Tante cure per chi nasce…ma quante per chi muore?

Sandro Spinsanti

TANTE CURE PER CHI NASCE... MA QUANTE PER CHI MUORE?

in L’ospedale all’isola

anno I, n. 0, marzo 1990, p. 3

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Gli ospedali sono strutturati al fine di guarire le malattie, ma non sempre sono in condizione di consentire alla gente di morire con dignità.

In preparazione alla festa di S. Giovanni di Dio, fondatore dell’ordine ospedaliero dei Fatebenefratelli, si è tenuto nel nostro ospedale un ciclo di conferenze, nei giorni 5-6 e 7 marzo, sul tema delle cure palliative.

C’è molto da dire sulla scelta del tema: un argomento insieme medico-scientifico e umanistico, antico e quanto mai attuale. Perché le cure palliative non sono altro che quel lato della medicina che si rivolge al malato che non va verso la guarigione, ma si trova in uno stato di incurabilità da cui si prevede la morte in tempi più o meno brevi.

Lo ha spiegato nella prima conferenza il dott. Oscar Corli, che dirige un Servizio di cure palliative presso l'Ospedale Buzzi a Milano. Si è riferito anche al titolo di un libro che ha pubblicato presso l’editrice Città Nuova: Una medicina per chi muore.

Ecco, è questo il punto: abbiamo sviluppato, molto meritoriamente, una medicina per chi nasce. Abbiamo un’ostetricia e una neonatologia molto attente agli aspetti sia fisici che psicologici e sociali del momento dell’ingresso nella vita. Perché non dovremmo avere una medicina ugualmente sviluppata per chi esce dalla vita? Perché dovrebbe cessare l’interesse medico per il malato per il quale “non c’è niente da fare?”.

Questa è la scommessa delle cure palliative, che vogliono promuovere una medicina ineccepibile dal punto di vista scientifico, ma anche ricca dal punto di vista umano, per i malati che sono destinati a perdere la battaglia per la riconquista della salute (e tutti, prima o poi, siamo destinati a conoscere la sconfitta!).

Che cos’è la “medicina palliativa”

Il movimento della medicina palliativa è sorto ― ha spiegato il dott. Corli, che fa parte del consiglio della Società Italiana di Cure Palliative ― perché per questo tipo di malati in genere si fa vergognosamente poco. La medicina attuale è invece in grado, se applicata correttamente, di tenere sotto controllo il dolore, di dare una risposta ai sintomi che rendono quella fase della vita un calvario (problemi respiratori, di nutrizione e idratazione, di evacuazione, di insonnie ecc.).

Ed è possibile abbinare all’intervento tecnico di natura medica anche quello proprio delle scienze umane: dell’assistenza sociale, del sostegno psicologico, della cura pastorale (di quest’ultimo aspetto ha parlato, nella terza giornata, il P. Casera, camilliano, specializzato nell’assistenza spirituale ai morenti).

Un problema preliminare, che crea attorno a questo aspetto della medicina un alone di diffidenza, è quello terminologico. Il termine “palliativo" non è felice: lo ha ammesso anche lo stesso relatore. Quando si parla di “palliativi”, nell’uso linguistico corrente si intende qualcosa che si contrappone a curativo ed efficace, qualcosa che si fa tanto per fare, ma di cui si sa già a priori che non serve a niente...

Non è questo, evidentemente, il significato delle cure palliative.

Il termine è stato scelto anche in Italia sostanzialmente per il motivo che in ambito internazionale il movimento che ha dato origine alla medicina che si occupa dell’inguaribilità e della morte ha già da tempo assunto questa denominazione. In Canada, negli Stati Uniti, in Inghilterra si parla correntemente di “Palliative Medicine"; esistono società mediche con questo nome, riviste specializzate, manuali; si tengono congressi e corsi di formazione.

L’importanza dell’infermiera

Della formazione alle cure palliative si è occupata la seconda giornata del ciclo. La relazione principale è stata tenuta dal dott.

Giorgio Di Mola, che è direttore scientifico della Scuola italiana di Cure Palliative.

Destinatari di questa formazione sono i diversi professionisti che, ognuno secondo la propria specificità, possono contribuire a fornire un’assistenza di qualità al malato che è giunto nella fase terminale della malattia. I medici, ovviamente (si sta attualmente dibattendo se sia 0 no opportuno prevedere una vera e propria specialità medica, quella dello specialista di palliazione), ma anche le infermiere. O, piuttosto, soprattutto le infermiere: la loro opera professionale è quella che incide in modo decisivo sull’efficacia di un buon programma di accompagnamento di un malato terminale. Nella palliazione e nel trattamento dei sintomi, e soprattutto nell’assistenza quotidiana in una situazione clinica caratterizzata da continui e spesso rapidi mutamenti, l’infermiera dimostra tutta l'originalità della propria professionalità.

Tra i diversi operatori che rendono possibile le cure palliative non bisogna dimenticare i Volontari. In tutti i programmi di maggior respiro che sono stati realizzati in questo ambito il contributo dei volontari si è dimostrato insostituibile. I volontari però vanno scelti ― non chiunque è adatto per una presenza così esigente e delicata ―, formati e sostenuti.

Per le cure palliative è essenziale saper lavorare in équipe. Lo ha detto con forza anche il dott. Giovanni Creton, radioterapista e responsabile del servizio di assistenza domiciliare dell’associazione Ryder italiana.

Cambiare il morire

Intervenuto nella seconda giornata, ha tracciato un ritratto documentato e preciso della fase terminale della vita a Roma, dove sono in rapido aumento le persone molto anziane, che per di più non possono più contare sul supporto di una famiglia inesistente. L'80 per cento di essi dicono di preferire di morire a casa, ma solo a un'infima minoranza ciò è reso possibile.

E l’ospedale, finora, è strutturato al fine di guarire le malattie, e non sempre consente alle persone di morire con dignità. Senza parlare dei costi ospedalieri, che sono quattro volte di più di quelli dell’assistenza domiciliare.

Le conferenze ― che si sono sviluppate sotto il motto che si è scelto la Società italiana di cure palliative: “Curare anche quando non si può guarire” ― non sono state un momento di evasione.

Hanno permesso alle numerose persone che vi hanno partecipato di individuare un nodo maggiore della pratica quotidiana della medicina, che è anche fonte di innumerevoli sofferenze gratuite, di cui nessuno sembra curarsi.

Hanno aperto prospettive e infuso speranza: cambiare il morire si può, come dimostrano le tante iniziative che stanno sorgendo in Italia sotto la denominazione di medicina palliativa, assistenza domiciliare, cure continuative.

È una sfida che molti anche nel nostro ospedale sono disposti a raccogliere.