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Italo Alighiero Chiusano
Provocato rispondo
supplemento a Jesus, anno XIV, settembre 1992
Società San Paolo
pp. 5-9
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CON LA FACCIA CONTRO IL VENTO
Chi volesse presentare in modo adeguato Italo Alighiero Chiusano probabilmente non comincerebbe con l’opera che il lettore ha in questo momento tra le mani. Ben altra messe gli offre il “cursus honorum” di uno scrittore e critico la cui prolificità non cessa di stupire. Con Chiusano abbiamo solo l’imbarazzo della scelta: possiamo privilegiare il romanziere (dal giovanile La prova dei sentimenti, al più recente Konradin, apprezzatissima biografia romanzata di Corradino di Svevia; senza dimenticare le celebrate opere narrative della maturità: L’ordalia e La derrota; oppure il poeta (Bacche amare); o l’autore di drammi e di originali radiofonici e televisivi. Assolutamente sul sicuro saremmo poi nel presentarlo come critico letterario e germanista eminente, cui dobbiamo Heinrich Böll, Storia del teatro tedesco moderno, Vita di Goethe, Literatur, Altre lune.
Eppure riteniamo che la presente raccolta di scritti, apparentemente di minore impegno, ci dia di Chiusano un’immagine non consegnata ad altre sue creazioni: se non più vera, certamente più segreta e intima. Un volume, dunque, che non merita di essere messo in seconda fila nella nostra libreria, come “figlio di un dio minore”; piuttosto una chiave discreta, che può aprirci la comprensione delle sue produzioni più sofisticate, per le quali ha già il meritato riconoscimento come autore, critico letterario e saggista.
Questo scritto può essere ricondotto a un genere letterario in cui Chiusano ha già dato buona prova di sé con le sue Note di un contemporaneo (Edizioni Paoline, 1985). Annotazioni estemporanee, aforismi, umori e reazioni istintive, frammenti di una meditazione ininterrotta sull’umano, sul divino e sulla rotta che li
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porta a incontrarsi, e, non di rado, in collisione. Rispetto al precedente, questo testo ha una caratteristica di maggiore omogeneità. Si tratta, infatti, di un'ampia scelta di scritti apparsi periodicamente su Jesus, nella rubrica “Provocato rispondo”, che Chiusano tiene dal 1987.
Dunque, i lettori di Jesus sanno bene che Chiusano nella sua vita quotidiana subisce delle provocazioni: come uomo, come scrittore, come cristiano, precisa. E non tace, non ingoia, non subisce con quella pazienza a cui affrettatamente è stata attribuita la qualificazione, tutta da verificare, di “cristiana”. No: provocato, risponde. I fatti che suscitano i suoi soprassalti li conosciamo tutti, perché sono giunti anche ai nostri orecchi. Siamo contemporanei di Chiusano; viviamo nella stessa società e nella stessa Chiesa, vediamo la televisione che vede lui e apriamo al mattino gli stessi giornali. Spesso anche noi ci siamo indignati per le spudorate menzogne che circolano o ci siamo sentiti umiliati per i soprusi a cui sono soggetti i più deboli; abbiamo voluto reagire all'inquinamento della bruttezza e al degrado progressivo della vita civile; abbiamo voluto parlare con fierezza della fede e degli ideali morali, in una società che sembra accorgersi della loro esistenza solo quando li vuole mettere in caricatura. Ma forse poi ci siamo progressivamente ritirati in noi stessi, sentendoci donchisciotteschi nei nostri propositi e assolutamente impari al compito.
E magari un certo giorno abbiamo cessato di sentirci provocati: con vantaggio per l’economia delle nostre forze, certo, ma anche pericolosamente in bilico su abissi di apatia e di cinismo. O forse semplicemente esposti al vizio ben noto alla saggezza degli antichi maestri spirituali col nome di accidia: quell’inerzia che è insieme fisica, intellettuale e morale. È il “diavolo meridiano” che insidia non solo i ferventi monaci, provocando loro tedio e tristezza circa le cose spirituali, ma tutti gli uomini. Dopo la fiammata di ideali della gioventù, il meriggio della vita ci trova adattati, ipocritamente comprensivi nei confronti del male, sempre più lenti a lasciarci smuovere da progetti virtuosi, pesanti, inerti: accidiosi, appunto.
