![Book Cover: Aspetti etici della relazione medico-paziente](https://sandrospinsanti.eu/wp-content/uploads/2019/09/30-c-dimensione-snamid-aspetti-etici-della-relazione-medico-paziente.jpg)
- Interessi plurali, interessi in conflitto nella pratica clinica
- Conflitto di interessi
- L'alleanza terapeutica
- Chi ha potere sul mio corpo?
- Curare e prendersi cura
- Il medico e il paziente, una relazione complessa
- Le mani sulla vita
- Come riconoscere il medico giusto
- Cambiamenti nella relazione tra medico e paziente
- L'educazione come terapia
- «Dottore, sto male» - «Mi racconti»
- Narrative based medicine
- We have a dream
- L'ascolto che guarisce
- La comunicazione medico-paziente
- La gestione dei conflitti in ambito sanitario
- Ripensare la cura nel contesto di una società conflittuale
- La necessità di porre limiti alla medicina
- Parlare o tacere?
- Il rapporto medico-paziente
- Il recupero del soggetto
- Etica della vita e intervento sanitario
- Elogio della indecisione
- Comunicare e informare: quale empowerment per il cittadino?
- L'ascolto che guarisce: conclusioni
- Dignità del malato e dignità del medico
- Aspetti etici della relazione medico-paziente
- La decisione cardiochirurgica: aspetti etici
- Il segreto nel rapporto con il paziente sieropositivo
- Il rapporto medico-paziente: modello in transizione
- La formazione culturale del curante
- Le professioni della salute si incontrano
- Le separazioni nella vita
- Quando inizia l'accanimento diagnostico e terapeutico?
- L'accanimento diagnostico e terapeutico
- La persona è al centro della comunicazione
- Il medico impari a non «scomunicare»
- Ma il malato deve o vuole sapere?
- Il dottor Knock si aggiorna
- Il tempo come cura
- A una donna come me
- La difficile virtù di saper ascoltare
- Dottore, ma l'operazione s'ha proprio da fare?
Sandro Spinsanti
ASPETTI ETICI DELLA RELAZIONE MEDICO-PAZIENTE
in Dimensione SNAMID
anno VI, n. 19, giugno-luglio 2000, pp. 20-26
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Stagioni dell’etica in medicina
Dall’etica ci aspettiamo che sappia identificare il comportamento ideale rispetto ai valori condivisi (il comportamento buono, corretto, giusto...) e che fornisca la spinta motivazionale che induce a tradurlo in atto. Ciò vale per l’assistenza sanitaria, non meno che per altre attività umane. Meno attenzione dedichiamo generalmente al fatto che l’etica stessa in medicina è soggetta a cambiamenti. La nostra idea di ciò che corrisponde a buona o cattiva medicina è cambiata, così come sono cambiate le nostre attese nei confronti di un ospedale o del servizio sanitario pubblico. Più precisamente, possiamo dire che ci troviamo presi in un processo storico che ha visto il susseguirsi di almeno tre grandi modelli di buona medicina, ognuno dei quali prospetta in modo coerente come si devono comportare i diversi protagonisti
STAGIONI DELL'ETICA IN MEDICINA
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Epoca premoderna Etica medica
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Epoca moderna Bioetica |
Epoca postmoderna Etica dell'organizzazione
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La buona medicina |
Quale trattamento porta maggior beneficio al paziente? |
Quale trattamento rispetta il malato nei suoi valori e nell’autonomia delle sue scelte |
Quale trattamento ottimizza l’uso delle risorse e produce un paziente/cliente soddisfatto?
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L’ideale medico
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Paternalismo benevolo
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Autorità democraticamente condivisa |
Leadership morale, scientifica, organizzativa
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Il buon paziente
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Obbediente (compliance) |
Partecipante (consenso informato) |
Cliente giustamente soddisfatto e consolidato |
Il buon rapporto |
Alleanza terapeutica (il dottore con il suo paziente)
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Partnership (professionista-utente) |
Stewardship (fornitore di servizi-cliente) Contratto di assistenza: Azienda/popolazione
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Chi prende le decisioni |
Il medico, in "scienza e coscienza |
Il medico e il malato insieme: decisione consensuale |
La direzione aziendale insieme ai dirigenti delle unità operative (negoziazione)
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Principio guida
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Beneficità |
Autonomia |
Giustizia |
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del sistema delle cure: i medici, i malati, le varie professioni sanitarie, la società nel suo insieme. Ogni modello che si sussegue nel tempo ci obbliga a ripensare ogni volta la medicina intera sotto una diversa luce di qualità. In modo sintetico, possiamo dire che i tre modelli rappresentano tre diverse stagioni dell’etica in medicina.
