L’etica medica e il futuro dell’uomo

Sandro Spinsanti

L’ETICA MEDICA E IL FUTURO DELL'UOMO

in Tendenze nuove

n. 14, gennaio-febbraio 2000, pp. 8-10

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Può essere molto rischioso avventurarsi a fare previsioni sul futuro dell’etica medica ― o piuttosto della bioetica, come ormai è invalso l’uso di denominare le norme relative ai comportamenti da assumere relativamente all'ambito della medicina, della genetica e delle scienze della vita in generale ― per i prossimi dieci anni. Il rischio è connesso con la possibilità, che è espressione anche di una viva speranza personale, di essere ancora qui tra dieci anni: qualcuno potrebbe confrontarci con le nostre previsioni e crearci un profondo imbarazzo, qualora si discostassero troppo dalla realtà. Questo almeno è quanto avviene, anno dopo anno, con le predizioni di astrologhi e maghi (i quali, peraltro, continuano a godere buona salute e vasta udienza, nonostante gli sbugiardamenti).

Sembra consigliabile una strada più sicura, che evita ogni eventualità di un confronto diretto: fare delle previsioni di più lungo periodo. Di cento anni, per esempio. Non perché fare previsioni della gittata di un secolo sia più facile di anticipare gli sviluppi di un decennio, ma per l'unico buon motivo che risparmia figuracce...

Ci sentiamo incoraggiati in tale direzione dall’esempio autorevole di uno studioso tra i più informati su ciò che avviene in bioetica e personalmente impegnato in prima linea nel tentativo di mettere dei confini, in nome dell’etica, alle possibilità umane nell'ambito biomedico: i prof. Jean Bernard, presidente per quasi un decennio del Comitato nazionale francese per la bioetica. A conclusione del suo libro “De la biologie à l’éthique” (Paris, 1992), ha fatto ricorso alla fantascienza, un genere letterario non familiare né ai biologi, né ai medici. Ha proposto una storia immaginaria della bioetica, ipotizzando che un esperto della disciplina faccia una lezione nel 2090 per spiegare agli ascoltatori lo sviluppo della bioetica negli ultimi cento anni.

Il futuro professore di storia della bioetica troverà utile dividere il secolo in tre parti. Il periodo che va dal 1990 al 2020 è caratterizzato da un’alternanza di inquietudine e di speranze. Cresce la consapevolezza che ai nuovi poteri della scienza corrispondono nuovi doveri dell’uomo. L’esplosione dell’applicazione selvaggia di nuove tecniche alla vita viene limitata, parzialmente e temporaneamente, dal diffondersi di comitati di etica e di risoluzioni internazionali. Ma la semplificazione delle tecniche le rende accessibili a moltissimi laboratori di numerosi Paesi. E il controllo sfugge di mano. Come esempio l’ipotetico storico della bioetica adduce l’innesto di cellule nervose, che fu in grande voga verso il 2010...

Un secondo periodo ― i quarant’anni che si estendono dal 2020 al 2060 ― possono essere qualificati come uno dei periodi più neri della storia dell’umanità. Sono un’illustrazione di quanto può essere perniciosa l’alleanza tra il denaro e la biologia, tra il lucro e la scienza. Concepimento, gestazione, nascita, sviluppo del sistema nervoso, vita e morte: tutto appartiene a questa biotecnologia, governata da potenti società multinazionali. La banca e la borsa regolano ormai il mercato dell’uomo e di parti del suo corpo. Si diffondono banche di sperma, di ovuli, di embrioni; tutti questi prodotti, in quanto oggetto di transazioni economiche, sono quotati in borsa. Gli embrioni, selezionati e manipolati, sono soggetti a fluttuazioni nei diversi mercati finanziari del mondo. Talvolta questi traffici riguardano gli embrioni nel primo stadio del loro sviluppo; talaltra si tratta di feti pervenuti a stadi più avanzati. Dopo il 2050 le compravendite riguardarono anche dei bambini, dopo che si era ottenuto, in un periodo più breve di quanto si fosse immaginato, le prime nascite per ectogenesi. Questi embrioni ricevevano in laboratorio, in coltura di tessuti, le stesse informazioni trasmesse da una gravidanza normale; talvolta delle informazioni migliorate: e ciò aumentava il loro valore commerciale.

