Irruzione di Dio

Ladislaus Boros

Irruzione su Dio

La via crucis come antipellegrinaggio

Edizioni Paoline, Bari 1977

pp. 7-14

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Venerdì santo, a Gerusalemme. Il manipolo di gente che va verso il Calvario — il condannato a morte, i soldati, pochi amici, gli accusatori, i curiosi — procede controcorrente. Vanno fuori città, mentre la città santa è il polo di attrazione delle folle convenute per le feste pasquali. Sono venuti in pellegrinaggio, anche da molto lontano. Alla vista delle mura maestose della città di Dio la stanchezza è scomparsa. L’entusiasmo è diventato canto. Insieme hanno intonato il salmo del pellegrinaggio:

«Quanto son care le tue dimore,

Signore delle Schiere!

L’anima mia sospira e langue

verso gli atri del Signore

il mio cuore e la mia carne gridano di gioia

verso il Dio vivente.

Anche il passero ha trovato una casa

e la rondine un nido

ove deporre i suoi piccini:

tuoi altari, o Signore delle Schiere,

mio re e mio Dio!» (Sal 84).

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La prossimità del santuario ha sempre scatenato un delirio di fervore. È un particolare che rivela l’anima dionisiaca del pellegrinaggio. Nel medio evo i pellegrini che si recavano a Santiago di Compostela, giunti alla "collina della Gioia", da cui si scorge in lontananza il santuario, percorrevano di corsa gli ultimi dieci chilometri. Il primo che giungeva era proclamato "re" del gruppo.

Nel luogo sacro Dio è vicino al credente. Lì si è rivelato un giorno, lì è ancora possibile scorgere un riflesso del suo splendore. E ricevere forse qualche briciola della sua potenza. Allora la condizione umana si rovescia: le malattie sono guarite, nessuno muore di fame, le colpe sono perdonate, la convivenza tra gli uomini è fraterna. Nel luogo sacro il regno di Dio è a portata di mano.

Ma nel santuario non si può restare in permanenza. Esso non è la dimora del laico. Nello stesso salmo il pellegrino esprime con disinvoltura la sua santa invidia per i privilegiati che nel santuario sono di casa:

«Beati gli abitanti della tua casa!

di continuo ti possono lodare.

Beato l’uomo la cui forza è in te,

che conserva nel cuore il salire al tuo santuario».

Per aiutare la memoria il pellegrino si porterà via un ricordo: una reliquia, un panno strofinato sul luogo sacro, una conchiglia di san Giacomo, un po’ di acqua di Lourdes. Ma soprattutto più forza,

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una speranza rinnovata, una costanza indomita nelle avversità. E poi, il desiderio di tornare. A casa si sentirà un estraneo, quasi in esilio nella vita mondana. Ha scoperto la vera patria.

Il santuario non è luogo di residenza per il pellegrino. Bisognerà dunque rifare il cammino alla rovescia. Ma questo domani. Oggi è il giorno di festa nella città santa, nei pressi del santuario. È festa per i devoti, per i puri, per i benedetti. I maledetti invece sono cacciati lontano dal santuario. Come quel condannato alla crocifissione che stanno portando sul luogo del patibolo. Situato fuori della città santa, ovviamente. E il suo viaggio è senza ritorno. Il suo cammino non ha la pendolarità armoniosa del pellegrinaggio: luogo sacro-luogo profano, vicino-lontano, giorno festivo-giorno feriale.

«Presero dunque Gesù. Ed egli portava da se stesso la croce e uscì verso il cosiddetto luogo del cranio, che in ebraico si chiama Golgota, dove lo crocifissero e con lui due altri, uno per parte, e Gesù nel mezzo» (Gv 19, 16-18).

Fuori del luogo sacro non avrà più alcuna potenza. Lasciato a se stesso, diventerà una vittima fin troppo facile di coloro che ritenevano di avere la loro forza dal santuario, mentre in realtà la traevano dal potere. «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?».

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È un tragico viaggio quello riservato a colui che ha trovato Dio alla tavola dei peccatori e ha indicato il regno di Dio presente tra gli emarginati. Sarà violentemente sottratto di mezzo al popolo che fa il pellegrinaggio e sarà instradato per un cammino a senso unico: la via crucis.