Per illustrare i cambiamenti di tutto ciò che associamo all’idea di “buona” medicina, ci serviremo di uno schema. Ogni schema, introduce una certa semplificazione nella realtà delle cose, ma ha il vantaggio di concentrare l’attenzione sui punti nevralgici del cambiamento.
Il primo modello presentato dallo schema può essere chiamato pre-moderno. Ha caratteristiche di grande antichità e di forte tenuta nel tempo. La sua antichità è indiscussa, in quanto in occidente risale almeno a Ippocrate. Ma anche la sua forza è notevole, in quanto non esiste in tutta la tradizione occidentale un modello culturale che abbia resistito tanto a lungo. L’occidente ha cambiato una quantità di cose nell’organizzazione sociale ― l’economia, la famiglia, la religione, il diritto, la politica ― dall’antichità greco-romana a oggi. La medicina stessa si è profondamente modificata nel corso del tempo, sia nei modelli teorici che nel modo di fornire aiuto ai malati.
Tra il medico seguace di Galeno ― che interpreta le malattie secondo la teoria degli umori ― il medico scienziato dell’ottocento ― che ricorre al metodo della scienza sperimentale per spiegare come funziona l’organismo sano o malato ― e il medico della nostra epoca ― che è capace di ricondurre le malattie a un difetto del corredo genetico ed è in grado di prevederne l’insorgenza con anni di anticipo ― le differenze sono enormi. La stessa cosa si può dire riguardo al ricorso di salassi, ai vaccini e all’ingegneria genetica. La diversità tra questi mezzi terapeutici, quanto a efficacia ed efficienza, è incolmabile.
Per l’etica, invece, non è avvenuto così. Le convinzioni su ciò che è bene o male fare in medicina, sui comportamenti giusti o ingiusti nei confronti del malato sono rimaste relativamente stabili per secoli. Praticamente si tratta di una tradizione ininterrotta che in Occidente è durata per più di 25 secoli, dall’epoca di Ippocrate fino ai nostri giorni: in tutto questo tempo non abbiamo mai sentito il bisogno di modificare il concetto, condiviso dai medici e dai pazienti, di quelle pratiche di cura della salute a cui attribuire un valore morale positivo.
Ci possiamo riferire a quest’epoca come alla stagione pre-moderna dell’etica in medicina. Sinteticamente la denominiamo etica medica. L’aggettivo è giustificato. L’etica a cui ci riferiamo, infatti, è sostanzialmente l’etica “del medico”. È il medico che la determina e la professione medica che se ne fa garante. In questa etica sono prescritti comportamenti per i malati, per i familiari, per le professioni che collaborano con il medico; tutti svolgono, tuttavia, funzioni subordinate e sono chiamati a modellarsi sulle richieste che provengono dai medici, i quali hanno un ruolo decisivo nello stabilire che cosa sia buona medicina, sia in senso clinico che in senso etico. La qualifica di “paramedici” data a coloro che esercitano professioni sanitarie non mediche rispecchia bene questa situazione di centralità del medico. Anche l’etica dei non medici in questa stagione è un’etica “paramedica".
La domanda fondamentale a cui risponde la medicina di qualità dell’epoca pre-moderna è: “Quale trattamento porta maggior beneficio al paziente?”. Troviamo questa preoccupazione già nel giuramento di Ippocrate, nella cosiddetta clausola terapeutica:
Prescriverò agli infermi la dieta opportuna che loro convenga per quanto mi sarà permesso dalle mie cognizioni e li difenderò da ogni cosa ingiusta e dannosa.
Tutta l’azione del medico è diretta a procurare un beneficio al paziente, in quanto mira a risolvere i problemi posti dalla patologia. Le risorse che il medico utilizzerà sono ovviamente quelle che la scienza del tempo gli mette a disposizione: per il medico dell’antichità era la “dieta” (cioè il regime terapeutico che tendeva a ristabilire nella vita del malato l’equilibrio turbato); per il medico dei nostri giorni i trattamenti appropriati saranno gli antibiotici o i trapianti di organo. Qualunque sia la scienza di riferimento, il modello rimane tuttavia lo stesso: il medico si impegna a fare il bene del paziente.
