![Book Cover: Come si diventa bioeticisti: il cammino di una professione discussa](https://sandrospinsanti.eu/wp-content/uploads/2019/09/02-c-trent-anni-di-sanita-tra-bioetica-come-si-diventa-bioe.jpg)
- L'antropologia medica di Viktor v. Weizsäcker
- Guarire «tutto» l'uomo
- Come si diventa bioeticisti: il cammino di una professione discussa
- L'etica per una medicina umana
- Die Medizinische anthropologie
- Curare e prendersi cura
- «Dottore, sto male» - «Mi racconti»
- L'occhio clinico e l'occhio dell'artista
- Medical Humanities
- Sotto il segno di Giano
- L’antropologia medica di Viktor von Weizsäcker: conseguenze etiche
- Verso una medicina antropologica
- La riflessione antropologica in medicina
- Per una medicina più umana
- L'educazione alla salute come sfida per una medicina umanistica
- La formazione in bioetica come emergenza
- La formazione etica del medico 1
- La formazione etica del medico 2
- Servizio di bioetica: che cos'è?
- Il processo di cambiamento nella sanità italiana
- Formarsi alla nuova sanità
- Guaritori da guarire
- Se la cura è di genere femminile
- Bioetica e formazione permanente del personale sanitario
- Documenti di deontologia e etica medica
- L'etica medica
- La bioetica - Biografie per una disciplina
- Stagioni dell'etica e modelli di qualità in medicina
- Stagioni dell'etica e modelli di qualità in medicina
- Stagioni dell'etica e modelli di qualità in medicina
- Guarire tutto l'uomo
- Etica medica o bioetica? Una transizione epocale
- Relazione dell'etica e della deontologia medica con la bioetica
- Bioetica
- Il tramonto dell'assolutismo medico
- Il personale sanitario tra presente e futuro
- L'etica medica e il futuro dell'uomo
- La fragilità nella storia del pensiero sanitario
- Daniel Callahan: La difficile scienza del limite
- Rihito Kinura: la via asiatica alla bioetica
- Thomas Murray: un bioetico con i piedi nelle scienze sociali
- L'antropologia medica di Viktor v. Weizsäcker
- Guarire «tutto» l'uomo
- L'Ethos ippocratico
- Edmund Pellegrino: nella tradizione del medico-filosofo
- Incontro con Jean Bernard
- Incontro con Mark Siegler
- Incontro con Mirko Grmek
- Incontro con Pedro Laín Entralgo
- Incontro con Van R. Potter
- Incontro con Warren Reich
- Incontro con Ronald Carson
- Incontro con Albert Jonsen
- Come si diventa bioeticisti: il cammino di una professione discussa
- Bioetica: le radici arcaiche di una disciplina post-moderna
- Biologia, medicina ed etica
- La cultura medica tra storia, scienza ed etica
- L'antropologia medica di Viktor Von Weizsäcker: conseguenze etiche
Sandro Spinsanti
COME SI DIVENTA BIOETICISTI: IL CAMMINO DI UNA PROFESSIONE DISCUSSA
in 1978-2008 Trent'anni di sanità tra bioetica e prassi quotidiana
Regione Toscana 2010
pp. 187-189
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Come vengono scelti i competenti in bioetica? Con quali criteri? Che cosa autorizza qualcuno a parlare delle regole etiche che devono presiedere alla pratica della medicina? Quando i coordinatori di corsi di laurea in professioni sanitarie chiedono ai docenti di insegnare la bioetica, quando i direttori di Aziende sanitarie nominano Comitati etici, quando le Commissioni universitarie mettono a concorso la cattedra di bioetica, scelgono sulla base di un curriculum, di preferenze personali, ideologiche o, caso che non si vorrebbe prendere in considerazione, per utilizzare un professionista che non si riesce a collocare altrimenti?
In questo vasto ambito, che può essere racchiuso sotto la denominazione di bioetica, sono in corso dei grossi cambiamenti: da movimento sta diventando istituzione. Tutto ciò comporta una certa quantità di problemi.
