Come riconoscere il medico giusto

Book Cover: Come riconoscere il medico giusto
Parte di Rapporto professionista-malato series:

Merli I. - Tatsos M.

Come riconoscere il medico giusto e come difendere i vostri diritti di pazienti

FrancoAngeli, Milano 1994

pp. 9-11

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PRESENTAZIONE

Per tranquillizzare gli spiriti più pavidi, diciamo subito che questo libro non è rivoluzionario. Nel senso, almeno, in cui la parola è collegata all’evento traumatico da cui ha avuto origine la configurazione del mondo moderno: la rivoluzione francese che ha posto fine a XV Ancien Régime. Lo ha fatto tagliando la testa a coloro che incarnavano il potere esercitato in modo assolutistico: il re, i nobili, l’alto clero. Il cambiamento in medicina non ha preso la via della rivoluzione.

Qualcuno ha temuto che ciò potesse avvenire. Il medico e il filosofo tedesco Viktor von Weizsäcker (1886-1957), teorico della «medicina antropologica», era così consapevole del malessere serpeggiante tra i pazienti, nella prima metà del nostro secolo, che ipotizzò nei suoi scritti una svolta drammatica nel rapporto tra i medici e i cittadini malati. I medici sono soliti richiedere ai pazienti una fiducia incondizionata. Non prendono neppure in considerazione che si possa dubitare della loro volontà di fare il bene del malato ― della loro «coscienza», quindi ―, e che abbiano le capacità necessarie per farlo: quelle riassunte nella «scienza».

Tradizionalmente il rapporto medico-paziente è stato interamente rappresentato da questo modello: scienza e coscienza da parte del medico, fiducia e docilità da parte del malato. Quando questo rapporto si rompe e si incrina ― nel senso, per esempio, che il malato si accinge a ritirare la sua fiducia ― i medici sono soliti adottare una strategia di difesa, trincerandosi per lo più dietro l’autorità della scienza, concepita come una grandezza

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impersonale di cui essi sono i servitori. Ma attenzione, ammoniva von Weizsäcker: se i medici reagiscono come una corporazione, un giorno l’intera corporazione può essere oggetto di una grave aggressione; anche i medici rischiano di fare la fine di tutti i poteri assolutisti e di essere spazzati via da una rivoluzione!

La fosca previsione rivoluzionaria non si è avverata. Per fortuna. La medicina sta entrando nella sua epoca moderna in modo incruento, anche se non senza traumi. Il modello paternalista di esercizio della medicina è rimesso, infatti, in discussione da una cultura che ha cambiato i presupposti di fondo. Il paziente non è un «povero cristo» da trattare benevolmente, magari abbinando all’efficacia dei trattamenti anche una dose di «umanizzazione», ma un cittadino che esercita il diritto di ricevere un trattamento. Un cittadino colto, informato, consapevole delle sue scelte; e, qualora non lo fosse, ha diritto che chi esercita la medicina si prenda il tempo e la cura di informarlo, per farlo accedere alla condizione in cui ricevere un trattamento non equivale ad essere oggetto di un atto di benevolenza, ma è un esercizio di libertà e di responsabilità. Il malato di oggi non vuol più essere trattato come un Pinocchio recalcitrante, che una materna fatina deve convincere, con modi seducenti, a mandar giù la medicina. Non vuol essere un bambino, e tanto meno un burattino, ma un adulto che sa coniugare i suoi diritti con le responsabilità che ne conseguono.

Anche senza gli sconvolgimenti di una rivoluzione, il clima che regna oggi tra il professionista che offre le cure a colui che le riceve è profondamente diverso dal passato. L’innovazione è in corso e richiede di cambiare comportamenti che si sono consolidati nei secoli.

Il cittadino che vuole affrontare la condizione di malato in armonia con i tempi moderni ora ha un efficace alleato: il manuale di Irene Merli e Maria Tatsos. Non sono due «pasionarie» che incitano alla rivolta contro i medici. La rivoluzione non è proprio il loro obiettivo. Non vogliono erigere un tribunale del popolo contro i medici, e neppure un tribunale per i

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diritti del malato. Sono due giornaliste. Per mestiere, sanno che l’informazione è un potente propellente di civiltà.

Vogliono un malato informato, come pilastro di un nuovo stile di esercizio alla medicina. Una medicina per la quale la «qualità» non è solo il risultato positivo della guarigione ottenuta, indipendentemente dal modo in cui si consegue, ma quel risultato che lascia il cittadino che ha dovuto far ricorso al servizio professionale di un terapeuta completamente soddisfatto: perché si è sentito rispettato come persona; perché conosce meglio i problemi della sua salute e può impegnarsi di più nella prevenzione delle malattie; perché ― per ultimo, ma non in ordine di importanza ― non ha l’impressione che la sua condizione di fragilità sia stata sfruttata economicamente.

I tempi sono cambiati, anche se ci sono ancora dei medici che mostrano di non essersene resi conto. Continuano a comportarsi con i pazienti come hanno sempre fatto. Forse nella professione attingono anche a solide conoscenze di medicina scientifica e sanno tenersi lontani dalle tentazioni del potere esercitato sugli ignoranti. Ma se alla scienza e alla coscienza non hanno imparato ad abbinare l’informazione, quello che fanno non corrisponde più alla «buona medicina» come la concepiamo oggi. Così sono passati, senza saperlo, tra i parrucconi dell'Ancien Régime. Ci penseranno i pazienti a togliere loro la parrucca ― la testa, no: mi raccomando... ― e a costringerli a confrontarsi con le esigenze della nuova cultura sanitaria.