Limiti e qualità in medicina

Book Cover: Limiti e qualità in medicina
Parte di Sistemi sanitari series:

Sandro Spinsanti

LIMITI E QUALITÀ IN MEDICINA

in Limiti e qualità in medicina: tra etica ed economia

3° Convegno Scientifico di ADVAR

Treviso, sabato 23 novembre 1996

pp. 25-34

25

La prima riflessione che vi viene proposta stamattina ha volontariamente il compito di offrirvi un quadro generale nel quale le altre riflessioni che nascono da angolature particolari, dell’economista, del medico di medicina generale, del comunicatore che vede più le cose dalla parte del cittadino, si inseriranno in un piano organico. Ci siamo resi conto che c’è in atto un grande cambiamento, definito di tipo economico: meno soldi per la sanità. Ma credo che noi faremmo ingiustizia alla complessità della situazione se ci limitassimo a questa sola indagine. La sanità cambia non soltanto perché ci sono meno risorse a disposizione, cambia anche molto in profondità.

Probabilmente cambiano le metafore con cui pensare alla sanità, e non è poco, perché le metafore nel nostro linguaggio sono quelle che determinano, con maggior coinvolgimento e profondità, il nostro approccio ai problemi. Pensate alla metafora fondamentale con cui noi affrontiamo i problemi della salute e delle malattie negli ultimi decenni di questo nostro secolo: è essenzialmente la metafora della “guerra”, di essere in guerra con la malattia, di mobilitare le nostre risorse per sconfiggerla; ed è una metafora tanto potente che per esempio quando si fanno le giornate in televisione per combattere il cancro o per combattere l’AIDS o la distrofia muscolare, si mobilitano risorse, anche economiche, impensabili, perché in quella specie di emergenza ― “siamo in guerra” ― vengono fuori le disponibilità, le generosità. Tutta la medicina è pensata come una guerra contro la malattia. Non è piccola cosa perché anche la dimensione economica viene ridisegnata: è economia di guerra. Quindi si dà la priorità assoluta, non si risparmiano sacrifici. Oggi sembra che la metafora dominante sia un’altra: quella del “mercato”. Allora sentiamo voci nuove nella medicina. Intanto non la diamo più in mano ai medici ma la diamo in mano ai manager, perché loro sanno gestire meglio le risorse, e parliamo di “budget”, parliamo di “analisi costi-benefici”, parliamo di “concorrenza”, parliamo di “efficienza”, parliamo di “produttività”. Dunque è una metafora essenzialmente di tipo economico. Non sto a dire che

26

non sia una metafora importante. Ovviamente è molto importante ma dobbiamo renderci conto che quando arriviamo alle metafore, noi mettiamo in moto dei processi profondi di cambiamento che ci sollecitano a pensare la crisi sotto la forma del pericolo, perché quando cambiamo una situazione così profondamente interiorizzata, come il fatto che siamo tutti in guerra contro la malattia, sentiamo di entrare, spostandoci da questa metafora alla metafora del mercato, in un terreno pieno di insidie. Non per niente la parola cinese che indica la crisi è una parola chiarissima. L’ideogramma è composto di due parti: “pericolo”, l’ideogramma inferiore, e “opportunità”, l’ideogramma superiore.

Dunque, la crisi della sanità attuale, che consiste nel passaggio da una metafora all’altra, è una crisi pericolosa. Questa mattina avremo tutto l’agio di approfondire le dimensioni del pericolo che ci sono quando pensiamo alla sanità in termini prevalentemente di mercato e di economia. Ma è anche una opportunità. È una questione di limiti, diceva prima il dottor Orlando, traendo considerazioni da un editoriale per il quale, a mia volta, mi sono ispirato a un testo importantissimo e molto ignorato dalla comunità nazionale italiana – Il piano sanitario nazionale per gli anni 94-95-96 ― dove viene delineato il fatto che il passaggio, a seguito della limitazione delle risorse, dal paradigma di una crescita per quantità a una crescita per qualità, è anche una straordinaria opportunità. Dunque: pericolo ― opportunità. I limiti, in altre parole, sono l’opportunità per ripensare a fondo, fino al livello delle nostre metafore, dei nostri atteggiamenti sociali più interiorizzati, il nostro modo di porci di fronte alla medicina. Io vorrei sottolineare, in questa riflessione, che in realtà oggi noi siamo molto affascinati, stregati, dal limite economico, ma non è l’unico limite. Ci sono altri limiti, che hanno portato o stanno portando a un cambiamento nella medicina, che vanno contemperati con i limiti economici. E così pure la qualità, che è un concetto apparentemente intuitivo ― tutti pensiamo di sapere cos’è una medicina di qualità ― va articolata al plurale. Non c’è in medicina una sola qualità, ci sono

