Utopia

Sandro Spinsanti

UTOPIA

in Nuovo dizionario di spiritualità

Ed. Paoline, Roma 1973

pp. 1655-1661

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II. Utopia come simbolo e vita spirituale

     1. Utopia e immaginazione simbolica

     2. Temi utopici del messaggio cristiano

     3. Funzione dell'utopia nella vita spirituale

II. UTOPIA COME SIMBOLO E VITA SPIRITUALE

1. Utopia e immaginazione simbolica

La prima parte della voce ha documentato quale posto occupi l'utopia nel pensiero moderno. La rassegna dei dibattiti intorno a questo tema potrebbe suscitare l'impressione che l'utopia abbia maggiore rilevanza in campo filosofico-politico e sociologico che in quello religioso. Pensiero utopico e antiutopico, utopie positive e negative, ruotano attorno alla questione: in rapporto a quale futuro si costruisce la nostra società? La preoccupazione dominante in questo ordine di problemi è quella di un regimen condendum universale. Una riflessione critica attenta rivela facilmente — come è stato fatto anche in questa sede — le implicazioni ideologiche sottese alle appassionate discussioni di filosofia politica che hanno per oggetto l'orizzonte utopico dell'umanità.

Quest'approccio dell'utopia però non ne esaurisce tutta la portata. Se ripercorriamo infatti la parabola dei vari modelli utopici che si sono succeduti da quando il tema è emerso nella letteratura (dal modello umanistico di Tommaso Moro a tutti i suoi vari epigoni: illuministi, romantici, positivisti, ecc.), costatiamo un progressivo restringimento della valenza semantica e della portata contenutistica dell'utopia.

Parallelamente, l'utopia si estrania dalla problematica religiosa. Se ancora nel XVI sec. i progetti utopici si ispiravano a una religione naturale, di tipo deistico, progressivamente il razionalismo ha prevalso, estraniando l' utopia dall'universo religioso. È proprio contro questo significato più tecnico, ma più ristretto, che va fatta valere una concezione più ampia dell'utopia.

L'utopia ha una storia più lunga di quella del tema letterario corrispondente 1. In senso specifico l'utopia è solo un aspetto parziale di un atteggiamento costante dello spirito umano, che tende a proiettare in cielo la città terrestre, sullo sfondo di una immutabile Città di Dio. Tutta la tradizione occidentale, in particolare, è attraversata in profondità dal tema, periodicamente riemergente, del luogo e tempo venturo spiritualmente perfetti 2. Si può dire che, paradossalmente, quando l'utopia ha avuto un nome e ha cominciato ad avere una sua tradizione letteraria, ha perduto alcune delle sue valenze originarie 3.

Per ritrovare le implicazioni religiose nell'utopia bisogna risalire alla sua matrice, che è il pensiero

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simbolico. L'utopia è figlia dell'immaginazione simbolica, così come i simboli, i miti, la religione, la poesia, il pensiero creativo. La finctio utopica è dovuta all'immaginazione creatrice che opera mediante i simboli. La progressiva razionalizzazione dell'utopia è conseguenza dell'estrema svalutazione che ha subito l'immaginazione, la "phantasia", nel pensiero dell'Occidente. Come ha dimostrato G. Durand 4 , la conoscienza simbolica appare agli antipodi della pedagogia del sapere come è andata istituzionalizzandosi da dieci secoli in Occidente. Ne è risultata una vera e propria "iconoclastia" occidentale nei confronti della conoscenza simbolica [↗ Simboli spirituali].

