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- Antropologia cristiana
- L'etica cristiana della malattia
- Il linguaggio del corpo nella comunicazione rituale
- Gli animali nell'orizzonte della bioetica
- Gesù psicoterapeuta
- I concetti fondamentali della teologia spirituale
- Artista
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- Utopia
- Revisione di vita
- Modelli spirituali
- Quel filo imprevedibile
- Chiesa ubriaca o chiesa ispirata?
- I compagni scomodi dell'uomo-massa
- La chiesa anno zero: i primi tre giorni
- Gli stati di vita: vecchie e nuove prospettive
- Bioetica per la promozione della vita
- In cammino oltre il senso di colpa
- In cammino oltre il senso di colpa - conclusione
- La fede guarisce?
- Spiritualità nella malattia
- Irruzione di Dio
- Oltre il dualismo soma-psiche
- Psicologia del pellegrinaggio
- Proposta di lettura «transazionale» del vangelo
- Una nuova concezione dell'assistenza spirituale
- Digiunare oggi: come e perchè
Sandro Spinsanti
PSICOLOGIA DEL PELLEGRINAGGIO
in V. Bo - G. Bolgiani - L. Dani - R. De Zan - S. Sarti - L. Sartori - S. Spinsanti - A.N. Terrin
Pellegrinaggio e religiosità popolare, a cura di Luigi Sartori
EMP Padova 1983
pp. 114-125
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1. Il pellegrinaggio visto dalle scienze dell’uomo
Estraneità e frustrazione: sono i poli più probabili tra i quali oscillerebbe l’animo di un pellegrino che leggesse una qualsiasi analisi "scientifica" del suo pellegrinaggio vissuto. Anche nel caso in cui lo scienziato sociale che si dedica ad analizzare il fenomeno sia il più empatico che si possa immaginare, e la sua analisi non risulti sostanzialmente inficiata da nessun riduttivismo, il pellegrino non vi troverebbe la riproduzione esatta della sua esperienza. Tra il pellegrinaggio vissuto e il pellegrinaggio pensato sussiste uno iato necessariamente incolmabile. Eppure, nonostante qualsiasi ammissione di inadeguatezza, non ci si può dispensare dal pensare criticamente i fenomeni socio-culturali, compresi quelli religiosi. La critica non è di per sé demolizione, ma discernimento. Essa viene dopo l’ingenuità, e precede spesso una "ingenuità seconda", la quale permette di recuperare tutta la ricchezza esistenziale dei fenomeni umani, che sembrava irrimediabilmente persa appena subentrata l’indagine critica.
Quali fenomeni prendere in considerazione? È la prima questione. L’uso linguistico corrente chiama "pellegrinaggio" comportamenti ed esperienze diverse e difficilmente riconducibili a un denominatore comune. Una preliminare indagine semantica ci permetterà di scegliere tra le diverse forme di pellegrinaggio quelle a cui vogliamo rivolgere la nostra attenzione
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critica; al tempo stesso evidenzierà le numerose risonanze che il termine veicola.
Nell’uso linguistico corrente s’intende per pellegrinaggio qualsiasi viaggio deliberato verso una meta. Si può, individualmente, fare un pellegrinaggio alla casa natale di un personaggio famoso (quanti psicoanalisti hanno iscritto nell’agenda degli obblighi morali da assolvere prima di morire un pellegrinaggio a Vienna, Berggasse 19, dove ha abitato Freud...!). Ma ancor più si fanno pellegrinaggi di gruppo, e sempre più spesso di massa. Non c’è giornalista che abbia resistito alla tentazione di chiamare pellegrinaggio la visita di migliaia di turisti e curiosi ai bronzi di Riace. Milioni di persone pellegrinano ogni anno al mausoleo di Lenin al Cremlino, cosi come milioni di viaggiatori hanno pellegrinato recentemente da un luogo storico all’altro degli Stati Uniti nel bicentenario dell’indipendenza.
Un secondo significato traslato del termine, al polo opposto dell’uso appena descritto, è quello che chiama pellegrinaggio la vita dell’uomo in quanto tale. Il modello storico letterario che più ha influito su questo uso è The Pilgrim’s Progress di John Bunyan, il simbolo stesso del puritanesimo intransigente. Raccogliendo e sviluppando un tema già presente negli scritti biblici, ha divulgato un’immagine simbolica della vita che è entrata nel linguaggio comune: la vita su questa terra è un pellegrinaggio pieno di pericoli, difficoltà e tentazioni, ma che conduce alla città celeste 1.