27

almeno tre qualità. E non c’è soltanto un limite alle risorse, ma c’è almeno un altro limite, ed è proprio quello che voglio illustrare come prima dimensione del cambiamento.

La medicina tradizionale, come l’abbiamo praticata per 2500 anni, conosceva soltanto il limite della scienza, il limite delle risorse del tempo, della disponibilità personale, ma era una medicina orientata molto chiaramente su una concezione di qualità dove tutto quello che si poteva fare per il malato, per il bene del malato, era giustificato. Quindi, da questo punto di vista era una medicina senza concetto di limiti se non quelli dell’operatore o quello della scienza che più di certe risposte non arrivava ad elaborare. Ma purché si riuscisse a dimostrare che quello che si faceva per il malato gli portava beneficio, questo era giustificato e l’intervento era qualitativamente valido. Possiamo pensare questa situazione come una situazione lineare che chiameremo modello “premoderno” della medicina, in cui c’è un solo parametro: il beneficio del paziente. Quello che facciamo per il malato, gli porta un beneficio? Tradizionalmente s’è sempre detto: Guarire se si può, lenire il dolore, nella misura del possibile, o quanto meno confortare. Tutto quello che veniva fatto entro questo quadro di riferimento, il bene del paziente, la sua salute, o anche la sua psiche, la sua situazione di smarrimento, era un beneficio.

Il primo fondamentale cambiamento culturale che noi non abbiamo registrato è che questo modello lineare è cambiato nel momento in cui abbiamo capito che questa azione benefica ha un limite nella volontà del cittadino, nella volontà del malato. Il convegno ADVAR che abbiamo fatto nel ‘93 sul Consenso informato, sull’informazione data al cittadino, è stato sicuramente importante e anche precorritore. Soltanto un dato: nel ‘93 dovevamo ancora fare i conti con un codice di deontologia medica che non prevedeva il consenso informato come la base di legittimità dell’atto medico. Soltanto nel ‘95 ― cioè l’anno scorso ― i medici hanno cambiato il loro codice deontologico ed hanno ammesso che ciò che legittima un intervento diagnostico-terapeutico è la volontà del malato, previa informazione, è il suo

28

consenso. Nel ‘93 noi eravamo ancora in una situazione paradossale in cui avevamo un documento ufficiale del Comitato Nazionale per la Bioetica “Informazione e consenso all’atto medico” che diceva che il paradigma moderno presuppone che il malato debba essere informato, che ciò che giustifica un intervento non è il beneficio del malato ma la volontà del malato di avere quel beneficio. Avevamo dunque da una parte una dichiarazione ufficiale molto autorevole, e una non-ricezione da parte della Federazione nazionale dell’Ordine dei Medici che diceva: “Il nostro codice deontologico ci dice che siamo noi a valutare quando è opportuno o non è opportuno dare l’informazione al malato”. Nel ‘96 siamo in una situazione che, almeno dal punto di vista normativo, è cambiata, ma dal punto di vista della pratica dei costumi è ancora profondamente diversa.