Per capire bene che cosa implica questa transizione si può ricorrere a un esempio "esterno": il percorso di professionalizzazione della psicoterapia. Negli anni si è passati da una pratica che si potrebbe definire selvaggia (fino agli anni '90 chiunque poteva mettere sulla porta una targa con la scritta "psicoterapeuta"), a una stretta regolamentazione basata sulla scelta di requisiti formativi, alla costituzione di un Albo di professionisti riconosciuti (nel 1997), all'elaborazione di un codice deontologico. Grazie a tutte queste procedure autorizzative, oggi non è più possibile che chiunque si proclami psicoterapeuta e si metta sul mercato su una base autoreferenziale.
Tra la bioetica e la psicoterapia ci sono analogie e differenze. Le analogie sono molto forti: la medicina, per fare spazio alle nuove discipline, ha dovuto cedere alcune delle proprie competenze originarie. La psicoterapia era inclusa nell'ambito della medicina (tanto è vero che prima della normalizzazione alcuni psicoterapeuti sono stati condannati per esercizio abusivo dell'arte medica). Sia gli psicoterapeuti che i bioeticisti hanno occupato uno spazio in un ambito che era prerogativa dei medici, qualificandosi come nuova professione. Tuttavia ci sono anche delle notevoli diversità. La psicoterapia, a differenza della bioetica, è stata riconosciuta per legge e quindi ha avuto una legittimazione ufficiale. Inoltre ha adottato un sistema di controllo che non è soltanto quello del riconoscimento formale accademico: oltre alla formazione universitaria, per accedere alla professione è necessario sottoporsi al sistema della supervisione. Gli esperti nella disciplina garantiscono, almeno per la fase di avviamento, che chi fa psicoterapia è sotto controllo, anche se un controllo esercitato tra pari.
La bioetica ha dovuto fare, più o meno nello stesso lasso di tempo, un percorso analogo. C'è stato un periodo selvaggio, il periodo della "creatività", durante il quale ci si poteva autoproclamare bioeticisti. Non era richiesto un curriculum, non c'era una formazione standard. Agli inizi degli anni '90 chi scrive ha compiuto un percorso ricognitivo intervistando venticinque bioeticisti a livello mondiale. Il risultato del lavoro è riportato nel volume La bioetica. Biografie per una disciplina (Milano, Franco Angeli, 1995), in cui sono ricostruiti i primi passi della bioetica come disciplina. In queste prime fasi si incontrano percorsi individuali di studiosi che, partendo da pratiche, discipline, saperi diversi ― alcuni dalla filosofia, altri dalla teologia, altri ancora dalla psicologia o dalle scienze sociali ― si sono poi identificati in questa nuova professione.
Come si può normalizzare una professione che si è creata ex novo? Si dovrebbero prima di tutto individuare degli stadi. Coloro che oggi hanno un incarico nel nome dell'etica ed esercitano la bioetica, come professione nell'insegnamento o altro, si possono generalmente riconoscere in un percorso. Deve esserci stato uno stadio iniziale, in cui hanno dovuto costruirsi un solido sistema di riferimento teorico: seguire master, corsi universitari, leggere dei libri. C'è stato poi uno stadio intermedio: imparare ad applicare queste conoscenze con competenze professionali, apprendere tecniche di intervento. Nello stadio più avanzato si sono confrontati con altri professionisti e hanno discusso sulla pratica, tendendo ― in maniera collaborativa o
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competitiva ― a qualificare meglio la disciplina. Un progetto in corso di realizzazione presso la Regione Piemonte, intitolato "L'etica nella mission dell'Azienda sanitaria", si inserisce in questo processo di normalizzazione.
Il percorso di transizione da una fase di movimento a una di istituzione comprende quattro cambiamenti molto importanti, che portano l'etica a emergere in sanità.