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L’uso linguistico, proprio e traslato, realistico e simbolico, fa emergere all’interno del pellegrinaggio una duplice dialettica: esterno/interno, sacro/secolare. Le questioni preliminari, che orientano l’indagine critica, si accumulano: il pellegrinaggio esteriore è solo una forma più primitiva, che raggiunge il suo vero significato solo quando è interiorizzato? Ovvero: il pellegrinaggio fatto a piedi è solo un’immagine grossolana di quello fatto con la mente? L’"ascendere al monte del Signore" è una realizzazione più primitiva del vero cammino spirituale, che consiste nell’assumere la propria responsabilità etica? Il pellegrinaggio è un universale culturale, che sopravvive al tramonto del sacro e che riemerge sempre quando un viaggio deliberato si propone di esprimere i valori più profondi del viaggiatore? 2.
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Un ulteriore problema di fondo che si pone allo studioso del comportamento umano è quello dell’interpretazione del comportamento stesso. Quando si vuol capire il significato di un fenomeno sociale, il riferimento alla soggettività dell’agente non può essere un criterio sufficiente per lo studioso. Le intenzioni esplicite dell’agente non bastano a rendere conto del fenomeno. Ci sono, infatti, significati che sfuggono alla coscienza individuale. Soprattutto quando abbiamo a che fare con un fenomeno come il pellegrinaggio, che può essere ricondotto a quei comportamenti che M. Mauss ha chiamato fait social total. La fenomenologia del pellegrinaggio rileva che il rito religioso è solo parte di un tutto in cui si mescolano mercato, convivialità, turismo, evento ludico. Se, dunque, il pellegrinaggio denota propriamente un atto religioso, in senso connotativo, ovvero in obliquo, include una pluralità di altri significati che possono non essere presenti nell’intenzione cosciente di coloro che vi partecipano.
Le scienze dell’uomo si assumono il compito di far emergere l’uno o l’altro di tali significati. La sociologia e la storia, in particolare, hanno contribuito a illuminare le dimensioni economiche e commerciali dei pellegrinaggi, quella nazionalistica (valga per tutti il ruolo del pellegrinaggio al santuario di Czestochowa, per rafforzare l’identità nazionale polacca), quella socio-culturale. Alcuni studiosi, ad esempio, interpretano il ritorno di masse popolari alla prassi religiosa tradizionale — pellegrinaggi, processioni, culto di santi locali, ecc. — come un grido di protesta della dignità dell’uomo offesa nella società postindustriale.
L’ermeneutica del pellegrinaggio è condizionata dallo schema interpretativo che si usa. Nessuno schema è di per sé illegittimo, purché non si persegua un progetto riduzionistico (del tipo: «il pellegrinaggio non è altro che...»), volto a evacuare aprioristicamente il significato religioso. Possiamo quindi fare affermazioni sul pellegrinaggio che prescindono dagli schemi interpretativi dei partecipanti stessi, senza che per questo la nostra comprensione di questo comportamento costituisca un’abusiva
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intrusione o una manipolazione del pellegrinaggio vissuto.
L’intenzione del pellegrino e il significato soggettivo che attribuisce al suo gesto possono essere considerati dagli studiosi delle scienze umane con dubbio sistematico. Le scienze devono circoscrivere l’esperienza religiosa, cercando di ricondurla alle categorie che ciascuna ha assunto per rendere conto della realtà. Tuttavia, se lo schema interpretativo è troppo lontano da quello del protagonista, lo studioso rischia di inquinare lo studio dei fenomeni sociali con la propria preoccupazione, e talvolta con i propri pregiudizi.
L’ermeneutica del pellegrinaggio non può partire da una precomprensione che escluda sistematicamente il significato religioso. La coscienza del pellegrino rischia di essere violata dal positivismo dello studioso, il quale, se non riesce a vedere al di là delle proprie ipotesi, dovrebbe piuttosto rimproverare a se stesso di non aver occhi per vedere. Il metodo che rispetta sia lo statuto epistemologico delle scienze umane, sia la realtà dei fenomeni presi in esame, è quello fenomenologico. Ad esso ci sembra di restar fedeli nel nostro approccio, che si propone di comprendere il pellegrinaggio adottando come punto di vista l’analogia strutturale tra il dinamismo interiore del pellegrinaggio e il processo psicoterapeutico.
