Bioetica

Sandro Spinsanti

BIOETICA

in Dizionario Medico Larousse

Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo 1989

pp. 42-47

 

 

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Approccio interdisciplinare che ricerca nell'ambito della cura della salute una normatività etica intesa a salvaguardare la qualità umana dell'impresa terapeutica

Oggi è possibile rilevare tutte le caratteristiche del feto che interessano: genotipo, sesso, eventuali malformazioni. L'informazione offerta dalla diagnosi prenatale ― ecografia, fetoscopia, amniocentesi ― può avere un effetto dirompente nelle decisioni etiche della coppia dei genitori e del medico.

La riflessione sistematica nei campi della biologia e della medicina dal punto di vista dei valori morali da perseguire si è di recente costituita col nome di «Bioetica». L'Encyclopedia of Bioethies la definisce come «studio sistematico del comportamento umano nell'ambito delle scienze della vita e della cura della salute, in quanto questo comportamento è considerato alla luce dei valori morali e dei principi». In senso estensivo, intendiamo come bioetica l'approccio interdisciplinare che ricerca nell'ambito della cura della salute una normatività etica intesa a salvaguardare la qualità umana dell'impresa terapeutica. Essa si distingue sia dalla medicina legale (ciò che è lecito o proibito dalla normative vigenti), sia dalla morale religiosa (che determina il bene morale in riferimento a una rivelazione o a un'esperienza del divino).

La riproduzione medicalmente assistita

Sulla «procreatica» (Cf anche Sterilità e procreatica: nuovi orizzonti) si è aperto un ampio dibattito nella bioetica contemporanea, che coinvolge in particolare le principali istanze normative: la legge e la morale. Il Consiglio d'Europa, in un progetto di raccomandazione sull'inseminazione artificiale degli esseri umani (1979), ha esortato gli Stati membri a confermare il loro diritto a regole omogenee, che prevedano, per il caso di inseminazione artificiale con donatore, il segreto sull'identità del donatore e sull'inseminazione artificiale stessa, la gratuità del dono e il riconoscimento del bambino come figlio legittimo della donna e di suo marito. Le diverse forme di procreazione tecnologica non hanno ancora avuto nella maggior parte dei Paesi un preciso inquadramento legale, benché si stia delineando un chiaro movimento di opinione nel senso di legislazioni restrittive.

Dal punto di vista dell'etica, quella confessionale cattolica è la più esigente nel richiedere il rispetto della «naturalità» dell'atto della procreazione. L'Istruzione sul rispetto della vita umana nascente e la dignità della procreazione (Congregazione per la dottrina della fede 1987) esige come condizione di bontà morale che la procreazione non sia separata dall'unione sessuale: «Il medico è a servizio delle persone e della procreazione

 

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umana: non ha facoltà di disporre né di decidere di esse. L'intervento medico è rispettoso della dignità delle persone quando mira ad aiutare l'atto coniugale sia per facilitarne il compimento sia per consentirgli di raggiungere il suo fine, una volta che sia stato normalmente compiuto» (n. 7).

La posizione più consequenziale richiede che il criterio della «naturalità» venga rispettato anche per la modalità della raccolta delle sperma necessario dell'inseminazione artificiale, condannando di conseguenza il ricorso alla masturbazione e suggerendo artifici perché la raccolta avvenga nel contesto del coito. Altri moralisti cattolici, invece, considerando che il significato globale della pratica non è la ricerca di piacere autoerotico, ritengono il procedimento masturbatorio in questi casi conciliabile con il punto di vista della morale cristiana. Le stesse considerazioni si applicano anche alla seconda raccolta dello sperma per analisi chimiche.

Qualora le condizioni della «naturalità»e della coniugalità (diritto alla riproduzione riservato ai soli coniugi) siano rispettate, anche per la morale cattolica non esistono riserve insuperabili nei confronti di pratiche di procreazione medicalmente assistita. Rimane invece escluso il ricorso a un «donatore» esterno alla coppia, tanto di sperma quanto di ovociti. In quest'ottica è esclusa a fortiorila maternità di sostituzione. Sulla condanna morale di quest'ultima converge anche buona parte dell'etica razionale che sì ispira al principio kantiano , secondo il quale l'essere umano va considerato come fine, non come mezzo. Questa considerazione, unita alla preoccupazione per il benessere psico-affettivo del bambino, induce per lo più i filosofi morali il condannare le pratiche che strumentalizzano il bambino alla volontà dei genitori di un figlio a ogni costo».