Questa accentuazione è presente anche in altre tradizioni mediche che afferiscono al filone ippocratico. Pensiamo, ad esempio, alla medicina omeopatica. Il libro fondamentale di Samuel Hahnemann, l’Organon dell’arte di guarire, inizia con una frase programmatica, che circoscrive il dovere del medico in un perimetro molto preciso: il compito unico del medico è guarire presto, dolcemente, durevolmente. Tutto il resto dell’opera è dedicato al “come” ottenere la guarigione, vale a dire ai rimedi appropriati alle patologie:
Scopo principale e unico del medico è di rendere sani i malati, ossia di guarirli.
La guarigione ideale è la restaurazione rapida, dolce, duratura della salute, ossia la rimozione del male nella sua totalità nel modo più rapido, più sicuro e innocuo (Hahnemann, 1993, p. 15).
La prima frase compendia il
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fondamento etico di tutta l'impresa terapeutica, ricondotta alla volontà di procurare la guarigione del paziente. Finché un medico può rispondere alla domanda perché fa quello che fa dicendo che lo fa per il bene del paziente, sa che ha dietro di sé il sostegno dell’etica medica a legittimare il suo operato.
I principi fondamentali di questa etica, riconducibili all’imperativo di procurare un beneficio alla salute del paziente, presuppongono un modello ideale del medico fondamentalmente paternalista: il medico è colui che sa qual è il bene del paziente e vuole realizzarlo, mettendovi tutto il suo impegno e tutta la dedizione. È la scienza in continuo progresso che lo guida nel percorso della terapia, mentre la coscienza gli impedisce di trarre profitto dalla debolezza del paziente (per esempio, strumentalizzandolo ai fini di ingiusto lucro o di fama). Questa duplice guida è riassunta da una formuletta, molto amata e citata dai medici, quando rivendicano a se stessi l’obbligo di prendere le decisioni “in scienza e coscienza”. Nel linguaggio della bioetica americana, si parla a questo proposito di una medicina ispirata al principio della beneficence, ovvero di “beneficità”.
Il malato contribuisce alla buona medicina impegnandosi a essere docile e osservante delle prescrizioni, in un rapporto di affidamento fiduciale. Egli non ha, di per sé, nulla da dire in merito all’atto terapeutico, che rimane affidato a quanto il medico stabilisce per il suo bene. Tutto quello che il malato ha da fare, è di diventare “paziente”, in tutti i significati del termine (anche in senso morale, in quanto la pazienza è la principale virtù che è chiamato ad esercitare). Il buon paziente è il paziente “osservante”. A lui si richiede di entrare nel trattamento mediante la compliance. Come affermava l’illustre spagnolo Gregorio Marañon. che ha rappresentato nella prima metà del secolo il permanere dell’ideale ippocratico: “Il malato che non sa essere paziente diminuisce le sue possibilità di guarire. Obbedire al medico è incominciare a guarire”.
In questo modello il buon rapporto è l'alleanza terapeutica tra colui che si dedica all’opera della guarigione e chi riceve questo servizio. Il termine “alleanza” fa parte della tradizione religiosa. Il rapporto medico-paziente ha, di fatto, una connotazione fortemente religiosa in senso ampio, in quanto, allo stesso modo dell’alleanza che è il pilastro centrale della religione ebraico-cristiana, mette in relazione due fondamentali diseguaglianze.
Nell’alleanza religiosa si tratta del legame che si instaura tra la potenza della divinità, in quanto fonte della potenza che produce la salvezza, e la situazione di necessità propria del popolo che ha bisogno di redenzione. L’unione dei due mediante l’alleanza salva dalla condizione di bisogno (schiavitù, peccato ecc.). Analogamente, la guarigione in medicina, nel modello tradizionale, si ottiene mediante l’unione tra la scienza-coscienza del medico (che include il suo sapere, la filantropia, la volontà di fare il bene del paziente) e la volontà del paziente di mantenersi dentro questo rapporto di alleanza. Questo modello continua ancora a strutturare i nostri comportamenti sociali, sia come medici che come pazienti. Soltanto quando diventiamo “moderni” il modello entra in crisi.