2. Potenza e cambiamento
L’analisi fenomenologica riconosce nel pellegrinaggio un evento globalizzante (Gesamt - Geschehen), che rappresenta simbolicamente la situazione dell’uomo sotto la Gestalt del cammino 3. Il cammino è indirizzato a una meta, che si presenta
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come un luogo in cui risiede, o si manifesta, la potenza sacrale. L’incontro con la potenza, rinnovabile ma ogni volta straordinario, produce una mutazione positiva, spesso intesa come lo scopo esplicito del pellegrinaggio. Il cambiamento va riferito a uno stato di necessità, in cui il pellegrino stesso, o qualcun altro a cui è legato da particolari legami, viene a trovarsi. Dalla malattia all’angustia spirituale, uno spettro ampio e diversificato di motivazioni può spingere a mettersi in pellegrinaggio.
Se si accetta la teoria di Maslow relativa alla stratificazione gerarchica dei bisogni 4, si può più facilmente ricondurre nell’area dello spirituale anche motivazioni che gravitano molto lontano dai bisogni superiori, che si è soliti qualificare come auto-realizzativi in senso spirituale. Non si può, infatti, accedere ai bisogni superiori, se prima non vengono adeguatamente appagati quelli inferiori. E il bisogno della sicurezza e della salute è appunto uno di questi.
Il pellegrinaggio terapeutico, in tutta la vastità e la frequenza simbolica della terapia, è diventato oggi la forma più comune dell’atto di pellegrinare 5. Il pellegrinaggio equivale, in sostanza,
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alla ricerca di una "medicazione", a diversi livelli: salute fisica, equilibrio personale o familiare, vita spirituale. Dall’incontro con la potenza ci si attende un effetto generico di medicazione estesa all’uomo intero.
Il pellegrinaggio sortisce effetti terapeutici anche quando non avviene niente di miracoloso. Il miracolo, soprattutto se inteso in senso strettamente apologetico, è un’evenienza straordinaria. Solo l’osservatore che abbia una precomprensione riduttiva della portata terapeutica del pellegrinaggio può stupirsi del fatto che l’assenza di miracolo non scoraggia il pellegrino e non vanifica l’esito del pellegrinaggio.
Attraverso quali dinamismi avviene il cambiamento che il pellegrino riconoscerà poi come "grazia ricevuta"? Un primo asse è quello che passa attraverso il rimescolamento energetico prodotto dall’insieme di vissuti di cui il pellegrinaggio è costituito. Il più emergente è l’abolizione temporanea della suddivisione tra quotidiano e festivo. Il pellegrinaggio comporta l’ingresso in un’area spazio-temporale eccezionale, in cui vengono momentaneamente sospese le pratiche e i ruoli del vivere quotidiano. Nel rimescolamento i due aspetti della vita trapassano abbondantemente l’uno nell’altro: il quotidiano (i problemi individuali e collettivi, preoccupazioni per la salute, angustie e pene di ogni genere) viene portato nel santuario, sede della potenza, e il festivo viene riportato a casa. I ricordini, regali («A ... andai, a te pensai»), oggetti di devozione e le innumerevoli cianfrusaglie di gusto marcatamente kitsch, hanno proprio la funzione di simboleggiare il sacro festivo, che viene a permeare il quotidiano.
È l’insieme dell’esistenza che viene ristrutturato, quando la festa emerge gestalticamente come figura e il quotidiano recede sullo sfondo. Ne segue che la festa è parte essenziale del pellegrinaggio.
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Il pasto abbondante e ben curato, le libagioni copiose, il gioco, le intemperanze verbali e simili, sono tutti aspetti della dimensione ludica del pellegrinaggio. Di qui l’ostilità dichiarata al pellegrinaggio nelle culture a impronta puritana. La festa crea un surplus vitale, un’euforia, una ricarica, interpretata come un travaso di potenza proveniente dalla fonte sacrale incontrata.
