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Sandro Spinsanti
Dopo l'ultimo respiro: medicina e società di fronte al cadavere
in L'Arco di Giano, n. 23, 2000, pp. 125-131
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DOPO L’ULTIMO RESPIRO: MEDICINA E SOCIETÀ DI FRONTE AL CADAVERE
Norbert Stefenelli (a cura di), Körper ohne Leben,
Böhlau Verlag, Wien, 1998
Qual è il comportamento appropriato di fronte al cadavere di un essere umano? A una domanda così semplice ci attenderemmo una risposta altrettanto lineare. Tanto che a qualcuno potrebbe apparire fuori luogo un’opera di quasi mille pagine per articolare una risposta. L’Istituto di storia della medicina dell’università di Vienna, assumendo l’iniziativa di mobilitare uno stuolo di collaboratori ― una ottantina ― attorno al progetto editoriale riteneva evidentemente che non si trattasse di una questione banale. A questa conclusione giungerà probabilmente il lettore che abbia l’audacia di inoltrarsi nel fitto bosco di questa opera collettanea e la costanza di seguire le innumerevoli piste di ricerca che vengono aperte.
A motivare i più titubanti può contribuire un’osservazione: la nostra società sembra diventata particolarmente insicura nei confronti dei corpi senza vita. I saperi istintivi e quelli modellati dalla tradizione sono stati esautorati da competenze tecniche. Nessun cittadino si sente autorizzato a una qualsiasi iniziativa nei confronti di un cadavere: toccarlo, rimuoverlo è compito della polizia mortuaria. Quando questa tarda a intervenire, l’imbarazzo degli astanti aumenta fino a livelli intollerabili. Un vago ricordo di esigenze dovute alla pietas
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lotta per prendere forma, scontrandosi però con un senso di incompetenza, come se la memoria dei comportamenti appropriati fosse perduta. Le cronache ci riferiscono con una certa frequenza di cadaveri che rimangono per ore su un marciapiede di città o sulla spiaggia, tra bagnanti che esibiscono disinvoltura e continuano a comportarsi come se la cosa non li riguardasse (salvo poi leggere sui giornali fiumi di esecrazioni per l’insensibilità morale della nostra società, che non rispetta più neppure il momento della morte).
Malgrado l’imponente mole dell’opera, l’attenzione degli studiosi che hanno collaborato a Körper ohne Leben (Corpi senza vita) si concentra su un frammento temporale molto limitato: quello che si estende dal momento della constatazione della morte fino alla sepoltura.
Quando una persona muore, lascia alla comunità non solo un vuoto, più o meno sensibile, ma anche il suo corpo morto. Questo è il risultato visibile e toccabile, nonché percettibile con altri sensi, dell’evento incomprensibile della morte. Per motivi diversi il corpo morto può essere allontanato dalla presenza dei vivi solo dopo un determinato periodo di tempo. In questo periodo deve ricevere cure ed essere preparato per la sepoltura o per altra modalità di eliminazione. Costumi e usi dominanti stabiliscono chi ha il compito di occuparsene. Nei diversi ambiti culturali ― tra i quali consideriamo in modo particolare quello tedesco ― al corpo morto durante il tempo in cui soggiorna tra i vivi viene riconosciuto uno statuto singolare (p. 25).
Questa minuziosa contestualizzazione descrive l’oggetto e i limiti della raccolta di saggi coordinata da Stefenelli. L’indagine si limita all’ambito della cultura occidentale, più particolarmente a quella tedesca e austriaca; privilegia la situazione contemporanea, anche se include tangenzialmente alcune ricognizioni storiche; fa ampio ricorso a tutto il ventaglio dei saperi che afferiscono alle medical humanities: medicina e sociologia, filosofia e storia dell’arte, teologia ed etnografia, antropologia culturale, cinema e letteratura (il saggio di Dietrich von Engelhardt dedicato al cadavere dello “starec” Zosima ne I fratelli Karamazopv di Dostoevskij ― contrariamente alle aspettative di Alëša, il cadavere del vecchio monaco, venerato in vita come un santo, non manda un odore celestiale, ma diffonde un lezzo insopportabile di putrefazione, mettendo in crisi la fede del giovane ― è stato già anticipato ne L’Arco di Giano n.17: Engelhart, 1998).
Una sensazione particolare merita il disegno dell’opera, che possiamo additare come esemplare. Una suddivisione accurata di tutto l’ambito da esplorare in 27 sezioni non lascia niente al caso. Il curatore ― il prof. Norbert Stefenelli,
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già primario della divisione interna dell’ospedale di Krems e collaboratore dell’istituto di stona della medicina di Vienna ― ha introdotto ogni sezione con una sene di questioni rivolte ai collaboratori e ha commentato con annotazioni e postille i diversi saggi, dando a tutta l’opera una sorprendente unitarietà.