Diagnosi prenatale

Le malformazioni congenite e le malattie ereditarie rappresentano nei Paesi industrializzati una delle prime cause di mortalità infantile, oltre che una grave prova e un peso economico per le famiglie e la società. Di qui l'interesse della medicina moderna per la prevenzione, grazie alle informazioni che è possibile acquisire prima della nascita. Mediante il consiglio genetico, il genetista può informare le famiglie sui rischi di malattie cromosomiche a cui è esposta la prole: anche riguardo alle malattie ereditarie propriamente dette il consiglio genetico può essere di qualche utilità, quando la nascita di un primo figlio affetto da malformazione fa sorgere dubbi sul rischio di ricorrenza.

Per quanto riguarda il feto, le tecniche di visualizzazione per ecografia hanno aperto nuove possibilità di diagnosi, oltre quelle già esistenti. Oggi è possibile rilevare tutte le caratteristiche del feto che interessano: genotipo, sesso, eventuali malformazioni. L'informazione offerta dalla diagnosi prenatale ― ecografia, fetoscopia, amniocentesi ― ha un effetto dirompente nelle decisioni etiche della coppia dei genitori e del medico. In linea teorica, la conoscenza precoce delle malformazioni del feto può essere finalizzata alla terapia precoce, sia farmacologica sia chirurgica (vedi i casi di bambini affetti da fenilchetonuria, che possono evitare i danni della malattia grazie a una dieta tempestiva). Ma la tendenza dominante è piuttosto quella di depistare le malformazioni per procedere all'interruzione volontaria della gravidanza. Gli aspetti etici delle diagnosi prenatali perciò, con le considerazioni che riguardano l'aborto procurato. Un'indicazione importante, sia dal punto di vista sanitario sia etico, è che le indagini diagnostiche siano giustificate per interesse medico, e non fatte per futili motivi (come l'ecografia semplicemente per conoscere il sesso del nascituro).

LA STERILIZZAZIONE

L'eliminazione della facoltà di riproduzione ― legatura delle tube della donna, vasectomia nell'uomo ― può avere finalità terapeutica o contraccettiva.Nel primo caso non presenta problemi, né etici, né giuridici. Dal punto di vista morale, è giustificata dal principio del duplice effetto: la finalità della preservazione della salute autorizza la rinuncia alla facoltà riproduttiva. Discutibile è invece l'ampiezza del concerto di salute invocato: alcuni limitano la liceità della sterilizzazione alla cura di patologie organiche, mentre altri la prevedono anche per i casi di disturbi psichici ed emotivi. Secondo questa prospettiva più ampia, la sterilizzazione sarebbe giustificata anche quando si tratta di proteggere la salute mentale della persona e il suo benessere in senso ampio, compreso il bene dell'amore coniugale (es. nei casi in cui la donna abbia una fobia patologica della maternità, che interferisca negativamente con la sua vita sessuale).

La sterilizzazione a finalità contraccettiva mira esclusivamente a escludere la generazione. Statisticamente risulta essere il metodo anticoncezionale più diffuso nel mondo; coloro che lo promuovono, lo presentano come il più sicuro e il più innocuo, privo degli effetti collaterali che presentano gli altri metodi.

Fino ad epoca molto recente, la sterilizzazione a fini contraccettivi era proibita dall'ordinamento giuridico italiano. L'abrogazione dell'art. 552 del C.P. (legge 192 del 1978), che proibiva «gli atti diretti a rendere una persona impotente alla procreazione», ha creato un vuoto legislativo. Alcuni giuristi sostengono che la sterilizzazione potrebbe essere ugualmente perseguita in quanto «lesione personale dolosa»: il bene dell'integrità fisica, infatti, è difeso dalla legge anche contro gli atti con cui l'individuo stesso potrebbe comprometterlo. A rigore di legge, tuttavia una sterilizzazione consensuale reversibile è lecita, in quanto non cagiona «una diminuzione permanente dell'integrità fisica».

