- Stagioni dell'etica e modelli di qualità in medicina
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- La qualità nei servizi sociali e sanitari
- La qualità nei servizi sociali e sanitari: tra management ed etica
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- La cultura del limite nell'agire medico: quando meno è meglio
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- EBM e EBN: interrogativi etici
- Qualità della vita o sanità della vita
Edmund D. Pellegrino - David C.Thomasma
Per il bene del paziente
Tradizione e innovazione nell’etica medica
prefazione del card. Fiorenzo Angelini
Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo 1992
pp. 9-20
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Una coincidenza cronologica ci permette un confronto diretto tra la filosofia della medicina proposta dal libro di Pellegrino e Thomasma, ora presentato in traduzione italiana, e le corrispondenti concezioni diffuse tra il mondo medico italiano. Nel 1988, l’anno in cui quest’opera appariva nell’originale americano, il tradizionale incontro di «Milano-medicina» veniva inaugurato da una singolare iniziativa: il 15 novembre, nell’Aula magna dell’Università degli studi di Milano veniva celebrato un «processo a Ippocrate». Intellettuali e studiosi di diverse discipline sono stati mobilitati per un’analisi in profondità del celebre Giuramento ippocratico e dell’etica medica che esso simbolicamente rappresenta. Valutati i pro e i contro di uno dei documenti più celebri della tradizione dell'Occidente, considerate tutte le riserve, le condanne sommarie e le apologie d’ufficio, si è optato alla fine per la redazione di un nuovo testo del Giuramento, elaborato da un comitato di esperti del «Corriere medico».
Nella sostanza, il Giuramento e lo spirito che lo anima sono stati conservati. Sotto gli aggiornamenti, i raffinamenti stilistici e gli ampliamenti retorici, è facilmente riconoscibile in filigrana l’antico testo. Basti il confronto tra le due versioni della cosiddetta «clausola terapeutica». Nel Giuramento attribuito a Ippocrate essa suona:
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Prescriverò agli infermi la dieta opportuna che loro convenga per quanto mi sarà permesso dalle mie cognizioni e li difenderò da ogni cosa ingiusta e dannosa 1.
La versione modernizzata del Giuramento, prodotta dai cultori italiani di etica medica, recita:
Accoglierò con umanità e sensibilità coloro che a me si affidano perché li curi, e parteciperò loro la mia dottrina affinché possano da uomini liberi trarre conforto e aiuto dall’arte medica, in salute e in malattia. E sarà mio impegno stare sempre vicino al paziente con pazienza pari alla sua. E stare sempre dalla sua parte, e soltanto dalla sua, con passione tutta mia.
Eserciterò la mia arte secondo un sapere che mi impegno ad accrescere costantemente, e prescriverò farmaci secondo un giudizio che manterrò puro e retto, e che sempre mi guiderà nello scegliere quei rimedi che sicuramente si siano dimostrati giovevoli. Non farò della mia arte ingiusto lucro, né anteporrò alcun interesse a quello del malato, nemmeno se richiesto dal potere di chi amministra e governa la cosa pubblica 2.
Anche nella nuova redazione è evidente l’atteggiamento «paternalista» che ispira l’etica medica. L’elevatezza morale del modello a cui il medico cerca di adeguare il suo comportamento non impedisce di cogliere l’essenziale asimmetria del rapporto con il paziente. Il professionista sanitario è colui che sa qual è il bene del paziente e mette tutto il suo impegno a realizzarlo. È la scienza — in continuo progresso ― che lo guida nel percorso della terapia, mentre la coscienza gli impedisce di deviare verso la strumentalizzazione del paziente ai fini di ingiusto lucro. Il paziente, da parte sua, contribuisce a questa determinazione dei fini solo mediante il proprio desiderio di salute e la richiesta di aiuto; tutto il resto viene dalla medicina.
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Il malato è il destinatario di quanto la scienza e la coscienza del medico stabiliscono per il suo bene: egli non ha niente da dire in merito all’atto terapeutico, che rimane affidato a una determinazione unilaterale. La quale deve essere benevola e benefica: queste sono le condizioni che conferiscono all’azione medica la piena legittimità etica. Sono i sintomi che si prestano a una lettura, non il malato che parla. Pur con tutti gli ammodernamenti delle esigenze etiche che l’esercizio della professione richiede, il modello di fondo del rapporto medico-paziente continua ad essere quello della «medicina del silenzio» 3.
