La terapia del dolore: orientamenti bioetici

Sandro Spinsanti

LA TERAPIA DEL DOLORE: ORIENTAMENTI BIOETICI

in Bioetica e cura, Quaderni di bioetica

n° 3, 2014, Mimesis Edizioni, Udine

pp. 167-177

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1. Il contesto sanitario e culturale

Il documento del Comitato Nazionale per la Bioetica La terapia del dolore: orientamenti bioetici porta la data del 30 marzo 2001, nella quale è stato approvato in seduta plenaria. Il tema si collocava all'interno di una riflessione più ampia relativa ai problemi etici correlati con la cura e l'assistenza nella fase terminale della vita, comprendente anche lo stato vegetativo persistente e le direttive anticipate. Il sottogruppo che si è concentrato sulla terapia del dolore è giunto all'elaborazione di un documento condiviso prima degli altri gruppi di lavoro. Si è avvalso di contributi di specialisti in vari ambiti toccati dal documento: il dotto Michele Gallucci per il dolore nella fase terminale della vita, il dott. Marco Visentin per il dolore post-operatorio, il dott. Nicola D'Andrea per il dolore in pediatria.

L'elaborazione del documento non è stata accompagnata da vicende degne di particolare interesse: è proceduta speditamente e il dibattito in seduta plenaria si è concentrato su aspetti formali. Il documento presentato dal sottogruppo è stato approvato con l'introduzione di soli ritocchi stilistici.

Merita invece attenzione il contesto sociale nel quale la presa di posizione del CNB ha avuto luogo. Nel novembre 2000 il Consiglio dei Ministri approvava un disegno di legge finalizzato a rendere più facile la prescrizione di morfina e di altri farmaci contenenti oppiacei; nel gennaio 2001 concludeva il suo iter parlamentare un disegno di legge recante «Norme per agevolare l'impiego dei farmaci analgesici oppiacei nella terapia del dolore»; nel maggio 2001 venivano approvate in sede di conferenza Stato­Regioni le linee-guida ministeriali relative al progetto «Ospedale senza dolore»; infine nel settembre 2001 il Ministro della salute rendeva pubblico un piano di finanziamento per la realizzazione di strutture per le cure palliative, la creazione di hospice e di centri di terapie contro il dolore.

Il documento del CNB veniva, dunque, a cadere in un momento di forte attenzione al tema del dolore e alle carenze del SSN, e della medicina più in generale, rispetto alla priorità da attribuire alle terapie antalgiche. Alle

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spalle del fenomeno troviamo fatti diversi. Anzitutto una vivace campagna di stampa ― animata soprattutto dal giornalista Mario Pirani ― per arrivare a un superamento di divieti legali e inceppi burocratici che hanno portato, tra l'altro, a comminare una multa a medici e farmacisti che avevano prescritto e venduto confezioni contenenti tre cerotti analgesici a lento rilascio, ognuno valido per tre giorni, quando la legge in vigore proibiva prescrizioni per una validità superiore a otto giorni... i. Si è rapidamente raggiunto un consenso bipartisan a rivedere una legge che equiparava la somministrazione di oppioidi all'uso voluttuario di droghe e alzava intorno all'uso di questi farmaci una barriera di proibizioni che esponevano medici e infermieri a sanzioni molto gravi anche per semplici errori formali nella loro gestione.

Un secondo elemento congiunturale è stato l'acuirsi del malessere nei confronti delle omissioni nel trattamento dei malati per i quali la medicina non aveva più risposte curative. Le polemiche relative alla via alternativa costituita dalla cosiddetta «terapia Di Bella» hanno portato a riconoscere che esistevano già, anche se in posizione marginale rispetto alla medicina ufficiale, le cure palliative ii. Un pilastro centrale della medicina palliativa è il trattamento del dolore e il sollievo dei sintomi dolorosi che accompagnano la fase terminale della malattia.

