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Sandro Spinsanti
Per una medicina più umana il reparto di psicosomatica clinica di Ulm
in Medicina e Morale
Fascicolo 2/1978, pp. 216-226
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PER UNA MEDICINA PIÙ’ UMANA
IL REPARTO DI PSICOSOMATICA CLINICA DI ULM
«Chi vuol essere malato al mondo?». Questa domanda, all’apparenza banale, eppur rivelatrice di una delle preoccupazioni esistenziali dominanti nella vita di ogni uomo, è stata presa dalla bocca di un muratore ricoverato per embolia polmonare nel reparto di medicina internistico-psicosomatica del policlinico universitario di Ulm (Repubblica federale tedesca). La frase serve come titolo al film-documentario («Wer will krank sein auf der Welt?») con cui il lavoro di questo reparto sperimentale è stato messo a conoscenza del più vasto pubblico. Al film, realizzato da Maximiliane Mainka e Peter Schubert, con la collaborazione scientifica di K. Köhle e C. Simmons, è arriso un successo iprevedibile. Insignito di un «Bundesfilmpreis», ha percorso non solo il circuito dei cine-club, ma anche quello delle normali sale da proiezione; di recente è stato anche trasmesso dal primo canale della televisione tedesca, in due puntate.
L’interesse suscitato dal film è molteplice. Per gli specialisti esso costituisce un notevole contributo alla discussione teorica sulla natura e i compiti della medicina psicosomatica. Per il grande pubblico è piuttosto la testimonianza che il grave malessere che regna nel campo dell’assistenza sanitaria può subire un’inversione di tendenza. Il film presenta, senza retorica né trionfalismo, un esperimento onesto e credibile per rimediare all’alienazione crescente che minaccia chi capita nei luoghi di cura. Da notare: nella stessa settimana in cui il film veniva mostrato alla televisione, l’autorevole settimanale «Der Spiegel» si presentava nelle edicole annunciando in copertina un’inchiesta sugli ospedali tedeschi, il cui stato veniva riassunto nella frase:
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«costosi, moderni, ma senz’anima». L’attualità del tema non è minore in Italia. La conoscenza dell’esperimento di Ulm. potrà forse contribuire a portare nel dibattito lo stimolo delle realizzazioni concrete, più convincenti delle migliori teorie.
Abbiamo ricavato le informazioni, oltre che dal film, dalla letteratura esistente sull'argomento 1. Ulteriori informazioni dobbiamo inoltre a contatti personali con i responsabili del reparto, a seguito di una visita al policlinico universitario di Ulm.
1. La psicosomatica clinica secondo il progetto di Ulm
La legittimità di un approccio psicosomatico della malattia non corre pericolo di essere contestata, in linea di principio. Nessun medico dichiarerà falsa o superflua una considerazione del malato che intenda esplicitare l’incidenza degli elementi psicologici sull’origine e lo sviluppo della malattia. Ma tra questa convinzione generale e la pratica medica quotidiana si apre un abisso tale, che da molti il trattamento psicosomatico è considerato come un’utopia o un pio desiderio. La medicina scientifico-tecnologica si muove nella direzione opposta a quella auspicata dalla medicina psicosomatica. Il sapere medico tende alla specializzazione («to know more and more about less and less»); l’azione terapeutica è centrata sulla malattia, non sul malato; in pratica, il malato è ridotto alla funzione di portatore di organi malati, senza che l’elemento personale abbia una rilevanza né nel momento diagnostico, né in quello terapeutico. Anche là dove sono stati intrapresi tentativi per dare un riscontro operativo alle conoscenze acquisite in campo psicosomatico, ciò è avvenuto per lo più nel contesto della tendenza generale alla settorializzazione, come un’ulteriore suddivisione specialistica. Al medico competente nei processi organici è stato affiancato quello addetto alla psiche e ai suoi conflitti. La medicina psicosomatica è stata considerata come un’ulteriore
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disciplina speciale, addetta ai casi in cui il disordine organico può essere fatto risalire a una causa psichica (dalle nevrosi d’organo fino all’asma bronchiale e alle ulcere gastriche). Il trattamento psico- somatico ha assunto allora la fisionomia di un servizio di consulenza nel corso del quale alcuni specialisti — i medici clinici — ricorrono all’aiuto di altri specialisti — medici psicosomatici, psichiatri o psicoterapeuti —. I tentativi di fare medicina psicosomatica nel senso della consulenza hanno dati risultati per lo più insoddisfacenti. Il trattamento psicosomatico in reparti riservati a malati psicosomatici in senso stretto si riduce a istituzionalizzare la collaborazione tra medici che parlano linguaggi differenti. Inoltre, con l’aggiunta della specializzazione psichiatrica alla specializzazione internistica va perso il principio stesso ispiratore della psicosomatica clinica, che cioè il trattamento sia rivolto contemporaneamente ai due versanti del processo morboso, quello somatico e quello psichico, magari ad opera dello stesso medico.