Michael Ende con La storia infinita ci ha offerto una fresca immagine di questo pericolo: il lento avanzare del nulla, che ingoia progressivamente pezzi di realtà. Come il protagonista di quella fiaba, Chiusano ci invita a lottare per fermare l'avanzata del nulla. La sua arma ? La provocazione: quella che subisce, ma anche quella
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che, a sua volta, sa infliggere. La provocazione come esercizio quotidiano per impedire alle acque della nostra vita spirituale di ristagnare.
Per illustrare il profondo dinamismo della provocazione Chiusano fa appello all’etimologia. Pro-vocare contiene, in latino, l’afflato della vocazione: significa ― secondo la vibrante descrizione che ne fa il nostro esperto in provocazioni ― «chiamar fuori, farti uscire dal riparo, dal nido o dal guscio, smuovere il tuo immobilismo, la tua abitudinarietà, la tua fossile accettazione del normale, del neutro, direi quasi del mortuario».
Sentiamo in questo piglio vigoroso l’energia necessaria per mantenere un impegno fondamentale che, secondo il poeta Saint-John Perse, abbiamo nei confronti di ogni altro essere umano: «Se lascia cadere la testa, bisogna tenergli a viva forza la faccia contro il vento» («Et si un homme auprès de vous vient à manquer à son visage de vivant, qu’on lui tienne de force la face dans le vent»).
L’esercizio della provocazione è congeniale a Chiusano in quanto scrittore free lance. So che questa parola lo farà sobbalzare. Appartiene alle sue idiosincrasie più condivisibili l’avversione per il ricorso ingiustificato a parole straniere: lui, che è di casa in parecchie lingue, odia la pigrizia di chi afferra la prima parola francese o inglese che gli capita, senza cercare il corrispettivo in italiano. Tuttavia questa espressione è in qualche modo inevitabile. Free lance non è del tutto convertibile in “scrittore indipendente". L’espressione inglese veicola delle connotazioni che sembrano tagliate su misura per Chiusano, perché ci parla di libertà e fa balenare l’acciaio della lancia. Quella libertà che lui, scrittore indipendente, ha così tenacemente difesa, scegliendo una posizione “eccentrica” rispetto ai crocevia accademici e del potere letterario (e quasi materializzatasi nell’esilio di Frascati, dove vive in una specie di ritiro spirituale permanente), da una parte; l’immagine combattiva del lavoro dello scrittore, quasi elevato a una militanza, dall’altra.
Free lance, soprattutto in quanto critico letterario. Probabilmente Chiusano non arriverà a sottoscrivere le affermazioni di Settembrini, il letterato creato da Thomas Mann ne La montagna incantata, che fa della malignità lo spirito della critica e «l’arma più brillante della ragione contro le potenze della tenebra e della bruttezza». Anche facendo a meno della malignità, la ragione critica
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di cui si serve Chiusano ha la stessa durezza acuminata, la stessa tempra di una punta di lancia. Non a servizio di una sadica volontà di ferire, ma come un cavaliere dell’ideale che combatte per valori che sempre più di rado nella nostra società si sente nominare (quando poi non li si evoca con un sorrisino di compiaciuta superiorità...).
Introducendo la raccolta dei propri scritti di critica letteraria, Altre lune, Chiusano ha esplicitato la concezione della critica a cui si ispira; la vede come «una strana forma di umiltà, di servizio; risultato di un pervicace, inguaribile innamoramento della creatura uomo quale si rivela nelle lettere e nella poesia». Con un aforisma più tagliente, in Note di un contemporaneo sentenzia: «L’intellettuale, religioso o laico che sia, vive per nobilitare l’uomo, o farebbe meglio a non essere mai nato». Esercizio della critica e pratica della provocazione nel nostro si richiamano reciprocamente.