Al culmine di questa ascesa di una immoralità razionale, verso la metà del XXI secolo, il potere politico utilizzava a propria discrezione il progresso biologico. A tal fine aveva cancellato il nome stesso dell’etica e il ricordo dei valori morali del passato. La ricostruzione della storia futura termina, tuttavia, con una nota di speranza.

Nel terzo periodo, che inizia nel 2060, si è avuto un Rinascimento spirituale, intellettuale ed etico, con il recupero di valori fondamentali che il periodo precedente aveva affossato. I capisaldi sono costituiti da alcuni principi condivisi: ogni uomo è un essere unico, insostituibile, diverso da tutti gli altri uomini: deve essere rispettato e protetto dalla nascita alla morte; deve essere rispettato nella sua totalità, nell’unità della persona e in ciascuna delle sue cellule: né la persona, né le cellule devono essere oggetto di commercio.

Possiamo entrare simpateticamente in questo gioco di una storia della bioetica di lungo periodo e cercar di immaginare come valuteremmo, a un secolo di distanza, alcune vicende attuali che riguardano lo statuto dell’embrione. Dall’osservatorio ipotetico dell’anno 2090, come ci appariranno i tentativi delle istituzioni europee a dimensione soprannazionale ― il Consiglio d’Europa e il Parlamento Europeo ― di sottrarre alla deriva l’ambito dell’intervento biotecnologico sulla riproduzione e far prevalere un progetto di armonizzazione nel controllo

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delle pratiche? Tra un secolo, come catalogheremo il tentativo di stabilire dei principi europei unitari di bioetica della riproduzione assistita e dell'intervento sull'embrione: tra i miraggi o tra le speranze?

Se l'ipotesi di Jean Bernard è corretta, di qui a cento anni considereremo come velleitaria l’intenzione del Parlamento Europeo di armonizzare le legislazioni dei vari Paesi della Comunità, quando ancora i rispettivi organi legislativi erano sostanzialmente paralizzati nella loro attività normativa da divergenze insanabili. Ricorderemo probabilmente come momento chiave di questo progetto fallito il dibattito sulle nuove forme di procreazione che ha percorso l’intera seconda legislatura del Parlamento Europeo. La ricerca tra un accordo tra posizioni estreme è culminata in due risoluzioni approvate il 16 marzo 1989: la risoluzione Rothley sulla manipolazione genetica e la risoluzione Casini sulla fecondazione artificiale.

In ambedue si afferma l'obbligo degli Stati di proteggere la vita umana fin dalla fecondazione. Più specificatamente, il diritto alla famiglia pone dei limiti nell'ampio spettro delle possibilità tecniche di riproduzione. La risoluzione Casini prevede, a tal fine, la fecondazione artificiale solo per scopo terapeutico, sconsiglia quella eterologa, tollerandola solo a certe condizioni, e proibisce la maternità su commissione. Anche per quanto riguarda la procreazione artificiale per coppie non coniugate viene difesa una posizione restrittiva, con la seguente motivazione: “Fino a che la legittimità della famiglia e dell’affiliazione presupporranno il matrimonio, non sembra coerente un sistema che consenta legalmente la procreazione artificiale fuori dal matrimonio”.

Probabilmente tra un secolo considereremo come ben intenzionata ma velleitaria la volontà di sottoporre a controllo l’espansione delle tecniche di riproduzione medicalmente assistita, in nome sia dell’etica, sia di appropriate norme giuridiche. L’azione di contenimento affidata ai comitati e alla legislazione non teneva sufficientemente conto che l’interlocutore di questi interventi tecnologici è la famiglia, e che questa funziona come vuole, piuttosto che come vorremmo.

