Le trame della cura

Alfredo Zuppiroli

LE TRAME DELLA CURA, LE NARRAZIONI DEI PAZIENTI E L'ESPERIENZA DI UN MEDICO PER RIPENSARE SALUTE E MALATTIA

Emmebi Edizioni, Firenze 2013

pp. 3-9

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PREFAZIONE

Quasi quarant’anni di professione medica alle spalle: è difficile resistere al fascino dei bilanci. Il dottor Alfredo Zuppiroli ha ceduto e, alternando penna e fonendoscopio, ha dato forma a un affascinante resoconto che diventa anche una riflessione su che cosa implica la pratica della medicina quando si apre alle esigenze dei nostri tempi. La struttura portante del libro sono storie di pazienti. Il dottor Zuppiroli non li presenta come “casi clinici”, così come sono soliti fare i medici nella letteratura scientifica per accrescere e diffondere il loro sapere clinico, ma soprattutto come vicende umane. E sociali. Ogni storia, infatti, è un sedimento di competenze mediche, di preferenze e scelte personali, di intrecci (quanto intricati, talvolta) di relazioni familiari, di impatto con l’organizzazione sociale dei servizi sanitari, di idealità etiche e condizionamenti mercantili. Nella sua narrazione si fondono così il sapere della mente ― quello che cresce con la lunga pratica di rigore scientifico, così come è promossa dalla medicina che pretende di basarsi sull’evidence, ovvero sulle prove di efficacia ― e il sapere del cuore. Freddo il primo, caldo e coinvolgente il secondo. È la narrazione, tra i due saperi, a far da ponte. Si sposano così la medicina che “conta” e quella che “racconta”; la medicina con le più rigorose esigenze di scientificità e quella che si fregia della qualifica di “narrativa”.

Accogliendo il lettore sulla soglia di questo libro così promettente, mi riservo un’annotazione biografica sull'Autore. Ha a che fare con il lungo cammino che questo modo di concepire la medicina presuppone. Perché sotto i nostri occhi ha avuto luogo non solo un progresso strepitoso dell’arte medica dal punto di vista delle conoscenze scientifiche e delle

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acquisizioni tecnologiche, ma anche uno stravolgimento delle regole del gioco alle quali si attenevano sia i curanti che i malati che ricorrevano ai loro servizi. I tre giocatori ― i medici, i cittadini, gli amministratori della sanità ― hanno rimescolato le carte del potere: il paternalismo assoluto del medico della tradizione (l’unico che sa e che decide che cosa fare per il bene del malato, a cominciare da ciò che questi deve o non deve sapere) ha dovuto riconoscere i diritti del cittadino («Niente su di me senza di me»); il malato ha potuto uscire da una condizione di “minorità”, che giustificava una regressione infantilizzante, per assumere un ruolo attivo, carico di responsabilità (empowerment del cittadino); l’“aziendalizzazione” delle strutture sanitarie ha aperto un capitolo nuovo, nel quale l’organizzazione dei servizi si è dovuta confrontare con esigenze di giustizia sociale, efficienza ed economicità. Alla fine del percorso i medici hanno riconosciuto, nell’ultima revisione del loro Codice Deontologico (2006), che una buona medicina si deve misurare con tre esigenze: fare le cose giuste (quelle che procurano un beneficio dimostrato al paziente), nel modo giusto (trattandolo da adulto e rispettando le sue scelte), con giustizia (evitando le discriminazioni e rispondendo al bisogno di tutti quelli che hanno diritto, nell’ambito dei livelli essenziali di assistenza). Tre criteri per sapere se quello che si fa risponde o no alle esigenze della buona medicina; tre criteri, non uno a scelta; tre criteri contemporaneamente presenti all’orizzonte del medico che si sintonizzi con l’etica del nostro tempo. Questo dice la complessità delle decisioni nella medicina dei nostri giorni.

La cosiddetta Carta di Firenze (2005) aveva anticipato quelle acquisizioni, esplicitando soprattutto il diritto del paziente alla piena e corretta informazione sulla diagnosi e sulle possibili terapie. Proclamava, tra l'altro, che «il tempo dedicato all’informazione, alla comunicazione e alla relazione è tempo di cura» (art. 5). Rimetteva così in discussione una medicina limitata al “fare” il bene del paziente, indifferente alla posizione

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che il paziente assume nel rapporto di cura. Non è un caso che la sensibilità per il cambiamento in atto nella medicina sia emersa con forza proprio in Toscana. La Regione ha svolto un ruolo pionieristico in Italia nel promuovere il passaggio dall’etica medica (quella di matrice ippocratica, tradizionale in medicina) alla bioetica, ovvero l'etica tagliata su misura per la cultura civile dei nostri giorni. Il cambiamento non avviene spontaneamente, quasi per evoluzione naturale: per renderlo possibile, è necessario profondere energie in progetti di formazione specifici. È quanto la regione Toscana ha iniziato a fare tempestivamente, quando ancora la bioetica in Italia era un neologismo da iniziati e non si avvertiva il cambiamento che avrebbe sconvolto la pratica della medicina. Un corso pilota di bioetica per operatori sanitari, promosso dalla Regione, dall’Ordine dei medici e dalla Facoltà di Medicina di Firenze si è tenuto a Montecatini da gennaio a giugno 1990. Il dottor Zuppiroli era tra i partecipanti, ed è rimasto fedele al modello innovativo proposto. Il suo percorso personale sarebbe andato sempre più arricchendosi di conoscenze e di impegno, fino alla carica di presidente della Commissione regionale di bioetica. È quanto dire che il modo di esercitare la medicina che traspare dal bilancio professionale tracciato in queste pagine non è frutto di improvvisazione: è lo sbocco meditato di un lungo percorso che lo ha visto tra i più entusiasti interlocutori del cambiamento necessario.

Non è tempo di trionfalismi: siamo consapevoli che molte delle innovazioni auspicate non sono andate nella direzione proposta. Ma sappiamo che il progetto è valido. Possiamo e dobbiamo impegnarci a correggere le storture, non buttare al macero il progetto. Non è un’aspirazione irrealistica: il bilancio personale e professionale di Alfredo Zuppiroli è qui, davanti agli occhi, a dimostrarlo. L’auspicio è che nei lettori, sia professionisti sanitari che cittadini, scatti l’insight: «È proprio questa la medicina che vogliamo!»