Più in generale, le denunce nei confronti dei ritardi e della disattenzione della medicina nell'applicare le conoscenze relative alla terapia del dolore erano state espresse da voci molto autorevoli. Fin dal 1986 l'Organizzazione Mondiale della Sanità, rilevando che il dolore può essere alleviato in più del 90% dei pazienti con un approccio semplice e sistematico, aveva proposto delle linee-guida modulate sull'intensità del dolore da trattare (tre scalini, che prevedono, a livello di minor intensità, i farmaci non oppioidi, i FANS, per passare agli oppioidi deboli e poi a quelli forti, accompagnati da adiuvanti). Aveva inoltre esortato i governi ad assicurare la disponibilità di farmaci analgesici e a rivedere i controlli sugli oppioidi per renderli effettivamente disponibili nelle quantità necessarie. Nel 1998 in Italia i membri della Commissione nazionale oppioidi hanno sottoscritto, a nome di diverse associazioni e società professionali, una richiesta di modificare la normativa riguardante questi farmaci, con lo scopo dichiarato di rendere più agevole l'accesso alle cure palliative e all'uso della morfina da parte dei malati di cancro. Gli ostacoli all'accesso al controllo del dolore e alle cure palliative, secondo il documento, sono costituiti da intoppi burocratici

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e da una scarsa cultura del personale sanitario nel campo delle cure palliative iii. La richiesta, tuttavia, non aveva avuto eco.

Il problema non riguarda solo l'Italia. Una recente ricerca condotta in 16 nazioni europee ― Pain in Europe Survey, 2004: cfr: www.painineurope.com ― intervistando oltre 46.000 persone per indagare la prevalenza, la gravità e il trattamento del dolore cronico e il suo impatto nella vita di tutti i giorni, ha messo in evidenza che il dolore in Europa è un problema devastante e diffuso. Almeno 75 milioni di persone ― uno ogni 5 adulti ― non vedono riconosciuto il loro diritto a un trattamento efficace. Non meno impressionante del numero totale delle persone costrette a sopportare dolori che non vorrebbero e dai quali potrebbero essere facilmente liberati è la varietà dei comportamenti. Ci sono Paesi nei quali i ricettari per le prescrizioni di questi farmaci sono stampati e distribuiti con la stessa vigilanza dedicata alle banconote; in Olanda la vita dei pazienti con dolori cronici è resa ancor più difficile da norme che proibiscono la guida della macchina a coloro che ricevono oppioidi forti, benché non esistano prove che le loro capacità siano compromesse (proibizione che non esiste in altre nazioni europee). La ricerca mette in evidenza inoltre che la formazione dei professionisti sanitari nell'ambito della terapia del dolore è in genere carente in Europa e in alcuni Paesi è del tutto assente.

Nello scenario europeo la situazione italiana è una delle più allarmanti. Secondo la stessa ricerca, mentre in Europa mediamente un adulto su 5 soffre di dolori cronici, in Italia la proporzione è di uno su 4. Ciò significa che la metà delle famiglie italiane ha almeno un componente affetto da dolore cronico. Per quanto riguarda le terapie, nel nostro Paese più della metà dei pazienti (58%) non tratta in alcun modo il dolore, contro il 31% della media europea; oltre la metà dei pazienti trattati per il problema del dolore riferisce che la terapia risulta a volte inadeguata. Solo il 9% in Italia assume oppiacei deboli e nessuno degli intervistati assumeva oppiacei maggiori, che vengono invece somministrati in media al 5% dei pazienti europei che hanno partecipato all'intervista. Quanto alle possibilità terapeutiche in materia di oppiacei maggiori, gli italiani, oltre a un bassissimo consumo pro capite, dispongono di un minor numero di farmaci disponibili sul mercato rispetto al resto dell'Europa.

A contrastare questa situazione in Italia troviamo in prima linea associazioni di cittadini. Il tribunale per i diritti del malato ha lanciato la campagna «Aboliamo i dolori forzati». È una campagna di informazione che tende a promuovere un atteggiamento attivo da parte del cittadino: consapevolezza

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che combattere il dolore è un diritto; richiesta di interventi tempestivi per il controllo del dolore; collaborazione con il personale per misurare il dolore in maniera corretta («Sei ricoverato e senti dolore? Richiedine una valutazione periodica, la tua risposta alla terapia e la documentazione scritta dei dati raccolti»). CittadinanzAttiva ha fortemente sostenuto la l. n° 12 del 2001 e si è impegnata con l'Agenzia Italiana del Farmaco per ottenere la rimborsabilità dei farmaci antalgici.