In questo contesto, la dottoressa Irene Merli scriveva nel libro, che credo lei stessa presenterà, Come riconoscere il medico giusto e difendere i vostri diritti di pazienti: “Il medico informa e propone, il malato decide”. Ecco il paradigma moderno, ecco il limite, il limite alla medicina, anche alla medicina più orientata in senso benefico: sono le percezioni personali: “So io qual è il mio bene, o almeno lo devi articolare insieme a me”. Per molti secoli ci si rivolgeva al medico come al proprio confessore, a quest’ultimo si comunicavano le inquietudini dello spirito, al medico i mali del corpo e il medico, come il sacerdote, trattava il malato con modi quasi paternalistici. Questa visione ha dominato nel mondo della medicina fino a qualche decennio fa, poi si è gradualmente fatta strada una nuova filosofia che ha finito per rivoluzionare il rapporto tra medico e paziente. Oggi, prima di iniziare ogni terapia, il primo passo da fare è quello di ottenere il cosiddetto “Consenso informato” del paziente. Questi nuovi pazienti, quanto sono vicini o quanto sono lontani? Io ho chiesto l’aiuto a un grafico per illustrare la situazione. Quanto sono lontani i nuovi pazienti? L’ha commentato con la disavventura dell’indiano sordo. L’indiano che sta ad ascoltare quanto sono lontani i bufali mettendo l’orecchio sul terreno, ma, se è sordo, rischia di avere addosso i bufali e di non accorgersene.

29

Di fatto nel mondo della medicina succede ancora che rispetto ad una professione che si orienta verso una dimensione qualitativa valutata in senso autonomo, si dica: “faccio per il malato quello che ritengo il suo beneficio e non negozio con lui, non contratto con lui”. Il paradigma moderno, che non sostituisce quello tradizionale, si inserisce invece in una dimensione dialettica. Il modello moderno, cioè “le preferenze del paziente”, costituisce un campo di contrattazione. (Fig. 1,2,3) Se quello che il sanitario ritiene il bene del paziente il massimo è 15, ho messo anche uno zero per indicare che forse c’è anche un “sottozero”: ci sono delle preferenze o delle attività mediche che non sono giustificate da un punto di vista etico ― non per niente l’etica tradizionale ha messo a salvaguardia dell’azione medica “Primum, non nocere” ― ma anche il paziente può avere delle preferenze sottozero, non accettabili. Non pensate subito all’eutanasia o ad altre cose che pure entrano in questo quadro di riferimento.

C’è una discussione interessantissima su un sito di Internet che riguarda un Forum di discussione tra medici di medicina generale, in cui un medico espone agli altri il suo problema morale. Egli dice: “Mi si presenta ogni anno il paziente che vuole “la settimana di mutua”, è sano come un pesce, ma lui vuole la sua settimana di ferie. Io l’ho sempre accontentato, ma adesso ho anche la percezione che non possiamo disporre delle risorse comuni sulla base di preferenze non giustificate. Ho detto a questo paziente che quest’anno la settimana non gliela prescrivo. Mi ha risposto: “Va bene, allora io e la mia famiglia cambiamo medico”. Il medico si rivolge, allora, agli altri per conoscere il loro comportamento e ne è nata una discussione interessantissima che mi sembra riporti l’etica nel suo luogo originario, perché il luogo originario dell’etica non è la cattedra, è la piazza, è l’agorà. È il luogo dove il cittadino Socrate pone agli altri domande scomode e li invita a riflettere. In questa agorà telematica circolano confronti di questo genere. Allora, ci sono delle preferenze non accettabili, ma ci sono delle preferenze che in ogni caso vanno ascoltate: bisogna cercare col paziente “cittadino”