Il diffondersi della domanda di sterilizzazione pone i medici di fronte a delicati problemi professionali. Ciò che preoccupa il medico coscienzioso non sono tanto le complicazioni cliniche, quanto i risvolti psicologici della sterilizzazione. Se non vuole colludere con i meccanismi autodistruttivi, di cui il richiedente stesso può non essere consapevole, il sanitario si trova costretto a vagliare le richieste di sterilizzazione, al fine di scoprire le controindicazioni. negli Statu Uniti, dove la pratica della sterilizzazione è molto diffusa, i medici hanno sentito la necessità di una tutela in termini giuridici contro le sterilizzazioni non volute, facendo sottoscrivere ai richiedenti un documento di assenso. Più difficile è premunirsi contro la responsabilità morale nei confronti di scelte in cui la libertà esiste formalmente, ma non psicologicamente.

Le posizioni etiche di impostazione personalista condannano la sterilizzazione a fini contraccettivi. La dottrina morale cattolica, ad esempio, esclude il ricorso alla sterilizzazione diretta, sia perpetua sia temporanea (Humanae vitae, 1968, ripetendo un rifiuto più volte formulato).

Il motivo della condanna risiede nel considerare la sterilizzazione contraccettiva un'abdicazione alla responsabilità umana, per consegnarsi a dei mezzi tecnici che impoveriscono il patrimonio delle forze psichiche e morali dell'uomo.

L'interruzione volontaria della gravidanza

La protezione della vita non nata è un problema che coinvolge tanto il diritto, quanto l'etica. Gli ordinamenti legislativi di quasi tutti i Paesi hanno conosciuto negli ultimi tempi delle revisioni delle tradizionali norme repressive, con l'introduzione di una regolamentazione sociale dell'interruzione volontaria della gravidanza.

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In Italia la materia è regolata giuridicamente dalla legge 194 del 1978.

La disciplina è nettamente differenziata a seconda che l'interruzione sia praticata entro o dopo i novanta giorni dal concepimento. Nei primi tre mesi, la legge permette l'interruzione della gravidanza quando la donna «accusi circostanze per le quali la prosecuzione della gravidanza, il parto o la maternità comporterebbero un serio pericolo per la salute, o alle sue condizioni economiche o sociali o familiari, o alle circostanze in cui è avvenuto il concepimento, o a previsioni di anomalie o malformazioni del concepito» (art. 4). Dopo i primi novanta giorni, la legge prevede che possa essere praticata l'interruzione volontaria della gravidanza quando la gravidanza o il parto comportano un grave pericolo per la vita della donna (si parla correntemente in questo caso di aborto terapeutico) oppure «quando siano accertati processi patologici, che determinano un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna» (art. 6).

Il Codice italiano di deontologia medica (1978) ha lasciato cadere il tradizionale rifiuto dei medici a partecipare a interventi abortivi, esclusi quelli per salvare la vita della madre: «L'interruzione della gravidanza è regolamentata con legge dello Sato. Ogni atto mirante all'interruzione della gravidanza, all'infuori dei casi previsti dalla legge, costituisce grave infrazione deontologica, specialmente se compiuto a scopo di lucro» (art. 46). La legge 194 prevede tuttavia che il personale sanitario e coloro che esercitano le attività ausiliarie possano sollevare obiezioni di coscienza, venendo così sollevati dall'obbligo di prendere parte alle procedure per l'interruzione della gravidanza (art. 9). Anche la Guida europea di etica medica (1987) fa appello alle convinzioni personali: «È conforme all'etica che il medico, in ragione delle proprie convinzioni, rifiuti di intervenire nel processo della riproduzione o nel caso di interruzione della gravidanza o di aborto, invitando le persone interessate a ricorrere ad altri medici» (art. 18). La tutela della vita non nata si sposta così dal fronte della legge e delle norme deontologiche verso una frontiera più intima della coscienza morale degli individui.

Dal punto di vista della morale religiosa, la dottrina cattolica è la più formale nella condanna di qualsiasi forma aborto procurato. Il Concilio Vaticano II chiama l'aborto «abominevole delitto» (Gaudium et spes, n. 11); l'enciclica di Paolo VI Humanae vitae (1967) indica, tra le vie illecite per la regolazione della natalità, «l'interruzione diretta del processo generativo già iniziato, e soprattutto l'aborto direttamente voluto e procurato, anche se per ragioni terapeutiche» (n. 14).