Non esistono elementi per attribuire al documento del CNB un ruolo determinante nel fare pendere la bilancia sul versante della terapia del dolore. Ma costituisce sicuramente una voce autorevole del coro che chiede una modifica dei comportamenti prevalenti in ambito medico.

2. Il documento: la struttura argomentativa

Il documento del CNB si caratterizza per una stringatezza maggiore rispetto ad analoghi interventi del Comitato. La premessa delimita l'oggetto.

Dopo aver evocato le interconnessioni del tema con la religione (superamento del legame tra dolore, colpa ed espiazione), con la biologia (il dolore come utile segnale, ma talvolta controproducente) e con la psicologia (rapporto tra dolore e sofferenza, fenomeno sia fisico che mentale), il documento precisa il suo obiettivo: «riaffermare che la lotta al dolore, inteso nel senso di malattia del corpo e della mente, rientra nei compiti primari della medicina e della società».

Il documento evita toni accusatori nei confronti dei ritardi e omissioni della medicina. Si limita a osservare che tra quanto è possibile fare e quanto in pratica viene fatto si registra una «vistosa differenza». Registra le «insufficienze» della lotta al dolore in Italia, se si adottano gli indicatori stabiliti dall'OMS, ovvero l'uso di farmaci oppiacei, e ne attribuisce la responsabilità alle norme finalizzate a controllare l'uso degli stupefacenti. Non vengono menzionate né le carenze nella formazione che ricevono i sanitari, nel curricolo di studi universitari e nell'educazione continua, né le resistenze dei medici a dotar si dell'apposito ricettario necessario per prescrivere questo tipo di farmaci iv. Tra le specifiche richieste delle varie associazioni che nel 1998 hanno indirizzato la lettera aperta al Ministero chiedendo misure per modificare la situazione esistente troviamo appunto questa esigenza: che la dotazione del ricettario per prescrivere oppioidi sia

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resa obbligatoria, e non soltanto facoltativa, per tutti i medici che collaborano con il Servizio sanitario pubblico.

La fondazione del dovere di lottare contro il dolore segue un'argomentazione deontologica, piuttosto che esplicitamente bioetica. In altre parole, viene messo in evidenza il dovere del medico (e subordinatamente dell'infermiere) a fornire i trattamenti efficaci per il controllo del dolore; la terapia del dolore non viene fondata sul diritto del cittadino a ricevere qualcosa che renda possibile il lenimento del dolore ed evita l'incremento del disagio v. Il documento rivisita, infatti, l'evoluzione presente nei codici di deontologia dei medici italiani per concludere: «il codice deontologico italiano ha fatto una scelta irreversibile, nel rispetto della volontà del paziente, escludendo terapie sproporzionate rispetto alla necessità e tutela della dignità della persona, cui va assicurata la sedazione del dolore».

Del dovere del sanitario di fornire una efficace terapia del dolore il documento deriva conseguenze di varia natura. Dal punto di vista legislativo, la l. n° 12/2001, che toglie alcuni vincoli alla prescrizione di farmaci antalgici, viene dichiarata misura sufficiente; il CNB si limita ad auspicare che sia resa applicati va. La politica sanitaria deve impegnarsi a includere la terapia del dolore nei «livelli essenziali e uniformi di assistenza», prevenendo difformità regionali. La terza dimensione, infine, è quella educativa. Perché si attui un cambiamento nei comportamenti, è necessario un intervento formativo sui sanitari e una strategia culturale più ampia rivolta ai cittadini («dar voce al dolore, facendone oggetto di comunicazione nel contesto del rapporto clinico»).

La parte centrale del documento è dedicata ad aspetti della terapia del dolore che possiamo considerare più esigenti o estremi: il dolore nella fase terminale della vita, il dolore post-operatorio, il dolore nel parto e il dolore pediatrico. Pur riconoscendo che il dolore è presente anche in situazioni cliniche più ordinarie, viene raccomandata l'attenzione a queste quattro evenienze, perché incidono più profondamente nel progetto della persona e l'omissione della palliazione del dolore in questa situazione è vissuta come moralmente ingiustificabile.

