Etica della prevenzione tra diritto individuale e dovere collettivo

Book Cover: Etica della prevenzione tra diritto individuale e dovere collettivo
Parte di Sistemi sanitari series:

Sandro Spinsanti

ETICA DELLA PREVENZIONE TRA DIRITTO INDIVIDUALE E DOVERE COLLETTIVO

in Prevenzione Odontostomatologica

anno 2, settembre 2005, pp. 7-16

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L'articolo valuta la prevenzione in rapporto a tre modelli di etica in medicina: l'etica medica, la bioetica e l'etica dell'organizzazione, considerati come caratteristici di tre epoche culturali: quella premoderna, moderna e postmoderna.

Per l'etica medica la buona prevenzione è quella che assicura un beneficio alle persone, beneficio valutato in base a criteri scientifici (possibilmente evidence basedl).

Per la bioetica buona medicina preventiva è quella che favorisce nel soggetto un controllo sulla propria salute (empowerment del cittadino).

Per l'etica dell'organizzazione la prevenzione deve promuovere una società "salutogenica'' e stili di vita sani.

PAROLE CHIAVE: Prevenzione, Etica.

All'etica non dobbiamo domandare troppo. In particolare, non possiamo attribuirle il compito di giustificare la medicina preventiva, o addirittura di sostenere la sua aspirazione a rivendicare un primato rispetto a quella curativa. Quando si ripete: "È meglio prevenire che curare ", quel 'meglio' non fa riferimento a una preferenza personale (molte persone non sono disposte ad adottare stili di vita molto restrittivi, per poter... morire sani!). I vantaggi della prevenzione, inoltre, non sono sempre percepibili all'individuo: per salvare una sola vita in un incidente stradale, 400 persone devono allacciare le cinture di sicurezza per tutta la loro esistenza; 399 persone dunque, non otterranno alcun beneficio dal loro comportamento 1; né è chiaro il vantaggio economico (l'analisi dei costi della cura e della prevenzione non dimostra la convenienza di quest'ultima in modo inequivocabile); neppure è sempre conveniente la giustificazione clinica (la sempre maggiore capacità diagnostica può rilevare

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patologie che sarebbero rimaste silenti, e quindi dar luogo a un interventismo che è causa di patologie iatrogeniche), né ― infine ― siamo vincolati da una chiara indicazione di politica sanitaria (a causa del paradosso inerente alla medicina preventiva: tanto maggiore è l'efficienza di un intervento per la collettività, tanto minore è la rilevanza che esso assume per il singolo 2). Affermare che la prevenzione è un obiettivo privilegiato rispetto alla cura costituisce, in ultima analisi, un'affermazione autoreferenziale. Per dirlo con le parole di conclusione a cui giunge Geoffrey Rose dopo l'accurata analisi a cui sottomette quel "meglio" nel volume The strategy of preventive medicine: "È meglio essere sani che malati o morti. Questo è l'inizio e la fine del solo argomento reale a favore della medicina preventiva. È sufficiente" 3.

Il richiamo all'etica ha dunque una funzione più modesta che fornire un fondamento o una giustificazione razionale per la medicina preventiva. Cerchiamo, più semplicemente, di confrontare quanto viene intrapreso in nome della promozione della salute con i valori che l'etica propone. Possiamo individuare almeno tre modelli di etica riferita alla medicina, ognuno con un valore dominante. Ognuno dei tre modelli, che si sono strutturati in successione cronologica, richiede ai diversi soggetti ― l'operatore sanitario, il paziente, la società nei suoi rappresentanti politici ― comportamenti adeguati, che si presentano come una 'Gestalt' coerente e omogenea. Nella tabella 1 vengono illustrati i modelli di etica in medicina.

La prevenzione: per il bene del paziente?

Il principio che regola il modello tradizionale di etica in medicina è essenzialmente riconducibile a una proposizione che si presenta armata della forza dell'evidenza: è bene fare tutto ciò che produce un beneficio al paziente. Trasposto dalla medicina curativa ― dove il bene da procurare al paziente equivale alla diagnosi accurata e alla terapia efficace della patologia in atto ― alla medicina preventiva, il principio comporta l'attribuzione di un valore positivo a tutte le azioni rivolte ad assicurare una vita senza malattie e a impedire morti precoci. C'è anche chi si spinge a richiedere alla medicina che non miri solo a sconfiggere le malattie e a prevenirle, ma tenda a promuovere la piena salute, cioè lo sviluppo delle potenzialità umane al loro massimo, avendo come parametri di riferimento non gli scostamenti patologici dalla normalità, ma le realizzazioni umane eccellenti 4.