L'osservanza della prescrizione medica è la condizione essenziale perché l’alleanza possa esplicare i suoi effetti benefici, e quindi procurare la guarigione. Il contraente dell’alleanza, che è il malato, si deve affidare e accettare le condizioni che gli vengono poste per la guarigione; il medico, che concede l’alleanza, lo guida verso il suo proprio bene. Dai collaboratori del medico, in quanto “paramedici”, ci si attende che collaborino anche a indurre i malati a essere “osservanti". Questo modello riconduce la qualità etica dell’atto medico a un unico parametro: quello costituito da un vettore che visualizza la maggiore o minore rispondenza di ciò che si fa al paziente a ciò che gli porta un beneficio, in quanto è clinicamente indicato. Graficamente è rappresentato nella tabella a pag. 20.
I valori che indicano il beneficio da procurare al paziente sono rappresentati in maniera scalare per alludere al fatto che il bene procurato al paziente può essere maggiore o minore (e anche, nei casi estremi, nullo o addirittura costituire un fatto nocivo; per questo l’etica medica ippocratica ha messo come guardiano di tutto l’edificio costituito dai doveri del medico l’imperativo fondamentale: Primum non nocere).
La stagione della bioetica
Quando comincia l’epoca moderna? I manuali di filosofia e di storia generalmente fanno iniziare la modernità con l’Iluminismo, nel XVIII secolo. Ci dicono che nella cultura dell’occidente è avvenuto un cambiamento profondo, una di quelle fratture che hanno ripercussioni generalizzate su tutta la struttura dell’esistenza. L’Illuminismo ha progressivamente modificato l’insieme della vita politica e sociale; solo in un ambito non è entrato: in medicina.
Nei rapporti sociali che si stringono attorno a chi somministra e a chi riceve le cure sanitarie, l’epoca moderna non è incominciata fino a pochissimo tempo fa. Soltanto da una ventina di anni sono diventati visibili i segni di una frattura che indica
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che la medicina è entrata nell’epoca moderna. Di conseguenza, cambiano tutti i parametri che costituiscono il modello di buona medicina caratteristico dell’epoca pre-moderna.
Indichiamo la transizione come il passaggio dall’epoca dell’“etica medica” a quello della “bioetica”.
Lo schema al quale ci stiamo riferendo ci aiuta a mettere delle parole chiave attorno a questi cambiamenti. Lo scopo generale della medicina non è più soltanto quello di portare il maggior beneficio al paziente: perché un trattamento medico abbia un carattere di qualità, ci dobbiamo anche domandare se tratta il malato da adulto, rispettandolo nei suoi valori e nell’autonomia delle sue scelte. Nell’epoca moderna, infatti, il malato va fondamentalmente considerato come una persona autonoma, capace di autodeterminare le proprie scelte.
L’autonomia della persona è fondamentale nell’epoca moderna. Così lo ha espresso Immanuel Kant nel famoso saggio Risposta alla domanda: che cos’è l’Illuminismo? L’Illuminismo comincia quando si decide di uscire dallo stato di minorità dovuta all’uomo stesso, intendendo per minorità “l’incapacità di servirsi del proprio intelletto senza la guida di un altro”. Il primo paragrafo dello scritto, che sintetizza il programma di vita dell’uomo moderno, termina con l’esortazione : “Sapere aude”: abbi il coraggio di servirti dell’intelletto come guida. L’epoca moderna comincia in medicina quando il programma generale dell’emancipazione si estende anche a quella “minorità non dovuta” che vige tra il medico e il paziente.
Il malato dell’epoca moderna è quello che ha la capacità e il coraggio di non farsi trattare come una persona eterodeterminata, ma assume il peso e la responsabilità delle decisioni che lo riguardano. Ciò mette in crisi il modello secondo cui nella medicina tradizionale il malato è per definizione uno che non può determinare da solo i fini e i mezzi per conseguirli. Riconosciamo l’influenza di concezioni antiche, come quelle che ha espresso Aristotele quando ha affermato che il malato, proprio per la sua condizione, non è capace di dare giudizi razionali, in quanto è turbato dalle passioni, come ad esempio la paura per la propria vita; nello stato di malattia deve quindi subentrare la struttura paternalistica di contenimento: qualcun altro prende le decisioni per il bene del malato, dal momento che questi non lo può fare. Dire che la medicina entra nell’epoca moderna significa prima di tutto rimettere in discussione questo paradigma profondo, che presuppone una fondamentale diseguaglianza tra le persone autonome e quelle che non lo sono (le scelte di queste ultime essendo determinate dalle prime).