Il principio su cui si basa la norma generale che rifiuta l'aborto procurato è la difesa della vita umana, anche di quella non nata: «Il primo diritto di una persona umana è la sua vita. Essa ha altri beni, e alcuni sono più preziosi, ma quello è fondamentale, condizione di tutti gli altri. Perciò esso deve protetto più di ogni altro» (Dichiarazione sull'aborto procurato, Congregazione per la dottrina della fede, 1974).

La regolazione delle nascite

La decisione di procreare o di astenersene, del numero di figli da avere, ed eventualmente dei metodi da adottare per avere dei rapporti sessuali infecondi, è diventata un tema di bioetica in concomitanza con due fattori: l'esplosione del problema demografico a livello mondiale (sbilanciamento tra Paesi afflitti da sovrappopolazione e altri da calo demografico e invecchiamento: la procreazione ha un evidente carattere di responsabilità o irresponsabilità) e la medicalizzazione della regolazione delle nascite. Per una contraccezione sicura sul piano della salute ed efficace nei risultati oggi è richiesto l'intervento del medico (i metodi più antichi e diffusi ― il coito interrotto e il preservativo maschile ― non pongono specifici problemi etici al sanitario); la contraccezione moderna comprende:

Contraccettivi orali. I due tipi più comunemente usati sono: la pillola combinata, che contiene estrogeni sintetici e una sostanza sintetica simile al progesterone chiamata «progestogeno», e laminipillola, che contiene una parte di progestogeno inferiore alla precedente. Un vivace dibattito ha accompagnato i'introduzione della pillola anticoncezionale, avvenuta nel 1960, tanto sul piano sanitario (efficacia, pericolosità per la salute, effetti collaterali), quanto su quello morale.

Diaframma. Rappresenta una barriera meccanica che blocca la bocca dell'utero, in modo che gli spermatozoi non possano penetrare. Usato congiuntamente a una crema spermicida, costituisce un contraccettivo efficace. È necessario che la scelta del tipo adatto di diaframma venga fatta dal ginecologo, il quale tiene conto della specifica anatomia della donna,.

Pillola del giorno dopo. Agisce sull'ovulo fecondato, impedendone l'annidamento.

Dispositivi intrauterini (IUD o spirale). Un filamento di plastica flessibile viene inserito nell'utero e quivi mantenuto. La spiegazione più plausibile dell'efficacia di questo dispositivo è che impedisca all'ovulo fecondato di impiantarsi nell'endometrio

Metodi «naturali». Sono i metodi che si fondano sul ricorso ai periodi infecondi che ricorrono nel ciclo femminile. I metodi predittivi (metodo del calendario di Ogino-Knaus) hanno lasciato il posto a quelli che mirano a riconoscere il momento dell'ovulazione, ricorrendo al controllo della temperatura basale, all'analisi del muco cervicale o ad altri segni diagnostici.

Non tutti gli orientamenti confessionali attribuiscono la stessa importanza ai metodi contraccettivi, in quanto espressione in sé di valori o disvalori morali. Le Chiese protestanti, ad esempio, avendo accettato il ricorso a metodi contraccettivi, lasciano la preferenza del metodo alla valutazione autonoma della coppia. La Chiesa Cattolica, invece, considera come via non lecita di regolazione delle nascite ogni azione che, o in previsione dell'atto coniugale o nel suo compimento o nello sviluppo delle sue conseguenze naturali, si proponga come scopo o come mezzo di rendere impossibile la procreazione (Humanae vitae). Ai propri fedeli che vogliano regolare responsabilmente la fertilità la Chiesa cattolica indica il ricorso ai periodi infecondi, e quindi ai metodi che su di essi si basano.

