- Interessi plurali, interessi in conflitto nella pratica clinica
- Conflitto di interessi
- L'alleanza terapeutica
- Chi ha potere sul mio corpo?
- Curare e prendersi cura
- Il medico e il paziente, una relazione complessa
- Le mani sulla vita
- Come riconoscere il medico giusto
- Cambiamenti nella relazione tra medico e paziente
- L'educazione come terapia
- «Dottore, sto male» - «Mi racconti»
- Narrative based medicine
- We have a dream
- L'ascolto che guarisce
- La comunicazione medico-paziente
- La gestione dei conflitti in ambito sanitario
- Ripensare la cura nel contesto di una società conflittuale
- La necessità di porre limiti alla medicina
- Parlare o tacere?
- Il rapporto medico-paziente
- Il recupero del soggetto
- Etica della vita e intervento sanitario
- Elogio della indecisione
- Comunicare e informare: quale empowerment per il cittadino?
- L'ascolto che guarisce: conclusioni
- Dignità del malato e dignità del medico
- Aspetti etici della relazione medico-paziente
- La decisione cardiochirurgica: aspetti etici
- Il segreto nel rapporto con il paziente sieropositivo
- Il rapporto medico-paziente: modello in transizione
- La formazione culturale del curante
- Le professioni della salute si incontrano
- Le separazioni nella vita
- Quando inizia l'accanimento diagnostico e terapeutico?
- L'accanimento diagnostico e terapeutico
- La persona è al centro della comunicazione
- Il medico impari a non «scomunicare»
- Ma il malato deve o vuole sapere?
- Il dottor Knock si aggiorna
- Il tempo come cura
- A una donna come me
- La difficile virtù di saper ascoltare
- Dottore, ma l'operazione s'ha proprio da fare?
Andrea Valdambrini
LA GESTIONE DEI CONFLITTI IN AMBITO SANITARIO
Il Pensiero Scientifico Editore, Roma 2008, pp. VII-XI
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PRESENTAZIONE
«Siamo in guerra». Non è un proclama da attribuire a un capo di Stato. È lo slogan proposto dalla Lega italiana contro i tumori: «Siamo in guerra contro il cancro». Nell'ambito del linguaggio metaforico di cui si serve la medicina 1, la guerra ricorre con predilezione. Alla tradizionale metafora militare, che ama presentare la medicina come guerra a oltranza contro la malattia e la decadenza dell'organismo, più di recente si è affiancata quella che muove nell'altra direzione, utilizzando la medicina per spiegare la guerra (vedi i bombardamenti contro obiettivi strategici presentati come operazioni «chirurgiche», destinate a rimuovere il male senza pregiudicare la parte sana dell'organismo ... ). L'uso delle metafore è un corredo necessario del discorso, per far emergere quella parte della realtà che eccede la comprensione affidata a un discorso solo razionale. La cura non si sottrae a questa necessità. I rapporti di cura come guerra, dunque; o come forme di conflitto.
Se dal punto di vista denotativo guerra e conflitto possono essere interscambiabili, quali sinonimi, la connotazione dei due termini è molto diversa. La guerra si presta di più a qualificare la medicina quale impresa sistematica rivolta a lottare contro la patologia; il conflitto, invece, è una metafora più calzante per esprimere le condizioni interne ai rapporti di cura. Ora più che mai la pratica della medicina è gravida di conflitti. Tanto che le energie impiegate nella gestione dei conflitti appaiono sottratte alla guerra contro la malattia.
Il documentato saggio di Andrea Valdambrini offre ai lettori, oltre all'analisi teorica dei conflitti e alle indicazioni per trasformarli in maniera costruttiva, anche una chiave di lettura per comprendere come mai l'ambito socio-sanitario sia diventato un luogo dove imperversano
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i conflitti. I «brevi cenni sulla questione del potere» indirizzano la nostra attenzione sulla causa profonda dei conflitti: la suddivisione del potere.
In medicina è in corso una vera e propria «traslocazione» del potere. Il termine, mutuato dalla genetica, connota volutamente il potere come parte costitutiva, in termini genetici, dell'esercizio della medicina. Nel modello tradizionale, che potremmo chiamare ippocratico, il medico esercita sul malato un potere esplicito, senza complessi di colpa e senza bisogno di giustificazioni. Il potere si regge intrinsecamente sulla finalità che lo ispira: è esercitato per il bene del malato. Rodrigo De Castro, un medico del XVII secolo, nel suo trattato Medicus politicus arriva ad affermare: «Il medico governa il corpo umano, così come il sovrano governa lo Stato e Dio governa il mondo». Si tratta di un potere assoluto, in cui chi sta in posizione dominante (one up) determina in modo autoreferenziale di che cosa ha bisogno chi sta in posizione dominata (one down).