Anche ad Ulm si è tentato, in una prima fase del progetto, di realizzare una psicosomatica nel senso della consulenza da parte di alcuni esperti. I pazienti che venivano inviati a questo servizio, selezionati da internisti con criteri del tutto indipendenti da quelli della psicosomatica, erano trattati con tecniche psicoterapeutiche. Ben presto però ci si è resi conto dei limiti dell’approccio specialistico, in cui i metodi della medicina psicosomatica erano semplicemente aggiunti a quelli delle altre specializzazioni cliniche, senza lo sviluppo di forme di collaborazione diverse. Si sentiva soprattutto la necessità di creare le strutture istituzionali e gli strumenti per formare il personale ospedaliero: senza questi presupposti non si poteva pensare a una vera psicosomatica clinica, nel senso di un trattamento psicosomatico pienamente integrato nella medicina internistica. Mentre la medicina ufficiale considera ancora la psicosomatica in contrapposizione al trattamento somatico, il gruppo di Ulm intendeva unificare queste due concezioni della medicina, proponendo una psicosomatica che consideri contemporaneamente la dimensione somatica e quella psicodinamica della malattia.
Questa nota informativa non è il luogo adatto per sviluppare una discussione sul back-ground dottrinale dell’esperimento di Ulm.
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Basti un fugace accenno al fatto che, per motivi storici, esistono in Germania due tendenze nella psicosomatica. Una, che ha il suo entroterra nella psichiatria-psicoterapia, vede il proprio compito nella cura psicoterapeutica specializzata di pazienti con disturbi funzionali; l’altra, rappresentata da medici clinici aperti alla dimensione psichica della malattia, intende portare l’approccio psicosomatico nel trattamento internistico. L’esponente più rappresentativo di questa seconda tendenza è Viktor von Weizsäcker, la cui riflessione è fortemente presente agli iniziatori dell’esperimento di Ulm. La paternità dell’iniziativa risale a Thure von Uexküll, il quale non nasconde la sua esplicita consonanza con l’orientamento di von Weizsäcker e della corrente nota come «medicina antropologica». L’illustre clinico partecipò all’elaborazione di una riforma della facoltà di medicina in occasione della fondazione dell’università di Ulm del 1967. Il progetto rimase però sulla carta. Si poté giungere solo al compromesso della fondazione di una sezione di medicina interna e psicosomatica (Abteilung lnnere Medizin und Psychosomatik) nell’ambito del dipartimento di medicina interna. Il compito che si intendeva affidare alla psicosomatica era quello integrativo, nel senso di provocare la collaborazione quotidiana dei diversi specialisti operanti in campo clinico. In questa fase del progetto gli psicosomatici avevano una funzione prevalente di consulenza nei diversi reparti per casi che dagli internisti venivano considerati di competenza dello psicosomatico. In un bilancio di quella fase dell’esperimento coloro che lo avevano condotto si sono espressi molto criticamente. L’uso soltanto addizionale della psicosomatica non ha portato l’effetto sperato, né per i pazienti, né per i colleghi degli altri reparti. Agli psicosomatici mancava un ambito di lavoro comune, paragonabile a un «laboratorio». Il passo successivo fu la creazione, nel 1972, di uno speciale reparto (internistisch-psychosomatische Station), dotato di 15 letti. Dopo il ritiro in pensione di von Uexküll, la responsabilità del reparto è stata assunta dal prof. Karl Köhle, che lo dirige attualmente.
