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- Bioetica in sanità
- Il processo di cambiamento nella sanità italiana
- La qualità nei servizi sociali e sanitari
- Spersonalizzazione e ripersonalizzazione
- Sanità pubblica in una società multietnica
- Efficienza e qualità come risposta alla crisi dello stato sociale
- Etica ed economia nella «azienda» sanità
- Problemi di giustizia nella sanità
- La prevenzione: ruolo dell'individuo e della società
- Quaderni di sanità pubblica
- Medicina, etica, economia
- Umanizzazione delle cure e responsabilità organizzativa
Quaderni di sanità pubblica
Rivista bimestrale
Dicembre 1992/Febbraio 1993, nn. 78/79, pp. 7-12
EDITORIALE
Il documento della Regione europea dell’OMS qui presentato in traduzione italiana affronta la pratica della consulenza genetica con intenti fondamentalmente descrittivi. Ci offre una rassegna dettagliata delle modalità di intervento diagnostico e terapeutico sviluppate negli ultimi anni, delle indicazioni dei rischi e dei benefici sperati dalle diverse metodologie, fornendo così un inventario completo sullo “stato dell’arte'’ della genetica medica in Europa. Ma il documento non si limita a descrivere quanto si fa in questo ambito nella Regione europea: lascia trapelare chiaramente anche un intento normativo, che si esprime nella preoccupazione per una “buona” pratica della consulenza genetica.
Nessuno degli aspetti più problematici della genetica medica è passato sotto silenzio: l’impatto delle nuove pratiche sulla società e sui modelli culturali che tradiscono il concetto odierno di procreazione responsabile; i conflitti etici e psicologici legati al proseguimento o all’interruzione della gravidanza; le perplessità circa gli interventi legislativi più appropriati, le misure di politica sanitaria e i progetti educativi.
In altre parole: il documento dell’OMS mostra di essere consapevole che siamo di fronte a un aspetto della medicina dove le più sofisticate conoscenze scientifiche e tecnologiche si intrecciano con il sapere sull’uomo proprio della tradizione umanistica. Risulta così pienamente legittimo applicare alla genetica medica la definizione della medicina coniata dallo storico e antropologo Pedro Laín Entralgo come “la più umana delle scienze e la più scientifica delle humanities” 1.
La medicina che si addentra nell’era della genetica riscontra che il progresso tecnologico raramente crea problemi completamente nuovi: per lo più amplifica e radicalizza quelli già esistenti. Ciò vale in particolare per il paradigma profondo che governa
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tradizionalmente la pratica della medicina e che dal primo e più celebre degli aforismi attribuiti a Ippocrate è stato sintetizzato in cinque tratti caratteristici:
“La vita è breve
l'arte lunga,
l'occasione fuggevole,
l'esperienza fallace,
il giudizio difficile”.
Anche la conoscenza del codice genetico e della modalità di trasmissione della vita non abolisce la caratteristica fondamentale della medicina, che è una scienza senza assoluto. Si ha l’impressione che la conoscenza genetica soffra dell’ignoto in una misura ben più grave delle altre conoscenze biomediche. L’incertezza rimane l'orizzonte connaturale alla decisione clinica, anche quando si realizza nell’ambito della genetica medica. La dimensione etica che la caratterizza è sostanzialmente riconducibile all’ippocratico “giudizio difficile”, perché incerto è il sapere su cui le decisioni devono essere prese.
L’etica medica si trova costretta a confrontarsi con dimensioni che erano solo implicite nella decisione clinica del passato, ma che ora non possono essere più disattese. Il processo di decision making acquista una maggiore complessità e il giudizio risulta difficile in una misura impensabile nella prospettiva ippocratica tradizionale. L’etica prende prepotentemente un posto centrale nella pratica clinica. Ci sentiamo indotti a sottoscrivere l’affermazione di Jacques Testard: “L’etica non è quella crema amorfa che si stende spesso sulla torta della scienza. È il luogo privilegiato di un’armonia fra l’uomo d’oggi e il suo fantasma di domani; il regolatore dei nostri desideri deliranti di essere ciò che diverremo”.