L'enfasi posta sui compiti positivi della medicina ― dalla lotta alle malattie alla loro prevenzione, dalla tutela della salute alla promozione della piena salute ― va probabilmente corretta. È questa una delle conclusioni a cui è giunta l'importante ricerca internazionale sui fini della medicina, promossa dallo Hastings Center. Ponendosi la questione se il compito per eccellenza della medicina non sia quello di potenziare l'autodeterminazione individuale per permettere a ciascuno di vivere pienamente la propria vita, il documento risponde: "Se è vero che la salute accresce la possibile libertà, è tuttavia un errore pensare che tale libertà sia un fine della medicina. La salute è necessaria, ma non è condizione sufficiente per l'autonomia, e la medicina non può fornire ciò che è necessario a tal fine. Siccome molte altre istituzioni, come l'educazione, promuovono quella libertà, la medicina non è l'unica in grado o capace di promuovere il bene dell'autonomia, anche se a volte può dare importanti contributi per accrescerla" 5.

Per quanto si voglia ridimensionare il compito della medicina di contribuire alla piena realizzazione dell'essere umano, resta tuttavia indiscutibile che, da quando l'epidemiologia e la biostatistica hanno fornito strumenti analitici a favore della salute, individuando i cambiamenti da introdurre nella società e nei comportamenti individuali per impedire lo sviluppo di fenomeni patologici, la medicina ha aggiunto un nuovo compito a quelli tradizionali. I migliori tra i medici si sono sentiti impegnati non solo a curare i pazienti per l'enfisema o il cancro ai polmoni, ma a prevenire le malattie respiratorie lottando per la salubrità dei posti di lavoro ed educando i pazienti ad astenersi dal fumo; non si limitano ad assistere i traumatizzati da incidenti stradali, ma fanno pressione per ottenere maggiore sicurezza nelle auto da parte delle case produttrici e l'imposizione dell'obbligo delle cinture di sicurezza da

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Tabella 1

Epoca premoderna

Etica medica

Epoca moderna

Bioetica

Epoca postmoderna

Etica

dell'organizzazione

La buona

medicina

Quale trattamento

porta maggior

beneficio al paziente?

Quale trattamento

rispetta il malato nei

suoi valori e

nell’autonomia

delle sue scelte

Quale trattamento

ottimizza l’uso delle

risorse e produce un

paziente/cliente

soddisfatto?

Il valore

dominante

Principio

di beneficità

Principio

di autonomia

Principio di giustizia

(uguaglianza sostanziale di tutti i cittadini di fronte al diritto alla salute)

L’ideale

medico

Paternalismo benevolo

(scienza e coscienza)

Autorità

democraticamente

condivisa

Leadership morale,

scientifica,

organizzativa

Il buon

paziente

Obbediente

(compliance)

Partecipante

(consenso informato)

Cliente giustamente

soddisfatto e consolidato

Il buon

rapporto

Alleanza terapeutica

(il dottore

con il suo paziente)

Partnership

(professionista-

utente)

Stewardship (fornitore di servizi-cliente)

Contratto di assistenza:

Azienda/popolazione

La

medicina

preventiva

Assicurare una vita

senza malattie

e morti precoci.

Sviluppare

la 'piena salute'

Dare

ai cittadini/consumatori

il controllo

della propria salute

(empowerment)

Promuovere

una società

salutogenica

(vs. patogenica)

parte delle autorità civili. Questa è la medicina preventiva cresciuta sul tronco della medicina del passato e ispirata al suo stesso valore fondamentale: fare ciò che è nel migliore interesse dell'individuo e della sua salute.

