Dottore, ma l’operazione s’ha proprio da fare?

Book Cover: Dottore, ma l'operazione s'ha proprio da fare?
Parte di Rapporto professionista-malato series:

Sandro Spinsanti

DOTTORE, MA L'OPERAZIONE S’HA PROPRIO DA FARE?

in Rocca

anno 58, n. 11, 1 giugno 1999, pp. 35-37

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L'incontro per operatori della salute si è proposto di indagare le libertà -― al plurale ― che intervengono quando una persona in stato di bisogno per problemi relativi alla salute si rivolge a un professionista sanitario, direttamente o attraverso il sistema sanitario che eroga le cure. Era l’orizzonte molteplice e variegato che intendeva evocare il titolo stesso dell’incontro: «Il gioco delle libertà in medicina: conflitti e composizioni». Facendo un bilancio dei dibattiti, ci rendiamo conto che, in realtà, anche il gioco tra le libertà dei protagonisti non è singolare, ma plurale. Non c’è un unico gioco, ma più giochi. In altre parole più modelli di medicina e, di conseguenza, rapporti molteplici tra i professionisti e i cittadini.

Non è una nostra scoperta di oggi, ma un’eredità tra le più antiche. Già la filosofia greca aveva immaginato due forme di medicina, irriducibilmente diverse, il cui conflitto ha attraversato tutta la storia medica dell'Occidente ed è molto vivo a tutt’oggi: da una parte la medicina come techne, come sapere tecnico, e dall’altra la medicina come filosofia. Sono due modi di intendere la cura, e quindi due sistemi diversi di organizzare attese e speranze nei confronti della medicina, diversi i ruoli reciproci di curanti e curati, diverse le responsabilità.

La tradizione che parla di due modelli di medicina e di cura è seducente, perché noi funzioniamo molto bene in termini binari: bianco e nero, notte e giorno, buono e cattivo... Ma la divisione dicotomica della

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realtà è una semplificazione molto spesso fallace (basterebbe pensare quanto è carente la dicotomia maschio-femmina...). Un modello meno inadeguato può essere quello che si serve di tre fondamentali modalità di dispensare la cura: la «restitutio ad integrum», la guarigione sufficiente, la Grande Salute.

Nella restitutio ad integrum il processo terapeutico viene fondamentalmente descritto come il togliere il sintomo o la condizione patologica e riportare il malato alla condizione precedente. Possiamo immaginare, per semplicità, la situazione che si crea quando una frattura viene perfettamente risaldata o la funzionalità di un organo ristabilita: la malattia diventa un elemento biografico transitorio, del quale si può perdere anche il ricordo.

La guarigione sufficiente è quella che rende possibile la continuazione del progetto esistenziale, malgrado l’incapacità di eliminare la patologia. Si tratta fondamentalmente di convivere con i deficit e le malattie, cercando un equilibrio nuovo, compatibile con la propria esistenza. Oggi la maggior parte delle malattie, almeno nella nostra società, va annoverata tra quelle croniche. Circa un 80% delle persone che bussano alla porta del medico, anche se ci vanno con l’idea o l’illusione della «restitutio ad integrum», hanno invece davanti a sé una condizione di necessaria convivenza con la malattia.

La Grande Salute: è un termine ― mutuato da Nietzsche ― che non ha a che fare con la piena salute, intesa non solo come assenza di malattia, ma come benessere fisico, psichico e sociale (secondo la nota definizione dell’Oms). Significa piuttosto giungere, attraverso la patologia, a una più piena autorealizzazione della persona.

A seconda del modello che si sceglie, cambia il ruolo del terapeuta: se nel primo il ruolo è più facilmente comprensibile come quello di un professionista tecnico, nel secondo è inteso più come un educatore e nel terzo come un testimone partecipe: il sanitario sta accanto, attento, ma senza la pretesa di interferire, perché la Grande Salute non la può produrre il medico, ma solo la persona coinvolta. Il professionista sanitario può forse aiutare la «restitutio ad integrum»; sicuramente può essere un buon educatore; ma per quanto riguarda quella particolare cura che si identifica con il divenire della persona ― fino a quell’orizzonte di autorealizzazione che alcuni chiamano transpersonale e altri semplicemente spirituale ― l’operatore è per lo più «fuori gioco»: anche se personalmente ha elaborato una visione antropologica molto alta e differenziata, non può imporla a chi si rivolge a lui, se questi intende la cura nel primo o nel secondo modo.

Le differenze valgono anche per la partecipazione consapevole del paziente al processo terapeutico: se nel primo modello è auspicabile (oggi, attraverso il consenso informato, diventato una regola deontologica, è quasi un obbligo), per la «guarigione sufficiente» la partecipazione consapevole del paziente è necessaria; per la Grande Salute è assolutamente indispensabile.

Ruolo centrale dell’informazione

I modelli di interazione sono perciò molto diversi: non solo le libertà sono al plurale, ma anche i giochi che si intrecciano tra le libertà.