Il punto di partenza dell’ampia ricognizione è costituito dalle esperienze dirette di coloro che hanno un rapporto professionale con i cadaveri: infermiere, medici, patologi. L’approccio empirico si rivela molto utile. Per esempio, l’affermazione di Norbert Elias, secondo cui mai i cadaveri umani sono stati trattati con una tale perfezione tecnica che dal letto di morte si fa scomparire in modo inodore nella tomba (Elias, 1985), non trova conferma nel vissuto di infermieri e inservienti che si occupano dei cadaveri. Nell'82% degli intervistati il primo contatto ha provocato reazioni di angoscia e di disgusto; per il 45% di essi tali sensazioni sono rimaste, malgrado la durata dei loro contatti con i cadaveri, e solo il 29% dichiara di essersi abituati con il tempo (p. 39). Un'accurata inchiesta svolta tra i patologi austriaci (pp. 44-55) mostra che la tabuizzazione del tema non impedisce che il contatto con i cadaveri provochi meccanismi di rimozione e fenomeni di ambivalenza emotiva (è interessante notare che il 44% degli intervistati si considerano discriminati a causa del loro lavoro).
La medicalizzazione del rapporto con il cadavere è un dato di fatto che segna una tendenza inequivocabile della civiltà occidentale. La conseguenza della nascita della clinica moderna è il senso di incompetenza per tutti coloro che non hanno un mandato professionale a trattare con i cadaveri. Ai nostri giorni possiamo riscontrare un ulteriore giro di vite: anche quel contatto che avveniva sul contesto della morgue, quando i familiari venivano invitati a identificare il cadavere, sta assumendo un tratto sempre più “virtuale”, che esclude un confronto diretto. Ne troviamo una testimonianza letteraria nelle prime righe di apertura di un romanzo di Stephen King, il celebre autore di best-seller che miscelano horror e soprannaturale:
In un giorno caldissimo dell’agosto 1994, mia moglie mi disse che scendeva al Rite Aid di Derry a prendere una ricarica per il suo inalatore perché la sua era esaurita (...). Mi soffiò un bacio dal palmo della mano e uscì. La rividi in TV È così che si identificano i morti qui a Derry, non si percorre un corridoio sotterraneo di piastrelle verdi sotto lunghi tubi fluorescenti, non ti tirano fuori un cadavere nudo da una cella frigorifera. Si entra in un ufficio con la scritta PRIVATO, si guarda uno schermo TV e si dice sì o no (King, 1998, p. 1).
Il riferimento alla morgue ci rimanda al luogo classico destinato al cadavere: benché
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sottratto alla comunicazione che intercorre tra i viventi, è ancora parte costitutiva della società sotto forma di oggetto didattico per la medicina scientifica. La medicina moderna ha un debito essenziale con lo studio del cadavere. La “fabbrica del corpo” (Carlino, 1994), costituita dal cadavere aperto, è stato il grande libro su cui i medici si sono chinati per imparare il segreto della vita. Commentando le ricerche storiche di Andrea Carlino sulla dissezione in epoca rinascimentale, Michela Pereira faceva notare che il cadavere ha conservato a lungo il ruolo di protagonista, accanto alla figura del medico settore. Nella ricostruzione fornita da Andrea Carlino il corpo umano sottoposto alla dissezione viene assunto come oggetto osservabile, e non come altro vivente che partecipa all'atto dell’osservazione, osservando dei sintomi o rispondendo alle domande del medico indagatore (Pereira, 1995, p.84 s.).
Anche quest’ordine, creato dal sapere scientifico, è stato scosso. Forse nessuno lo ha fatto con la potenza visionaria e l’espressività visionaria di Gottfried Benn. Nell’elaborata architettura dell’opera curata da Stefenelli a Benn è dedicata la XX sezione, dal titolo “Ribrezzo di fronte al corpo morto”. Werner Hahl analizza le liriche raccolte nel ciclo intitolato Morgue (pp. 699-711) e lo stesso Stefanelli dedica al poeta un imbarazzato saggio: “Gli orribili cadaveri del collega medico Benn” (pp. 712-716).