L’opera di Pellegrino e Thomasma, contemporanea al dibattito italiano sull’ethos ippocratico, nasce invece dalla convinzione che l’etica medica tradizionale non ha bisogno solo di un atteggiamento o di una cosmesi: deve piuttosto essere ripensata su nuove basi. L’antico edificio dell’etica ippocratica è stato smantellato e noi stiamo entrando in un’epoca che può essere detta, senza esagerazioni, posti-ippocratica. Questa almeno è la convinzione soggiacente al movimento della bioetica in America, di cui l’opera ora presentata in traduzione italiana costituisce uno dei punti di arrivo.
Negli ultimi due decenni nella pratica della medicina sono avvenute trasformazioni così profonde da giustificare l’ipotesi che in questo ambito si stia verificando un cambiamento di paradigma. Edmund Pellegrino e David Thomasma, un medico interessato alla filosofia e un filosofo interessato alla medicina, hanno congiunto le loro forze 4 per accingersi
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all’ardua impresa di tracciare le grandi linee concettuali che fondano la pratica della medicina dei nostri giorni.
Una prima realizzazione di questo disegno sistematico è stato il volume apparso nel 1981, dedicato alle basi filosofiche della pratica medica 5. La seconda tappa è costituita dal volume che il lettore ha ora tra le mani. Tra l’una e l’altra, una quantità di iniziative culturali che sono parte integrante delle grandi opere di ricostruzione che sono in corso nella filosofia della medicina. Una almeno deve essere assolutamente menzionata, per non incorrere in un peccato grave di omissione: la fondazione della rivista The Journal of Medicine and Philosophy, uscita nel 1976, di cui Pellegrino è stato l’ispiratore e il primo direttore 6.
Non si può certo dire che con il volume presente la rifondazione moderna della filosofia della medicina sia giunta a buon termine. Gli Autori sono i primi a denunciare le incompletezze della loro costruzione (come la procedura per risolvere i conflitti etici tra medico e paziente relativamente
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all’inizio della vita e all’interruzione della gravidanza). Invece di considerare la loro proposta come un sistema chiuso, invitano il lettore a un dialogo costruttivo. Da esso si aspettano un apporto per uscire dalle «impasses» che minacciano anche la nuova filosofia della medicina. Malgrado i limiti, al progetto di Pellegrino e Thomasma va riconosciuta la chiarezza del disegno di fondo e degli intenti. Rispetto alle problematiche propriamente etiche, che appassionano l’opinione pubblica e mobilitano gli esperti di filosofia morale, essi attribuiscono la priorità alla filosofia della medicina. Si tratta anzitutto di riflettere criticamente sulla natura della salute, della malattia, della guarigione, della corporeità, sull’epistemologia del sapere medico e sul rapporto medico-paziente. Il primo volume ha preso in considerazione prevalentemente i temi dell’antropologia medica; Per il bene del paziente, seconda parte del dittico, punta decisamente l’attenzione sull’interrelazione che si stabilisce tra il medico e il malato nel rapporto terapeutico, nella convinzione di aver così raggiunto il cuore stesso e il punto di partenza obbligato di qualsiasi filosofia della medicina. L’origine del processo terapeutico va ricercata nel fatto che un essere umano si trova in stato di necessità (è in-firmus) e chiede aiuto a un professionista. La relazione sociale che si crea è anche il momento germinale di quella riflessione teorica a cui diamo il nome di filosofia della medicina.
Una nuova teoria della medicina — chiamiamola, per comodità, post-ippocratica — deve essere basata sull’interazione tra medico e paziente così come si realizza oggi. Ed è proprio in questa articolazione nevralgica che si sta registrando una trasformazione così spettacolare da far parlare di «cambiamento di paradigma». Per descrivere in modo schematico la rivoluzione che sta modificando un rapporto rimasto sostanzialmente costante lungo i secoli, possiamo dire che l’ambito sanitario si sta «modernizzando». Per «modernità» intendiamo quella particolare concezione dell’uomo e dei rapporti sociali che è sinonimo dell’epoca in cui viviamo: in pratica, ci fermiamo al movimento che è cominciato
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con l’Illuminismo e ha progressivamente portato alla ristrutturazione di tutte le articolazioni della vita individuale e sociale all’insegna dell’autonomia.