Nell’epoca moderna i valori del malato, intesi come quadro di riferimento che guida l’autonomia delle sue scelte, diventano un momento fondamentale di un’attività sanitaria eticamente giustificabile. La potente ed efficace medicina che la scienza, abbinata alla tecnologia, ci mette oggi a disposizione si apre su scenari diversi. L’arsenale medico è potente e vario, e ci mette di fronte ad alternative create dai valori soggettivi. A seconda del concetto soggettivo di buona vita ― ovvero di ciò che vogliamo fare della nostra vita ― un intervento medico può essere appropriato o no.
Perché si abbia buona medicina non ci si può limitare a rispondere alla domanda: “Questo intervento porta oggettivamente un beneficio al paziente?”. Non basta stabilire ― per esempio ― che l’atto medico ha di fatto prolungato la vita del paziente. Se quanto il medico intraprende va contro i suoi valori e le sue decisioni, non possiamo giustificare eticamente l’intervento, anche se è rivolto a tutelare il bene della salute o della vita stessa. L’autodeterminazione del paziente, in quanto articolazione fondamentale dei suoi diritti (per capire la differenza del paradigma, basti pensare che nel modello tradizionale si parla solo di doveri del medico e non di diritti del paziente) diventa un criterio di qualità. L’intervento sanitario non può essere più deciso unilateralmente dal medico che si basa sul sapere della sua professione, ma deve essere individuato insieme al paziente, spesso con un faticoso processo di contrattazione.
Superato il paternalismo benevolo, l’ideale medico in questo modello diventa un’autorità democraticamente condivisa; il buon paziente è un paziente partecipante alla decisione. Il cardine di questa strutturazione concettuale è il consenso informato, secondo la terza delle diverse accezioni che abbiamo esaminato precedentemente. L’idea di qualità dell’atto medico si arricchisce di una nuova componente: è buono l’intervento sanitario che ha anche una correttezza formale, vale a dire il rispetto delle procedure volte a far partecipare il paziente alle scelte diagnostiche e terapeutiche che lo riguardano. Questa specificazione ci permette di dissociarci dall’uso del consenso informato che si va diffondendo anche in Italia, concepito per lo più in funzione difensiva del medico, non finalizzato a promuovere l’autonomia del paziente.
Nella prospettiva che abbiamo adottato, il paziente non ha più solo diritti ma anche dei doveri. La sua posizione non è solo di privilegio, ma anche di scomoda responsabilità, in quanto deve partecipare al processo
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decisionale. Non possiamo escludere che talvolta il paziente potrebbe preferire piuttosto di delegare la decisione e di demandarla al medico (“Faccia quello che è necessario: il dottore è lei, non io!”). Il paziente partecipante nelle scelte ha il compito di essere un “buon paziente”. Per diventarlo non basta che si limiti a non far storie, non porre troppe domande, essere docile e seguire le prescrizioni mediche; il buon paziente ha anche un compito etico: deve accettare il coinvolgimento nelle scelte che lo riguardano, condividendo l’orizzonte di incertezza che è proprio delle decisioni cliniche. Il buon rapporto è una partnership, che si instaura tra professionista e utente.
Il termine “utente” può suscitare delle associazioni che sembrano fuori luogo in sanità. Per ricondurlo entro l’ambito appropriato, basta pensare al senso etimologico della parola. L’utente è colui che “usa” la competenza del medico; in quanto utente, ha il dovere di usarla bene, responsabilmente, per fare insieme al professionista le scelte appropriate.
L’idea di qualità, dunque, include il concetto di partecipazione. Il termine bioetica, che usiamo per designare questo modello di qualità dell’atto medico, è un neologismo, adatto a un modello di qualità in medicina veramente inedito. È la buona medicina appropriata per la stagione dell’etica in medicina che abbiamo chiamato “moderna” (non nel senso di maggiore attualità, ma con riferimento alla modificazione culturale promossa dalla cultura del liberalismo).