Il nostro tempo comincia però a riprendere coscienza dell'importanza delle immagini simboliche nella vita mentale. Durand fa risalire l'inversione di tendenza all'apporto della patologia psicologica (rivalutazione del simbolo dovuta alla psicanalisi) e dell'etnologia (considerazione positiva dell'inflazione mitologica, poetica, simbolica che regna nelle società dette "primitive"). Il recupero del simbolo è andato oltre i primi tentativi della psicanalisi e dell'antropologia culturale, ancora in gran parte riduzionistici rispetto alla portata antropologica del simbolo. Sempre più ci si rende conto oggi che la scienza non è l'unico mezzo per salvare il mondo: la "poesia" è altrettanto necessaria ed efficace. «L'utopia o la morte», ha intitolato con efficacia René Dumont un suo libro recente. Dopo le disillusioni scientiste, si guarda con maggiore attesa all'immagine per domandarle quel "supplemento d'anima" che ci difenda contro i rischi di una civiltà faustiana che tende a planetarizzarsi. Le immagini non escludono i concetti: insieme costituiscono la barriera vitale chel'umanità erige contro le pulsioni distruttive e contro il nulla del tempo. L'utopia veicola, insieme alla scienza, la speranza della specie umana. Recuperati il valore e la funzione dell'immaginazione simbolica, esiste ora il presupposto per una considerazione più ampia dell'utopia, che ne colga anche gli aspetti che sono stati trascurati dal dibattito filosofico che l'ha considerata esclusivamente dal punto di vista ideologico [↗ sopra I]. Arriviamo in tal modo a mettere a fuoco la parentela tra religione e utopia. Esse si rapportano l'una all'altra a diversi titoli. Ambedue, in primo luogo, si riferiscono a un orizzonte ultrastorico. Lo status perfetto, fatto di armonia, pace, equilibrio, che caratterizza i prodotti dell'immaginazione utopica, trova il suo corrispettivo nei simboli mitici con cui il pensiero religioso rappresenta l'inizio o il limite finale assoluti della storia.

L'affinità risulta più evidente se consideriamo l'atteggiamento di fondo che sottende l'approccio utopico e quello religioso del mondo empirico presente. In ambedue i casi si può parlare, con la terminologia di R. Ruyer, di un «renversement d'optique» 5. Questo rovesciamento è uno sguardo nuovo sulla realtà analogo a quello implicito nella nozione biblica di metànoia. Tanto l'uomo religioso quanto il figlio dell'utopia rifiutano il mondo presente con la sua falsa evidenza di realtà ultima e immutabile. Quando religione e utopia sono autentiche, da questo sguardo si sviluppa una forza denegativa del carattere assoluto di "questo mondo", la clausola dell'autenticità è importante. Sia l'una che l'altra forma di pensiero simbolico ha dato luogo, infatti, nel corso della storia, a situazioni che le hanno fatte cadere in sospetto. La religione e

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l'utopia sono state talvolta utilizzate in modo ideologico da coloro che detenevano il potere; vale a dire: sono servite a rafforzare le forme di oppressione sociale e politica. Hanno alimentato la speranza, ma senza esiti liberatori; in pratica, dunque, hanno svolto una funzione alienante, in quanto hanno permesso di evadere dal reale senza affrontarlo.

L'eventualità di un esito alienante, purtroppo incontestabile, appartiene però alle forme patologiche della religione e dell'utopia, non alla loro natura essenziale. È un fatto ugualmente incontrovertibile che, accanto a una storia di strumentalizzazioni ideologiche, esiste una storia alternativa in cui religione e utopia, intrecciate insieme, hanno costituito una riserva costante di forza per la contestazione dell'oppressione presente in nome di un orizzonte di perfezione.

In condizioni, dunque, di autenticità, tanto l'utopia che la fede religiosa, costituiscono un approccio della realtà fondato su un ribaltamento ideale della situazione empirica. Questo atteggiamento dello spirito consiste nel delineare una figura assoluta, quale possibilità di condizioni di vita e di scale di valori opposte a quelle vigenti. Prospetta uno stato di perfezione, alternativo alla situazione attuale, segnata dal limite e dal deficit.

Se la capacità di rendere visibile e operante l'invisibile è una caratteristica essenziale della fede religiosa («garanzia dei beni che si spera, prova delle realtà che non si vedono», definisce la fede la Lettera agli Ebrei: 11,1), essa costituisce altresì l'anima dell'utopia. Di ambedue l'uomo moderno ha bisogno per uscire dal «malpasso» 6 in cui si sta dibattendo la civiltà tecnologica.

Alla religione e all'utopia, figlie ambedue dell'immaginazione simbolica, sembra promessa una nuova giovinezza.

2. Temi utopici del messaggio cristiano

Il pensiero utopico, liberato dalle restrizioni operate dall'utopia di stampo politico-razionalistico e ricondotto alla sua matrice originaria, che è quella dell'immaginazione simbolica, è riconoscibile presente nel mondo biblico. Esso costituisce l'ambiente spirituale in cui sono immerse le formulazioni originarie del messaggio cristiano. Tutto il grande filone del regno di Dio e della Gerusalemme celeste, che attraversa da un capo all'altro la bibbia, è un esempio eminente di orizzonte utopico. La città ideale a cui si riferisce il crederne non è, come nella tradizione che ha le sue radici nella Grecia classica, il risultato di una creazione umana, opera della saggezza dell'uomo che dispone le migliori condizioni per una felice convivenza sociale. Il modello biblico di umanità non è quello che l'uomo conosce come prodotto di un proprio sapere e volere, bensì una realtà "altra", critica e trascendente rispetto a tutto ciò che è dato. Il regno di Dio non si costruisce; come la salvezza, di cui è simbolo, si riceve come un dono che trascende le capacità naturali dell'uomo.