Il secondo asse del cambiamento èla costituzione temporanea di una particolare comunità: la comunità di pellegrinaggio. Perché il pellegrinaggio non è mai un fatto individuale. Anche quando di fatto non si viaggia insieme — nella cavalcata comune dei Racconti di Canterbury o in un "treno bianco" con destinazione Lourdes — il pellegrinaggio è sempre un fenomeno collettivo. Non è l’individuo che sceglie la meta e stabilisce, di sua iniziativa, le regole del pellegrinaggio. Anche il pellegrino solitario partecipa di un flusso di altri pellegrini che hanno eletto il luogo sacro e ne hanno moltiplicato la potenza. La società pellegrina è un luogo di unione in cui si confondono le differenze e si stabilisce un legame che richiama lontanamente quello della comunità iniziatica (in passato i pellegrini amavano portare simboli visibili della loro esperienza di pellegrinaggio, come la conchiglia di San Giacomo di Compostela; tuttora i pellegrini in Terra Santa ricevono un attestato che comprova la loro peregrinazione). Vi può emergere anche un modello alternativo di esistenza sociale 6. Il gruppo, in ogni caso, moltiplica la potenza e diventa la fonte di un’energia collettiva.
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3. Il pellegrinaggio: una "psicoterapia" popolare?
Vogliamo iniziare a tracciare le coordinate psicologiche che fanno rassomigliare il pellegrinaggio a una psicoterapia partendo dal verbo proprio del pellegrinare: "uscire". Il pellegrino "esce in pellegrinaggio". Il verbo fa ovviamente riferimento al fatto che i santuari meta di pellegrinaggio, presso tutte le religioni, sono generalmente ubicati al di fuori delle città o di altre unità territoriali ben demarcate. Essendo il santuario decentrato, lo si può raggiungere solamente mettendosi in cammino verso di esso.
Al decentramento topografico fa riscontro una perifericità socio-culturale. Sociologicamente, infatti, il pellegrinaggio va classificato tra i comportamenti istituzionali che godano della "liminalità" propria dei riti di passaggio 7. Svincola, infatti, dalla struttura mondana e introduce nella dimensione sacro-soprannaturale. Più propriamente, il pellegrinaggio si configura come un movimento da un centro mondano a una periferia sacra, la quale diventa centrale per l’individuo, una specie di axis mundi della sua fede e della sua esistenza.
Altri aspetti della liminalità sociologica del pellegrinaggio: omogeneizza lo status dei partecipanti (durante il pellegrinaggio
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si stempera la struttura gerarchica delle istituzioni religiose; ai ministri del culto è riservato un ruolo molto meno evidenziato rispetto a quello che vige in condizioni di staticità istituzionale; religiosi e laici tendono ad essere uniformati nello status di pellegrini); semplifica le regole di abito e di comportamento; attualizza una comunità provvisoria, sia durante il viaggio stesso che alla meta.
La liminalità sociologica si ripercuote anche su quella psicologica? È l’ipotesi su cui costruiamo la nostra lettura psicologica del pellegrinaggio. Il cammino, che è la parte eminentemente sacrale del pellegrinaggio, svolge la funzione di atto simbolico reale, in cui il significato eccedente è colto direttamente nell’azione. Le implicazioni psicologiche dell’"uscire" sono profonde: mentre lo spazio quotidiano si destruttura, si esce al tempo stesso dal quadro della vita quotidiana. Emergono potenzialità implicite, con un processo che assomiglia a quello che si avvia quando si affronta una psicoterapia.
Il gioco spaziale è indispensabile per cogliere il lavoro psicologico implicito nel pellegrinaggio. Il superamento delle barriere spaziali in passato costituiva la principale difficoltà del pellegrinaggio: uscire in pellegrinaggio implicava uno sforzo, talvolta accresciuto da pratiche penitenziali supplementari (come il camminare scalzi). Lo spazio va vinto. La partenza, la strada, il termine lontano da raggiungere: è questa prova dello spazio che consacra il pellegrino. Né è da credere che le facilitazioni offerte dai mezzi di trasporto moderni abbiano eliminato questo aspetto del pellegrinaggio. Si potrebbe sempre supporre che, anche se l’asprezza della lotta creatrice con lo spazio è attenuata, ne resti una memoria infusa, veicolata dalla parola stessa.
L’eliminazione della prova fisica, comunque, è più apparente che reale, anche nelle condizioni attuali di pellegrinaggio. Il pellegrinaggio resta un’esperienza faticosa, come ben sanno i pellegrini, che terminano generalmente le loro giornate in stato di grande stanchezza. Anche se si raggiunge il santuario in macchina, nessuno si sottrae alla Via crucis o alla processione,
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cioè a forme ritualizzate di deambulazione 8. Senza dire della riscoperta del pellegrinaggio a piedi: le grandi strade di antichi pellegrinaggi vengono ripercorse, quasi nella ricerca dell’effluvio sacro che tempi e persone hanno lasciato lungo il cammino. Tra i giovani, poi, il pellegrinaggio a piedi assume anche la forma di marce della pace.