30

quella terapia, quell’intervento, quella misura giusta per lui, non soltanto quella che è giusta per noi. Ecco il senso del limite inteso come la valutazione soggettiva della qualità. Perché non è detto che quello che è qualitativo ― prolungamento della vita per qualche giorno, per qualche settimana, per qualche mese ― ottimo per le statistiche, per i congressi, vada bene per i pazienti. Allora c’è un limite che nasce da una contrattazione che richiede prima una informazione, e tutto questo ha una incidenza fortissima nella pratica quotidiana della medicina, perché non si può fare questa medicina moderna senza prendere il tempo per informare bene il paziente. Nasce allora una questione fondamentale: la qualità ha un prezzo. Qui stiamo parlando della qualità “relazionare”: il prezzo è il tempo. Ed è chiaro che se una medicina deve rispondere soltanto al numero delle prestazioni deve quantificare, fa economia di tempo e scade in qualità. Ma se si dà voce al paziente, se lo si fa intervenire, se lo si fa scegliere, se gli si propongono le alternative, costui non domanderà sempre le cose più costose? Non ci porrà al di fuori del limite delle risorse? Io non ho una risposta, ma mi ha molto impressionato una ricerca fatta in America e pubblicata dal New England Journal of Medecine: i medici sanno che è la Bibbia della ricerca, le cose che vi appaiono sono in genere molto serie. In questa ricerca, fatta un paio di anni fa, sul coinvolgimento dei pazienti nelle scelte mediche e il rapporto di questo coinvolgimento col contenimento delle spese, un gruppo di pazienti veniva coinvolto direttamente più di altri, mediante una informazione riguardo alla diagnosi, alla terapia e in particolare alla possibilità di risposte molteplici della terapia per la cura dell’ipertrofia prostatica benigna.

Voglio leggere la conclusione di questa ricerca, perché mi sembra molto interessante: “I livelli correnti di utilizzazione di tecnologie mediche molto sofisticate sono più alti di quelli voluti dai pazienti, perché quando occorre sottoporsi ad un rischio per ridurre i sintomi o per migliorare la qualità della vita i pazienti tendono ad esser più riluttanti di quanto non lo siano i medici. Se viene loro offerta una possibilità di scelta, i pazienti optano

31

per strategie meno invasive di quanto facciano i medici.” La conclusione della ricerca era questa: la libera espressione di preferenza da parte del paziente dovrebbe comportare un abbassamento della domanda. Ciò sembra vero anche nelle cure rivolte ai pazienti terminali, in quanto, di fronte all’inevitabilità della morte, i pazienti in quelle situazioni preferiscono che si faccia di meno, piuttosto che di più. Di meno in senso tecnologico, oltre che in senso economico. Una migliore informazione sugli esiti clinici, un miglior dialogo tra paziente e medico sulle opzioni possibili può dunque fare diminuire la domanda di trattamenti più costosi. Io non voglio dire che questo è assoluto, ma che non ne sappiamo quasi niente; sarebbe un campo di ricerca per capire quanto l’informazione e il coinvolgimento del paziente ci porti a una medicina meno invasiva, meno tecnologica e quindi anche meno costosa. Perché la qualità qui è una qualità più relazionata al concetto personale di “buona vita” che a quello che costa: costa anche il tempo, il prendersi cura costa, ovviamente, ma costa in maniera molto diversa dell’alta tecnologia e forse la risposta a questo problema ci darebbe anche un miglior equilibrio tra le risorse umane e le risorse tecnologiche, con il sospetto che noi ricorriamo di più alle costosissime risorse tecnologiche perché siamo disposti a dare di meno nel versante dell’informazione, della vicinanza, del rapporto con il paziente. Mi sembra un’ipotesi affascinante che non possiamo fare a meno di esplorare: più diamo come rapporto personale, meno spendiamo. Questo è il limite che deriva dalla cultura moderna, quello che mette le persone, con i limiti delle loro preferenze, in dialogo con la sanità.