Soprattutto negli anni ‘80 del nostro secolo si è accentuato un movimento silenzioso, che ha prodotto una famiglia di tipo diverso, non corrispondente alle attese sociali di chi l’ha guardala e in qualche modo ha voluto guidarla dall'esterno. La famiglia è andata per conto suo. La radiografia della famiglia “autopoietica” o post-moderna ci parla di un organismo che è sempre più un sistema chiuso, e quindi elabora norme e valori secondo proprie modalità di comunicazione autoreferenziali.

La volontà di far intervenire funzioni di controllo, per porre limiti che non devono essere superati, si scontra con una razionalizzazione privatistica dei mondi vitali, la quale non risponde altro che a se stessa. Non siamo in grado di prevedere se il “Rinascimento spirituale” ipotizzato da Jean Bernard avrà bisogno di mezzo secolo o di un secolo intero per farsi strada, né se prima bisogna passare per il tunnel di una selvaggia barbarie biomedica, di cui la mercificazione dell’embrione è il simbolo più eloquente. Ci sembri tuttavia credibile che gli intenti regolativi da soli non possano aver successo, indipendentemente dal consenso sociale sui principi individuati da Jean Bernard come strutture portanti dell'umanesimo, anche in epoca di predominio tecnologico.

L’attività legislativa e quella giudiziaria non producono, di per sé, un innalzamento dell’“ethos” e della moralità pubblica. Possono però contribuire all’interiorizzazione di punti di vista sintonici con il Rinascimento spirituale. In questa prospettiva possiamo presumere che lo storico della bioetica che terrà lezione tra cento anni darà tutto il rilievo simbolico alla sentenza emessa dalla Corte Suprema del Tennessee il 1° giugno 1992. La Corte era chiamata a esprimersi nella causa Davis vs. Davis, una coppia divorziarne. Nel corso di sei precedenti tentativi di FIVET, tutti falliti, la coppia aveva disposto che fossero prodotti numerosi embrioni, destinati a essere impiantati. Ne rimanevano sette, congelati in una clinica. Giunti al divorzio, i Davis divergevano nei confronti del destino degli embrioni: la moglie voleva che fossero impiantati, per tentare ancora una gravidanza, mentre il marito voleva lasciarli congelati.

Nei processi per divorzio, la proprietà comune si divide in due. Quando si tratta, invece, di decidere circa la custodia dei bambini, si cerca la soluzione che promuova il “migliore interesse” dei bambini. Come bisognava regolarsi nei confronti degli embrioni congelati? Bisognava trattarli come una comunità comune da dividere, oppure come bambini, il cui interesse va ricercato indipendentemente dalle preferenze dei genitori? La corte di prima istanza aveva optato per la seconda alternativa. Dichiarò gli embrioni “bambini in vitro” e, nel loro migliore interesse, ne affidò la custodia alla moglie. In appello il tribunale diede alle parti un controllo comune (“joint control”) e uguale voce sulla disposizione degli embrioni. La sentenza introduceva una categoria di fondamentale importanza nel districare la matassa: il “diritto alla privacy”. In questo caso significava il diritto del sig. Davis di poter difendere la sua scelta di non generare un figlio. Per tutelare tale diritto, lo Stato non può concedere la facoltà che l’embrione sia impiantato contro la volontà di una delle parti.

La Corte Suprema del Tennessee con la sentenza del 1° giugno 1992 confermava quella emessa dalla Corte d’Appello. Con una modifica, però, della motivazione: piuttosto che di “privacy”, si tratta della difesa della relazionalità, ossia di rapporti che derivano da un fatto come la procreazione. Ognuno ha diritto di scegliere se diventare genitore e con chi, definendo così la propria relazione con un’altra persona e con la prole che può derivare da quella relazione.

È possibile che qualcuno trovi carente la sentenza della Corte Suprema rispetto alla questione dello statuto morale degli embrioni. Di fatto, la Corte non li considera né persone protette dalle legge, né una proprietà. Si è orientata secondo gli standard etici proposti dalla American Fertility Society, per la quale si deve conoscere l’esigenza di un “rispetto speciale” per gli embrioni ;i causa della loro unicità e potenzialità di vita umana

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e va demandata a coloro che forniscono gli embrioni l'autorità di decidere che cosa fare con gli embrioni essi. Gli standards non definiscono che cosa fare quando gli interessati litigano...