Può sembrare paradossale, ma la via crucis in quanto pratica di pietà, così come la conosciamo oggi, è nata proprio dal pellegrinaggio. Un pellegrinaggio ai luoghi santi, infatti, volevano essere le crociate. E lo furono, insieme a tante altre cose, non tutte così nobili e così spirituali. Tornando alle proprie terre, i crociati e i pellegrini ebbero cura di erigere memorie dei luoghi santi in cui si era svolto sulla terra il dramma della redenzione. Così, specialmente a partire dal XV secolo, il mondo cristiano si mise a moltiplicare croci, quadri, bassorilievi, che rappresentavano le scene avvenute in Terra santa. Su tutte prevalevano quelle del Calvario con gli episodi della passione. Rappresentavano un ricordo per i pellegrini che dalla "terra santa" erano tornati nella terra profana; per tutti erano uno stimolo alla meditazione, al fervore, al "com-patire" col Cristo che dà la vita per la salvezza dei peccatori. Furono soprattutto i frati minori, che dall’inizio del secolo XIV erano stati preposti alla custodia dei luoghi sacri, a introdurre in Europa e a diffondere ovunque rappresentazioni del cammino che va dal palazzo di Pilato al Calvario.

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Il beato Enrico Susone aveva preconizzato una specie di via crucis "spirituale", composta da una serie di meditazioni che si riferivano alle diverse stazioni della via dolorosa. Il giorno in cui si cominciò a percorrere devotamente l’itinerario che esse segnavano, meditando sulle sofferenze di Gesù, la via crucis era nata. Essa ebbe i suoi grandi devoti, come il predicatore popolare Leonardo da Porto Maurizio, che nel corso delle sue missioni fece erigere più di 500 via crucis.

Per lungo tempo il punto di partenza e il termine finale del percorso restarono indeterminati. Se alcune passioni andavano dal pretorio al sacro sepolcro, altre cominciavano dal cenacolo e si concludevano con l’ascensione. Il numero delle stazioni fu ugualmente fluttuante. Soltanto nel XVIII secolo l’autorità ecclesiastica intervenne fissando il numero e il soggetto delle stazioni nella forma che hanno conservato fino a un passato recente. Oggi il rigore canonico si è sciolto, favorendo una ricerca spontanea come quella delle origini di questa devozione.

Ma una pratica di pietà di questo tipo trova ancora credito presso il credente del nostro tempo? Fiorita sul terreno della compassione, sembra troppo fragile per resistere al clima rigido che è quello della nostra civilizzazione. Sono troppi i "poveri

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cristi" che domandano oggi la nostra compassione. Dobbiamo difenderci. Dobbiamo canalizzare le nostre energie per «raddrizzare torti e difendere i deboli» (perché la fede di Don Chisciotte nella giustizia non è morta; può essere ridicola e venir derisa, ma è più che mai il segreto del popolo messianico). La promozione umana, la liberazione, la coscientizzazione, la rivoluzione perfino: ecco il terreno in cui i cristiani si sentono trascinati dalla loro fede. Sanno di essere di casa nel pantano della storia, non già — vale a dire: non ancora — nella turrita Gerusalemme.

Il pellegrinaggio tra il profano e il sacro non attira i credenti del nostro mondo. Abbiamo coscienza di andare per una strada che percorriamo una volta sola. Per dirla con le parole di un poeta, lo spagnolo Leon Felipe:

«Nessuno andò ieri

né va oggi

né andrà domani

verso Dio

per questo stesso cammino

che percorro io.

Per ogni uomo riserva

un raggio nuovo di luce il sole...

e un cammino vergine

Dio ».

Eppure proprio per i romei erranti che siamo diventati la via crucis ha un fascino nuovo. Non come esercizio del compatire. Neppure come pellegrinaggio

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rassicurante verso il sacro. La via crucis che ci affascina è il cammino singolare e irrepetibile di Cristo: quello che va dal santuario al luogo del patibolo, per concludersi nel silenzio della tomba. A quel cammino la fede della comunità cristiana ci ha insegnato ad aggiungere una stazione: quella della risurrezione. Non fa serie con le altre. È su un piano diverso, è al di là della storia. Ma dà senso alle quattordici che la precedono. E alla vita per la giustizia del regno che prece―de le quattordici stazioni.

Per quel cammino Gesù ha fatto "irruzione" in casa di Dio. E questa sarà la meta, lo crediamo e lo speriamo, dei "cammini vergini" che ci sono stati dati in sorte.

La via crucis che percorre il cristiano del XX secolo ha la rude essenzialità della croce che è stata eretta sul Golgota. Semplice come l’auspicava Leon Felipe:

«Più semplice, più semplice.

Senza barocchismo,

senza aggiunte né ornamenti,

che si vedano nudi

i legni,

nudi

e decisamente dritti.

Le braccia in un abbraccio verso la Terra,

il tronco sparato verso i cieli.

Che non ci sia un solo ornamento

a distrarre questo gesto,

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questo equilibrio umano dei due comandamenti.

Più semplice, più semplice;

fai una croce semplice, falegname».