Sentiamo il bisogno di cambiare etichetta anche perché non ci troviamo più nell’ambito dell’etica medica, cioè del medico, concentrata sul medico, elaborata dalla professione medica a beneficio anche del malato. La bioetica implica uno spostamento dell’accento, per cui la qualità non è più determinata in maniera unica ed esclusiva dal sapere e dal potere del medico, ma viene stabilita in modo dialogico, insieme al paziente, il quale deve partecipare alle decisioni con i suoi valori, nell’ambito del consenso sociale. Quindi nella bioetica entra la società, l’etica civile, l’accordo ottenuto trasversalmente alle diverse comunità morali di appartenenza, includendo anche gli “stranieri morali”.
Questo modello di qualità, che nella nostra cultura non abbiamo nemmeno ben cominciato ad articolare, si diffonde con estrema difficoltà. Lo contrasta una profonda resistenza, sia da parte del mondo medico, sia da parte dei cittadini. Si avverte che è necessario accrescere le conoscenze e mobilitare tutte le energie concettuali e morali, al fine di entrare in questo modello. Tanto i professionisti della sanità quanto i pazienti sono obbligati a cambiare modelli di riferimento che hanno una lunghissima tradizione. È un passaggio epocale; spostandosi da un modello all’altro i valori si modificano, tanto che possiamo affermare che stiamo assistendo all’inaugurazione di una nuova epoca della qualità e dell’etica nella medicina.
Per evitare facili equivoci e smantellare almeno alcune riserve ― quelle che nascono dal timore che si intenda dell’etica medica tradizionale ― è necessario sottolineare che i due modelli non sono diacronici, ma sincronici. In altre parole, non si susseguono nel tempo, sostituendo con il modello moderno i valori tradizionali, ma sono chiamati a convivere. Le scelte in medicina si collocano su un piano a due dimensioni: la contrattazione tra l’indicazione clinica e le preferenze del paziente.
Quando la sanità si organizza come un’azienda di servizi
Mentre proviamo ancora tanta difficoltà a entrare nella stagione della medicina moderna, forti spinte ci stanno già indirizzando verso l'epoca post-moderna. Ci stiamo muovendo, infatti, secondo quanto prescrivono sia lo spirito che la lettera della più recente riforma sanitaria, verso l’introduzione dello “stile azienda” in sanità. Il modello di qualità comporta un rapporto nuovo con il paziente. Sommariamente possiamo dire che non solo deve essere informato e responsabilizzato per partecipare in modo autonomo alle decisioni terapeutiche, ma deve essere considerato come un “cliente”. Oltre ad avere diritti da rivendicare, vuole anche essere soddisfatto.
Questa prospettiva caratterizza quel tipo di organizzazione sanitaria che è stata messa in moto con il riordino del Servizio sanitario nazionale e che si sintetizza nel concetto di azienda sanitaria. Soddisfare i pazienti diventa un’esigenza strategica per la sopravvivenza dell’azienda stessa. Il paziente, infatti, spostandosi da una struttura all’altra, porta dietro la sua capacità di spesa, rappresentata dalla sua quota capitaria. Quindi è importante una gestione oculata dell’azienda: se perde i pazienti, perché questi preferiscono un’altra struttura, l’azienda esce dal mercato. Se i sanitari non trattano bene i pazienti per la ragione che è loro diritto in quanto cittadini avere una buona assistenza, devono farlo almeno per interesse dell’azienda.
Il modello di qualità postmoderno comporta delle variazioni anche in tutte le altre articolazioni fondamentali del sistema di rapporti entro cui si svolge l’azione sanitaria. Innanzi tutto l’interrogativo fondamentale che dovrà porsi chiunque abbia delle responsabilità nelle scelte
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ruoterà intorno a elementi della qualità di carattere gestionale: quale trattamento ottimizzerà l’uso delle risorse e produrrà un paziente-cliente soddisfatto? La fisionomia stessa dell’interrogativo etico viene modificata.
Nell’etica medica il registro per valutare la qualità è quello della bontà (l’azione è buona in quanto porta il beneficio della guarigione o lenisce i sintomi dolorosi); la bioetica si colloca entro la tradizione etica coltivata nel mondo anglosassone, che valuta se l’azione sia giusta o ingiusta, in rapporto ai diritti e nel rispetto delle procedure; la nuova stagione che si è aperta ci obbliga a interrogarci se l’azione sia appropriata rispetto ai fini da conseguire, che comportano sia una più acuta sensibilità per il bene comune e l’equità sociale, sia l’acquisizione di un atteggiamento che abbini la soddisfazione del cittadino/cliente con l’attenzione agli interessi dell’azienda.