I bilanci dei risultati ottenuti dall'impegno profuso, come sappiamo, non sono sempre positivi. Da che cosa dipende? Una risposta facile è quella formulata da Harold Fruchtbaum: "È forse inevitabile in una società capitalista che ogni progetto rivolto a proteggere la salute pubblica che minacci un interesse economico trovi opposizione" 6. La relativa inefficacia della medicina preventiva nell'impedire i comportamenti nocivi alla salute viene così ricondotta a un conflitto di interessi, nel quale la medicina, animata dalle migliori intenzioni e rivolta verso fini ineccepibili, svolge il ruolo positivo, mentre alla società ― capitalista! ― spetta la parte del cattivo.

La citazione è tratta da un articolo della prima edizione della Encyclopedia of bioethics, curata da Warren Reich, del 1978, dedicato alla Public

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healt'. All'inizio della riflessione bioetica la difficoltà a introdurre i cambiamenti necessari per la promozione della salute viene addebitata esclusivamente all'inerzia o resistenza attiva del corpo sociale. Può essere istruttivo notare che nell'articolo su "Health promotion and health education" della seconda edizione, completamente rifatta della stessa opera, apparsa nel 1995, l'estensore dalla voce giunga a esprimere dei dubbi sulla qualità etica di molte attività di promozione della salute. Esse non sarebbero ― in altre parole ― così totalmente finalizzate a promuovere il bene della persona cui sono rivolte, così come pretendono e così come appare prima facie. A un esame spassionato, le motivazioni che guidano le attività di promozione ed educazione alla salute possono apparire meno allineate sul valore del bene del paziente (secondo il principio della benevolence, che sta alla base dell'etica medica). Tali iniziative, infatti, possono sostituire iniziative pubbliche efficaci rivolte a eliminare rischi per la salute: omettendo di introdurre normative circa la sicurezza di certi prodotti, lo stato si potrebbe limitare ad addestrare i consumatori all'uso oculato di tali prodotti; invece di proibire sostanze tossiche, come il tabacco, le autorità preposte alla tutela della salute pubblica si accontenterebbero semplicemente di ammonire il pubblico a non abusarne... In altre parole: richiamandosi all'educazione sanitaria, le autorità pubbliche avanzerebbero la pretesa di star difendendo la salute, mentre di fatto evitano di intraprendere azioni efficaci che confliggono con gli interessi di coloro che traggono profitti da comportamenti non sani 7. L'educazione sanitaria come alibi, dunque: porta un beneficio ai destinatari, ma solo come surrogato del vero beneficio che una politica sanitaria efficace sarebbe in grado di produrre, qualora lo volesse; costituisce un palliativo, non la cura radicale dei mali che minacciano la salute.

Un altro aspetto dell'etica orientata al bene del paziente merita di essere sottolineato: essa è caratterizzata da un tratto marcatamente paternalistico. Nel modello culturale paternalistico il beneficio che viene al soggetto da un intervento di terapia ― in questo caso, di prevenzione ― è stabilito da una auctoritas scientifica della quale il cittadino non è un interlocutore attivo, ma il presunto beneficiario. Così avviene, ad esempio, negli screening di massa. Quando si decide di intervenire su ciascun individuo di una popolazione definita mediante idonei test clinici, strumentali o di laboratorio, con lo scopo di identificare particolari fattori di rischio o patologie in fase preclinica, la popolazione oggetto dell'intervento (donne in una determinata fascia d'età per la prevenzione di carcinomi dell'utero o della mammella, uomini per il carcinoma della prostata...) viene mobilitata in nome di una autorità scientifica che ha deciso ― per il bene delle persone interessate ― che cosa deve essere fatto. Nei casi più felici la proposta di screening è corredata di una dimostrazione di efficacia (documentata riduzione di mortalità totale o almeno specifica; assenza di eventi invalidanti) e di appropriatezza (il test di screening deve essere accettabile, non pericoloso, economico e dotato di buona sensibilità). Ma talvolta così non avviene. È il caso, ad esempio, dello screening HCV ― per l'epatite C ― proposto ai cittadini italiani. La vicenda supera l'aspetto aneddotico per acquistare un significato esemplare di cattivo uso della prevenzione, discutibile non solo dal punto di vista scientifico ma anche etico.