La Corti, in assenza di un contratto dei coniugi sulla disposizione degli embrioni, si è limitata a riconoscere che nessuna entità aveva un interesse tale da indurre a togliere la decisione dalle mani degli individui cui spetta il diritto a procreare o a non procreare e che, stante la volontà di una delle due parti a non voler essere genitore, il suo interesse prevaleva sull’interesse dell’altro usare gli embrioni. Focalizzando l’attenzione sulla relazione (e quindi sulla scelta di una parte di diventare genitori, quando questa obbliga l’altro a diventarlo contro la propria volontà), ha indicato una strada percorribile, anche perdurando le incertezze sullo statuto antropologico e giuridico degli embrioni, per dare risposte consone al Rinascimento spirituale che si richiede all’umanità.

Continuando nel gioco di una proiezione secolare delle tendenze attuali di regolamentare la pratica della medicina, possiamo immaginare che il 19 novembre 2096 avrà luogo a Strasburgo una solenne celebrazione: la commemorazione del centenario della “Convenzione per la protezione dei diritti dell’uomo e la dignità dell'essere umano riguardo alle applicazioni della biologia e della medicina”, alla quale ci si è sempre più familiarizzati sotto la denominazione semplificata di Convenzione sui diritti dell’uomo e la biomedicina” prima di essere definitivamente popoìarizzata come “Convenzione di bioetica”). Lo storico che terrà il discorso commemorativo ricorderà l’adesione esitante degli stati membri dell’Unione europea nel primo decennio dopo la firma della Convenzione. Dal momento che la Convenzione non aveva un significato “esortativo”, bensì normativo per gli stati che la sottoscrivevano, la ratifica procedette a rilento: non per indifferenza, ma per la consapevolezza delle difficoltà ad adeguare le legislazioni nazionali ai principi sottoscritti.

A cento anni di distanza da quello storico documento, risulterà evidente che in esso emergevano per la prima volta, in modo consapevole e deliberato, le nuove regole che sopraintendevano al rapporto tra i professionisti che erogano le cure e coloro che tali cure ricevono. Il nuovo apporto tra sanitari e cittadini nell’ambito sanitario si iscriveva entro il periodo costituito da due regole fondamentali: solo il consenso legittima gli atti diagnostici e terapeutici; la persona ha diritto all’informazione e a tutelare la vita privata.

La Convenzione aveva disegnato, con pochi tratti molto marcati, la nuova fisionomia che avrebbe avuto la medicina del futuro: “Un intervento nel campo della salute non può essere effettuato se non dopo che la persona interessala abbia dato consenso libero e informato” (art. 5): “I desideri precedentemente espressi a proposito di un intervento medico da parte di un paziente che, al momento dell’intervento, non è in grado di esprimere la sua volontà saranno tenuti in considerazione” (art. 9); “Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata allorché si tratta di informazioni relative alla propria salute” (art. 10).

Allo storico della medicina non risulterà difficile dimostrare che la trama delle norme rimesse in discussione ruotava intorno alla domanda fondamentale: chi ha potere sul mio corpo? Sul finire del XX secolo avveniva una rottura clamorosa nei confronti del potere assoluto sul corpo affidato alla medicina e ai suoi professionisti,in forza del loro impegno ad agire lasciandosi guidare dal “bene del paziente”. Il modello tradizionale di rapporto, che richiedeva scienza e coscienza da parte del medico, fiducia e docilità da parte del malato, veniva rimesso in discussione. Il paziente non era più considerato un “povero cristo” da trattare benevolmente ― magari abbinando all’efficacia dei trattamenti anche una dose di “umanizzazione” ―, ma un cittadino che esercita il diritto di ricevere un trattamento. Un cittadino colto, informato, consapevole delle proprie scelte, al quale va riconosciuto il diritto di pretendere che chi esercitala medicina si prenda il tempo e la cura di informarlo, per farlo accedere alla condizione in cui ricevere un trattamento non equivale a essere oggetto di un atto di benevolenza, bensì un soggetto dotato di libertà civile e di responsabilità.