Non si tratta solo di prendere delle decisioni in quella particolare forma di sapere che è la probabilità statistica (che guida all’azione si ricava dal fatto di conoscere che il feto ha il 50 o il 15 per cento di probabilità dì contrarre la malformazione indesiderata?); la genetica medica apre la porta a una quantità di fattori umani che intervengono nella decisione, rendendo l’esito imprevedibile. La decisione dei medici e dei genitori non è necessariamente dettata dalla diagnosi, non deriva da essa per un processo lineare, ma si modella sulle loro convinzioni sociali e morali. Non è un’entità astratta e neutra ― “la medicina” ― che determina le decisioni, ma sono piuttosto le convinzioni sull’uomo, sulla vita, sul mondo, sulla procreazione e sul futuro. Sono decisive le scelte filosofiche incarnate nei nostri credi personali e nelle nostre ideologie collettive. La genetica medica ci costringe a renderci conto di quanta normatività implicita è presente nelle cosiddette “indicazioni mediche”, che pretendono di rivestire con l’autorità della medicina decisioni che non dipendono dalla sola medicina. Questa concezione pregnante, di alta densità antropologica e sociale, è presente nel documento qui presentato nella cifra sintetica di “genetica di comunità”.
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La consulenza genetica amplia l'orizzonte della decisione clinica. Non si tratta solo di fissare la probabilità di un avvenimento legato alla trasmissione del patrimonio genetico, ma del modo come si comunica questo messaggio e come si fornisce assistenza nella decisione e in ciò che ne consegue. Il legame terapeutico necessario per fare una buona medicina deve assumere prospettive che la medicina tradizionale poteva permettersi di ignorare. Una sola indicazione, tra le numerose presenti nel documento dell’OMS: il richiamo a far diventare operante l’alleanza terapeutica nel trattamento dell’aborto indotto per motivi genetici, tenendo presente il diverso vissuto tra chi interrompe una gravidanza desiderata e una indesiderata (p. 96).
In modo più generale e sistematico, la pratica clinica della genetica medica costringe ad ampliare l’orizzonte dell’etica clinica. Una prima linea di ampliamento è quella costituita dall’introduzione della considerazione della “qualità della vita” come criterio per le decisioni cliniche. Nella bioetica contemporanea questa prospettiva si è imposta con forza nelle decisioni che riguardano i trattamenti che prolungano la vita. Un gruppo di lavoro dello Hastings Center ha elaborato delle autorevoli linee- guida per scelte cliniche centrate sulla valorizzazione del criterio della qualità della vita. Vi leggiamo, tra l’altro: “La qualità della vita è un concetto etico essenziale, che prende in considerazione il bene dell’individuo, il genere dì vita possibile, considerate le condizioni della persona, e se tale condizione permette all’individuo dì avere la vita che egli considera degna di essere vissuta... Permettendo al paziente e a chi lo rappresenta di fare scelte che considerano la ‘qualità della vita’, diminuiamo il rischio di imporre vite di dolore, indegnità o pesi insostenibili a coloro che sono incapaci di difendersi” 2.
Il dibattito sulla “qualità della vita” evoca uno scenario che ribalta il significato che siamo soliti attribuire all’azione medica', una medicina che sì presenta come una costrizione violenta, invece che come un beneficio; un apparato ostile e insensibile al vissuto soggettivo, invece che un simpatetico aiuto nelle situazioni più drammatiche; una struttura autoritaria con cui si deve lottare per avere il diritto dì uscirne, piuttosto che per avere il privilegio di entrarvi.
Anche se il criterio della “qualità della vita” è stato inizialmente utilizzato con riferimento alle scelte che si pongono sul versante del prolungamento (“artificiale”) della vita, la sua applicazione si è generalizzata a contesti sempre più ampi e a momenti sempre più precoci della vita: in neonatologia, per esempio; oppure nelle decisioni collegate alla diagnosi prenatale (se far o no proseguire la gravidanza quando al feto è stata diagnosticata una malformazione); oppure alla stessa consulenza genetica rivolta a determinare le caratteristiche (patrimonio genetico, sesso, ecc.) compatibili con la qualità desiderata per il nascituro. La considerazione della “qualità della vita” è diventata insensibilmente un perno attorno a cui ruotano le decisioni, di natura clinica e inscindibilmente anche etica, che precedono la nascita e il concepimento stesso di nuove vite.