Nel caso specifico della medicina, il medico stabilisce la diagnosi, indica l'opportuna terapia e la esegue, senza bisogno di informare il malato e senza necessità di ottenere un serio consenso, se non quello implicito nell'affidamento fiduciale. Questo modello, che costituiva la spina dorsale dell'etica medica, è stato in vigore in Occidente ininterrottamente per 25 secoli. La buona medicina poteva, e anzi doveva, interrogarsi se le decisioni prese «in scienza e coscienza» fossero giustificate dalle conoscenze mediche e se fossero davvero orientate al miglior interesse del malato. Non richiedeva però al medico di includere le preferenze del paziente tra gli elementi che determinavano le decisioni. La volontà stessa del paziente era, al limite, irrilevante, qualora il medico fosse in grado di far valere il suo punto di vista.
La «dominanza medica» 2 non si esercitava solo sul paziente. Tra i professionisti che, a diverso titolo, collaboravano alla cura vigeva lo stesso rapporto one uplone down, con il medico in posizione dominante. Gli infermieri, culturalmente equiparati a «serventi» 3, in ogni caso ricondotti alla vasta categoria dei «para-medici», erano solo esecutori delle decisioni mediche. La strutturazione gerarchica dei rapporti faceva sì che i cont1itti, qualora si fossero presentati, venissero risolti per via autoritaria.
Un terzo ambito in cui vigeva questo stesso modello era quello che regolava i rapporti tra i medici e gli amministratori. I medici, forti della loro posizione dominante, si richiamavano alla «libertà terapeutica» e pretendevano da politici e amministratori le risorse ― tecnologiche,
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farmaceutiche, organizzative ― che loro valutavano opportune per fare buona medicina. Il potere di prescrivere si traduceva in un potere su quanti dovevano provvedere a rendere disponibile quanto il medico riteneva necessario per esercitare la cura.
La modernizzazione della medicina ha messo in crisi il modello tradizionale del potere medico. Le radici del cambiamento di paradigma affondano nella rivendicazione di un potere di autodeterminazione da parte dell'individuo sulle decisioni che riguardano il suo corpo. Si tratta di quella «uscita da una minorità indebita», indicata da Kant come il segno distintivo dell'entrata nei tempi nuovi 4. In medicina il cambiamento è stato registrato due secoli dopo la sua teorizzazione e con molto ritardo rispetto ad altri ambiti della vita, ma alla fine ha avuto luogo. Per avere un punto cronologico di riferimento, consideriamo la creazione del Tribunale dei diritti del malato; l'uscita pubblica del movimento è avvenuta nel giugno 1980, con la prima seduta dal titolo programmatico: «Da malato a cittadino: contro l'emarginazione, per la gestione popolare delle strutture sanitarie».
L'onda lunga del cambiamento sarebbe poi arrivata in Italia negli anni Novanta. E purtroppo è arrivata più come reazione a eventi giudiziari (come la clamorosa condanna del chirurgo Carlo Massimo per omicidio preterintenzionale, a seguito della morte della paziente che aveva operato senza il suo consenso) e all'escalation di conflittualità tra professionisti sanitari e cittadini, piuttosto che come sviluppo coerente con l'accettazione del paradigma fondamentale della modernità. È legittimo sospettare che molti dei cambiamenti intervenuti siano più formali che sostanziali. Basti pensare alla vicenda del consenso informato, introdotto nella pratica come misura difensiva piuttosto che come un modello diverso di prendere le decisioni in medicina. Dovrebbe testimoniare una decisione consensuale, e invece significa il più delle volte una decisione presa dal medico sul paziente, che la ratifica con una firma, spesso senza adeguata informazione e senza coinvolgimento nel processo decisionale.
Il consenso informato nasce all'interno dello scenario evocato dall'espressione «empowerment del cittadino». L'empowerment è un cambiamento di rapporti complesso, che ha luogo su diversi piani: sul piano sociale (è la dimensione culturale), nel rapporto tra professionisti sanitari e pazienti (dimensione clinica) e nell'ambito dei valori condivisi (dimensione etica). L'empowerment si colloca sulla stessa lunghezza d'onda della filosofia promossa dall'OMS sotto il nome di promozione della salute (health promoting): è un «processo che renda
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le persone capaci di aumentare il controllo sulla propria salute e di migliorarla». La redistribuzione del potere tra sanitari e malati implica l'orientamento delle decisioni secondo i valori della persona malata, che possono essere dissonanti rispetto a quelli del professionista medico, portato a privilegiare le azioni rivolte a salvare e prolungare la vita rispetto a quelle finalizzate a risparmiare inutili sofferenze. In una parola, l'empowerment è potere condiviso: questo è l'obiettivo della bioetica, intesa come trasformazione profonda dei rapporti vigenti in sanità.
