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- La qualità nei servizi sociali e sanitari: tra management ed etica
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- AIDS la sindrome misteriosa
- Il malato di tumore in Lombardia
- Questioni etiche in oncologia
- Miglioramento della qualità
Sandro Spinsanti
Editoriale
in Quaderni di sanità pubblica
anno 21, luglio 1998, n. 106, pp. 5-7
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Il lettore può immaginare la pubblicazione che ha in mano come un biglietto di invito a partecipare, da uditore, a una tavola rotonda di straordinario interesse. Per l’argomento, anzitutto: si tratta di discutere la proposta del programma OMS “Salute per tutti”, che riprende il programma del 1978 e a venti anni di distanza lo riformula, traendo profitto dall’esperienza. E per la qualità degli studiosi convocati a discutere il rinnovo della strategia dell’OMS. Sono filosofi, sociologi sanitari, esperti di sanità pubblica, di diverse aree geografiche del pianeta, diverse appartenenze culturali, diverse tendenze ideologiche. Non si potevano convocare studiosi più qualificati. L’allargamento dell’orizzonte intellettuale e l’arricchimento che ne trarrà il lettore attento sono garantiti. C'è solo un rammarico: che alla tavola rotonda non sia stato invitato Rip van Winkle.
Non andate a cercare il nome nell’annuario delle più prestigiose università: Rip van Winkle è un personaggio letterario. È stato creato dallo scrittore Washington Irving nella prima metà del XIX secolo e da allora è diventato familiare soprattutto agli anglosassoni. Rip è un colono americano, di origine olandese, che un certo giorno va nel bosco a far legna. Incontra strani personaggi, beve del vino da loro offerto e si addormenta. Al risveglio torna al villaggio, ma non riconosce nessuno e nessuno riconosce lui. Tutto è cambiato. La spiegazione è semplice: Rip van Winkle aveva semplicemente dormito vent’anni. Il successo del raccontino è garantito dall’essere storicamente collocato a ridosso della dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti d’America. Quando Rip si addormenta, cerano ancora le colonie inglesi; quando si sveglia, si trova in un paese tutto nuovo.
Rip van Winkle è il nostro personaggio anche per valutare il programma “Salute per tutti’’ dell’OMS. Abbiamo bisogno di uno come lui che abbia dormito per vent’anni ― sì, proprio dal fatidico 1978, quando è stata fatta la Dichiarazione di Alma-Ata, che annunciava il programma di Primary Health Care e lo estendeva a tutti entro il 2000 ― e si risvegli nel 1998, per ascoltare il dibattito attorno al nuovo programma riformulato in vista del XXI secolo. La prospettiva di Rip van Winkle ci dovrebbe purificare l’udito e la memoria dalle tracce di slogan troppo spesso ripetuti, che sono allo stesso tempo la condizione del successo e il prezzo che si deve pagare per esso, così che la nostra attenzione non è più colpita. Con lo stupore del ridestato, vorremmo scoprire il paesaggio nuovo che si è creato durante questo ventennio, la “rivoluzione” che è avvenuta a nostra insaputa, uno sconvolgimento non meno radicale di quello che ha potuto trasformare delle colonie in madrepatria.
Salutarmente estraniati da quanto di ripetitivo hanno i discorsi sulla medicina, siamo colpiti dal binomio indiscutibile che si e creato con l’etica. Più che la frequenza dei riferimenti all’etica, sono nuovi i contenuti. Tradizionalmente il richiamo all’etica in medicina faceva riferimento ― per lo più implicitamente ― allo spirito che doveva animare chi, a
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diverso titolo di professionalità, era coinvolto nell’erogazione di cure sanitarie. L’etica faceva riferimento allo spirito con cui questo lavoro va fatto: con altruismo, abnegazione, mettendo gli interessi legittimi di chi riceve i servizi prima degli interessi dei professionisti. Etica ― in altre parole ― richiamava l’esigenza per chi lavora in medicina di un curare abbinato a un prendersi cura.
L’etica in medicina che è diventata l’oggetto dei nostri discorsi si riferisce al “che cosa fare”, più ancora che allo spirito con il quale farlo. Nei due decenni che abbiamo alle spalle i principali problemi che si sono posti alla riflessione sono quelli relativi a “dare le cose efficaci”, “nel modo giusto”, “a tutti quelli che ne hanno diritto e bisogno”. Per rispondere a queste domande l’etica è invocata a soccorso.