Nel febbraio 1996 televisione e giornali diffondono spot e locandine nei quali si invitano tutti i cittadini a controllare le transaminasi. Non ci si può fidare di sentirsi bene, in quanto ― insinua la campagna pubblicitaria ― i sintomi dell'epatite C sono subdoli: aspetto sano, appetito normale, assenza di dolore. L'iniziativa, promossa dalla Lega per la lotta contro le malattie virali, riceve l'appoggio del Ministero della sanità. La stampa per medici e quella rivolta al pubblico riferiscono l'iniziativa con devozione. I dubbi espressi da qualche medico di famiglia vengono trattati in modo sprezzante dall'infettivologo promotore, che definisce 'trogloditiche' le valutazioni critiche del progetto. La campagna procede come previsto, con incursioni in nove città italiane di roulotte della Croce Rossa per dosare le transaminasi ai passanti fermati per strada. Solo un anno dopo l'avvio della campagna i promotori indicono una conferenza di consenso per valutare se sia opportuno condurre uno screening nella popolazione generale. La risposta ― a sorpresa ― è negativa e la campagna viene revocata 8. Non si tratta solo di uno spiacevole incidente provocato da un eccesso di

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zelo per il bene del paziente: è un episodio emblematico di quanto possa spingersi lontano nell''espropriazione della salute' (per riprendere l'espressione classica di Ivan Illich in Nemesi medica) una medicina preventiva pensata sul modello paternalista.

Lo slittamento di finalità della medicina è intrinseco al passaggio dalla medicina curativa a quella preventiva. Sullo sfondo ideologico di quest'ultima individuiamo la concezione di salute quale pieno benessere fisico, psichico e sociale, e non solo assenza di malattia, diffusa dall'OMS (nel cui statuto è inclusa la dichiarazione che "il godimento della salute al più alto livello è uno dei diritti fondamentali dell'essere umano, senza distinzione di razza, di religione, di ideologia politica, di condizione economica e sociale"). A differenza della malattia, la presenza della salute non è oggettivamente verificabile. O meglio: lo stato di salute o malattia è funzione dell'impegno diagnostico profuso. Se già nel 1923 la commedia di Jules Ro- mains sul dottor Knock poteva mettere in dubbio l'utilità sociale di un 'trionfo della medicina' che trasforma i sani in malati ― secondo il credo del dottor Knock: "I sani sono dei malati che si ignorano...", la situazione si è radicalizzata con l'impegno dei medici a rendere la pratica della medicina economicamente compatibile con i suoi costi. È un fenomeno particolarmente vistoso nei paesi che hanno adottato sistemi di pagamento a tariffa, DRG, managed care o altre modalità che incentivano l'accanimento diagnostico. Secondo una brillante descrizione di ciò che sta avvenendo negli ospedali americani, "un paziente in buona salute è solo uno che non è stato sottoposto ad adeguati accertamenti. Una volta in ospedale, gli accertamenti confermeranno problemi multipli di salute e sostanziali opportunità per un DRG creep ― cioè l'insidioso scorrimento verso l'alto delle categorie di DRG ― per massimizzare le entrate" 9.

Non possiamo impedirci di sviluppare un salutare sospetto sistematico che quanto viene presentato al paziente dalla medicina curativa e da quella preventiva per il suo bene sia veramente nel suo migliore interesse. Saranno necessarie di volta in volta delle prove di efficacia, tanto per l'una quanto per l'altra medicina: accanto alla evidence based medicine, dunque, anche una evidence based prevention.

Sotto il segno dell'autonomia

Il secondo modello di etica in medicina al quale ci possiamo riferire per valutare eticamente ciò che viene intrapreso per guarire o prevenire le malattie è quello che ha come principio guida il rispetto dell'autonomia della persona. Secondo questo modello, che caratterizza il passaggio dall'epoca premoderna a quella moderna ― e quindi dall'etica medica alla bioetica ― non basta fare il bene del paziente, ma bisogna farlo con il suo consenso, in modo da rispettare il diritto a gestire le scelte che riguardano il corpo e la salute. In una parola, la medicina deve rispettare il diritto all'autodeterminazione personale.