Le traslocazioni del potere non riguardano solo ciò che è avvenuto nei rapporti tra medici e pazienti. Anche l'autocomprensione delle numerose professioni che contribuiscono alla cura e alla definizione delle relazioni reciproche hanno subito un forte cambiamento, culminato nella legge 43 del 2006 sulla riforma delle professioni sanitarie. Con la trasformazione dei collegi professionali esistenti in altrettanti ordini si sono poste le premesse per una ridistribuzione del potere e le creazioni di rapporti nuovi, non riconducibili al modello gerarchico del passato.
Ma un nuovo fatto sociale è intervenuto a rendere più complesso lo scenario. A partire dagli anni Novanta, a seguito della «riforma della riforma» intervenuta sul Servizio Sanitario Nazionale, il potere è trasmigrato tra le braccia dell'economia. Budget e diagnosis related group sono diventate le nuove parole d'ordine; i medici si sono dimostrati fin troppo propensi a misurarsi con la quantità, piuttosto che con la qualità. Sempre maggior spazio, inoltre, ha assunto la politica, nella forma più bassa di spartizione di quote di poltrone tra aggregazioni partitiche, nei diversi livelli decisionali delle aziende sanitarie. Con predilezione, ovviamente, per i vertici. Malgrado le denunce pubbliche e le battaglie ideali di alcuni pochi fautori della depoliticizzazione nell'assegnazione delle cariche di gestione della Sanità, i criteri del merito e della competenza svolgono ancora un ruolo secondario nelle scelte. Sullo sfondo, infine, non esplicito ma fortemente presente, si delinea il potere di Big Pharma nel guidare la ricerca e le scelte politiche farmacologiche. È come dire che la genetica del potere è ancora più propensa a dar vita a mostri che agli organismi «umani» che sogniamo.
Se si sottoscrive questo scenario generale dei cambiamenti che hanno investito la Sanità italiana negli ultimi vent'anni, non si può che concludere che il conflitto in questo settore della nostra vita sociale è diventato strutturale e non episodico. Di qui l'importanza di
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un know how appropriato per trasformare i conflitti in opportunità, secondo la modalità del potere condiviso. È un discorso nuovo, soprattutto per la medicina. Oggi più che mai, bisognerà affermare che conoscere la medicina non basta per fare buona medicina. È una condizione necessaria, ma non sufficiente.
Per avere buona medicina, qualunque sia la posizione che si occupa nello scacchiere delle relazioni di cura ― professionisti e sanitari, amministratori e cittadini ― bisogna imparare a tener conto che esistono altri punti di vista e altri interessi, oltre ai propri. E trovare insieme soluzioni creative. È una competenza nuova, un continente ancora in gran parte sconosciuto, del quale sappiamo tanto poco quanto Cristoforo Colombo conosceva dell'America dopo aver messo piede su un'isola, chiamata Guanahani dagli indigeni e che egli battezzò San Salvador.
Senza presunzione, ma con mano ferma, Andrea Valdambrini si propone di guidarci in questa esplorazione. Gliene siamo grati. Anche perché siamo consapevoli che l'alternativa alla gestione costruttiva dei conflitti, essendo impossibile il ritorno ai rapporti di potere che vigevano nella medicina del passato, sarebbe la guerra di tutti contro tutti. Una prospettiva che assomiglia a un incubo. Note
Bibliografia
Sontag S., La malattia come metafora, Torino, Einaudi, 1979.
Freidson E., La dominanza medica. Le basi sociali della malattia e delle istituzioni sanitarie, Milano, FrancoAngeli, 2002.
Dimonte V., Da servente a infermiere, Torino, CESPI, 1995.
Kant I., Risposta alla domanda: che cos'è l'Illuminismo?, in Scritti politici e di filosofia della storia e del diritto, Torino, UTET, 1975.
Note
1 Sontag S., La malattia come metafora, Torino, Einaudi, 1979.
2 Freidson E., La dominanza medica. Le basi sociali della malattia e delle istituzioni sanitarie, Milano, FrancoAngeli, 2002.
3 Dimonte V., Da servente a infermiere, Torino, CESPI, 1995.
4 Kant I., Risposta alla domanda: che cos'è l'Illuminismo?, in Scritti politici e di filosofia della storia e del diritto, Torino, UTET, 1975.