Il documento del CNB culmina in una «raccomandazione affinché la pratica medica e infermieristica si adegui all'imperativo di dare una risposta efficace ai malati che sono afflitti da dolori, in particolare dal dolore che accompagna la fase terminale della vita». Lascia invece in ombra alcune questioni spinose, che pur sono presenti nella riflessione bioetica.

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Il primo luogo il ruolo che svolge l'etica religiosa nella lotta al dolore. I pronunciamenti ufficiali del magistero ecclesiastico ― per quanto riguarda il cattolicesimo ― sono espliciti nell'attribuire valore positivo alle terapie antalgiche. Non sempre, tuttavia, il cattolicesimo vissuto si modella sugli insegnamenti dottrinali. Una certa resistenza al trattamento del dolore potrebbe avere una colori tura religiosa, traducendo si in «dolorismo», ovvero in una esaltazione del dolore come occasione di autorealizzazione salvifica.

Anche le questioni antropologiche non sono presenti nel documento: il riduzionismo biologico paventato da chi teme una medicalizzazione del dolore (cfr. Ivan Illich); le radici culturali della resistenza all'uso di farmaci oppiacei; la necessità di un approccio multietnico alla terapia del dolore. Focalizzandosi esclusivamente sul «dovere» dei sanitari di fornire terapie antalgiche efficaci, il CNB ha prodotto un documento immediatamente spendibile sul fronte della lotta al dolore, rinunciando ad approfondimenti e problematizzazioni.

3. La lotta al dolore: da movimento a istituzione

Il progetto «Ospedale senza dolore»

Le diverse spinte culturali verso un efficace trattamento medico del dolore sono state recepite dall'organizzazione sanitaria, segnando così il passaggio da movimento a istituzione. L'atto ufficiale è costituito dall'accordo tra il Ministero della Salute e le Regioni, nel contesto della conferenza permanente che determina i rispettivi rapporti. Frutto dell'accordo è il progetto specifico denominato «Ospedale senza dolore» (24.5.2001; G.U. 29.6.2001, n° 149). Sulla base delle linee-guida formulate dal documento ciascuna regione, nell'ambito della propria autonomia, dovrà adottare gli atti necessari per diffondere la filosofia della lotta al dolore sia nelle strutture di ricovero e cura, sia nei processi assistenziali extraospedalieri.

Il punto di partenza del documento programmatico è costituito da un atto di denuncia nei confronti della pratica medica attuale, molto più esplicito di quello formulato dal CNB nel suo documento sulla terapia del dolore:

«Oggi, anche nelle istituzioni più avanzate, il dolore continua ad essere una dimensione cui non viene riservata adeguata attenzione, nonostante sia stato scientificamente dimostrato quanto la sua presenza sia invalidante dal punto di vista fisico, sociale ed emozionale. Il medico ancora oggi è portato a considerare il dolore un fatto secondario rispetto alla patologia di base cui rivolge la

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'maggior parte dell'attenzione e questo atteggiamento può estendersi anche ad altre figure coinvolte nel processo assistenziale».

Il documento riconosce che l'idea italiana di un ospedale senza dolore si ispira ad analoghi progetti internazionali. Più in generale, il background è costituito dal programma «Ospedali per la promozione della salute» (Health Promoting Hospital - HPH),promosso dall'Ufficio europeo dell'OMS, già negli anni '80. La promozione della salute è intesa come un processo che mette in grado le persone e le comunità di aumentare il controllo della propria salute (Carta di Ottawa, 1996). È un cambiamento culturale importante, nel quale ha trovato collocazione spontanea il tema della lotta al dolore. Le linee-guida relative all'«Ospedale senza dolore» esplicitano gli obiettivi del progetto: aumentare l'attenzione del personale coinvolto nei processi assistenziali perché vengano messe in atto tutte le misure possibili per contrastare il dolore; favorire un radicale cambiamento di abitudini e atteggiamenti non solo nel personale curante ma anche nei cittadini che usufruiscono di servizi sanitari; introdurre la rilevazione del dolore al pari degli altri segni vitali, quali la frequenza cardiaca, la temperatura corporea, la pressione arteriosa; promuovere il processo di educazione e formazione continua del personale di cura.