Anche la medicina preventiva può infrangere i valori tutelati dall'autonomia della persona. Il ventaglio delle violazioni è molto ampio e differenziato. In ordine di gravità, il primo posto spetta alle misure preventive che ricorrono alla coercizione violenta per impedire il sorgere delle malattie o la trasmissione di caratteri genetici indesiderati. L'eugenismo ― soprattutto quello praticato in Germania dal regime totalitario nazista ― si è guadagnato la triste fama di aver calpestato i diritti fondamentali della persona in nome della tutela della razza. Ci piacerebbe poter dire almeno che questa modalità di prevenzione sia stato un caso isolato, al quale la coscienza morale dell'Occidente ha tolto ogni diritto di cittadinanza. Purtroppo non è così. La sterilizzazione forzata è stata praticata per legge nei Paesi scandinavi fino a non molto tempo fa.

Le leggi per la sterilizzazione di 'tipi razziali inferiori' sono entrate in vigore in Danimarca nel 1929, in Norvegia nel 1934 e in Svezia nel 1935, e hanno continuato a giustificare interventi su soggetti ― soprattutto donne con handicap e 'indigenti di razza mista' ― che ufficialmente risultavano

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sottoporsi alla sterilizzazione volontariamente. La legge in Svezia è stata abolita in sordina solo nel 1976. A quasi 100.000 donne nei tre Paesi scandinavi sarebbe stato negato, in modo coercitivo, il diritto alla riproduzione, per ridurre la probabilità che tra le generazioni future vi fossero persone non sane, che potessero quindi pesare sulla società. Anche sulla Francia si è estesa l'ombra della violazione sistematica di diritti umani: stando alle denunce della stampa, nel paese si è praticata e si continua a praticare la sterilizzazione forzata di handicappati e minorati mentali, contro la loro volontà o a loro insaputa.

Il problema della tutela dei diritti, abbinato al rispetto della privacy, è emerso a proposito dello screening per l'HIV, da praticare obbligatoriamente su quanti vengono a contatto con operatori sanitari, per proteggere questi ultimi dai rischi di infezione. Sono state proposte anche indagini obbligatorie sui sanitari, per tutelare i pazienti dalla trasmissione del virus da parte di operatori infetti. La tendenza prevalente è stata quella di non far ricorso a misure coercitive.

La casistica delle situazioni in cui, in nome della salute e della sicurezza, vengono richiesti dei test relativi alla salute del personale nell'ambito del lavoro, è molto ampia 10. Si possono ricercare informazioni sullo stato di salute attuale o futuro (individuando la predisposizione genetica a determinate malattie); test appropriati possono rilevare se la persona nella sua vita privata fuma, beve alcolici o fa uso di droghe; in alcuni posti di lavoro si va a ricercare ― sotto l'etichetta di rischi riproduttivi ― se le donne sono incinte o, più generalmente, fertili. La giustificazione di intrusioni così pesanti nella vita delle persone può assumere una triplice forma: il test può essere motivato o come protezione offerta al lavoratore, per il suo stesso bene (una motivazione tipicamente paternalistica); o per proteggere terze parti (questa ragione ha più potere persuasivo, anche se in pratica è rilevante sono in pochi casi eccezionali negli ambienti di lavoro); oppure per tutelare il datore di lavoro da eventuali costi per spese sanitarie.

La tentazione di ricorrere ― in chiave preventiva ― a sistematiche misure di indagine sul personale dipendente o su quello da assumere andrà sicuramente crescendo. Per questo è necessario che, in nome del principio etico dall'autodeterminazione, si vigili per assicurare a tutti uguale trattamento e uguali opportunità. In particolare quando le misure preventive interferiscono con gli stili di vita. Con questa espressione spesso si considerano insieme comportamenti relativi al fumo e al consumo di alcol e droghe, nonché pratiche sessuali associate al rischio di HIV.

Dal momento che questi comportamenti, a differenza del patrimonio genetico, sono considerati dipendenti dalla volontà, i test relativi non sono disapprovati dall'opinione pubblica tanto fortemente quanto le indagini genetiche. È un motivo per proteggere con più attenzione l'ambito della vita privata da controlli etichettati come medicina preventiva, che da intrusività molesta potrebbero degenerare in totalitarismo soft da Grande Fratello orwelliano. In nome della salute, del benessere sociale o del controllo dei costi si rischia di esercitare una pressione, inconciliabile con i valori democratici della libertà e della dignità, su intere classi di persone.