La qualità, che include il valore etico di un intervento sanitario, oggi è molto più complessa. I criteri più recenti non devono sostituire quelli precedenti, ma integrarsi con essi. La “buona” medicina è sempre quella che ― per rifarci alla formulazione incisiva di Hahnemann ― deve mirare a guarire in maniera rapida, efficace e duratura. Questo continua a essere l’obiettivo della medicina e il criterio con cui valutare la sua qualità; tuttavia ma non è più sufficiente: la medicina per essere buona deve anche preoccuparsi di essere “giusta”, rispettando i diritti del malato e promuovendo la sua autonomia. A queste considerazioni si aggiungono, nell’ottica dell’organizzazione efficiente della sanità, anche quelle relative a ciò che si dimostra appropriato nell’orizzonte della giustizia, in considerazione dell’accesso ai servizi e dell’equa distribuzione delle risorse.
La buona medicina, quella dotata di qualità, è quella che nasce dall’integrazione cumulativa delle esigenze che nascono dall'etica medica, da quelle della bioetica e delle esigenze, infine, di quella nuova stagione dell’etica in medicina che sentiamo incombere, sotto la spinta delle nuove condizioni sociali e della pressione dell’economia, e che possiamo chiamare etica dell’organizzazione. Per la precisione, da tutt’e tre contemporaneamente. Le stagioni dell’etica in medicina, con le rispettive esigenze riguardo a ciò che è giusto e appropriato nell’assistenza sanitaria, non vanno viste come modelli conclusi che si succedono nel tempo, ma come esigenze contemporanee e contestuali.
La modernità, con l’introduzione dell’autonomia del paziente, ha introdotto un altro parametro, indicato nello schema come asse delle preferenze. La buona scelta medica dovrà tener conto temporaneamente di due fattori: il beneficio da procurare al paziente e il suo consenso a ciò che il malato ha individuato e scelto come suo bene. La scelta si realizza sul piano orizzontale di una contrattazione, che non di rado produce un compromesso (non è detto, infatti, che ciò che costituisce dal punto di vista clinico il maggior beneficio per il paziente corrisponda alle sue preferenze; o inversamente: ciò che il paziente informato vuole per sé può non coincidere con quanto la medicina sarebbe in grado di fare per lui).
A queste due dimensioni oggi dobbiamo aggiungerne una terza, così che la decisione clinica ci appare collocata in uno spazio tridimensionale. Dobbiamo considerare, infatti, anche l’appropriatezza sociale degli interventi sanitari, in una prospettiva di uso ottimale di risorse limitate, solidarietà con i più fragili ed equità. Quello che possiamo fare per un malato, anche se valutabile con un punteggio alto sul parametro dell’appropriatezza clinica e su quello delle preferenze personali, potrebbe collocarsi molto in basso rispetto al criterio del buon uso delle risorse.
La buona medicina ci appare così come il frutto di una “contrattazione” molteplice, che deve tener conto di tre diversi parametri: l’indicazione clinica (il bene del paziente), le preferenze e i valori soggettivi del paziente (il consenso informato) e infine l’appropriatezza sociale. L’assistenza sanitaria, dovendo conciliare nelle sue scelte esigenze diverse e talvolta contrastanti, senza minimamente rinunciare ai requisiti di scientificità, ci appare più che mai un’arte.
L’ideale medico dell’epoca post-moderna è una leadership morale. Il modello paternalista non funziona più là dove si assume lo stile dell’azienda post-moderna: è necessario dotarlo di autorevolezza. Non ci possiamo più basare su una divisione dei compiti di tipo burocratico. Soltanto chi ha quella che la cultura del management chiama la vision, cioè la visione strategica degli obiettivi e dei mezzi, sviluppa una forza morale capace di trascinare gli altri membri dell’équipe.
Il buon paziente è il cliente soddisfatto e consolidato; ma bisogna subito aggiungere che il nostro obiettivo non è il cliente in qualsiasi modo soddisfatto e consolidato, bensì il cliente giustamente soddisfatto. Considereremo più sotto quali elementi caratterizzano la giusta soddisfazione, differenziandola da quella ingiusta. Il buon rapporto è la stewardship, che implica un atteggiamento non centrato sul professionista, ma sugli standard di qualità del servizio, in un raffronto costante con la qualità offerta da altri erogatori (bench-marking).