Oltre a indicazioni di carattere generale, le linee-guida prescrivono la costituzione a livello aziendale di un Comitato ospedale senza dolore (COSD), del quale viene esplicitata la composizione, le funzioni e i compiti.

Un'altra iniziativa che traduce in atto il passaggio dalla fase pionieristica della lotta al dolore a quella organizzativa è l'istituzione della «Giornata del sollievo». Promossa dal Ministero della salute su impulso del Comitato nazionale Gigi Ghirotti, ha avuto la prima edizione il 26 maggio 2002 ed è stata poi ripetuta negli anni successivi. Merita una annotazione l'allargamento dell'attenzione dal dolore alla sofferenza e la raccolta, mediante questionario, delle esigenze dei pazienti rispetto al «sollievo», dando voce alla sofferenza. È una metodologia che mette al centro dell'attenzione la persona sofferente e presuppone ― correttamente ― che il trattamento antalgico inizi con l'ascolto.

Requisiti di qualità dei Centri di terapia del dolore

Il passaggio dal momento pionieristico della lotta al dolore a una fase più normata e istituzionale comporta il superamento delle diversità più vistose del tempo degli inizi. I professionisti impegnati non possono più

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essere solo degli amateurs delle terapie antalgiche, ma devono possedere saperi condivisi e consolidati. Anche l'organizzazione dei Centri dovrà seguire criteri rigorosi, per garantire le migliori possibilità di cure, ottimizzare l'organizzazione del lavoro e minimizzare il rischio di errori a danno del paziente. La formazione stessa degli operatori non potrà avere più carattere episodico e informale, ma dovrà essere sistematicamente prevista sia a livello universitario che nella formazione continua.

La strada da intraprendere è quella dell'accreditamento volontario all'eccellenza, inteso come una volontaria attività di miglioramento continuo. Si tratta di un'attività di valutazione professionale, sistematica e periodica, volta a garantire che la qualità dell'assistenza sia appropriata e in continuo miglioramento. Prevale l'autoregolazione, con la partecipazione attiva dei professionisti e delle istituzioni controllate. Un percorso di questo genere è stato iniziato in Italia da un gruppo di Centri di medicina del dolore e cure palliative. L'accreditamento viene fatto in base a standard oggettivi e verificabili relativi a varie modalità di assistenza: attività ambulatoriale presso il Centro di medicina del dolore, ricovero in Day Hospital, assistenza specialistica in regime di degenza ordinaria, assistenza domiciliare a pazienti con dolore cronico vi.

4. L'organizzazione sanitaria delle terapie antalgiche

Le normative regionali

La regionalizzazione del servizio sanitario comporta una responsabilizzazione degli organismi politico-amministrativi regionali nella traduzione in atto degli indirizzi del Ministero della salute. Ciò vale anche per il progetto «Ospedale senza dolore», frutto di un accordo sancito all'interno della conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato e le Regioni (Provvedimento 24 maggio 2001). Ad oggi solo alcune Regioni hanno provveduto al recepimento delle linee-guida con atti specifici. Precisamente: Basilicata, Friuli Venezia Giulia, Valle d'Aosta e Veneto. Altre Regioni, pur non avendo ancora recepito le linee-guida, hanno inserito nei propri Piani sanitari indicazioni specifiche rispetto alla terapia del dolore e alle cure palliative.

Si tratta dell'Emilia Romagna, della Lombardia e della Toscana.