Nella sua celebre definizione dell’Illuminismo, Kant lo contrapponeva alla «minorità», intesa come incapacità di servirsi del proprio intelletto senza la guida di un altro 7. Il paradigma dell’autonomia si è esteso in successione a tutti i diversi ambiti della vita politica e sociale, dalla religione all’economia, sviluppatasi all’insegna del liberalismo; solo la medicina ha costituito, per lungo tempo, una specie di riserva retta ancora dalle leggi dell’assolutismo, sotto le vesti di benevolo paternalismo. Nello stato di malattia l’autonomia dell’individuo sembra sospesa: il medico — spesso in collusione con i familiari — decide quali informazioni dare al malato, il trattamento più indicato, i percorsi da fargli seguire nell’accidentato cammino verso la salute (e ancor più in quello verso la morte) 8.
Il diritto alla libertà, nella sua versione di diritto all’autodeterminazione e a scelte autonome, è apparso sullo scenario della sanità come un diritto di seconda generazione, rispetto ai diritti fondamentali che costituiscono il tessuto delle società democratiche. L’impatto della prospettiva dei diritti sul modello tradizionalmente vigente in sanità è stato particolarmente dirompente negli Stati Uniti. Una delle prime formulazioni del diritto del paziente alla propria autonomia anche nella cura della salute è quella che risale al giudice Benjamin Cardozo, in una sentenza del 1914: «Ogni essere umano adulto e capace di intendere e di volere ha il diritto di decidere che cosa viene fatto al suo corpo». Come l’albero
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nel seme, in questa frase è contenuto tutto lo sviluppo avvenuto soprattutto negli ultimi decenni, verso la regolamentazione del consenso informato nella terapia e nella ricerca, e la tutela sempre più minuziosa del diritto del paziente a essere coinvolto nelle decisioni cliniche che lo riguardano.
Descrivendo i cambiamenti intervenuti nell’etica medica americana nel decennio critico che decorre dal 1966 al 1976, David Rothman ha potuto fissarli in un’immagine molto evocativa: in un modo impensato in passato, una quantità di «estranei» si è installata al capezzale del malato 9, là dove il medico era solito trovarsi in uno splendido isolamento («Quando curo un malato — diceva il medico del cancelliere Bismarck — io e lui siamo come su un’isola deserta»). La bedside ethic è stata sostituita da una armchair ethic, cioè da un’etica proveniente dalle cattedre di filosofia; e il medico ha dovuto rinunciare alla solitudine con il malato, nella quale era solito prendere le decisioni «in scienza e coscienza», e accettare la presenza di estranei, sempre più numerosi: giuristi, filosofi, teologi, comitati di etica... La camera del malato è diventata sempre più affollata, le pareti trasparenti. La decisione medica è stata obbligata a confrontarsi con l’opinione pubblica; la professione medica, che precedentemente dettava leggi in ambito clinico, è stata a sua volta sottoposta a una serie sempre più numerosa di normative elaborate in sedi che di per sé non hanno niente a che vedere con il contesto clinico.
Le decisioni al letto del malato non saranno più prese solo dal medico: molti «estranei» interferiscono nel processo decisionale. Sottratta al regime speciale che sembrava spettarle in quanto ultimo bastione del paternalismo, l’etica medica diventa etica civile. Parallelamente, il malato stesso è chiamato a svolgere un ruolo sempre più attivo nel rapporto terapeutico. Possiamo considerare come momento conclusivo del lungo sviluppo dell’autonomia del paziente l’entrata in vigore, il 1° dicembre 1991, del «Self-determination
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Act», la «legge dell’autodeterminazione», uno strumento giuridico rivolto a tutelare concretamente il libero intervento dei malati nelle decisioni cliniche che li riguardano, in particolare in quelle finalizzate al prolungamento della vita 10. Se si considera che, in tedesco, l’informazione data al paziente si chiama Aufklärung — lo stesso termine che designa l'Illuminismo — ci rendiamo conto che con il diritto all’autodeterminazione e al consenso informato, riconosciuti per legge, lo spirito dell’Illuminismo ha conquistato l’ultima provincia che si era sottratta al suo dominio.