Benn era ancora un giovane medico ventiquattrenne quando pubblicò nel 1912 la raccolta Morgue. Con linguaggio lirico, portava però uno sguardo impietoso, che a qualcuno è apparso cinico, sul trattamento del cadavere in sala settoria. Il cadavere, che la medicina ha cura di sottrarre agli occhi del profano, veniva restituito in modo brutale, descrivendo, senza alcuno di quei rivestimenti che la scienza, la religione e lo spirito umanistico sono soliti fornire, che cosa avviene in un istituto di anatomia patologica o di medicina legale.
È probabile che il lettore italiano non abbia avuto opportunità di confrontarsi con le liriche di Gottfriend Benn (esiste un’eccellente traduzione di Morgue, dovuta a Ferruccio Masini, ma da tempo non più disponibile in libreria). Riportiamo la prima poesia del ciclo, evocativa dello spinto che aleggia su tutta la raccolta:
Piccolo astero
Viene issato sul tavolo un autista di birreria morto
annegato.
Qualcuno gli aveva messo a forza tra i denti
un astero gridellino chiaro-ombrato.
Quando partendo dal petto
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di sotto la pelle
con un lungo coltello
resecai lingua e palato,
devo averlo urtato, perché scivolò sul cervello lì accanto.
Glielo sistemai nel cavo del torace
tra i trucioli di legno
quando si ricucì.
Bevi a sazietà nel tuo vaso!
Riposa dolcemente
piccolo astero!
(Benn, 1971, p.31)
La poesia costituisce una provocazione duplice: per il tema e per la forma lirica. Il titolo induce alla falsa attesa di una composizione lirica di tono autunnale, per confrontare invece il lettore con la dissezione di un cadavere. Mentre il corpo umano viene spezzettato, senza alcun abbellimento rituale o un moto d’animo che lasci individuare qualche pietà, l’estremo saluto e l’augurio di pace è rivolto al fiore, che viene “seppellito” nel cadavere. La dissacrazione linguistica delle spoglie mortali dell’uomo suona tanto più cruda quanto più il poeta finge di intenerirsi per la sorte del “piccolo” astero.
Stefenelli non nasconde il suo rifiuto per l’impresa poetica di Benn. Mentre in passato la rappresentazione ― attraverso la parola o per immagini ― della raccapricciante condizione di corpi che si corrompono serviva a ricordare la transitorietà dell'uomo e di tutto ciò che appartiene alla terra, Benn ha riversato nell’orrore che suscitano i cadaveri la sua convinzione nihilista circa il significato dell’esistenza. Era la poesia senza fede, la poesia senza speranza, la poesia rivolta a nessuno, che esprimeva gli umori della gioventù tra le due guerre mondiali. Ma questo crudele gioco con la ripugnanza induceva Benn ― sostiene Stefenelli ― a tradire la professione medica, per tradurre in poesia le sue sensazioni e mostrare a tutti la sua nausea per la vita (p. 716).
Prendendo le distanze dal medico Benn ― senza pregiudicare la sua grandezza come poeta ― Stefenelli difende indirettamente una funzione della dissezione del cadavere rispetto al senso di appartenenza alla professione medica. Il cadavere aperto non è solo un libro per il patologo ― nello spirito di quel processo, magistralmente descritto da Michel Foucault ne La nascita della clinica: il cadavere aperto ed esteriorizzato per l’“occhio clinico” costituisce l’intima verità della vita; la vita rimane oscura finché non è vista a partire dal cadavere (Foucault, 1969) ― ma è anche il luogo di aggregazione della professione. La dissezione di
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un cadavere costituisce un “rito di passaggio”.
Studiando la socializzazione degli studenti di medicina, Renée Fox ha rivolto molta attenzione ― già negli anni '50, con le ricerche dedicate alla “gestione dell’incertezza” nel sapere medico: Fox, 1957 ― al rapporto che i futuri medici hanno con il cadavere. «Sezionare un cadavere e partecipare a un’autopsia iniziavano gli studenti alla natura profonda del lavoro medico, che si fonda principalmente sulla dualità della vita e della morte (...). Praticamente tutti i medici procedono a esami e all’anamnesi, e mettono una diagnosi e applicano una terapia. Questi aspetti quotidiani del loro lavoro li obbligano e li autorizzano ad auscultare, scrutare, toccare, manipolare, esplorare e penetrare il corpo dei loro pazienti, ad analizzare le loro urine, le loro feci, il loro sangue, il loro muco, così come ogni altra sostanza o secrezione corporea, introducendosi così nella loro vita personale e nei loro sentimenti più intimi. Osservando regole rigorose di asepsi, vestiti di bianco inamidato o di verde astringente, penetrano gli orifizi del corpo umano che sono fisiologicamente o simbolicamente associati alle sue più nobili o alle sue più basse funzioni, per estrarre certe sostanze quale il sangue umano, per esempio, considerato nella nostra cultura come allo stesso tempo impuro e sacrosanto. In patologia clinica, nel corso di diagnosi fisiche o nelle loro diverse funzioni cliniche, ho osservato come gli studenti di medicina imparano non solo a padroneggiare le tecniche che questi esami implicano, ma anche a controllare le loro reazioni emotive. Ciò che gli studenti ritenevano come particolarmente “sconcertante” (per usare le loro parole) si ritrova nelle situazioni mediche in cui i problemi di incertezza e di significato sono legati: per esempio, quando assistevano a un’autopsia da cui non derivava nessuna spiegazione definitiva sulla causa della morte del paziente, o quando erano a contatto con un paziente che soffriva di un cancro doloroso e incurabile e che subiva i gravi effetti secondari della malattia» (Fox, 1980). La pratica della dissezione eccede quindi per il medico il significato puramente utilitario di acquisizione di conoscenze.