Nella bioetica di natura non confessionale la valutazione differenziale dei metodi non ha riscosso molta attenzione, eccettuata la distinzione tra metodi che agiscono in maniera abortiva e metodi propriamente anticoncezionali. È il motivo per cui numerosi ginecologi si rifiutano di applicare la spirale a donne che lo richiedono, perché ritengono che questo metodo contraccettivo equivalga praticamente a un precocissimo aborto. Al di là di questa fondamentale distinzione, tende a prevalere l'orientamento deontologico, secondo il quale il medico deve provvedere al bene della salute delle persone che ricorrono al suo aiuto. In caso di conflitto tra i diversi metodi, il criterio del più «sano» ― comprendendo la sicurezza e la mancanza di effetti collaterali ― deve avere la preferenza.

Transessualismo

Si tratta della turba più profonda dell'identità sessuale (o «identità di genere»). L'esperienza della percezione sessuale di stessi (sentirsi uomo o donna) diverge dalla struttura anatomica del corpo: si tratta per lo più di uomini che si sentono donne intrappolate in un corpo «sbagliato». Se il transessuale si rivolge al medico, chiedendogli gli interventi chirurgici e ormonali che lo facciano approdare a un cambiamento di sesso, il medico

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può facilmente trovarsi in una situazione di conflitto etico. L'opera medica per la rassegnazione del sesso travalica l'ambito terapeutico tradizionale. La legislazione italiana non considera più gli interventi chirurgici di questo genere come mutilazioni perseguibili penalmente (legge 1634 del 14.1.1982). Tuttavia il medico non può limitarsi semplicemente ad assecondare la richiesta. Anche se le barriere legali nei confronti degli interventi chirurgici di cambiamento di sesso sono cadute, ne possono sussistere altre di natura sanitaria, psicologica o sociale; tra il medico e il transessuale può erigersi inoltre l'ostacolo costituito da una diversa valutazione morale del cambiamento di sesso. La medicina, che è caratterizzata da un ordinamento organocista, la ha tendenza a privilegiare la sessualità morfologico-ormonale, a danno delle altre componenti psico-sociali, che pur entrano nella costituzione dell'identità sessuale. Questa prospettiva potrà essere integrata, grazie a una concezione antropologica di maggior spessore. Tuttavia l'orientamento fondamentale del medico alla «salute» non può essere stravolto, mettendo la professione sanitaria semplicemente a servizio del desiderio del soggetto.

 

Ricerca e sperimentazione con gli esseri umani

La conoscenza dei crimini perpetrati dai medici nazisti in nome della ricerca scientifica ha fatto elaborare, già nel 1946, il Codice di Norimberga, in teso a limitare le sperimentazioni su soggetti umani. Secondo il documento, l'esperimento può essere giustificato solo a condizione che ne siano accertate l'utilità. («L'esperimento dovrà essere tale da fornire risultati utili al bene della società, e non altrimenti ricavabili con mezzi o metodi di studio; la natura dell'esperimento non dovrà essere né casuale, né senza scopo»). L'innocuità («Non si dovranno condurre esperimenti ove vi sia già a priori ragione di credere che possa sopravvenire la morte o un0infermità invalidante, eccetto forse quegli esperimenti in cui il medico sperimentatore si presta come soggetto»), l'autodecisione del soggetto sperimentale («Nel corso dell'esperimento il soggetto umano dovrà avere la libera facoltà di porre fine ad esso, se ha raggiunto uno stato fisico o mentale per cui gli sembra impossibile continuarlo).

Questi principi si sono andati precisando negli anni successivi, mentre il problema etico della sperimentazione con gli esseri umani diventava uno dei capitoli più importanti della bioetica contemporanea.

Per la valutazione etica è fondamentale distinguere tra due categorie di ricerca:

― ricerca terapeutica: è quella intrapresa primariamente a beneficio del paziente che vi si sottopone;

― ricerca non terapeutica o di base: il suo obiettivo è quello di acquisire nuove conoscenze scientifiche, senza finalità diagnostica o terapeutica diretta nei riguardi di colui sul quale viene esercitata.

Mentre la prima non pone gravi problemi etici, quella che utilizza persone sane, per essere legittima dal punto di vista morale, deve sottostare ad alcune regole.

La prima è la scientificità della ricerca.

La seconda il rapporto danni-benefici (due principi fondamentali sono indicati dall'Associazione medica Mondiale nella Dichiarazione sulle ricerche biomediche, Helsinky-Tokio 1975: «Gli interessi del soggetto devono sempre prevalere su quelli della scienza e della società»; «il medico non deve intraprendere un progetto di ricerca, se non è possibile prevederne i rischi potenziali»).

