Comunicare e informare: quale empowerment per il cittadino?

Book Cover: Comunicare e informare: quale empowerment per il cittadino?
Parte di Rapporto professionista-malato series:

Sandro Spinsanti

COMUNICARE E INFORMARE: QUALE EMPOWERMENT PER IL CITTADINO?

in Bioetica e mass media. Le questioni della privacy e della buona informazione, a cura di Maurizio Balistreri e Simone Pollo, Collana Bioetica e scienze umane

Guerini Studio, Milano 2004

pp. 83-90

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1. Prefazione

Non si può dire, in maniera assoluta e indifferenziata, che la medicina stia scoprendo la comunicazione ai nostri giorni. La comunicazione è di casa in medicina, da sempre. Anche se qualcuno esercita la medicina come muta ars (con questa espressione Virgilio nell'Eneide allude alla pratica terapeutica), non si può affermare che sia una medicina senza comunicazione. Se è vero, infatti, che non si può non comunicare ― è la prima legge formulata dalla pragmatica della comunicazione ― anche chi pratica un intervento terapeutico in silenzio, senza domande e risposte, comunica con il paziente. Non necessariamente il contenuto di questa comunicazione, reso esplicito, significa lontananza, disinteresse per il paziente o senso di superiorità. Può voler dire, più semplicemente, che chi esercita la medicina in questo modo ritiene di non aver bisogno di integrare nella propria pratica la soggettività del malato.

La scienza positiva ha dato un autorevole avallo a un sapere basato esclusivamente sui «fatti», libero dal gravame delle interpretazioni e soprattutto dei valori. Ciò che importa per una medicina così concepita può essere stabilito con operazioni oggettive, mettendo il soggetto tra parentesi. Non è solo una prospettiva che rispecchia le concezioni positiviste di stampo ottocentesco.

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La diffusione di una diagnostica sempre più ricca di informazioni, tanto da rendere l’organismo trasparente, va in questa direzione: la parola sembra resa superflua dalle informazioni che derivano da una TAC o dall’indagine genetica. Qualcuno teme che anche la Evidence based medicine possa spingere a privilegiare i fatti (aureolati di evidence!) rispetto all’incontro tra il soggetto curante e il soggetto curato.

In controtendenza, diventa oggi sempre più forte la richiesta di un cambiamento in profondità nei rapporti tra coloro che erogano le cure e i cittadini che le ricevono, così da modificare la struttura stessa della comunicazione che intercorre tra di loro. Con una parola che sintetizza tutto il processo, ci si riferisce al fenomeno nel suo insieme come a un empowerment del paziente. La parola inglese contiene la nozione di «potere» (power). L’aspetto più visibile nel nuovo rapporto tra sanitari e cittadini è proprio quello di uno spostamento di potere tra le persone coinvolte nella relazione. Il potere a cui ci si riferisce non è quello di natura politica o, nei rapporti interpersonali, ciò che autorizza qualcuno a dare ordini, aspettandosi che altri obbediscano. Tutte le relazioni di cura e assistenza prevedono un potere, utilizzato in modo benefico a vantaggio di un altro: pensiamo al rapporto tra genitori e bambini, insegnanti e allievi, medici e malati, appunto. Il potere in questione è quello che, traducendosi in atto, si esprime in un atteggiamento di paternalismo benevolo.

Il concetto di empowerment sostituisce quello di operatore sanitario come avvocato (o alleato) del paziente. Il primo in particolare presuppone un rapporto di dipendenza: il paziente ha bisogno di qualcuno che lo difenda. Empowerment invece sottolinea il concetto di autonomia L’analisi di questo tipo di transazioni raggruppa rapporti di natura molto diversa nella categoria di «relazioni complementari»: queste si basano sulla differenza tra le posizioni coinvolte. Funzionano bene quando ognuno si attiene al suo ruolo e non pretende di fare la parte dell’altro. Dal punto di vista grafico, il modello che le rappresenta prevede due posizioni: una sovrastante (one up) e una di sottomissione (one down).

one up

________________

one down

 

Diverse invece sono le «relazioni simmetriche», nelle quali i protagonisti hanno uguale potere e non si comportano secondo ruoli fissi. Ce li possiamo immaginare l’uno di fronte all’altro, faccia a faccia, senza poter dire chi comanda e chi obbedisce.