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Il riferimento alla “qualità della vita” obbliga a riconsiderare in profondità concezioni tradizionalmente acquisite, ma non più appropriate alla situazione attuale, circa gli scopi stessi della medicina. La lotta contro la malattia e la morte deve integrare anche il controllo del dolore e mirare a prevenire le indegnità della condizione patologica; il prolungamento della vita deve saper far posto alla capacità di adattarla alle esigenze soggettive di fruibilità. La preoccupazione tradizionale a far coinciaere il fine della medicina con la volontà di procurare al paziente il bene della salute, identificato in ciò che la scienza del sanitario sa e può favorire, deve commisurarsi con il diritto del paziente stesso a determinare (o per lo meno a con-determinare, all’interno dell’alleanza terapeutica che struttura il rapporto fondamentale) il proprio bene. Nel linguaggio della bioetica che si è andato elaborando negli ultimi vent’anni si parla di un orientamento al “principio dell’autonomia”, che affiora accanto al tradizionale “principio di beneficità”, e lo bilancia.
Non sono pochi a temere che la trasposizione di questo orientamento dal contesto delle decisioni cliniche alla medicina neonatale e alla diagnosi prenatale possa provocare un pericoloso piano inclinato, incapace di difendere la vita che non corrisponda allo standard di qualità socialmente riconosciuto. Al posto della considerazione della vita come bene intangibile ― comunque si voglia argomentare: riferendosi alla sacralità della vita o al diritto di ogni essere umano a uguale considerazione e rispetto ― potrebbe subentrare il più assoluto arbitrio nei criteri di accettazione e rifiuto di una nuova esistenza. La diffusione di centri che offrono la possibilità di generare figli del sesso prescelto e con le caratteristiche somatiche desiderate, senza alcun riferimento a criteri o indicazioni di natura medica, costituisce, in questa prospettiva, lo sviluppo che molti considerano infausto.
Il riferimento al criterio della sacralità della vita e quello che ricorre alla qualità della vita per guidare la decisione sono due alternative che si escludono reciprocamente? Si tratta di due principi autonomi, destinati a costituire due scenari completamente autosufficienti? Così lì presenta un’interpretazione abbastanza diffusa, che ama contrapporli come espressioni tipiche di una bioetica cattolica ― attestata sulla difesa della sacralità della vita ― e di una bioetica laica ― intesa a promuovere la considerazione della qualità della vita come criterio per l’accettazione o il rifiuto di una nuova vita ―.
La contrapposizione può essere spinta fino a fare delle due alternative delle ipotesi insostenibili, addirittura quasi caricaturali. Più che contrapposti, i due criteri vanno integrati. Senza il correttivo che l’uno apporta all’altro, ambedue possono guidare l’azione verso scelte estreme, alle quali la maggior parte delle persone ragionevoli negherebbe il proprio consenso morale. L’idolatria della vita nella sua dimensione biologica è contraria al significato religioso della sacralità della vita; ne costituisce una versione deformata che la scredita tanto agli occhi delle persone religiose quanto a quelli delle persone senza affiliazione religiosa.
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Per converso, una considerazione puramente “qualitativa” della vita umana, che la considerasse legittima solo al di sopra di un determinato livello di utilità e di fruibilità, toglierebbe ogni tutela ai più svantaggiati. La spinta a respingere ai margini della società chi non corrisponde allo standard dominante di normalità verrebbe molto rinforzata. Si può quindi capire e condividere la resistenza del mondo dei professionisti della sanità, che ha tradizionalmente compreso il proprio ruolo come tutela della vita più debole e minacciata, alla proposta di adottare un riferimento esclusivo alla “qualità della vita” come guida per le decisioni cliniche.