La terza regola è il consenso informato: «Al momento di ogni ricerca sull'uomo, l'eventuale soggetto sarà informato in modo adeguato sugli obiettivi, metodi, benefici scontati e sui rischi potenziali e svantaggi che potrebbero derivargliene. Egli (ella) dovrà essere informato(a) che è libero(a) di disimpegnarsi in qualsiasi momento. Il medico dovrà ottenere il consenso libero e cosciente del soggetto, preferibilmente per iscritto».

Quanto alla ricerca sugli embrioni, la valutazione etica dipende dalla prospettiva antropologica. Se all'embrione viene riconosciuta la dignità di persona fin dal momento del concepimento, la ricerca è considerata illecita. In questo senso si è espressa l'Istruzione sul rispetto della vita umana nascente e la dignità della procreazione, della Congregazione per la dottrina della fede, 1987 («La ricerca medica deve astenersi da interventi sugli embrioni vivi, a meno che non ci sia la certezza morale di non arrecare danno né alla vita, né all'integrità del nascituro e della madre, e a condizione che i genitori abbiano accordato il loro consenso, libero e informato, per l'intervento sull'embrione»).

Per quanto riguarda l'utilizzazione di feti ed embrioni umani morti, il Comitato consultivo nazionale di etica francese ha espresso un suo parere (1984), secondo il quale la nostra società, pur registrando un pluralismo di concezioni antropologiche, esprime un fondamentale consenso sul «carattere umano» dell'embrione. Di conseguenza, mentre l'utilizzazione di tessuti embrionali e fetali a fini diagnostici (ricerche sulle cause di un0interruzione spontanea della gravidanza, conferma delle diagnosi fatta in utero) è legittima, la stessa utilizzazione a scopo terapeutico deve avere un carattere eccezionale, giustificato da un beneficio manifesto per colui che riceverà il trattamento.

DONO E TRAPIANTO DI ORGANI

La tecnologia biomedica, la capacità di prolungare la conservazione degli organi dopo la morte clinica del soggetto al quale vengono espiantati e il controllo del problema clinico del rigetto hanno reso possibile il trapianto di numerosi organi: cuore, reni, fegato, pancreas. midollo e altri tessuti. Affinché il trapianto di organi avvenga in un contesto dei alta ispirazione ideale, è necessario che la pratica sia preservata da ciò che può inquinare la nobiltà; è necessario inoltre, positivamente, che sia promossa una cultura del dono. Riguardo al primo aspetto, l'imperativo fondamentale è quello di evitare ogni commercializzazione degli organi. Nel nostro Paese la legge vieta una tale compravendita (cfr. la legge n. 458 del 1967, relativa ai trapianti di rene da vivente). La clausola della gratuità è moralmente obbligante anche nel caso di trapianti da cadavere.

Come ogni altro procedimento terapeutico, il trapianto d'organo si deve positivamente ispirare al principio della beneficialità. Ciò implica una considerazione globale delle condizioni di vita che vengono rese possibili al malato tramite l'intervento.

Se la morte viene semplicemente scambiata con un'esistenza che diventa un vero e proprio calvario per l'interessato, i dubbi sul carattere beneficiale di tale intervento si impongono.

Anche il principio della giustizia è rilevante nel caso dei trapianti. Esso diventa operativo quando il sanitario si trova a dover scegliere tra diversi candidati al trapianto, in presenza di un numero limitatissimo di organi da trapiantare. Ilprincipio dell'autonomia, infine, esige il consenso tanto del donatore quanto del ricevente.

Il prolungamento medico della vita

L'interesse della bioetica per lo studio più approfondito della morte, in quanti processo cronologico, è stato provocato dallo sviluppo di due procedimenti:

― la possibilità di mantenere con mezzi

 

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artificiali l'ossigenazione di tessuti che possono essere stati irreversibilmente lesi;

― l'utilizzazione di organi di cadaveri in vista del loro trapianto.