Questo reparto è il «laboratorio» della psicosomatica clinica come la concepisce il gruppo di Ulm. I compiti che si propone sono molteplici. Vuol rendere visibili e controllabili i numerosi fattori psicosociali che intervengono in una malattia e trarne le debite
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conseguenze. Intende essere il luogo in cui sperimentare le trasformazioni istituzionali necessarie per un trattamento orientato alla persona del malato. Si propone di agevolare uno scambio diretto di informazione e di collaborazione tra tutti i membri dell’équipe sanitaria. Soprattutto intende fornire agli studenti di medicina che fanno la loro pratica clinica nel policlinico la possibilità di acquisire fin dall’inizio un diverso atteggiamento verso il malato. La psicosomatica diventa così non un bel fronzolo appiccicato alla formazione medica di stampo naturalistico-tecnologico, ma il normale trattamento medico che tiene conto di essere rivolto a una persona umana.
2. Il quadro organizzativo
Prima di passare a presentare gli orientamenti di fondo e gli strumenti organizzativi caratteristici dell’esperimento di Ulm, è opportuno richiamare che la psicosomatica clinica a cui il progetto si ispira estende il suo interesse a tutta la complessa interrelazione tra il malato e il suo ambiente. Analiticamente, un approccio psicosomatico comprende:
a) la ricerca sulla patogenesi. In questo ambito gli influssi dell’ambiente includono anche le relazioni umane, che hanno un’importanza decisiva sull’origine e il decorso della malattia;
b) il processo d’adattamento, che porta la persona colpita a reagire ai problemi psichici e sociali che gli pone la malattia. L’arco dei problemi qui si estende da quelli intrapsichici (per es. ansia e depressione nei cardiopatici, processo del cordoglio nei colpiti da malattie mortali) a quelli familiari (cambiamento di ruoli) e professionali (riabilitazione).
c) il comportamento del malato in rapporto alle esigenze e alle trasformazioni della sua vita provocate dalla cura della malattia. Un aspetto particolare è costituito dalla qualità del legame terapeutico, da cui dipende se il malato si comporta attivamente o passivamente. L’informazione del paziente è un ulteriore problema di competenza della psicosomatica clinica.
Se la psicosomatica clinica assume questa ampiezza, diventa adatta al trattamento di qualsiasi ammalato, non solo di quelli che
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rientrano nel quadro morboso specifico delle cosiddette «malattie psicosomatiche». I pazienti che occupano i letti del reparto psicosomatico di Ulm sono dei malati gravi dal punto di vista internistico, in generale. Statisticamente risulta che le malattie organiche rappresentano il 76% dei ricoverati in un anno, mentre le «malattie psicosomatiche» appena il 10%. I malati che, a titolo esemplare, vengono presentati nel film, vanno da una malata di cancro in fase terminale a uno colpito da embolia polmonare, da un cardiaco che deve essere dotato di un pace-maker a un... cardionevrotico. Gli psicosomatici di Ulm si confrontano, dunque, prevalentemente con malati organici. In questo senso il loro modello sperimentale si differenzia notevolmente da tentativi analoghi, noti dalla letteratura, orientati piuttosto a compiti psicoterapeutici, nell’ambito di una psicosomatica intesa come consulenza specialistica.
La psicosomatica clinica mira a rendere il paziente protagonista attivo del processo terapeutico, partner dell’équipe curante. La terapia è strutturalmente centrata sul paziente, più che sulla malattia. Proprio perché la malattia non acquista senso e rilievo se non quando tutte le sue dimensioni in quanto fenomeno umano sono messe in luce, bisogna che il malato prenda la parola. I suoi vissuti e impressioni soggettive sono altrettanto rilevanti scientificamente quanto i dati «oggettivi» delle analisi fisiche e chimiche. Secondo la concezione di von Weizsäcker, la malattia è un frammento di storia personale. È necessario che colui che l’ha scritta se ne riappropri per gestirla con responsabilità: ciò è essenziale anzitutto per l’efficacia stessa del trattamento terapeutico.