Un primo cambiamento è il passaggio dall'implicito all'esplicito. Ovvero: non è che in sanità l'etica mancasse, ma era implicita nella formazione del professionista, tanto che i medici ― e gli infermieri ― non avevano degli insegnamenti formali: imparavano le regole etiche all'interno del processo con cui venivano socializzati nella professione. L'etica era presente ma non in maniera esplicita: era parte integrante della professionalità di coloro che esercitavano la medicina. Nel titolo di questo convegno, "Dalla bioetica alla prassi quotidiana", la bioetica è evocata non come un corpo estraneo, ma come un elemento costitutivo dell'agire umano: un elemento che non è incluso in altre competenze professionali, ma che può e deve essere nominato in quanto tale.
Un altro segno del cambiamento in corso è quello che si potrebbe chiamare il passaggio dalla vocazione alla professione. Nel1919 Max Weber teneva due celebri conferenze, intitolate La scienza come professione e La politica come professione. Ai nostri giorni dovremmo aggiornare la prospettiva, parlando di "Etica come professione". L'analisi dei termini tedeschi aiuta a capire meglio il cambiamento, in quanto due parole con la stessa radice designano due diversi scenari: la vocazione (ad esempio quella religiosa) in tedesco è la Berufng, mentre la professione è il Beruf. Quindi, dalla Berufung al Beruf dalla vocazione intesa come una inclinazione personale, come un orientamento interiore a un'attività intellettuale, che comporta l'identificazione con essa, a un Beruf, cioè un esercizio professionale. Alla base della professione sta una divisione di compiti che Weber ha identificato come caratteristica della moderna divisione razionale del lavoro.
Il terzo scenario può essere descritto come il passaggio della facoltatività e dall'autodesignazione all'obbligatorietà. All'inizio degli anni '90 si è tenuto a Montecatini il primo corso di bioetica, promosso dalla Regione Toscana (per alcuni è stato l'inizio di un percorso che ha poi portato una specifica qualificazione in etica). A quel primo corso hanno partecipato coloro che sentivano una personale inclinazione. Oggi, invece, ci si rende conto che l'etica deve essere obbligatoria nella formazione, non più un optional: deve essere prevista sia nella formazione di base che nell'educazione continua. Una buona Azienda sanitaria, una volta assunti dei nuovi professionisti, dovrebbe metterli a confronto con le regole etiche che costituiscono il proprio profilo distintivo.
Un quarto elemento costitutivo del cambiamento è il passaggio dalla "missionarietà" alla mission. Se con missionarietà si indicano le scelte con cui le persone si identificano per preferenze personali, la mission di un'Azienda è la sua stessa ragione di essere, ciò che è chiamata a realizzare. Le Aziende sanitarie, il cui obiettivo è di erogare servizi alla salute, sono tenute a esplicitare le regole alle quali i professionisti si attengono e che definiscono ciò che oggi si intende per "buona medicina". Queste regole non vigono soltanto nei casi estremi, quando si procede a una fecondazione medicai mente assistita, o quando si deve decidere se attivare o meno un presidio salvavita. Le "regole del gioco" sono fondamentali anche nella più elementare quotidianità.
Ecco perché la bioetica è rilevante: l'informazione del paziente, il consenso, il coinvolgimento della persona nelle scelte, le regole che riguardano come si deve fare oggi buona medicina non possono essere optional. Non si può accettare che un medico per sentirsi più tranquillo dal punto di vista medico-legale rianimi tutti i pazienti, anche quelli che stanno morendo, anche se risulta che un paziente aveva precedentemente escluso quell'intervento di rianimazione, mentre un altro medico si ritiene obbligato a rispettarne la volontà. Non si possono infatti avallare comportamenti difformi
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tra i sanitari, così che qualcuno informa i pazienti su diagnosi e prognosi, mentre altri si sentono autorizzati a mentire al paziente informando invece i familiari. Qualche sanitario si preoccupa di raccogliere in precedenza le volontà del paziente, in funzione di decisioni future, qualche altro invece non ritiene suo dovere prevedere e accompagnare il percorso del paziente nella malattia. Ci devono essere regole comuni e condivise.