Malgrado l’aperta o sotterranea resistenza dei medici formati nell’alveo della tradizione ippocratica, il movimento che tende a smantellare l’assolutismo del medico e a promuovere l’autonomia del paziente comincia a raggiungere anche l’Europa. Con l’affermarsi della concezione «moderna» del rapporto medico-paziente, viene sospesa per i medici l’autorizzazione a procedere a qualsiasi misura terapeutica essi ritengano andare a beneficio del malato, sulla base di un criterio medico. La pratica dell’informazione del paziente circa diagnosi e prognosi e dell’acquisizione del consenso per gli interventi terapeutici sarà sempre meno un «optional»: essa diventerà in misura crescente un obbligo deontologico, e in alcuni casi anche legale.
Questi sviluppi dell’autonomia del paziente e del suo diritto all’informazione potrebbero procedere anche verso uno scenario infausto. È possibile immaginare che lo spostamento d’accento sull’autonomia del paziente avvenga in un clima avvelenato dalla diffidenza e dal risentimento per il potere perduto, col triste risultato che il diritto alla libertà decisionale si tramuti nella sua caricatura: vale a dire, nel «diritto» a essere lasciato solo, proprio nel momento in cui il malato ha maggiormente bisogno della presenza benevola ed efficace di un sanitario che lo assista non solo con la scienza, ma anche con la sua completa umanità. Lo sviluppo
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della richiesta di un consenso informato — magari redatto su un modulo apposito, per fini burocratici...! — potrebbe risultare così come un espediente per rifilare al malato la responsabilità di decisioni che andrebbero invece condivise, lasciando prevalere la preoccupazione esclusiva di tutelare il medico da possibili risvolti giudiziari.
Sullo sfondo di una possibile evoluzione non auspicabile del rapporto medico-paziente e dell’etica che lo sostiene, acquista particolare rilevanza il contributo di Pellegrino e Thomasma alla rifondazione di una filosofia della medicina. Avendo partecipato fin dall’inizio al movimento della bioetica, hanno ben presenti i modelli che si contendono il primato. Le diverse proposte teoriche ruotano intorno a due «tipi ideali»: quello ippocratico-paternalista e quello libertario-autonomista. Il primo giustifica l’azione sanitaria in quanto finalizzata al bene del paziente; il secondo ne misura l’eticità sul rispetto dei valori del paziente e della sua autonomia decisionale.
Se nel contesto europeo l’etica medica gravita ancora prevalentemente intorno al primo modello, in quello americano ― e più ampiamente anglosassone — il primato teorico e pratico spetta al secondo. Gli studiosi che hanno familiarità con la letteratura specialistica della bioetica assoceranno prontamente questa tendenza con i nomi di H. Tristam Engelhardt, James Childres, Robert Veatch e numerosi altri, che con notevoli diversità ma con sostanziale convergenza di intenti si propongono l’introduzione dell’autodeterminazione nell’etica clinica. Ed è proprio questa inclinazione della bilancia verso l’introduzione del liberalismo nell’etica medica, con la preferenza a regolare i conflitti dando la priorità assoluta al criterio dell’autonomia, che preoccupa Pellegrino e Thomasma.
Essi rifiutano di lasciarsi costringere entro la rigida alternativa: o paternalismo, o autonomia (ovvero: tutto il potere al medico, oppure tutto il potere al malato...). La loro proposta di una nuova base per la filosofia della medicina contemporanea parte dalla consapevolezza di un malessere diffuso,
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a causa del prevalere di un atteggiamento o dell’altro in modo esclusivo, senza reciproche integrazioni. In regime di paternalismo medico, i pazienti non sopportano più di dipendere dai sanitari come dei bambini; per contro, là dove prevale la concezione autonomista, i medici si sentono ridotti a puri esecutori dei desideri dei pazienti, mentre questi ultimi, a loro volta, sentono pesare su di loro l’abbandono, a causa della rottura dell’alleanza terapeutica. Ci sono valori importanti nell’uno come nell’altro modello, che non possono essere lasciati cadere, se non si vuol sfigurare la fisionomia dell’atto medico. L’originalità del modello di filosofia della medicina avanzata da Pellegrino e Thomasma consiste in una via media, che si propone di salvare gli elementi validi della medicina ippocratica e di quella moderna, evitando al tempo stesso di cadere in accentuazioni unilaterali.