Già fin dal tempo dell'esilio babilonese, quando operava il profeta noto come Deutero-Isaia, Gerusalemme era diventata sinonimo del regno escatologico di Dio (cf Is 52,1ss; 62,1ss; 65,17ss; 66,10ss). Nella letteratura rabbinica ed apocalittica Gerusalemme aveva sempre più perduto i suoi connotati realistici a favore della valenza simbolica: essa indicava la città ideale, la sposa del Signore. Dopo la pentecoste, i cristiani trasferirono la ricchezza teologica di Gerusalemme a Gesù Cristo e alla sua chiesa. Questa realtà perfetta è tenuta nascosta per apparire

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alla fine del mondo (cf Ap 21,1-27). Essa è la città futura (cf Eb 13,14). Tuttavia la nuova Gerusalemme viene già ora, dall'alto, da presso Dio (cf Ap 3,12). In quanto luogo della presenza onnipotente di Dio e della salvezza, è già compiuta e ancora da compiere (nel linguaggio di O. Cullmann, si tratta della dialettica tra il "già" e il "non ancora").

Il tema utopico della città perfetta, futura e già presente, trascrive il contenuto essenziale del kerygma cristiano: Dio ha creato in Gesù Cristo il passato a cui il popolo credente può riferirsi e l'avvenire che gli è permesso di attendere. Il luogo utopico della salvezza diventa quindi, nel messaggio cristiano, la persona di Cristo e la sua opera. La "economia" di Dio — piano divino nascosto fin dall'eternità, rivelato progressivamente nel tempo per mezzo dei profeti e realizzato nel mistero dell'incarnazione — trova il suo compimento epifanico nel Cristo e nella comunità dei suoi discepoli. Per esprimere la sua dimensione nel mistero di Cristo e della chiesa che supera la storia e svolge il ruolo di utopia concreta, Paolo non ha esitato a far sua la terminologia delle speculazioni dell'ambiente giudaico ellenizzato sul pléroma, cristianizzando il termine e dandogli un senso in armonia col resto del messaggio cristiano 7. Dio ha fatto dunque abitare in Cristo tutta la "pienezza" (cf Col 1,19); alla "pienezza" del Cristo risorto si trovano associati i credenti (cf Col 2,9) e indirettamente tutto il cosmo. Questa "pienezza" è il polo di attrazione della storia intera. È noto quale audace ampliamento e quale afflato mistico questa prospettiva abbia trovato nell'opera di P. Teilhard de Chardin (esempio insigne di un pensiero scientifico concresciuto a un'alata immaginazione simbolica).

Il rapporto di fede-amore-speranza che lega i credenti al Cristo si riflette nell'atteggiamento che essi hanno verso la città celeste. Il popolo di Dio attende la città ideale ed è in cammino verso di essa: «Per noi, la nostra città si trova nei cieli, da cui noi attendiamo ardentemente, come salvatore, il Signore Gesù Cristo» (Fil 3,20). Come il legame esistenziale con il Cristo, così anche l'appartenenza al mondo futuro struttura l'esistenza concreta dei credenti. La loro vita ha quell'aspetto paradossale che per l'evangelista Giovanni è l'essere nel mondo, ma non "del mondo" (cf Gv 17,14-16). Le lettere cattoliche hanno dettagliato le implicazioni del vivere nel mondo come «stranieri e pellegrini» nel «tempo dell'esilio» (cf 1Pt 1,17; 2,11). La chiesa, pur prendendo sul serio il mondo e le sue strutture socio-politiche, rinuncia a installarsi in esso. L'attrazione della città futura dà vita a un'etica personale e comunitaria della provvisorietà, del dinamismo, di un confronto profetico-critico con le istituzioni, di innovazione piuttosto che di tradizione ripetitiva. Della radicalità della morale evangelica, che rende così ostiche al buon senso quotidiano anche certe pagine del discorso della montagna, sono state offerte molte spiegazioni da parte di esegeti e teologi 8. Essa tuttavia non acquista senso se non quando la consideriamo nell'orizzonte dell'utopia. Allora il distacco assoluto dei beni terreni [↗ Povero], il celibato [↗ Celibato e verginità; ↗ Consigli evangelici], l'amore dei nemici [↗ Carità] diventano simboli concreti della meta finale, emergenza nel tempo della realtà esca tologica.