Il primo interrogativo ha a che fare con la dimostrazione di efficacia. La restrizione delle risorse ha portato in primo piano la valutazione degli esiti delle prestazioni. Per riprendere l’efficace formulazione di Domenighetti, “qualunque prestazione deve essere considerata inefficace, finché non si è dimostrato il contrario” (Domenighetti, 1995). Dobbiamo sapere di più sulla sicurezza, l’appropriatezza e l’efficacia dei farmaci, delle procedure diagnostiche e terapeutiche, sui successi e fallimenti delle prestazioni, a seconda dei diversi sistemi organizzativi. Tutto ciò non è solo un risultato secondario dell’introduzione di sistemi di rimunerazione delle prestazioni a tipo prospettico, ma il portato di quella che è stata salutata come la rivoluzione che ci ha introdotto nell’“era della valutazione e del comportamento responsabile” in medicina (“assessment and accountability”: Relman, 1988).
Non basta fornire i servizi di provata efficacia: bisogna anche che sia fatto “nel modo giusto”. È quanto esige il valore centrale della modernità, vale a dire il rispetto dei valori soggettivi del paziente, la promozione della sua autonomia, la tutela della diversità culturale. Rispetto a un passato molto recente, in cui la medicina era organizzata in modo autoritario e gestita con stile paternalistico, oggi si richiede un coinvolgimento attivo del paziente nelle decisioni che lo riguardano. Buona medicina è quella che, oltre all’appropriatezza clinica, valutata dal professionista sanitario, considera auspicabile e rende possibile che il paziente partecipi alle decisioni che si ripercuotono sul suo benessere (Kassirer, 1994).
Un cambiamento, infine, che caratterizza il modo in cui negli ultimi anni l’etica ha cominciato a essere coniugata con il progetto utopico della “salute per tutti”, è la delegittimazione dei sistemi etici intolleranti. L’etica di cui la medicina ha bisogno è un “etica per un piccolo pianeta”, dove i risultati del miglioramento delle condizioni di vita possono essere ottenuti solo dalla sinergia di tutti. In questa prospettiva è implicito il superamento della contrapposizione polemica tra etica laica ed etica religiosa.
La belligeranza delle religioni contro la modernità ― che include la contestazione della possibilità di elaborare un progetto secolare veramente morale ― ha suscitato come reazione la belligeranza delle etiche laiche contro le religioni, mettendo in discussione la loro pretesa di determinare le condotte umane come buone per una via diversa da quella puramente
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razionale. Il confronto fondamentalista non è una soluzione accettabile, così come non lo è l’alleanza strategica su temi specifici (ad esempio, contro il controllo delle nascite), che però non affermi il rapporto corretto tra sistemi normativi religiosi e laici.
La via di soluzione passa per lo scrupoloso rispetto della libertà religiosa di tutte le persone, da una parte, e per l’accettazione, dall’altra, da parte delle religioni dei minimi etici che lo Stato deve esigere coercitivamente da tutti, cioè l’etica civile. Questa deve essere stabilita mediante procedimenti partecipativi e democratici, e pertanto deve rispettare il parere di tutti, secondo i meccanismi che portano alla formazione della maggioranza.
È vero che le opinioni morali ― anche quelle della maggioranza ― possono essere sbagliate, o può sembrare ad alcuni che lo siano. Ma questa condizione legittima solo a iniziare un dibattito o un processo di educazione morale della società, nel quale esercitare la propria capacità di convincere gli altri, con argomenti razionali, a far proprie le ragioni addotte. Ogni altro procedimento, che invece di proporre ed educare cerchi di imporre, deve considerarsi, in linea di principio, inaccettabile nella nostra epoca.
La nostra partecipazione alla tavola rotonda, che si apre ora sul programma con cui l’OMS intende impegnarci per il XXI secolo, sarà tanto più proficua quanto più saremo consapevoli, nell’ascoltare le voci che si intrecciano, che nei venti anni passati all’insegna della “salute per tutti”, non sono cambiati solo elementi di contorno, ma il modo stesso di concepire la sanità, i suoi rapporti con l’economia e la politica, con l’etica e con la religione. La sanità ― in altre parole ― da colonia del vecchio mondo si profila come avanguardia e promessa del nuovo mondo che non smettiamo di sognare.
Riferimenti bibliografici
Domenighetti G., Il mercato della salute: ignoranza o adeguatezza, Roma, Cis 1995.
Kessirer JP. “Incorporating patient’s preferences into medical decisions”. The New England Journal of Medicine 1994, p. 330.
Relman AS. “Assessment and accountability. The third revolution in medical care”. The New England Journal of Medicine 1988, p. 319.