Quando si parla di etica nella mission dell'Azienda sanitaria, si fa riferimento a questo. Il sistema delle regole non può più essere lasciato all'improvvisazione o alle preferenze personali, ma deve entrare esplicitamente nell'erogazione dei servizi sanitari. L'etica non è più marginale, non è più scelta soltanto per personale vocazione, non è più missionarietà, ma è compito istituzionale. Spesso, tuttavia, nella pratica quotidiana ciò non accade. L'immagine scelta per questo convegno, la riproduzione di un particolare dell'affresco di Masolino che si trova nella Cappella Brancacci, può dare alcuni spunti di riflessione. Il ciclo di affreschi della Cappella Brancacci, infatti, colloca idealmente da una parte la sanità, e dall'altra l'assistenza sociale: il miracolo di San Pietro che guarisce lo storpio e il San Pietro dipinto da Masaccio che dà il tributo, quindi la solidarietà. In mezzo ci sono due uomini eleganti che passeggiano compiaciuti, guardandosi attorno. Sembra una metafora di quanto sta avvenendo oggi in Italia. Ci sono degli specialisti di bioetica che passeggiano tra la sanità e l'assistenza sociale, molto compiaciuti e supponenti. La bioetica appare come un corpo estraneo rispetto a coloro che curano e si prendono cura dei malati.
La missionarietà, poi, può diventare pericolosa quando produce argomenti per svalutare coloro dei quali non si condivide l'orientamento e il dibattito bioetico degenera in bio-rissa. Un esempio è definire "assassine" le donne che interrompono una gravidanza. Dietro questa violenza verbale si intravede una forma di "missionarietà" che non si limita a vivere certi valori, ma vuole farli prevalere contro altre persone. Si può lapidare con le pietre, ma anche con le parole. Si può essere in disaccordo con la decisione di Beppino Englaro di dare esecuzione alla volontà previa della figlia, ridotta da anni in stato vegetativo, interrompendo l'idratazione; si può essere in disaccordo con la sentenza della Cassazione che dispone la liceità di questa decisione. Ma convocare veglie di preghiera, sotto lo slogan "Dov'è Abele, dov'è tuo fratello?", suscita un moto di disapprovazione. Perché definire Caino qualcuno che ha fatto scelte che non si condividono? La missionarietà, che di per sé è sacrosanta, quando autorizza a "militare" per le cause in cui si crede, diventa pericolosa. Il percorso che ha portato l'etica ad assumere un ruolo centrale nella pratica della medicina non è lineare: si può sempre regredire, cedendo alla tentazione di utilizzare l'etica come arma impropria.
Vale la pena di dare qualche cenno in più sul citato progetto della Regione Piemonte. Esso si colloca in quel momento di passaggio in cui delle persone, per vocazione personale, mosse da un'alta motivazione, si sono procurate una preparazione nell'etica e hanno ricevuto un incarico ufficiale all'università, nell'Azienda sanitaria o negli ospedali. Il loro compito è portare l'etica dall'implicito all'esplicito, ragionare insieme agli altri professionisti, e possibilmente anche con i cittadini, riguardo alle regole che devono governare la convivenza comune.
Il primo momento del progetto è consistito in una indagine conoscitiva, per documentare i percorsi formativi di coloro che si occupano professionalmente dell'etica in sanità. Come era prevedibile, è risultata una grande varietà di percorsi, che un giorno bisognerà uniformare. Una seconda fase ha previsto l'invito, su base libera e volontaria, a incontrare altri professionisti che si occupano dell'etica: per creare una comunità di scambio, di confronto, per vedere insieme le difficoltà e le soluzioni. Da qui il progetto ha assunto le caratteristiche di una formazione (continua) tra pari.
Sarebbe auspicabile che anche in altre Regioni sorgessero iniziative analoghe, per dare visibilità ai professionisti dell'etica in sanità e rispondere ai loro bisogni di formazione.