L'utopia non è espressa solo dal linguaggio formale del kerygma e da quello esistenziale dell'etica radicale. Anche il culto,

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sorgente inesauribile di simboli, annuncia la realtà perfetta dell'eschaton e la anticipa in figura. La Lettera agli ebrei, facendo il confronto delle due alleanze, attribuisce alla liturgia cristiana il potere di mettere a contatto con la realtà finale: «Voi vi siete accostati alla montagna di Sion e alla città del Dio vivente, alla Gerusalemme celeste, e a miriadi di angeli, all'assemblea festiva, alla chiesa dei primogeniti che sono iscritti nei cieli, a un Dio giudice universale, agli spiriti dei giusti che sono stati resi perfetti, a Gesù mediatore di un'alleanza nuova, e a un sangue purificatore più eloquente di quello di Abele» (Eb 12,22-24). La comunità di culto, soprattutto quando è riunita per celebrare l'eucaristia, parla il linguaggio dell'utopia: essa annuncia la realtà finale, fino a che essa venga (cf 1Cor 11,26). I fratelli riuniti attorno all'unica mensa sono l'immagine più trasparente del mondo nuovo che accende l'immaginazione degli uomini della speranza. L'orizzonte utopico è dunque saldamente impiantato in seno alla comunità cristiana. Nelle immagini bibliche dell'annuncio cristiano, nell'etica radicale e nel culto i credenti abitano già la perfetta città futura.

3. funzione dell'utopia nella vita spirituale

Abbiamo evidenziato la presenza di elementi utopici all'interno del cristianesimo, intendendo l'utopia come orientamento verso uno status di perfezione, evocato non dal pensiero raziocinante, ma piuttosto dall'immaginazione simbolica. Indichiamo ora qualche aspetto della molteplice incidenza di questa dimensione utopica nella vita spirituale. Essa garantisce, in primo luogo, una prospettiva dinamica alla persona e rende possibile un processo di sviluppo verso la piena maturità. Il ruolo dell'utopia religiosa non è quello di proporre modelli ideali all'imitazione letterale. L'utopia, qualunque sia la modalità concreta con cui agisce sull'individuo — mediante immagini, imperativi morali o vissuti cultuali — assicura piuttosto un orizzonte, reso concreto dal simbolo, che amplia le dimensioni del possibile.

La funzione del simbolo diventa più perspicua se consideriamo l'atteggiamento utopico dal punto di vista della psicologia genetica. Questa ci mostra come l'orizzonte che influisce sul comportamento vada progressivamente allargandosi con lo sviluppo psicologico. Osserva Kurt Lewin: «Durante lo sviluppo la sfera della dimensione del tempo psicologico dello spazio di vita aumenta da ore a giorni, mesi e anni. Il bambino vive in un immediato presente; con il crescere dell'età un passato e un futuro sempre più lontani influiscono sul comportamento presente» 9. Possiamo estendere l'osservazione dell'autorevole psicologo, considerando il mondo dell'utopia come il supremo orizzonte temporale — più precisamente, atemporale — che agisce sullo spazio di vita presente. In contrasto con i pregiudizi del positivismo scientista, che considera il pensiero immaginativo-simbolico come più primitivo e inadeguato, questo ci appare invece come caratteristica della persona pienamente sviluppata. Accediamo alla maturità spirituale quando il nostro comportamento è influenzato non solo dalla estrapolazione dei dati offerti dalla realtà presente, ma anche dai quadri composti dalle speranze e dai timori della specie umana. L'utopia è figlia della saggezza della maturità.