Un’altra direzione di ampliamento dei problemi che comporta la consulenza genetica è quell’aspetto dell’etica che possiamo chiamare procedurale, ovvero quello che sì riferisce non al contenuto delle scelte etiche, ma al rispetto della titolarità della decisione. In altre parole: l’etica procedurale ha cura che la decisione venga presa da chi deve prenderla. L’informazione genetica che viene data favorisce ― sia per la quantità adeguata che per il modo in cui viene comunicata ― la decisione responsabile della coppia, oppure l’ostacola? Ecco l’interrogativo centrale dell’etica procedurale nell’ambito dei servizi di genetica di comunità 3.
Il documento dell’OMS dimostra per questa problematica un’attenzione che non è usuale nel mondo medico. Molti medici, soprattutto nell’ambito culturale europeo, e latino in particolare, hanno interiorizzato modelli di comportamento ispirati al paternalismo, che li inducono a prendere le decisioni al posto del paziente (beninteso, per il suo “bene”!). Di fronte alla richiesta di favorire l’autodeterminazione del paziente, si sentono a disagio in un ruolo che non è loro familiare. Possono sentire l’autodeterminazione del paziente, e l’informazione che la rende possibile, come un alibi, che autorizza ad abbandonare il paziente. Reagiscono aggrappandosi al modello trasmesso dall’etica medica tradizionale e facendo resistenza a ogni innovazione.
La proposta che viene dall’OMS, pur senza assumere una posizione dirompente nei confronti dell’etica medica consolidata, punta con decisione verso un modello centrato sulla non ingerenza del sanitario nelle decisioni dei genitori, anche quando non approvi la loro scelta. Un organismo come l’OMS sa di non avere una propria etica da imporre, ma di poter autorevolmente proporre delle linee-guida procedurali nelle quali converge il consenso delle diverse etiche che convivono in una società pluralista. Nel muoversi in questa direzione il documento dell’OMS ha già dei precedenti, dei quali il più illustre è il rapporto pubblicato dal Genetics Research Group dello Hastings Center nel 1979 4.
Le etiche “forti”, centrate sui principi, non riescono ad assistere la decisione clinica così come possono farlo delle linee-guida, faticosamente concordate. Esse possono favorire, a fronte di soluzioni fortemente divergenti, una pratica più uniforme, fondata su un largo consenso degli ambienti medici e scientifici, così come del grande pubblico.
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Quando le presenti linee-guida dell'OMS identificano come loro finalità primaria quella di “aiutare i genetisti medici a capire ciò che sta accadendo e a valorizzare il loro ruolo”, propongono una normativa di basso profilo. Eppure, per quanto possa sembrare un risultato modesto, questo consenso su un' “etica minima” di natura procedurale costituisce un obiettivo molto ambizioso, ai cui la nostra società ha assoluto bisogno.
Bibliografia
Cfr. Pedro Laín Entralgo, Antropologia medica, tr. it. Ed. Paoline, Cinisello Balsamo, 1988.
Guidelines on the termination of life. Sustaining treatment and the care of the dying, The Hastings Center, New York, 1987.
Sull’etica sostantiva e l’etica procedurale, nonché sul loro rapporto nella decisione clinica, si veda Diego Gracia, Procedimentos de decisión en ética clinica, Eudema, Madrid, 1991.
Raccomandazioni circa i problemi morali, sociali e giuridici relativi alla diagnosi prenatale (pubblicato per la prima volta nel New England Journal of Medicine, vol. 300, n. 4, 25 gennaio 1979, pp. 168-172).
Note
1 Cfr. Pedro Laín Entralgo, Antropologia medica, tr. it. Ed. Paoline, Cinisello Balsamo, 1988.
2 Guidelines on the termination of life. Sustaining treatment and the care of the dying, The Hastings Center, New York, 1987.
3 Sull’etica sostantiva e l’etica procedurale, nonché sul loro rapporto nella decisione clinica, si veda Diego Gracia, Procedimentos de decisión en ética clinica, Eudema, Madrid, 1991.
4 Raccomandazioni circa i problemi morali, sociali e giuridici relativi alla diagnosi prenatale (pubblicato per la prima volta nel New England Journal of Medicine, vol. 300, n. 4, 25 gennaio 1979, pp. 168-172).