Un orientamento generale, universalmente accettato dalla sensibilità etica contemporanea, è quello che identifica come obiettivo della medicina il mantenimento della persona, più che delle sue singole funzioni o cellule isolate. «La questione del momento della morte delle differenti cellule e organi è meno importante della certezza che questo processo è diventato irreversibile, quali che siano i metodi di rianimazione che possono essere impiegati» (Dichiarazione sulla determinazione del momento della morte), Associazione medica Mondiale, 1968).

Non esiste, allo stato attuale delle conoscenze mediche, un criterio unico che dia pienamente soddisfazione.

LA MORTE COME PROBLEMA BIO-ETICO

 

Il termine della vita è diventato un'area scottante, dove confluiscono sfide antropologiche tra le più radicali. Ciò obbliga l'etica bio-medica contemporanea a ripensare, in considerazione del bene stesso dell'uomo, le norme morali che in passato hanni validamente regolato questo ambito. L'intervento massiccio delle nuove tecniche ha cambiato volto alla morte. Questa ha perso la sua «naturalezza»: nelle aree industrializzate e urbanizzate il trapasso avviene ormai quasi esclusivamente in un contesto medico, per lo più in ospedale, sotto terapia intensiva di rianimazione. Grazie a questa disciplina medico-chirurgica, tanto spettacolare quanto efficace, la durata della vita ha potuto essere notevolmente prolungata. Ma il tenere in scacco la morte si è rivelato quanto meno una benedizione ambigua…

La possibilità di rendere la vita vegetativa indipendente dai livelli superiori della coscienza diventa, almeno in alcuni casi, un dono malefico. Si può assistere alla paradossale rivendicazione del diritto di essere dichiarati morti! La vicenda dell'americana Karen Ann Quinlan ha assunto in questo ambito il ruolo di caso emblematico, di quelli che hanno il merito di portare un problema etico a livello della coscienza popolare. La ragazza era caduta in coma profondo (aprile 1975, ndr) con lesioni cerebrali irreversibili, che non le avrebbero permesso di tornare indietro da una sopravvivenza puramente vegetativa. I genitori chiesero ai medici di lasciarla morire in pace; questi invece, in nome dell'etica professionale che impone loro di fare di tutto per prolungare la vita, rifiutarono e le applicarono un polmone di acciaio. I Quinlan chiesero allora all'autorità giudiziaria l'autorizzazione al distacco dal respiratore artificiale. Ne seguì un processo a più riprese, che vide schieramenti appassionati pro e contro il desiderio dei genitori. Questi ottennero infine dalla Corte suprema del New Jersey la sospensione delle misure di rianimazione (maggio 1976, ndr), anche se la povera Karen Ann dovette ancora «vegetare» per anni, prima di spegnersi naturalmente (11 giugno 1985, ndr).

Il caso, tuttavia, aveva ormai posto di fronte all'opinione pubblica il problema: ci sono situazioni in cui la morte sembra che la si debba conquistare lottando conrto l'apparato medico! I medici intraprendono il prolungamento della vita con buona coscienza, richiamandosi ai principi etici che ispirano la professione. Se le norme del passato, in un mutato contesto culturale, portano a pratiche disumane, è forse giunto il momento di ripensare le norme stesse.

(daSandro Spinsanti, Etica biomedica, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo 1988, pp. 174-175. Cfr anche la voce Accanimento terapeutico e medicina palliativa di questo dizionario)

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L'indicazione autorevole della Pontificia Accademia delle Scienze per stabilire la morte clinica(«una persona è morta quando ha subito la perdita irreversibile di ogni capacità di integrare e coordinare le funzioni fisiche e mentali del corpo») prevede due encefalogrammi piatti, misurati a sei ore di distanza l'uno dall'altro.

La determinazione del momento della morte consentirà, dal punto di vista etico, di cessare gli sforzi di rianimazione ed eventualmente di procedere al prelievo degli organi per il trapianto. È opportuno tener conto dell'indicazione contenuta nella dichiarazione dell'Associazione Medica Mondiale: qualora il trapianto di un organo sia possibile, la decisione che la morte sia già sopravvenuta dovrà essere presa da due o più medici, e costoro non dovranno essere gli stessi medici che eseguiranno l'operazione di trapianto.prolungamento della vita non è obbligo morale assoluto: è un principio che va tenuto presente in caso di conflitto. Questo può sorgere soprattutto quando una terapia antalgica può provocare, come effetto secondario, una depressione respiratoria che accelera la morte. In base al principio del duplice effetto, il medico è moralmente autorizzato a intraprendere un'azione terapeutica di questo genere («Se la somministrazione dei narcotici cagiona per se stessa due effetti distinti, da un lato l'alleviamento dei dolori, dall'altro l'abbreviamento della vita, è lecita»: Pio XII).