La lotta con lo spazio, qualsiasi forma assuma, è come una preparazione energetica all’incontro con la Potenza. Gli atti della pietà liturgica (confessione privata, messa, comunione) sono in qualche modo sovrapposti al pellegrinaggio dall’istituzione ecclesiastica: l’essenza specifica del pellegrinaggio è deambulazione orante, partecipazione fisica. All’"atto totale", dal punto di vista sociologico, secondo l’indicazione di M. Mauss, corrisponde psicologicamente la pregnanza di un’azione che coinvolge contemporaneamente corpo, psiche e spirito.
Ritrovare lo spessore corporeo della preghiera è un ottimo antidoto contro la rarefazione intellettuale che vizia la spiritualità delle persone acculturate in Occidente. Ma ha anche dei benefici influssi sulla psiche. La psicoterapia sta scoprendo oggi quanto è importante coinvolgere il corpo nel processo di cambiamento. Lo testimonia il diffondersi di psicoterapie a base corporea: dalla bioenergia ai metodi di rilassamento, dallo psicodramma ai massaggi, senza dimenticare i diversi tentativi di agganciare la psicoterapia al movimento 9.
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Ci si rende sempre più conto che il malessere psichico che affligge l’uomo contemporaneo è legato con fili sottili alla violenza che subisce il corpo nella nostra civilizzazione. Il coinvolgimento del corpo è indispensabile per suscitare le fiammate di vitalità da cui derivano gli accrescimenti qualitativi dell’esistenza.
Per queste sue implicazioni psicologiche di vasta risonanza il pellegrinaggio ha maggiori probabilità di essere annoverato tra quei sistemi "naturali" di terapia che le culture hanno prodotto, piuttosto che di scomparire tra i rimasugli del sacro soppiantato dalla mentalità secolare. Non stupisce quindi che la nostra epoca, rinsavita dalle ubriacature del positivismo, non consideri più con sufficienza il pellegrinaggio e si disponga forse a valorizzarlo maggiormente per la salute dell’uomo, intesa in senso olistico.
NOTE
1 L’opera di Bunyan narra il viaggio allegorico di Cristiano «da questo mondo a quello che è di là da venire» nella forma tradizionale del sogno. Il pellegrino fugge dalla Città della Distruzione e attraversa con molte peripezie il Pantano dell’Avvilimento, le Vallate dell'Umiliazione e dell’Ombra della Morte, la Fiera delle Vanità e altri luoghi significativi, finché raggiunge la Città Celeste. Questo significato interiore e spirituale del pellegrinaggio fa ancora parte della pedagogia religiosa. La rivista inglese Schools Council. Journeys into Religion, rivolta all’educazione religiosa nelle scuole secondarie, ritiene che il senso dei fenomeni storici di pellegrinaggio da proporre oggi ai giovani sia quello di concepire la vita stessa come pellegrinaggio (1977, n. 9).
2 La semantica del pellegrinaggio si amplia ulteriormente quando chiamiamo "pellegrinaggio" il flusso che porta gli strati più coltivati della popolazione verso gli psicoterapeuti. Qui non si tratta solo di un uso linguistico metaforico: c’è un’analogia strutturale con il pellegrinaggio che spinge le persone motivate religiosamente verso i santuari; e il ruolo che svolge la psicoterapia trova un riscontro in quello che svolge il pellegrinaggio presso differenti strati di popolazione.
È la tesi di S. Kopp, Se incontri il Buddha per la strada uccidilo, tr. it., Roma 1975 (sottotitolo: Il pellegrinaggio del paziente nella psicoterapia). La domanda, che in passato era formulata in termini religiosi, nel contesto secolare assume forma di una richiesta d’aiuto all’esperto. Il pellegrino contemporaneo si fa discepolo dello psicoterapeuta; il divano dello psicanalista è il santuario in cui va a cercare l’illuminazione. Qualcuno può nutrire la speranza che il "maestro" — il guru, lo psicoterapeuta — possa dargli la risposta definitiva e si faccia carico di lui totalmente: che diventi, insomma, il "santo" terapeuta. In questo caso il pellegrinaggio, anche nella sua forma laica, non serve alla liberazione, ma all’alienazione. Si crea solo una nuova forma di dipendenza, e non quella riappropriazione della propria esistenza che è il vero fine del cambiamento, religioso o secolare che sia. A queste persone Kopp ricorda il detto del maestro Zen sull’uccisione del Buddha che si incontra al di fuori di noi, a vantaggio del Buddha che ciascuno ha in se stesso.