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Il Veneto (delibera della Giunta n° 1910 del 25.6.2004), oltre alle «Raccomandazioni regionali per il trattamento del dolore», articolate in due livelli operativi: regionale o aziendale, ha approvato la costituzione di un «Osservatorio regionale del dolore». All'Osservatorio sono attribuiti vari compiti: promuovere e valutare il livello di attuazione delle Raccomandazioni per il trattamento del dolore (assumendo come indicatori l'assessment sistematico del dolore in ambito territoriale e ospedaliero, nonché il numero e la qualità di progetti formativi rivolti al personale sanitario); misurare l'incidenza e la prevalenza del fenomeno dolore sul territorio regionale, svolgendo una vera e propria funzione epidemiologica; informare e sensibilizzare la cittadinanza sulla distribuzione organizzata delle attività per il trattamento del dolore.

La regione Lombardia ha previsto che il dolore sia uno dei parametri vitali da inserire con specifica grafica all'interno della cartella clinica. Inoltre si è distinta per l'adozione del «Manuale applicativo per la realizzazione dell'"Ospedale senza dolore"» (decreto del 30.12.2004). Il documento rappresenta la base sulla quale le strutture ospedaliere potranno realizzare le attività dei Comitati Ospedalieri senza dolore.

Merita una segnalazione l'intervento della Commissione regionale di bioetica della regione Toscana del 18 giugno 2002. Viene rilevato che la l. 12/2001 non ha inciso in maniera significativa nella lotta al dolore: il sistema sanitario offre ancora risposte insoddisfacenti alla sedazione del dolore, soprattutto nella fase di fine vita. Secondo la Commissione, per una azione più efficace è necessario che si attivino i Comitati etici locali ― che in Toscana sono istituiti a livello provinciale ― per sensibilizzare gli operatori sanitari. Conformemente alle indicazioni del CNB (cfr. Orientamenti per i Comitati Etici in Italia, 13 luglio 2001), questa è la funzione specifica affidata.

Un progetto esemplare

Il dolore che accompagna gli eventi patologici, anche se non può del tutto essere eliminato, può almeno essere contenuto entro limiti estremamente rilevanti: è quanto dimostra uno dei progetti nati sotto l'impulso delle linee-guida relative all'«Ospedale senza dolore». Ci riferiamo al progetto realizzato dagli Ospedali Riuniti di Bergamo vii. La prima fase è costituita da una «giornata contro il dolore», che viene debitamente pubblicizzata. In quell'occasione viene chiesto alle persone ricoverate di riferire l'intensità

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del dolore da loro percepito e i trattamenti antalgici che ricevono. Contemporaneamente al personale medico e infermieristico viene sottoposto un questionario relativo agli atteggiamenti e alle conoscenze sulla terapia del dolore. Il questionario serve a rilevare le necessità di formazione dei sanitari (da rilevazione fatte con lo stesso strumento risulta che mediamente le lacune maggiori riguardano l'utilizzo degli analgesici).

La fase successiva del progetto prevede un intervento formativo sugli operatori sanitari delle unità operative coinvolte nella prima fase. Le conoscenze riguardano sia aspetti clinici nell'uso dei farmaci, sia competenze relazionali ed etiche. A distanza di un anno, viene fatta una rilevazione circa la prevalenza del dolore nelle stesse unità operative, assumendo la presenza e l'intensità del dolore presente come indicatore dell'efficacia dell'intervento formativo. Prendendo come riferimento due rilevazioni svolte nel giugno 2002 e nello stesso mese del 2003, risulta, ad esempio, una riduzione della prevalenza del dolore pari al 51,4 per cento. Allo stesso tempo, il consumo dei farmaci antalgici prima e dopo il corso di formazione risulta accresciuto del 5,4 per cento.

Il progetto ha preso più di recente un'ampiezza maggiore, diventando «Bergamo insieme contro il dolore». Oltre agli ospedali senza dolore, vengono previste campagne specifiche al di fuori dell'ospedale: «Vivere al domicilio senza dolore» e «Verso un luogo di vita senza dolore». Il progetto presuppone di far entrare a pieno titolo nella cittadella della medicina anche altre espressioni della cultura umanistica, rispetto a quelli che guidano la pratica medica: solo a questa condizione la lotta contro il dolore può diventare efficace, modificando i comportamenti dei sanitari che tendono ad attribuirgli un'importanza secondaria rispetto alla cura delle malattie.