L'eutanasia

In senso stretto, si intende per eutanasia «un'azione o un'omissione che di natura sua, o nelle intenzioni, procura la morte, allo scopo di eliminare ogni dolore. L'eutanasia si situa, dunque, al livello delle intenzioni e dei metodi usati» (Dichiarazione sull'eutanasia, della Sacra Congregazione per la dottrina della fede, 1980).

Per un giudizio etico è opportuno distinguere tra:

― eutanasia attiva: si ha quando si produce deliberatamente la morte, per motivo di compassione;

― eutanasia passiva: quando la morte sopravviene perché si omettono misure indispensabili per salvare la vita.

La pratica dell'eutanasia, sia attiva che passiva, è tradizionalmente considerata inconciliabile con l'ethos del medico, già dal Giuramento di Ippocrate («Giammai mosso dalle premurose insistenze di alcuno, propinerò medicamenti letali, né commetterò mai cose di questo genere«).

Tuttavia è da considerarsi impropriamente eutanasia passiva l'astensione del medico da misure rianimative e terapeutiche finalizzate a rendere possibile il processo «naturale» del morire. È legittimo omettere l'azione sanitaria che potrebbe prolungare la vita, quando ciò significhi solo un'ostinazione terapeutica. La Guida europea di etica medica, 1987, finalizzata a omogeneizzare il comportamento dei medici all'interno dei Paesi che aderiscono all'organizzazione della Comunità Europea, prevede a questo riguardo: «La medicina implica in ogni circostanza il rispetto costante della vita, dell'autonomia morale e della libera scelta del paziente. Tuttavia il medico può, in caso di malattia incurabile e terminale, limitarsi ad alleviare le sofferenze fisiche e morali del paziente offrendogli i trattamenti appropriati e mantenendo nella misura del possibile la qualità di una vita che finisce».

Anche la morale religiosa si allinea su una posizione che contempera il rispetto della sacralità della vita con la tutela della qualità umana di essa. Senza alcun cedimento nei confronti di una mentalità incline a un giudizio di valore sulla vita dell'uomo con parametri utilitaristici ― posizione inconciliabile tanti con i principi deontologici della professione medica, quanto con quelli della valutazione teologica dell'uomo ―, la morale cattolica promuove un discernimento critico dei mezzi terapeutici usati per impedire la morte, rifiutando quelli che compromettono la dignità della persona. «Si dovrà, in tutte le circostanze, ricorrere ad ogni rimedio possibile? Finora o moralisti rispondevano che non si è mai obbligati all'uso dei mezzi "straordinari", Oggi però tale risposta, sempre valida in linea di principio, può forse sembrare meno chiara, sia per l'imprecisione del termine sia per i rapidi progressi della terapia. Perciò alcuni preferiscono parlare di mezzo "proporzionati" e "sproporzionati". In ogni caso, si potranno valutare bene i mezzi mettendo a confronto il tipo do terapia, il grado di difficoltà e di rischio che comporta, le spese necessarie e le possibilità di applicazione, con il risultato che ci si può aspettare, tenuto conto delle condizioni dell'ammalato e delle sue forze fisiche e morali» (Dichiarazione sull'eutanasia, 1980).

Il riconoscimento del diritto del cittadino di rifiutare le cure mediche e chirurgiche che valuta sproporzionate o incompatibili con la propria dignità, e di sopportarne le conseguenze in termini di speranza di vita, ha portato a promuovere iniziative legali, come la Legge sulla morte naturalepromulgata dallo Stato della California nel 1976. La legge in pratica autorizza i medici a non applicare o a sospendere le tecniche rianimatorie in pazienti adulti affetti da una malattia allo stato terminale, purché i pazienti stessi lo abbiano chiesto per iscritto. Un progetto di legge analogo è in discussione, con molti contrasti, anche in Italia.