Come tutte le vie medie, anche questa è difficile non solo da percorrere, ma anche da concettualizzare. Suoi principali elementi costitutivi sono la distinzione tra paternalismo e beneficità, e la proposta di una beneficità che includa i valori del rapporto medico-paziente tradizionale: la beneficità-nella-fiducia, appunto. Il medico può ispirare la sua azione al bene del paziente (beneficità), senza per questo cadere nel vizio capitale del paternalismo, cioè nella pretesa di conoscere il bene del paziente meglio di quanto questi sappia fare («doctor knows best»). In altre parole, può perseguire un ideale di beneficità che non annulla l’autonomia del paziente, bensì la prevede, la rispetta e addirittura si propone di farla crescere 11.
Il modello di «beneficità nella fiducia» combina la beneficità e l’autonomia, considerandole come dimensioni dell’atto medico non in conflitto, bensì mutuamente rinforzantisi. Il lettore potrà scoprire, addentrandosi nello studio
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dell'opera — il testo di Pellegrino e Thomasma è appunto un libro non di piacevole lettura, ma di riflessione; domanda una forte mobilitazione intellettuale, ma lascia in compenso benefici duraturi — quali approfondimenti concettuali questa prospettiva ha richiesto agli autori. Oltre a una ridefinizione della beneficità, rispetto alla comprensione che ne aveva l’etica medica di stampo ippocratico, Pellegrino e Thomasma procedono a un’analisi più ampia del bene del paziente. Questo non è identico ai suoi desideri o preferenze, come propone la concezione autonomista, ma ha un profondo radicamento nei valori del soggetto. La condizione di malattia — quella che rende il paziente in-firmus — è una minaccia all’autonomia. In modo realistico si riconosce che l’infermità può compromettere sia il progetto terapeutico, sulla sensibilità di colui che esercita una professione sanitaria per la vulnerabilità e l’umanità ferita del paziente, sia la necessità del dialogo per poter discernere i valori congruenti con il malato come soggetto autonomo. Per questo motivo il modello della «beneficità nella fiducia», pur gravitando nell’area delle teorie etiche del «bene», è intimamente correlato con l’etica della «virtù» (come illustra la parte centrale del libro, dedicata al «buon medico» e al «buon paziente», vale a dire ai mutui obblighi all’interno del rapporto terapeutico).
La traduzione italiana di quest’opera importante per la riflessione sulla medicina contemporanea dischiude una prospettiva di dialogo più ampia di quella già prevista dagli Autori. Si tratta di entrare nel sistema aperto proposto da Pellegrino e Thomasma, modellato sul contesto sociale americano, con la potenzialità della nostra tradizione europea, della nostra sensibilità latina in particolare. A una medicina che si vuol comprendere dal punto di vista focale del «bene del paziente» possiamo apportare le nostre particolari accentuazioni. Per menzionarne solo una, possiamo pensare al posto particolare che nelle culture latine occupa la famiglia: il funzionamento delle nostre reti primarie di riferimento modifica sensibilmente il processo decisionale nel contesto clinico.
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Ci sentiamo autorizzati a sperare che, come prodotto di questo dialogo transculturale, avremo alla fine una medicina più ricca di contenuto umano. E perciò una medicina più capace di guarire.
Note
1 Il testo del Giuramento si può trovare in Documenti di deontologia e etica medica, Ed. Paoline, Cinisello Balsamo 1985, p. 19.