Con il principio dell'autodeterminazione ― infine ― dobbiamo confrontare una serie di interventi di prevenzione ed educazione sanitaria che, senza essere né coercitivi, né intrusivi ― come gli esempi che abbiamo preso in considerazione ― possono tuttavia compromettere la libertà personale. "Nella misura in cui la promozione della salute e l'educazione sanitaria sono intese come alternative alla regolazione coercitiva dei comportamenti, esse non minacciano l'autodeterminazione degli individui, bensì la potenziano. Di fatto l'educazione aumenta l'autonomia, in quanto fa emergere le conseguenze del proprio comportamento e le possibili alternative. Tuttavia c'è una zona grigia tra l'innocua offerta di informazioni e la coercizione sfacciata, e in questa categoria vanno inclusi alcuni degli strumenti utilizzati dagli educatori della salute". Non è necessario giungere a forme di coercizione non democratica perché si ravvisi un uso inaccettabile delle conoscenze mediche per far pressione su larghi gruppi di popolazione, affinché cambino i loro comportamenti non sani.

Le campagne di educazione sanitaria non sono una neutra esposizione di fatti; esse cercano di convincere

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a modificare comportamenti e abitudini, e perciò frequentemente si servono della manipolazione. I più efficaci programmi educativi riescono a far sentire in colpa o a disagio il soggetto quando assume comportamenti giudicati non sani (l'utopia di un mondo capovolto immaginata da Samuel Butler 11 nel celebre Erewhon si muoveva nella stessa direzione: il malato era indotto a sentirsi colpevole per la sua malattia; compreso il malato di cui nel cap. XI viene raccontato il processo, che si conclude con la severa condanna per il "grave delitto di tubercolosi polmonare". Anche questo nella logica della prevenzione: "Il giudice era fermamente convinto che la punizione inflitta al debole e all'ammalato fosse il solo modo di prevenire il diffondersi del decadimento fisico e delle malattie e che, alla resa dei conti, l'apparente severità della sentenza avrebbe risparmiato alla società una sofferenza dieci volte maggiore di quella subita dall'accusato. Il paradosso del malato colpevolizzato è stato realizzato nella nostra società dal diffondersi dell'atteggiamento etichettato come victim blaming.

Altre strategie manipolative sono quelle di sovrastimare il rischio (per esempio, per indurre le persone a vaccinarsi volontariamente, mentre i non vaccinati sono in genere protetti dalla vasta maggioranza di quelli che lo sono) e di nascondere il grado di cambiamenti necessari per promuovere la salute, se questa informazione rischia di tradursi in assenza di compliance. Senza voler sostenere che qualsiasi manipolazione educativa sia incompatibile con il principio etico del rispetto dell'autonomia personale, bisogna tuttavia riconoscere che non è questo l'ideale verso il quale si muove quella promozione della salute che vede il suo obiettivo nell'empowerment dei consumatori.

La preoccupazione tradizionale a far coincidere il fine della medicina con la volontà di procurare al paziente il bene della salute ― identificato in ciò che la scienza, di cui il sanitario è portatore, sa e può fornire ― deve commisurarsi con il diritto del paziente stesso a determinare (o per lo meno a codeterminare, all'interno dell'alleanza terapeutica che struttura il rapporto fondamentale) il proprio bene. Il principio di autonomia completa e controbilancia il tradizionale principio di beneficità. Più che contrapposti, i due principi vanno integrati. Senza il correttivo che l'uno apporta all'altro, ambedue possono guidare l'azione verso scelte estreme, alle quali la maggior parte delle persone ragionevoli negherebbe il proprio consenso morale.

Per una società salutogenica

Il terzo modello di etica riferito alla medicina è quello che dà maggior risalto, quale valore-guida, alla giusta distribuzione delle risorse in modo da promuovere la salute come bene di tutta la società. In questa prospettiva il rapporto considerato non è quello che lega il paziente singolo al suo medico di riferimento, bensì l'intreccio di fattori sociali che sono all'origine delle malattie e che determinano la loro trasmissione, oppure ― se si interviene su di essi ― possono produrre un miglioramento della salute nell'insieme della popolazione o in sue parti rilevanti.