Ad Ulm il diritto alla parola viene esteso a tutti i malati, comprese quelle categorie che nella prassi corrente sono costrette al mutismo. Anche i limiti delle possibilità terapeutiche e l’incombere della fine vengono comunicati ai pazienti che vogliono essere illuminati sulla propria condizione. Per quanto riguarda i malati in fase terminale, nella corsia sperimentale sono stati accolti con attenzione i lavori che Elisabeth Kübler-Ross ha dedicato al processo psicologico» del morire 2. Nella pratica quotidiana i risultati della ricercatrice sono
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stati confermati: i malati che hanno la possibilità di verbalizzare le proprie ansie circa la morte vivono il trapasso meno angosciosamente di quanti non riescono ad infrangere il senso di silenzio che li opprime.
Il trattamento centrato sul paziente comporta inoltre un ripensamento della distribuzione abituale dei ruoli nell’ambiente ospedaliero. Alla diade medico-paziente ad Ulm si è sostituita una complessa rete di rapporti, il cui filone centrale è costituito dall’équipe sanitaria. Non si tratta solo di un allargamento numerico dell’organico, che ha portato ad aggiungere al personale medico ed infermieristico abitualmente in pianta stabile nel reparto un medico psicosomatico, uno psicologo, un’assistente sociale, una fisioterapista e un cappellano. È avvenuta anche una ristrutturazione dei ruoli. Una funzione di primo piano è stata riconosciuta alle infermiere, che tra tutto il personale curante sono le più vicine ai bisogni tanto emotivi che corporei del paziente. Incontriamo così la figura della «infermiera psicosomatica», alla cui formazione si è dedicato ad Ulm la cura principale. Nel corso dell’elaborazione del progetto, di cui sopra abbiamo ripercorso le fasi principali, è emerso che una terapia psicosomatica centrata sul paziente non poteva realizzarsi senza la cooperazione tra i medici e il settore infermieristico. A quest’ultimo spetta un ruolo decisivo nella percezione del paziente come individuo, in ordine all’introduzione dei suoi speciali bisogni nel piano diagnostico-terapeutico. Nel reparto psicosomatico di Ulm l’infermiera fa parte integrante, insieme all’altro personale specialistico, dell’équipe. I compiti delle infermiere non si limitano più alla funzione intermediaria di eseguire le prescrizioni del medico e di trasmettere a questi informazioni sullo stato del malato. L’interazione tra infermiera e malato diventa un momento centrale nel processo terapeutico. A questo fine è necessario occuparsi della formazione del personale, senza trascurare di introdursi nello arduo campo dei conflitti consci e inconsci che possono derivare dai rapporti personali. Ciò che nella prassi ospedaliera si richiede dall’infermiera è una benevolenza a getto continuo. Il ruolo che le attribuisce invece un trattamento psicosomatico, mettendola a contatto personale diretto col malato, non può essere svolto senza un complesso coinvolgimento emotivo. La revisione dei ruoli non può fare a
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meno di nuove forme organizzative, che si distanzino dalla rigida strutturazione gerarchica tradizionale nell’ambiente ospedaliero.