C’è un ruolo dei soggetti-cittadini, che sono diversi nei loro valori e nelle loro preferenze, intesi come individui e come associazioni di malati; ce un ruolo dei professionisti, a loro volta portatori di valori, e non semplici esecutori di prestazioni richieste; c’è poi un altro soggetto, che entra in gioco

La cura: modi e gradi

Restitutio

ad integrum

La guarigione

sufficiente

La Grande Salute

La descrizione del

processo terapeutico

Togliere il sintomo

o la condizione

patologica

Rendere possibile

la continuazione

del progetto esistenziale

Giungere, attraverso la

patologia, a una o più

piena autorealizzazione

della persona

Il ruolo del terapeuta

Professionista-

tecnico

Educatore

Counselor

(testimone partecipe)

La partecipazione

consapevole

del paziente

Auspicabile

Necessaria

Indispensabile

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anche con una sua libertà: la società nella sua espressione organizzata come erogatore delle cure, pubbliche e private, in tutta la diversa gamma di coinvolgimento sociale e di solidarietà (dal welfare state alle assicurazioni, delle quali non vogliamo dire tutto il male possibile prima di aver detto anche che sono una forma di esercizio della responsabilità del cittadino).

Queste libertà per potersi incontrare e interagire nella pluralità di giochi possibili hanno bisogno di una condizione previa: la circolazione delle informazioni. Più si comprimono le informazioni e più diminuisce il gioco delle libertà. Con l’informazione aumenta il grado di libertà che permette le tre diverse modalità di gioco che abbiamo ipotizzato, come tre volti della cura.

Un’esemplificazione convincente del ruolo centrale che spetta all’informazione è offerta da una ricerca relativa all’offerta di screening per la diagnosi precoce di patologie tumorali. La ricerca, condotta da Gianfranco Domenighetti, sarà pubblicata per esteso nel prossimo numero della rivista Salute e territorio. Mi limito qui a riferire i risultati, ma soprattutto la metodologia. La ricerca è stata fatta nel Canton Ticino su due gruppi di cittadini svizzeri (circa 1.000) chiedendo loro: «Se lei va dal medico e il medico le offre di fare uno screening per scoprire se ha un cancro del pancreas prima che questo si manifesti, quando è ancora silente, lei accetterebbe di sottoporsi allo screening?».

Le persone intervistate sono state suddivise in due gruppi omogenei di circa 500 persone. Dal primo gruppo, a cui era stata fatta la domanda nei termini sopra riferiti, sono state ottenute queste risposte: il 60% accettava di fare lo screening, il 32% non accettava, l'8% avrebbe voluto un secondo parere.

Al secondo gruppo di intervistati, prima di fare la domanda relativa alla disponibilità allo screening, sono state date le seguenti informazioni aggiuntive: 1) questo test non è molto accurato, solo il 30% di coloro a cui è stato diagnosticato un cancro del pancreas hanno veramente un cancro del pancreas; 2) a seguito di ciò, se uno risulta positivo deve ricoverarsi per alcuni giorni in ospedale, per essere sottoposto a numerosi altri accertamenti o verificare se è un vero positivo o un falso positivo; 3) ogni anno in Svizzera soltanto 11 persone su 100.000 hanno un cancro del pancreas; 4) praticamente non abbiamo cure per il cancro del pancreas; infatti su 100 persone a cui viene diagnosticato il cancro del pancreas, dopo cinque anni soltanto tre sono ancora vive.

Da questo secondo gruppo, a cui era stata data l’informazione aggiuntiva, sono pervenute risposte molto diverse rispetto al primo: soltanto il 13% accettava lo screening, il 72% non lo accettava, il 14% era incerto.

Le domande giuste

Appare evidente che la discriminante è l’informazione fornita. Ciò non vale solo nel caso specifico: possiamo generalizzare il discorso affermando che il passaggio dal paternalismo medico alla responsabilità del soggetto non può avvenire se non potenziando l’informazione di cui il cittadino può disporre. A questo proposito vorrei sottolineare un’iniziativa del Canton Ticino, che si presenta come una ricaduta operativa di ricerche come quella che abbiamo presentato. Il Dipartimento per le Opere sociali ― con una funzione analoga al nostro Ministero della Sanità ― ha diffuso fra tutti i cittadini dei libretti dal titolo: «I tuoi diritti come paziente» e analoghe brochures, nelle quali vengono suggerite le domande essenziali da fare al medico. Per esempio: «Se ti consigliano un’operazione, devi domandare: Ma l’operazione è indispensabile? Esiste un trattamento alternativo non chirurgico? Cosa accadrebbe se l’operazione non fosse effettuata? C’è un’operazione meno invasiva e pericolosa? Quali rischi comporta l’intervento chirurgico?».

Insegnare ai cittadini a fare le domande giuste: ecco una priorità per passare dal paternalismo, ancora imperante in medicina, alla cultura della modernità, che promuove l’autonomia e la responsabilità del cittadino, anche quando è un paziente. In pratica noi abbiamo bisogno di cittadini che abbiano la capacità e il coraggio di fare le domande, per avere le informazioni. Non potremo passare dal modello paternalista a un modello più partecipe, e anche quindi a una medicina più responsabile, se non abbiamo dei cittadini che sappiano porre le domande appropriate per acquisire l’informazione necessaria per svolgere un ruolo attivo nelle decisioni sanitarie che li riguardano. Perché chi non ha le informazioni è «fuori gioco».