5. Alcune questioni aperte

L'equità nell'acceso

I centri di terapia del dolore sono diffusi su scala nazionale in modo disomogeneo, a macchia di leopardo. I dati ufficiali del Ministero della salute, diffusi in occasione della presentazione del progetto di finanziamento degli hospice, registravano 321 centri di terapia del dolore afferenti al SSN e 161 associazioni no-profit, con una distribuzione che prevedeva regioni con un indice decisamente inferiore o di poco inferiore rispetto al dato medio nazionale, e regioni con un indice di poco superiore o decisamente superiore al dato nazionale, con il centro-nord in posizione di vantaggio.

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I livelli essenziali di assistenza (LEA), che comprendono i servizi alla salute che il SSN garantisce a tutti i cittadini, includono la terapia del dolore. Ma siamo ben lontani da un accesso equo, sganciato dalle disponibilità economiche (nelle regioni più svantaggiate ― il sud e le isole ― si registra anche una prevalenza dei centri privati rispetto a quelli pubblici; in concreto, soltanto chi ha la disponibilità economiche può rivendicare il diritto di non soffrire di dolori inutilmente inflitti dalla malattia). Nella nostra medicina, che si ispira a valori universali e solidaristici, i dolori dei poveri hanno diritto a essere trattati come i dolori dei ricchi.

Contrastare il "gender bias"

Uomini e donne non sono uguali di fronte al dolore. Il pregiudizio di genere pesa non solo sulla ricerca clinica ― come hanno evidenziato gli studi svolti negli Stati Uniti fin dagli anni Ottanta, nell'ambito della Women's Health Iniziative ― ma anche nella pratica terapeutica. La medicina tende a riferirsi a un «neutro universale», che però è rappresentato dal maschio. Questa «cecità» riguarda anche il trattamento del dolore. L'attenzione alle differenze sessuali nella risposta allo stimolo doloroso ― e quindi alla necessità di avere farmaci «aggiustati» al genere ― è molto recente. Il gruppo «Sex Gender and Pain», istituito nell'International Association for the Study of Pain, ha tenuto la sua prima riunione solo nel 1999.

In Italia, all'interno del progetto Medicina, singolare maschile, promosso dalla Fondazione Pfizer, per un nuovo equilibrio tra maschile e femminile nella ricerca clinica, nell'anno 2004 è stato messo a tema il dolore come malattia nella donna e nell'uomo viii. La convinzione sottostante è che un approccio al dolore che metta in evidenza il genere del soggetto porti un enorme beneficio non solo alla comprensione dei meccanismi di insorgenza di sindromi dolorose croniche, tipiche dell'uno o dell'altro sesso, ma anche all'elaborazione di terapie che tengano conto della diversa struttura di un corpo femminile o maschile.

L'intento di contrastare il «gender bias» è rintracciabile anche nel secondo programma pluriennale francese di lotta contro il dolore, previsto per il quinquennio 2000-2005. Una delle tre priorità è lo studio e il trattamento delle emicranie: l'attenzione alle donne è evidente, se si considera che le emicranie affliggono una donna su 5, mentre tra i maschi ha una diffusione di uno su 17.

i M. Bindi, Storie di ordinaria burocrazia, in Janus, n° 1, 2001, 32-34.

ii F. Toscani, Il vero miracolo del professor Di Bella, in Janus, n° 17, 2005, 135-138.

iii Morfina più facile per chi soffre di cancro, in Tempo medico, 25 febbraio 1998.

iv Dati sulla diffusione dei ricettari ministeriali per la prescrizione di farmaci oppiacei sono riportati da A. Panti, Diffidenza all'italiana, in Janus, n° 1, 2001, 26-31.

v A. Santonosso, Il diritto di non soffrire, in Quaderni di cure palliative, vol. 4, n° 2, 1996, 141-144.

vi Percorsi di accreditamento dei Centri di medicina del dolore e Cure palliative nella gestione dei pazienti con dolore cronico, Energy Editions, Milano 2005.

vii G. Cossolini, Guerra ai dolori forzati, in Janus, n° 15, 2004, 108-110.

viii S. Bencivelli, Cordialmente invitate a non soffrire, in Janus, n° 16, 2004, 105-107.