3. Nuove forme di cooperazione e comunicazione
Gli orientamenti di fondo si sono tradotti in alcune innovazioni nel decorso abituale della vita in ospedale. Una delle più tipiche è il colloquio che ha luogo quando il malato viene assunto nel reparto. Non si tratta dell’anamnesi medica, che di solito viene raccolta con l’aiuto di un formulario, ma di un vero colloquio informale condotto da un’infermiera. Il nuovo venuto nel reparto è accolto come persona, non semplicemente registrato come oggetto destinato a ricevere un trattamento medico. Mentre di solito l’infermiera si dà subito da fare misurando la temperatura o la pressione, ad Ulm invece prende tempo per cercare di vedere la situazione con gli occhi del paziente, per lo più smarrito in una situazione insolita, e informarsi sui suoi bisogni. Gli argomenti di questo primo colloquio («Erstgespräch») tendono a far emergere le impressioni soggettive del paziente: da dove sente di essere malato; che cosa significa per lui l’essere uscito dalla sua vita abituale; che cosa si aspetta dall’ospedale. Un particolare interesse viene rivolto alle rappresentazioni e fantasie del paziente circa le trasformazioni fisiche prodotte dalla malattia («anatomia e fisiologia soggettive»): anche se oggettivamente false, possono essere della più grande importanza per capire il vissuto emotivo del paziente.
Il risultato del primo colloquio viene riferito dall’infermiera nell’incontro mattutino con cui comincia il lavoro giornaliero dell’équipe. Nell’incontro, che dura circa una mezz’ora, vengono formulate le prime ipotesi provvisorie sui problemi psicosociali dei nuovi pazienti e si discutono eventuali problemi attuali di altri pazienti del reparto. Poi ha luogo la visita, per la durata di un paio d’ore.
La visita quotidiana al letto del malato, a cui partecipa tutta l’équipe, è il momento principale della giornata in reparto. Ad Ulm lo sforzo innovativo ha avuto un esito particolarmente felice quando si è applicato a dare un volto nuovo alla visita. Di solito negli ospedali quasi tutto il tempo viene dedicato alla visita in senso
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clinico, mentre il paziente in quanto persona è completamente trascurato. I medici parlano tra di loro, come esperti, sul malato, non al malato. Nel reparto psicosomatico, invece, la visita è diretta principalmente al malato in quanto persona. Allora diventa «terapeutica» anche in senso psicologico, in quanto offre al paziente l’opportunità di formulare le sue domande, di esprimere le sue aspettative e di partecipare attivamente al processo diagnostico e terapeutico. E attraverso una visita di questo tipo il medico può accostare il malato negli atteggiamenti emotivi che egli sviluppa in risposta alla malattia: ansia, depressione, rabbia, delusione; in particolare può partecipare al «travaglio del cordoglio» del malato grave. Questa funzione di comunicazione verbale non è riservata ad Ulm ad uno «specialista dell’anima», ma — secondo i principi della psicosomatica clinica sopra esposti — è assicurata dal medico che si occupa del trattamento somatico. Durante la visita è lui che, seduto sulla sponda del letto, dialoga col malato, mentre gli altri membri dell’équipe presenti nella camera rimangono piuttosto sullo sfondo. Lo scambio di informazioni all’interno dell’équipe avviene fuori della porta della camera del malato, in un breve colloquio prima e dopo la visita. La visita stessa risulta così strutturalmente suddivisa in tre parti.
Nell’ambito di questo progetto sperimentale si è cercato di controllare scientificamente i risultati della ristrutturazione della visita. Come termine di confronto sono state usate le indagini del sociologo della medicina Johannes Siegrist, che ha pubblicato degli studi molto interessanti sul comportamento verbale dei medici durante la visita. Nel caso di malati gravi con prognosi infausta il 92% dei medici «normali» elude la richiesta d’informazione, mentre di fronte a malati non gravi solo il 25% reagisce «asimmetricamente». Una ricerca svolta da Friedrich Witfeld nel reparto sperimentale ha dato dei risultati sensibilmente diversi: in rapporto ai dati raccolti da Siegrist sul contatto medico-paziente, ad Ulm si parla tre volte di più che nelle altre cliniche, i pazienti prendono la parola tanto spesso quanto i medici, e i medici rispondono sette volte di più a domande dirette del paziente. Nel reparto psicosomatico, inoltre, anche nei casi gravi i medici molto più raramente (55%) hanno evitato di dare l’informazione richiesta.