Come uomo, come scrittore, come cristiano: il Chiusano provocato-provocatore si ispira, a diversi livelli di profondità, a un unico modello. Il provocatore senza requie, colui che della provocazione ci ha aperto il senso e additata la via, è per lui Gesù di Nazaret. La provocazione e la risposta ad essa hanno, infatti, molto in comune con quella radicalità, che si è espressa nell’invito a evitare i “distinguo” e i mezzi termini: «Il vostro linguaggio sia: “Sì, sì; no, no”» (Matteo 5,37).
Nessuna paura: non siamo alla presenza di un fondamentalista, che si serve del facile ricorso a giudizi morali preconfezionati per dispensarsi dalla fatica di trovare un orientamento che l’esistenza del mondo richiede a tutti, anche al credente. Non siamo neppure di fronte a uno “scrittore cattolico”: Chiusano, a cui tutte le etichette vanno strette, non tollererebbe di essere compresso neppure in questa. Non perché egli ami tenere in ombra la sua fede religiosa, quasi se ne vergognasse nei contesti laici ― laicissimi, laicistici ― nei quali svolge la sua qualificata attività di critico e letterato. Nel suo modo di coniugare la professione di uomo di lettere con l’adesione alla fede in Cristo, e alla vita morale che ne discende, è possibile trovare uno spessore teologico: quello che nell’ambito della Chiesa cattolica si è profilato con Papa Giovanni e il Concilio Vaticano II, con l’ecumenismo ― non come facile “embrassons-nous”, ma come esigente metànoia richiesta a tutte le Chiese e a tutti i credenti ― e con la maturità dei laici nella comunità. L’accettazione e il rispetto
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della storicità della fede fanno parte di questo stile di vita cristiana. Di qui l’insofferenza di Chiusano per ogni forma di apologetica (compresa quella fatta in nome del laicismo). La sua attività di scrittore non ha bisogno di aggettivi qualificativi; è semplicemente un cattolico credente impegnato ― con la sua mente e con ogni fibra della sua anima ― nell’attività di scrittore.
L’outsider Chiusano non è a casa sua neppure in una Chiesa di funzionari della religione. Non difende ortodossie, ma rivendica di poter parlare delle cose della fede con la freschezza del tempo delle origini. E di esercitare, del tempo del cristianesimo primitivo, una virtù dimenticata: la parresìa. Bisognerà proprio chiamarla con il suo nome greco, se vogliamo evitare la trappola costituita dalle traduzioni più comuni. La parresìa è quella incontenibile libertà di parola che sgorga nei testimoni dei fatti della salvezza e non li fa tacere neppure di fronte ai sinedri più agguerriti («Non possiamo non rendere pubblico quanto abbiamo visto e udito» Atti 4,20); la parresìa è la forza che porta ad affrontare i mali che il credente trova fuori di sé e dentro di sé, per il fatto che deve vivere le realtà ultime, che ha accettato con la fede, nel tempo presente, che è penultimo. La parresìa non implica quella passività e remissività che, secondo cliché, sono proprie del cristiano ideale, ma piuttosto la libertà, l’energia, la costanza. André Chouraqui ha trovato come corrispettivo, per la sua traduzione della Bibbia in francese, la parola endurance; una durezza, dunque, che rimane costante nel tempo.
Proviamo a rileggere, m questa luce, la conclusione della parabola del seminatore. Tanti semi vanno perduti o restano infecondi; tutti, praticamente, meno quelli caduti sulla terra buona: «La terra buona rappresenta coloro che, avendo ascoltato la Parola con cuore buono e sincero, la custodiscono e portano frutto con la loro parresìa» (Luca 8,15). Non è per l’appunto in questo terreno che Chiusano non cessa di arare con le sue provocazioni, cui questo libro ci convoca?