Anche a livello comunitario l'utopia agisce come un fermento dinamico. Ogni religione, se vuol sopravvivere, deve lasciare spazio alla novità carismatica per Utopia

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assicurarsi un periodico risveglio e controbilanciare la tendenza alla sclerosi. Di fatto, un filone di utopia comunitaria percorre tutta la storia del cristianesimo 10. Talvolta questi movimenti si sono riferiti ad attese millenaristiche e hanno tentato di instaurare già nel presente la città teocratica e la comunità dei perfetti. In qualche caso si sono avute degenerazioni; più spesso l'ispirazione utopica ha assunto cadenze mistiche. La funzione dei movimenti utopistici all'interno della chiesa è stata, in ogni caso, quella di mantenere vivo lo spirito, al di là della fedeltà alla lettera. Negli organismi religiosi, storicamente condizionati dai limiti della cultura in cui si incarnano e minacciati dall'irrigidimento istituzionale, la prospettiva utopico-carismatica assicura rinnovamento, impatto culturale, creatività.

In termini teologici, il promotore dell'utopia in seno alla comunità cristiana è lo Spirito santo. Secondo la promessa del Cristo, lo Spirito inviato da lui stesso e dal Padre guida i discepoli verso la pienezza della verità (cf Gv 16,13). Nessuno nella chiesa ha questa pienezza come un possesso statico. Essa si riflette poliedricamente nei carismi, così come il raggio di luce solare si rifrange nel prisma in un arcobaleno di colori, i vari doni sono talvolta polarmente contrapposti, mai riducibili l'uno all'altro. La storia della spiritualità cristiana è scandita da dibattiti sul rapporto tra vita contemplativa e vita attiva, amore di Dio e servizio del prossimo, fedeltà e dinamica del provvisorio, celibato e amore coniugale, distacco dal mondo e impegno per il mondo. Ogni sintesi dottrinale tende a privilegiare una prospettiva a detrimento delle altre. Ma lo Spirito non si lascia rinchiudere in nessuno schema. I carismi che egli suscita sono solo riflessi parziali della pienezza dell'Uomo nuovo, chiamato a vivere nella Comunità nuova.

Tener aperto un orizzonte utopico vuol dire, tra l'altro, non lasciarsi indurre a sintesi precoci. Come l'eternità si articola col tempo senza annullarlo, così gli ideali utopici si articolano con le soluzioni politiche parziali. La polarizzazione verso l'utopia non esclude il pluralismo. I progetti del razionalismo utopistico hanno talvolta caratteri fissisti (uniformità, dirigismo, istituzionalismo). L'utopia che nasce sul terreno dell'ispirazione religiosa non può, invece, far a meno della libertà. Ai discepoli del Cristo è promesso un avvenire così ricco che nessuna immagine concreta del presente lo può esaurire. Perciò possono rifiutare l'integralismo. In questo lo spirito di chiesa si distingue dallo spirito di setta.

Forse il senso e la funzione dell'utopia nella vita spirituale del cristiano possono essere compendiati nelle parole che Gesù, con un enigmatico sorriso saturo di cose future, rivolse a Natanaele: «Per averti detto che ti ho visto sotto il fico, tu credi? Vedrai cose più grandi di queste... In verità, in verità vi dico: vedrete il cielo aperto» (Gv 1,50ss). Lo sguardo fisso sulle cose più grandi e migliori, sui simboli del definitivo, è il segreto dell'utopia. Questo segreto è promesso ai discepoli di Cristo.

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Per la letteratura italiana su Utopia ricordiamo:

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NOTE

1 Cf M. Adriani, Utopia, in Enciclopedia delle Religioni, VI, Firenze 1970, 42-46

2 Tra le migliori opere di sintesi, cf W. Nigg, Das ewige Reich, Monaco 1930, tr. it. Milano 1947; N. Cohn, The Pursuit of Millennium, Londra 1957, tr. it. Milano 1965; R. Mucchiello, Le myte de la cité idéale, Parigi 1960

3 Cf E. Gilson, Les métamorphoses de la Cité de Dieu, Parigi-Lovanio 1952, trad. ital. Milano 1963

4 G. Durand, L'immaginazione simbolica, Roma 1977

5 R. Ruyer, La valeur religieuse des grandes anticipations, in L'Utopie et les Utopies, Parigi 1950, 285-289

6 L'espressione è di A. Peccei, La qualità umana, Milano 1976

7 Cf L. Cerfeaux, La Théologie de l'Eglise suivant st. Paul, nuova ed., Parigi 1965, 274, 310ss.

8 Cf R. Schnackenburg, Messaggio morale del Nuovo testamento, Alba, Edizioni Paoline 19712

9 K. LewinField theoty in social science, Nuova York 1951, 103

10 La migliore presentazione d'insieme di questi movimenti è quella offerta da R.A. Knox, Illuminati e carismatici, Bologna 1970.