La percezione della dimensione sociale della salute non è nuova. Per mantenerci nell'epoca a noi più prossima, possiamo risalire almeno alla metà del diciannovesimo secolo e all'opera pionieristica nella medicina pubblica svolta da Rudolf Virchow (l'assunto fondamentale del quale era di considerare la medicina come una scienza sociale e la politica nient'altro che medicina su vasta scala). Nel ventesimo secolo gli impulsi decisivi alla medicina nel suo compito di promuovere la salute pubblica sono venuti dalle grandi istituzioni internazionali, soprattutto dall'Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms).

L'impegno ― questa volta non a dimensione nazionale, ma planetaria a incrementare la salute ha trovato espressione in due celebri programmi, rivolti a definire la medicina di base in termini di 'Primary health care': la Dichiarazione di Alma Ata: 'Salute per tutti per l'anno 2000', del 1978, e il suo rilancio a 20 anni dallo storico documento: 'Salute per tutti verso il XXI secolo' (28 aprile 1997). Nella formulazione del nuovo programma viene superata l'euforia fastidiosa che induceva a porre una data come termine entro il quale assicurare una salute per tutti. Invece di una scadenza temporanea, si prospetta una linea

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di valori per il XXI secolo. Viene con più vigore correlata la salute con lo sviluppo, affermando che non può esserci sviluppo senza salute, né salute senza sviluppo; per raggiungere l'uno e l'altro occorre sconfiggere la povertà.

La medicina sociale confronta il medico con la responsabilità etica di modificare le situazioni patogeniche. La professione medica rivela a questo punto dei confini molto esili rispetto all'impegno politico. Quando, ad esempio, si dimostri la funesta influenza di un'industria sulla salute non solo di coloro che vi lavorano ma della stessa comunità in cui è localizzata ― si pensi alla crescente consapevolezza dell'origine ambientale del cancro ― l'azione educativa può non essere più sufficiente; è richiesto un intervento personale del sanitario in quanto cittadino, con un passaggio dal piano educativo a quello della politica. Ibsen nel dramma 'Un nemico del popolo', scritto nel 1882, ha creato una situazione paradigmatica: il dottor Stockmann, medico di uno stabilimento di bagni termali, ha acquistato la certezza, dopo lunghe analisi tenute segrete, che le acque dello stabilimento sono inquinate e costituiscono un perenne veicolo di malattie infettive. Quando propone la chiusura temporanea dello stabilimento, con il rischio della rovina economica della città, si guadagna l'ostilità generale e diventa, appunto, un nemico del popolo.

"I conflitti etici dei nostri giorni sono meno spettacolari, ma non meno reali di quelli letterari. I medici e le comunità ― sostiene l'articolo dedicato alla medicina sociale della Encyclopedia of bioethics ― devono cominciare a confrontarsi con un nuovo conflitto etico: in che modo modificare il paradosso del capitalismo democratico, che ha bisogno di porre un freno alla motivazione del profitto per proteggere la comunità da uno sfruttamento distruttivo 12. Questa dimensione rende più acuto il problema etico tradizionale della medicina sociale, cioè il possibile contrasto tra le esigenze del bene comune e la libertà degli individui in una società democratica, quando le rivoluzioni necessarie nella salute pubblica devono essere fatte al prezzo di intrusioni nelle libertà individuali.

Ai nostri giorni gli aspetti etici dominanti di una medicina sensibile all'interfaccia con la società viene dal problema dei limiti. Anzitutto quelli economici, per l'incapacità, diventata sempre più manifesta, di qualsiasi sistema sanitario di sostenere il peso di un'assistenza sanitaria in espansione e dai costi crescenti. Non si tratta solo di un razionamento occulto o esplicito delle risorse, mettendo in atto meccanismi di contenimento della spesa e sottoponendo a un controllo pubblico le misure di allocazione di risorse scarse. I limiti ― suggerisce Daniel Callahan, al quale si deve la prima esplicita formulazione dei problema del setting limits come priorità della medicina contemporanea 13 ― vanno riportati sul modello stesso di vita umana proposto dalla nostra cultura e sul ruolo che attribuiamo alla scienza per realizzare tale modello. L'argomentazione antropologica di Callahan sfuma in una perorazione per il recupero di un atteggiamento rispetto alla vita ispirato alla saggezza: "La medicina moderna è stata la beneficiaria della fede nel progresso e della volontà di perdonare i fallimenti della tecnologia ― e questo è abbastanza insolito ―, forse perché abbiamo lasciato che la nostra fede e la nostra speranza si allontanassero dal senso comune. È ancora tempo di fermarsi e di capire che siamo ancora creature finite e limitate" 14.

