologia professionale viene a porsi come il presupposto per gli interrogativi specificamente etici. La coscienza professionale dell'operatore sanitario non si sostituisce alla coscienza morale di chi fa ricorso alla sua prestazione. Costui resta l'unico responsabile della qualità morale delle proprie azioni. Le norme deontologiche stabiliscono uno standard operativo che si riflette a favore tanto del medico che del cliente. Il medico, ponendo delle condizioni imprescindibili, salvaguarda la propria credibilità e fidatezza professionale. Il cliente, a sua volta, è sospinto dalle esigenze deontologiche del medico a una verifica critica delle proprie motivazioni, a una considerazione dei rischi, a una ricerca di alternative: in una parola, a una crescita della qualità etica del suo gesto.

Un positivo riscontro della funzione educativa sulla popolazione che hanno svolto le norme deontologiche seguite dai CECOS francesi si ha nel recente sondaggio SOFRES promosso da Le Monde e France-Inter (cfr. Le Monde, 25 luglio 1985). Le risposte si accordano largamente con le principali regole che si è data la federazione nazionale dei CECOS, operante da più di dieci anni. Ciò vale sia per la gratuità del dono dello sperma, sia per l'autorizzazione al ricorso a queste tecniche per le sole coppie sposate, sia soprattutto per la salvaguardia del loro carattere terapeutico (se due francesi su tre giudicano positive le nuove tecniche di riproduzione artificiale, tre su quattro ritengono che debbano

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essere riservate a scopi terapeutici). Secondo l'opinione pubblica, infine, spetta ai medici, e non al parlamento, di fissare, caso per caso, le regole applicabili a queste pratiche. Affidate ai sanitari che non rinunciano a dare al loro operato un'ispirazione ideale, le tecnologie riproduttive si riscattano dal sospetto di pratiche veterinarie applicate all'uomo; contribuiscono,anzi, a mettere in luce il mondo dei valori implicito nella decisione di fare un figlio.