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Un’altra innovazione degna di nota è la riunione di reparto che si tiene una volta per settimana per discutere un caso singolo, scelto tra i pazienti particolarmente problematici. Questa prassi è analoga a quella elaborata da Balint per i gruppi che portano il suo nome. Il punto di partenza è costituito dalla discussione della propria esperienza emotiva nel rapporto col malato: ognuno si comporta diversamente e quindi percepisce anche diversamente il malato. La riunione settimanale serve inoltre a confrontarsi con le tensioni che sorgono all’interno dell’équipe e a favorire una più intensa comunicazione tra tutti i collaboratori. Grazie a questo tipo di riunioni, prende forma a poco a poco un linguaggio comune in cui tutti, dai medici alle infermiere, possano intendersi. Questa, secondo l’esperienza del gruppo di Ulm, è una delle difficoltà maggiori incontrate nel dar vita a un reparto di psicosomatica clinica.
Un accenno, infine, all’integrazione del lavoro pastorale nel trattamento centrato sul paziente. La possibilità che medico e cappellano lavorino l’uno contro l’altro, — o quanto meno l’uno accanto all’altro, senza rapporto reciproco, il «conforto» del cappellano facendo seguito alla visita del medico —, non è molto remota nella normale vita ospedaliera. Nel reparto psicosomatico di Ulm non c’è né guerra fredda, né condizione di buon vicinato; molto di più: il cappellano è stato integrato a pieno diritto nell’équipe. Ne è risultata una cooperazione utile tanto per il trattamento terapeutico che per la pastorale stessa; ma soprattutto vantaggiosa per il malato, ancora una volta assunto nell’integralità dei suoi bisogni.
Anche in questo settore il pensiero di von Weizsäcker offre una solida base teoretica alle innovazioni pratiche. Suo progetto era l’abbandono del classico rapporto soggetto-oggetto e l’introduzione del soggetto nella medicina; e nel soggetto come egli lo concepiva la dimensione spirituale non era un accessorio facoltativo. Secondo von Weizsäcker, e la medicina antropologica che a lui si ispira, la malattia può essere una «rappresentazione» di conflitti psicosociali e biografici dell’individuo, compresi quelli che hanno radici nella sfera etica e religiosa. «La vita non vissuta è attiva» ed emerge nelle crisi esistenziali, specie nelle malattie: è una tesi centrale di von Weizsäcker. La dialettica tra vita vissuta e non vissuta si acuisce quando
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emergono all’orizzonte i sensi di colpa, la questione della realizzazione o fallimento nel senso che si voleva dare alla propria vita, il confronto dell’uomo con la morte e con la trascendenza. Quando nella situazione terapeutica si introduce un quadro antropologico più ampio, in cui anche questi problemi umani possano venire alla luce, la cooperazione tra medicina e pastorale per la soluzione dei conflitti vitali diventa ovvia. Per far posto alla pastorale la medicina non ha bisogno di diventare confessionale: basta che combatta contro la «reificazione» dell’uomo, come tutti coloro che hanno scelto l’uomo come «uomo» e non come «cosa».
Ci piace concludere la presentazione del progetto sperimentale di Ulm con questo accenno di ordine dottrinale. Ciò che rende così degno di attenzione questo tentativo di fondare una psicosomatica clinica non sono in primo luogo le innovazioni istituzionali e organizzative, quanto piuttosto la sensibilità per un’antropologia allargata, che costituisca la base per una pratica medica alternativa. Una medicina più «umana» non è quella dotata di un maggior numero di buoni sentimenti, ma quella più ricca in senso antropologico. Ulm non ci propone un modello da copiare, ma uno stimolo ad essere creativi a partire dalla visione dell’uomo integrale che ci è propria.
1 Köhle K., Böck D. e Grauhan A. (1977), Die internistich-psychosomatische Krankenstation, Ed. Rocom, Basel. Il volume è presentato come un «rapporto di laboratorio»: si tratta di un’esauriente relazione redatta dagli stessi protagonisti dell’iniziativa. Stössel J.P., Mehr Hitiwendung und Zeit für den Patienten. Bild der Wissenschaft, 2 (1978) 66.
2 Spinsanti S. (1976), Psicologi incontro ai morenti. Med. e Mor., 1/2, pag. 79.