Il senso del processo di empowerment del paziente non è quello di mettere quest’ultimo in posizione one up e il medico in posizione one down, invertendo i rapporti di potere che siamo soliti associare con l’esercizio della medicina (dove il medico è considerato tanto più bravo quanto più esercita un’autorità indiscutibile e induce il paziente a essere «osservante» o compliant). Non sarebbe un progresso se il medico diventasse l’esecutore nelle decisioni del paziente; anzi ciò costituirebbe una minaccia per la salute, perché al paziente verrebbe a mancare il bagaglio di conoscenze proprie del sapere professionale del medico. L'empowerment è invece un cambiamento di rapporti complesso, che ha luogo su diversi piani.

Lo schema grafico che proponiamo prevede dei cambiamenti significativi su tre diversi piani: sul piano sociale (o della cultura), nel rapporto clinico tra professionisti sanitari e pazienti, nell’ambito dei valori condivisi o dell’etica.

2. Empowerment del cittadino e processo di cura

Dimensione culturale

― Autogestione della salute vs. «espropriazione della

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salute» 1, mediante «un processo che renda le persone capaci di aumentare il controllo sulla loro salute e migliorarla» (Carta di Ottawa).

― Conoscenza dei propri diritti; rappresentanza attiva, anche organizzata («rivoluzione liberale» in medicina).

― Atteggiamento psicologico «adulto» verso medici, infermieri e altri professionisti sanitari.

― Coinvolgimento dei cittadini nel miglioramento dei servizi, sollecitando suggerimenti, anche critici.

Dimensione clinica

― Raccolta sistematica di informazioni sui trattamenti proposti (ricerca; diagnosi; terapia) e sulle alternative.

― Promozione del «parere complementare» (second opinion).

― Accesso consapevole alle prestazioni sanitarie, grazie alla conoscenza di benefici attesi, effetti collaterali, rischi, complicazioni.

― Competenza nell’automedicazione semplice.

― Educazione all’autogestione delle patologie croniche.

Dimensione etica

― L’autonomia come principio etico che bilancia il principio del «bene del paziente» stabilito unilateralmente dal medico.

― Più ampia partecipazione del paziente alle decisioni che lo riguardano (decisioni consensuali).

― Assumere la responsabilità per le scelte sanitarie e, più in generale, per la propria vita.

― Autodeterminazione personale (l’individuo, non la famiglia come referente delle informazioni e soggetto delle decisioni).

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― Promozione delle direttive anticipate: living will o indicazione di persona delegata a decidere; disposizioni per la donazione di organi.

Dal punto di vista semantico l'empowerment al quale ci riferiamo è un concetto molto più complesso di quello proposto dal dizionario di inglese Ragazzini, nella più recente revisione, che illustra il termine con «l’acquisizione del potere da parte delle donne». L’empowerment in sanità non equivale all’acquisizione del potere da parte del malato! Il modello dell'empowerment che proponiamo rispecchia la definizione che troviamo nell’Enciclopedia della Gestione della Qualità in Sanità 2: «Termine entrato in uso e di difficile traduzione in italiano per indicare la tendenza a dare più potere, più coinvolgimento nelle decisioni ai pazienti, al di là del consenso informato».

Nella dimensione culturale dell’empowerment individuiamo anzitutto l’adeguamento alla filosofia che ispira l’OMS nota come «promozione della salute» (Health promotion). La carta di Ottawa (1986) l’ha descritta come «un processo che renda le persone capaci di aumentare il controllo sulla propria salute e di migliorarla». L’autogestione è il contrario di quella «espropriazione della salute» che il classico saggio di Ivan Illich ― Nemesi medica 3 ― imputava alla medicina, quando diventa un’impresa totalitaria che pretende di gestire la salute al posto del soggetto. La rivoluzione liberale, quando viene introdotta anche nell’ambito della medicina, presuppone la prospettiva dei diritti nelle relazioni che si instaurano nell’ambito della cura.

Dato il perdurare dell’asimmetria nei rapporti di potere, si tende a dare rilievo ai rappresentanti dei pazienti (per esempio, gruppi organizzati di pazienti, di ex pazienti o di familiari) o a istituzioni di tutela dei diritti (tribunale dei diritti del malato,

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gruppi consultivi misti). Iniziative di questo genere hanno contribuito in modo determinante a modificare l’atteggiamento psicologico di sudditanza che i malati in passato tendevano ad assumere, promuovendo un atteggiamento adulto.