L'era dei limiti si può aprire su un duplice scenario: su un razionamento, che fa sentire il suo peso soprattutto sui soggetti più deboli della società, oppure su quella che Arnold Relman ha chiamato 'la terza rivoluzione' in sanità 15, vale a dire I''epoca della valutazione e della responsabilità' (assessment and accountability). Dopo l'era dell'espansione, iniziata con al fine degli anni '40, e l'era del contenimento dei costi (che per la società americana si è tradotta nell’introduzione di sistemi di remunerazione delle prestazioni sanitarie a tipo prospettico ― Drg, Health maintenance organizations, managed care... ― fin dall'inizio degli anni '70), la rivoluzione della valutazione ci domanda di sapere di più sulla sicurezza, l'appropriatezza e l'efficacia dei farmaci, delle procedure diagnostiche e terapeutiche, sui successi e fallimenti delle prestazioni, a seconda dei diversi sistemi organizzativi. Non si possono più ignorare le valutazioni di efficacia (management degli outcome). Qualunque prestazione deve essere considerata inefficace, finché non si è dimostrato il contrario. Questa esigenza non si pone solo per la medicina curativa, ma anche per quella preventiva. Mediante la dimostrazione di efficacia,

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deve meritare le risorse che vi vengono investite.

La trasformazione globale che la medicina deve affrontare quando entra nel modello postmoderno comprende anche i valori etici di riferimento assunti come criteri di valutazione. Il principio di giustizia ― che implica un'uguaglianza sostanziale di tutti i cittadini di fronte al diritto alla salute ― acquista la centralità che nel modello premoderno aveva l'orientamento al bene del paziente e in quello moderno il rispetto della sua autonomia. La tradizionale estraneità del medico a considerazioni che non fossero riferite al miglior interesse del paziente che aveva in trattamento (ideale sintetizzato dalla frase attribuita al medico del cancelliere Bismarck: "Quando io curo un malato, siamo io e lui soli su un'isola deserta") è stata ulteriormente aggravata dalla socializzazione delle cure sanitarie nei vari programmi di welfare state. La presenza di un terzo pagante ― la mutua, il Servizio Sanitario Nazionale ― ha dispensato sempre di più il medico dal gestire le risorse secondo criteri di economicità e di giustizia. Quella stagione della medicina deve essere considerata come tramontata.

È stata avviata obbligatoriamente la terza rivoluzione in sanità, che comporta l'obbligo morale di valutare se i nostri interventi sanitari vanno in direzione di una società salutogenica. Da ora in poi la qualità etica e quella economica-gestionale negli interventi sanitari si implicano reciprocamente. Negli interventi di prevenzione così come in quelli di diagnosi e cura.

This article deals with Prevention in connection with three patterns of ethics in medicine: the medical ethics, bioethics and organizational ethics, all considered to be characterising three different cultural periods: pre-modern, modern and post-modern. For medical ethics a good prevention entails a benefit for people, based on scientific criteria (possibly evidence based!). For bioethics a good preventive medicine should help people to gain control over their own health (empowerment of the Citizen). In organizational ethics good prevention should promote a "health-genic" society and a healthy lifestyle.

BIBLIOGRAFIA

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6 Fruchtbaum H., Public health, in Reich W. (a cura di), Encyclopedia of bioethics, 1a ed., Macmillan Free Press, New York, 1978.

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12 Silver G., Sidel V., Social medicine, in Encyclopedia of bioethics, 2a ed., 1995, pp. 2399-2405.

13 Callahan D., Setting limits: medical goals in a aging society, Macmillan, New York, 1987.

14 Callahan D., Porre dei limiti: problemi etici e antropologici, in L'Arco di Giano, 4, 1994, pp. 75-86.

15 Relman A., Assessment and accountability. The third revolution in medical care, in The New England Journal of Medicine 3/9, 1988, pp. 1220-1222.