2 Cfr. Corriere medico, 22-23 novembre 1988.
3 Cfr. J. Katz, The Silent World of Doctor and Patient, The Free Press, New York 1984. Come «medicina del silenzio» Katz non designa solo la pratica moderna, dove la tecnologia si frappone tra medico e paziente al punto da rendere superflua la parola, ma anche la classica medicina ippocratica, in cui il paziente non è di per sé chiamato a strutturare insieme al terapeuta, apportando i suoi fini e i suoi valori, l’atto medico.
4 Numerose sono le pubblicazioni con la doppia firma Pellegrino-Thomasma. In una nota a un saggio dedicato al contributo complessivo di E. Pellegrino alla filosofia della medicina, David Thomasma traccia la storia della loro collaborazione. Essa risale al 1974 ed è iniziata al Medical Center dell’Università di Yale, a New Haven. È continuata poi negli anni, attraverso le diverse carriere accademiche dei due studiosi che hanno portato Pellegrino a diventare prima direttore del Kennedy Institute of Ethics, alla Georgetown University di Washington, e poi direttore del Center for Advanced Study of Ethics della stessa università, mentre Thomasma è passato a dirigere il programma di Medical Humanities alla Loyola University di Chicago. Nella stessa nota Thomasma chiarisce le modalità di lavoro che rendono la loro collaborazione così fruttuosa: David C. Thomasma, «Establishing the Moral Basis of Medicine: Edmund D. Pellegrino’s Philosophy of Medicine», in The Journal of Medicine and Philosophy 15 (1990), pp. 262s.
5 E.D. Pellegrino e D.C. Thomasma, A philosophical Basis of Medical Practice: Toward a Philosophy and Ethics of the Healing Professions, Oxford University Press, New York 1981.
6 Nel 1990, in occasione del 70° compleanno di E. Pellegrino, la rivista ha dedicato un numero monografico alla sua opera e all’analisi del suo pensiero (The Journal of Medicine and Philosophy, 1990, n. 15). Da segnalare, in particolare, il bilancio tracciato da H. Tristam Engelhardt in merito all’apporto di Pellegrino alla nascita delle «medical humanities» e alla rinascita della filosofia della medicina in America: «Esse non avrebbero mai assunto la forma che ora possiedono se non ci fossero stati il genio e le fatiche di Edmund Pellegrino» (p. 237). Pellegrino è stato da almento tre lustri al centro dello sviluppo che ha portato la medicina e le discipline umanistiche a riscoprire la rilevanza reciproca. Nel tributo del Festschrift è debitamente sottolineato l’orientamento «cattolico» del pensiero di Pellegrino. Non solo in senso confessionale — per quanto Pellegrino sia cattolico anche in questo senso e non nasconda in che misura la professione di fede ispiri i suoi orientamenti intellettuali — ma ancor più in senso etimologico di «universale»: Pellegrino è, tipicamente, quello che gli americani chiamano «a man of vision», uno spirito guidato da una visione.
7 «L’Illuminismo è l’uscita degli uomini dallo stato di minorità a loro dovuto. Minorità è l’incapacità di servirsi del proprio intelletto senza la guida di un altro. A loro stessi è dovuta questa minorità, se la causa di essa non è un difetto dell’intelletto ma la mancanza di decisione e del coraggio di servirsene come guida»: Immanuel Kant, Risposta alla domanda: che cos’è l’Illuminismo?, in Scritti politici e di filosofia della storia e del diritto (a cura di N. Bobbio), ed. Utet, Torino 1975, pp. 141-149.
8 Cfr. S. Spinsanti, «La formazione del consenso con la famiglia: un orizzonte dell’etica clinica», in Il policlinico, 97 (1990), pp. 142-148.
9 D.J. Rothman, Strangers at the Bedside, Basic Books, New York 1991.
10 Cfr. E.L. McLoskey, «The Patient Self-Determination Act», in Kennedy Institute of Ethics Journal, 1 (1991), pp. 163-169.
11 Può essere interessante un confronto con la concezione dell’autonomia proposta da Jean-François Malherbe, Per un’etica della medicina, Ed. Paoline, Cinisello Balsamo 1989. Rifacendosi alla più pura tradizione del personalismo filosofico, Malherbe valorizza gli aspetti relazionali dell’autonomia, preservandola così dalla minaccia dell’individualismo.