Mi si dirà che non è questo il limite di cui si parla oggi. I limiti sono il Budget, il Fondo Sanitario Regionale, i limiti economici, e qui abbiamo effettivamente un’altra dimensione, che è la dimensione che possiamo chiamare postmoderna in cui i limiti sono generali e sono costituiti dal fatto che non possiamo più permetterci di pensare che “qualcuno” pagherà i nostri conti. Abbiano fatto scelte sconsiderate nella sanità ed anche in altri settori come la previdenza ma non possiamo più permetterci

32

Piano della contrattazione beneficio-preferenze

Spazio della contrattazione beneficio-preferenze-appropriatezza

33

di pensare che siamo una società senza limiti, dobbiamo partire dalle risorse economiche che intendiamo riservare alla sanità e, senza smobilitare lo Stato Sociale, dobbiamo con queste risorse far fronte alla domanda di tutti, non soltanto di qualcuno. Questo è l’altro limite ed anche l’altra dimensione della qualità. Se pensiamo a quello che sta avvenendo in Russia abbiamo l’immagine di cosa vuol dire medicina efficace: cinque by-pass al Presidente Eltsin che aveva un piede nella tomba, grandi chirurghi che arrivano da tutto il mondo, e poi leggiamo che prima in Russia facevano in media 5000 by-pass mentre ora per il disfacimento della loro sanità ne fanno 2000, il che vuol dire che tremila cittadini muoiono. Non dobbiamo curare soltanto il cuore del signor Eltsin, dobbiamo curare il cuore di una quantità di cittadini.

Questo è il quadro concreto per dire: l’appropriatezza, perché se le nostre risorse non le spendiamo bene non le avremo per rispondere ai bisogni di tutti. E quindi non possiamo più permetterci le diseconomie e dobbiamo anche pensare a chi diamo, che cosa diamo, quali sono i trattamenti che danno maggior beneficio.

Nel riordino della sanità abbiamo pensato che il modo migliore per rendere più produttive le nostre strutture e di curare di più l’efficienza, sia quello di mettere qualche cosa del “mercato”. Questa è l’idea di “cliente”, cioè di dare un po' più di possibilità al cittadino, di premiare le strutture che rispondono di più alla qualità percepita, così come andiamo nel ristorante che ci piace di più, così come andiamo nell’agenzia turistica dove, oltre alle buone informazioni, hanno anche rispetto di noi. Vorrei sottolineare il fatto che questi elementi di concorrenza che vengono previsti nel disegno, non li abbiamo ancora realizzati. Vorrei essere molto esplicito: la nuova sanità non è quella che abbiamo davanti agli occhi e soprattutto non è la vecchia sanità, meno qualche taglio. Il nuovo servizio sanitario ci invita a immaginare un servizio sanitario centrato sulla qualità; l’elemento premiante è quello del gradimento del cittadino, quindi anche di una qualità “percepita”.

34

Vorrei osservare prima di chiudere, per permettere poi un ampio dibattito, che c’è anche un senso di estraneità, rispetto a quanto abbiamo sempre ritenuto fosse importante per strutturare, modificare i comportamenti delle persone che lavorano in sanità: l’esortazione morale, cioè, a considerare il malato come un paziente, a considerarlo come una persona che ha bisogno, a trattarlo bene perché vogliamo fare una cosa buona per lui, perché vogliamo essere buoni con lui. Questa è sicuramente la molla fondamentale che abbiamo sempre utilizzata. È bastato questo per modificare la sanità? Purtroppo sembra di no. Abbiamo visto che in altre attività umane la concorrenza porta un grande stimolo al miglioramento della qualità e anche all’abbassamento dei costi. L’Alitalia ci vuol far credere che ci fa volare bene perché ci vuole bene: “Vi voliamo bene”. No, l’Alitalia attualmente ci fa volare bene, cioè a bassissimi costi e con una quantità di servizi, perché ha la concorrenza. Allora, è una delle cose che abbiamo pensato che possa migliorare la nostra sanità: metterci la concorrenza, la centralità del cittadino. Certo, abbiamo sempre detto che il malato deve essere al centro, ma adesso gli diamo il ruolo di premiare le strutture che rispondono di più ai suoi desideri e di punire quelle che sono inefficienti con lunghe liste d’attesa, non umane, disinformate. Se non vogliamo trattare bene i cittadini perché vogliamo loro bene, dobbiamo trattarli bene per questione di sopravvivenza. Questo è un altro dei cambiamenti “rischio e opportunità”: rischio di degradare da paziente a cliente, opportunità di migliorare quello che facciamo per i cittadini.