I corpi dei defunti, prima della sepoltura, possono ancora essere utili per la scienza, in quanto svelano in sala settoria i segreti della malattia. Come vantaggio secondario, il rituale dell’autopsia rafforza negli aspiranti medici il senso dell’appartenenza a una categoria particolare, che ha il privilegio esclusivo ― con i diritti e i doveri connessi ― di accedere al corpo malato. Non è tutto. Oggi il corpo morto, ma non ancora aggredito dall’inevitabile corruzione del cadavere, è anche una preziosa riserva di organi passibili di espianto e destinati a salvare altre vite umane. Sappiamo quanto sia acceso il dibattito sulle questioni etiche annesse (chi dispone del cadavere: la società o la famiglia del defunto? Il consenso all’espianto può essere presunto o deve essere esplicito? Possiamo accettare che gli organi siano soggetti a compravendita?).
Se ci rivolgiamo a Corpi senza vita cercando risposte a questi e ad analoghi
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interrogativi di natura etica, le nostre attese andranno deluse. Due brevi saggi, a chiusura del volume (nella XXVII sezione: “Morale ed etica del rapporto con il cadavere”), sviluppano in una prospettiva ecumenica il dovere della pietà e dell'amore del prossimo (i teologi G. Virt e U, Körtner) e concludono con le considerazioni etiche del filosofo D. Birnbacher circa lo status del cadavere umano. È sicuramente apprezzabile rilevare che la pietà verso il corpo morto vada considerata più come un atteggiamento, che può mutare nel tempo, che come una norma assoluta. I due teologi, cattolico e protestante, che sviluppano questa sezione portano un esempio molto convincente: la cremazione del cadavere, avversata per lungo tempo dalla chiesa cattolica e infine accettata come compatibile con il rispetto particolare che il credente deve al suo corpo (p. 921). Ma molto più numerose e più importanti sono le domande che restano senza risposta.
Avremmo apprezzato un aiuto ulteriore da parte della folta schiera di specialisti convocati a contribuire a questa opera per delineare le norme relative all’espianto e trapianto di organi da cadavere. Nelle nostre società gli animi si stanno dividendo su questi temi: in Italia sono stati necessari quasi 25 anni per cambiare una legge ritenuta inadeguata e non sappiamo ancora se l’attuazione delle norme (che comprendono la singolare figura del “silenzio assenso informato”) sarà capace di creare un consenso sociale. Sarà bene, nell’attesa, che continuiamo a tener presente che la provincia dell’umano si estende anche dopo l’ultimo respiro.
Riferimenti bibliografici
Benn G., Morgue, tr. it. di F. Masini, Einaudi, Torino, 1961.
Carlino A., La fabbrica del corpo. Libri e dissezioni nel Rinascimento, Einaudi, Tonno, 1994.
Elias N., La solitudine del morente, tr. it. Il Mulino, Bologna, 1985.
Engelhardt D. von, «La morte dello “starec” Zosima ne I fratelli Karamazov di Dostoeskij», in L’Arco di Giano, n. 17, 1998, pp. 221-225.
King S., Mucchio d’ossa, tr.it. Sperling & Kupfer, Milano, 1999.
Pereira M., «Imparare dal cadavere: i problemi antropologici della dissezione», in L’Arco di Giano, n. 9, 1995, pp. 84-90.
Fox R., «Training for uncertainty», in Merton R.K, Reader G. (a cura di), The student-physician, Harvard UP, Cambridge (Mass.), 1957, pp. 207-241.
Fox R., The evolution of medical uncertainty, Milbank Memorial Fund, New York, 1980.
Foucault M., La nascita della clinica, tr. it. Einaudi, Torino, 1969.