Anche la prospettiva dell’«aziendalizzazione» ha in sé la potenzialità di modificare socialmente i rapporti tra chi eroga i servizi sanitari e chi li riceve. Nel concetto di «cliente» è implicita la considerazione della soddisfazione di colui che riceve i servizi, nonché il suo coinvolgimento attivo nella valutazione della qualità ― quanto meno della dimensione soggettiva, che può essere percepita dall’utente ― delle prestazioni erogate. La dimensione del mercato applicata alla società è indubbiamente pericolosa, in quanto può stravolgere l'ethos ippocratico nel quale tradizionalmente la medicina si è riconosciuta; tuttavia può anche potenzialmente arricchire lo spessore sociale di chi riceve servizi sanitari, attribuendogli un ruolo critico e di promozione attiva della qualità.

Sul piano clinico ― ovvero nei rapporti che si instaurano tra medici, infermieri e altri professionisti sanitari da una parte, e il paziente e i suoi familiari dall’altra ― l'empowerment diventa effettivo solo attraverso un processo informativo sistematico. Il paziente va informato se ciò che gli viene proposto si inquadra in un progetto di ricerca (il consenso alla sperimentazione è diverso da quello che ha per oggetto un trattamento standard), in un’indagine diagnostica (eventualmente, qual è l’ipotesi che guida la ricerca diagnostica) o in un trattamento terapeutico. L’informazione non è completa se non include anche le alternative, i benefici attesi, gli effetti collaterali, i rischi e le complicazioni dei trattamenti proposti.

Nel processo dell’informazione acquista oggi un peso nuovo il parere complementare (in inglese: second opinion), inteso come un diritto del paziente ad acquisire informazioni diverse presso altri professionisti. L’empowerment implica anche l’acquisizione delle conoscenze che permettono l’autogestione delle malattie croniche (le patologie dalle quali non si guarisce,

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qualunque cosa faccia il medico, sono oggi l’80%, rispetto a un 20% per le quali si può sperare la restitutio ad integrum). L’OMS ha raggruppato questo tipo di interventi che favoriscono il controllo del paziente sulla propria malattia sotto l’etichetta «educazione terapeutica».

Da non dimenticare, infine, in questa prospettiva che la maggior parte dei problemi di salute sono piccoli disturbi, curabili con i farmaci di automedicazione. Lo sviluppo di una cultura di automedicazione ― fondata su un dialogo tra consumatore, farmacista e medico ― aiuta il consumatore a orientare le sue scelte di cura (secondo l’ANIFA, l’Associazione che raggruppa le industrie dei farmaci di automedicazione, il patrimonio dei farmaci che si rivolgono al pubblico senza l’obbligo della prescrizione medica ― pur essendo sottoposti agli stessi controlli previsti per i farmaci da prescrizione ― è ancora molto sottoutilizzato in Italia). Nell’ambito clinico l'empowerment può essere fatto equivalere, in sintesi, a un maggiore «senso di padronanza» della situazione.

Sul piano propriamente etico l'empowerment comporta il passaggio dal modello ideale dell’etica medica a quello della bioetica, che abbiamo descritto. Contro ogni semplificazione ― del tipo: «prima il potere era tutto del medico, ora è tutto del paziente» ― sottolineiamo che l’orientamento della medicina a fare il bene del paziente rimane valido, ma si deve combinare con quanto del proprio bene può e deve definire il paziente stesso. Il paziente non può essere solo passivo: è chiamato a collaborare attivamente con il medico nella definizione degli obiettivi dell’intervento sanitario (compreso il privilegiare le azioni rivolte a salvare e prolungare la vita o quelle finalizzate a risparmiare inutili sofferenze). L'empowerment è fortemente correlato con la responsabilizzazione dell’individuo per le decisioni che lo riguardano.

Coerente con questa visione dei rapporti è il ruolo centrale che spetta al soggetto, anche nei confronti della sua famiglia. Per quanto i familiari possano essere ben intenzionati nei suoi

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confronti, nessuno meglio della persona stessa può interagire con i professionisti sanitari per giungere alla decisione che meglio salvaguardi tutti i valori in gioco. Nel caso, poi, che il soggetto sia attualmente incapace di esprimere la propria volontà, i familiari possono essere coinvolti in quanto fonte privilegiata per conoscere le preferenze della persona. Tanto più se c’è stata un’esplicita autorizzazione previa a consultare un familiare o un congiunto in caso di propria incapacità. Come nel caso dell’espressione di volontà per la donazione degli organi dopo la morte, l'empowerment tende a valorizzare le preferenze individuali e a rispettarle anche al di fuori del contesto in cui hanno un valore giuridico.

NOTE

1 I. Illich, Nemesi medica ed espropriazione della salute, Mondadori, Milano 1977.

2 P. Morosini, F. Perraro (a cura di), Enciclopedia della Gestione della Qualità in Sanità, Centro Scientifico, Torino 1999.

3 I. Illich, op. cit.