3 La ricerca più completa in tal senso è quella condotta da I. Baumer, Wallfahrt als Handlungsspiel, Frankfurt/M. 1977. Con minuzia e rigore accademico il pellegrinaggio viene esaminato nella sua fenomenologia (con la descrizione di pellegrinaggi dell’area europea, sia cattolica che ortodossa), dal punto di vista strutturale (o semeiotico: il pellegrinaggio come sistema di segni) e dinamico (l’uso del pellegrinaggio, in quanto azione che segue determinate regole, non private ma stabilite convenzionalmente da un gruppo sociale), nella sua ermeneutica e nel rapporto con la prassi (pragmatica). Una divulgazione più accessibile dell’analisi di Baumer si può trovare nel saggio dello stesso autore: Wallfahrt heute, Kanisius Verlag 1978.
4 cf. A. Maslow, Motivazione e personalità, tr. it., Roma 1973.
5 V. ed E. Turner hanno tracciato un profilo delle oscillazioni che il pellegrinaggio ha subito nell’ambito della cristianità, passando da processo "liminoide" a processo "liminale". I primi pellegrinaggi cattolici, a Gerusalemme e a Roma, erano liminoidi: il desiderio di andare in pellegrinaggio fu integrato in un sistema totale, fino a diventare un’estensione del sacramento della penitenza: un mezzo istituzionalizzato per mantenere la condizione morale del fedele sotto controllo ecclesiastico. Con l’epoca moderna il pellegrinaggio torna a sciogliersi dall’abbraccio istituzionale e riacquista caratteristiche liminoidi: cf. V. e E. Turner, Image and Pilgrimage in Christian Culture. Anthropological Perspectives, Oxford 1978, pp. 232 ss.
6 Un singolare esempio di pratica di pellegrinaggio con esiti di contro-cultura (femminista, in questo caso) è quello delle "madonnare" romane, donne del popolo che sono periodicamente riunite dal comune pellegrinaggio al santuario della Madonna del Divino Amore. Per un giorno le pellegrine vivono tra di loro, escludendo i maschi, una singolare fusione tra devozione religiosa e festa, accumulando trasgressioni alle norme che nel resto dell’anno vengono ritenute come del tutto ovvie. Sulle "madonnare", per il loro interesse etnografico-folklorico, è stato realizzato un audiovisivo: cf. resoconto in La Repubblica del 25 giugno 1981.
7 L’analisi più accurata in tal senso è quella di V. ed E. Turner, Image and Pilgrimage..., cit. I "riti di passaggio" — individuati e descritti da A. Von Gennep, Les rites de passage, Paris 1908 — sono generalmente connessi con le crisi della vita biologica (nascita, pubertà, matrimonio, guarigione, morte...); alcuni però non sono collegati al ciclo vitale, e celebrano cambiamenti che sono interamente culturali. Questo è il caso del pellegrinaggio. La liminalità è lo stato formato, secondo van Gennep, da tre elementi sequenziali: séparation, marge, agrégation. La liminalità non è solo transizione, ma anche occasione perché emergano nuove potenzialità: modi precedenti di ordinamento di pensiero e di comportamento vengono soggetti a revisione, mentre si strutturano nuove relazioni. Il pellegrinaggio stabilisce un tipo caratteristico di liminalità in culture dominate da religioni "di salvezza".
8 La dinamica psicologico-spirituale del pellegrinaggio non è di per sé sovrapponibile a quella di un atto liturgico ritualizzato come la Via crucis: cf. S. Spinsanti, La via crucis come antipellegrinaggio, introduzione a L. Boros, Irruzione su Dio, Bari 1977.
9 La rassegna più esauriente dei diversi approcci corporei in psicoterapia è quella fornita da W. Pasini e A. Andreoli, Eros et changement. Le corps en psychothérapie, Paris 1981. Accanto alle celebrazioni euforiche di questo uso psicoterapeutico del corpo, è bene ascoltare anche i richiami alla prudenza: cf. H. Petzold, "Gegen den Missbrauch von Körpertherapie", in Die neuen Körpertherapien, Paderborn 1977, pp. 478-489.